Se gli effetti speciali non sono rintracciabili nei film che Elvis Presley girò tra il 1956 e il 1969, lo sono però in un numero spropositato di canzoni che lui interpretò in ventitré anni di carriera. Prendiamo "Suspicious Minds", registrata nel gennaio del 1969 e pubblicata su singolo il 26 agosto dello stesso anno. In questo post non starò a parlare delle straordinarie sessions che ebbero luogo a Memphis all'inizio del 1969. Basti ricordare che in quell'occasione Elvis fu affiancato da un brillante produttore, circondato da eccellenti musicisti e, soprattutto, fornito di brani di notevole spessore. Questa quanto mai gradita combinazione di eventi favorevoli generò master di livello eccezionale, un album del calibro di "From Elvis in Memphis" e non meno di quattro successi in classifica: "In The Ghetto" (#3), la citata "Suspicious Minds" (#1), "Don't Cry Daddy" (#6) e "Kentucky Rain" (#17). Inutile sottolineare quanto Elvis avesse bisogno di hits in quel preciso momento della sua parabola artistica, perché gli ultimi anni passati ad Hollywood avevano compromesso parte del suo potenziale commerciale.
Nel corso degli anni ho provato ad introdurre nel mondo di Elvis un sacco di gente. Parlo di persone che di lui sapevano poco e niente, che spesso erano maldisposte nei suoi confronti a causa del pregiudizio e della cattiva informazione. Molto logico, considerando il trattamento riservato ad Elvis nel nostro paese, che a voler essere gentili ed evitando polemiche - abbiamo già dato - potremmo definire superficiale. Tornando ai miei reiterati tentativi di fare apprezzare l'arte presleiana, devo dire che a volte è andata bene, altre meno. Già, per quanto possa sembrare strano Elvis non può piacere al mondo intero, ma almeno un brano ha sempre messo d'accordo tutti: "Suspicious Minds". Non è difficile capire perché. Parliamo di un pezzo che non è solo dotato di una squisita linea melodica e di un ritmo trascinante, ma che suona incredibilmente moderno ancora oggi. Magie dell'artista e di una produzione pressoché perfetta sotto tutti i punti di vista. Poi, al suo interno è possibile rintracciare l'ardore incendiario che aveva caratterizzato le incisioni di Elvis nei gloriosi anni '50 e allora non ce n'è per nessuno.
Riallacciandomi agli effetti speciali di cui si parlava in apertura, Elvis approccia questa canzone nel modo che gli aveva permesso di diventare una leggenda, vale a dire calandosi completamente nella parte. Già il primo "We're caught in a trap, I can't walk out..." è saturo di sinistri presagi. Nel prosieguo del pezzo il Re continua a ripetere ossessivamente questo concetto, fino allo sfinimento, accanto a una "lei" che possiamo immaginare non meno disorientata di lui. Il coro, imprescindibile, rimarca la drammaticità del momento, spingendo la coppia verso un finale incerto, probabilmente negativo. Un amore nato sotto una cattiva stella, a quanto pare... Quando tutto tace si è come svuotati, noi quanto colui che interpretò questa autentica meraviglia in musica, eppure non possiamo fare a meno di ripetere l'esperienza appena vissuta. Siamo in trappola, persi nel turbinio di emozioni generato da questo capolavoro senza tempo.