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27/12/2001 01:42 | |
Ero una ragazzina normale sino a sedici anni, religiosa, forse troppo, e ligia alla morale cattolica senza chiedermi nulla della mia fede.
Imbevuta di tabù e peccati mortali.
Capito' quello che capita a tutte le ragazzine: m'innamorai pazzamente di un uomo più vecchio di me; non tanto, dieci anni, lui n'aveva ventisei.
Era scaltro, erotico tanto, mi prese una cotta di pelle: di quelle che fanno aprire le gambe volentieri.
Lottai contro la mia morale, il mio giudizio morale e religioso ma tutte le volte che voleva lui aprivo le gambe alle sue dita e alla sua lingua, portentosi strumenti del Demonio.
Va da se che da senza mutande mi ritrovai nuda sul suo letto.
Non ci arrivai per caso, ero calda fisicamente.
Il mio corpo escludeva la mente in quei casi.
Mi stuzzico' parecchio mettendolo davanti alla mia giovane e integra caverna, non volevo perdere la verginità ma essere disponibile a lui e alle sue carezze che mi facevano impazzire e piangere piena di rimorsi dopo.
Un giorno lo spinse più dentro, non tanto da sverginarmi ma quel tanto da sentirmi aperta a lui, piena quel tanto da sentirlo piacevole, godibile, desiderabile.
Poi, senza dir nulla ogni volta scendeva quel centimetro in più dentro di me sino a rienpirmi tutta piacevolmente.
Non soffrendo di male fisico, come mia madre mi aveva avvertito, colsi che non ero più vergine del tutto con una certa ilarità.
Mi accorsi quando incomincio' a salire e scendere dentro di me dandomi sensazioni strane e bellissime, a farmi sentire piena, ad incominciare a muovere i miei muscoli vaginali, a sentire la sua verga in fondo, sul muso di tinca.
Non parlammo mai di verginità anche se la sua verga, la prima volta, usci' bagnata, anche di sangue: erano tanti gli umori che emettevo che solo alcune gocce rivelarono a me, che lo pulì con la bocca, che era stata rotta la mia conchiglia.
Mi piaceva il suo gusto mischiato al mio, il suo odore col mio.
Ammetto che lo baciavo anche li da alcuni mesi, con crescente piacere e crescenti crisi morali ma era tanto il piacere che mi dava che le crisi un bel giorno sparirono.
Non ci pensai più.
Cosi' avvenne anche con la rosa, con la mia verginità mai esistita, ora, poi, più tardi e con pazienza m'aggredì allo stesso modo anche il culetto che cedetti quasi subito, era elasticissimo il mio fintere.
La cosa più bella fu che incominciai a godere vaginalmente quasi subito, cosa rara ma possibile, imparai dopo, parlando con l'ostetrica.
Mi rivelai lentamente che ero una porcella che amava godere e che, se non lo avevo scoperto prima masturbandomi, era perché lo feci associandolo con l'idea del peccato e lo facevo poco e male.
Quella verga mi svergino' anche moralmente.
Attesi il castigo del Signore, sapevo che entrando sempre di più mi avrebbe rotto e lo fece nell'arco di un mese e io, restando zitta, consentivo, ma la punizione non venne.
Avrei potuto fermalo se avessi voluto.
Era cosi' bello peccare.
Davanti e dietro, delicatamente.
Ci amammo per tre anni circa, poi venne l'incidente, io mi salvai ma lui no.
Entrai in una crisi profonda, la punizione di Dio era arrivata nel mezzo della mia felicita basata sul peccato carnale.
Diventai grigia, mi vestii di grigio non potendo vestire il lutto: tutto divento' grigio per me, anche il sesso.
Dopo altri tre anni che mi videro rifiutare ogni piacere sessuale, scoppio' la crisi.
Non capivo perché mi stessi spogliando a letto, perché cercavo disperatamente la mia rosa, i miei capezzoli.
Lo capii davvero con l'arrivo di un orgasmo violento, desiderato, non sostituibile con altro genere d'orgasmo: avevo bisogno di quello.
Mi masturbai per quasi tutta la notte.
Al mattino ero distesa, tranquilla fisicamente, ignorai volutamente la notte e quello che era successo.
Non volli pensarci, mi rifiutavo.
Ritornai la grigia segretaria di sempre.
Al ritorno ero carica d'abiti strani, comperati di nascosto dalle mie colleghe.
Mi lavai con cura maniacale, mi vestii di nero tra il dark e la vedova.
Uscii come drogata, entrai in un bar alla periferia estrema.
Non ci misero molto ad avvicinarsi, tre ragazzi anche loro vestiti di nero.
Allungarono le mani prima di parlare e vedendo che non reagivo osarono altro.
Mi ritrovai in macchina nuda, poi sul panno sporco in mezzo ai campi, ero carne da prendere e mi presero tutti mentre lanciavo sussurri di gioia, ora godevo tanto.
Amavo esser presa da estranei, esser presa solo dalla carne, esser puttana e non grigia segretaria annichilita dal dolore: volevo scordare la mia pena, punirmi ma godere.
Solo punendomi all'istante potevo godere il sesso interamente.
Una volta al mese andavo a caccia di verghe, solo una volta al mese, il resto lo passavo da grigia razionale segretaria.
Cercai ovunque, sull'Autostrada i camionari e avventure a pagamento: avevo imparato che facendoti pagare erano più liberi di trattarmi da puttana, e lo fecero anche troppo.
Tutti i miei sfinteri all'opera con uno o anche con tre uomini per volta.
Fui picchiata, violentata, acquistata, scopata a sangue e più mi trattavano male più godevo in me.
Conobbi Luciano, era un sadico fine, mi fermai da lui e una volta al mese ero la sua bambola di gomma da torturare a voglia e da far godere alla pazzia.
Mi fece di tutto, ma mai ferite a sangue, sapeva torturare in posti strani dove conta più il vedere, capire, che il soffrire.
Nessuno s'accorse mai dei lividi sul corpo, salvato faccia e gambe il resto era terra sua da maltrattare a piacimento, da usare a piacimento, da riempire con tutto.
Imparai quanto possono esser larghi i miei sfinteri, quante cose grosse e dure possono contenere e come mi fanno godere col loro dolore e il loro attrito.
Uso le bottiglie di birra senza sforzo, anche quelle del vino: melanzane grandissime dietro e davanti, melanzane che non mi stanno in bocca, e mani, a volte anche un piede.
Sin quando resisterò alla mia pazzia?
Son segretaria grigia e puttana nera.
Se lo sapesse il mio confessore... |