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La Squadra Azzurra

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2021 09:34
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13/08/2021 09:31

Tradotto da un testo della scrittrice Josefina Ortega




Forse Giueppe Garibaldi è l'italiano più venerato a Cuba. Forse Antonio Meucci è l'italiano meridionale che suscita più simpatia tra noi, per la tristezza che si è portato sulle spalle per molti anni, di fronte alla fallacia yankee che gli ha strappato il merito di aver inventato il telefono. Tra i vecchi guerriglieri è presente Gino Doné, ancora vivo e traboccante d'amore per Cuba, partecipante alla spedizione del Granma.

Il giovane Fabio di Celmo, invece, è l'italiano che più viene ricordato e onorato in questi giorni, per l'impatto che la sua assurda morte ha avuto sui cubani, vittima della ferocia del lungo braccio del terrorismo, che non distingue tra innocenti e combattenti.
Molti ricordano anche Giovanni Ardizzone, un giovane assassinato negli anni '60 dalla polizia italiana durante una manifestazione. Il poeta cubano Angel Augier scrisse all'epoca: "All'improvviso, vicino al Duomo/ in un fiore di sangue/ i tuoi generosi 21 anni/ si sono dissolti. Da otto anni, una brigata intitolata al giovane e composta da amici italiani di Cuba visita ogni anno l'isola.


Tutti avevano in comune una relazione particolare con Cuba.
Garibaldi - un patriota con lettere maiuscole ovunque- fu volentieri attratto dalle lotte per l'indipendenza di Cuba. Una visita segreta all'Avana intorno al 1850 viene discussa ancora oggi.
Meucci ha vissuto nella capitale cubana per 15 anni, legato alle arti dello spettacolo.
Di Celmo era a Cuba con suo padre, per motivi turistici e di affari, ma tutti sapevano che era affascinato da quest'isola.
Ardizone, lontano, in un'epoca in cui la solidarietà era rara, scese in strada per gridare "Basta! Giù le mani da Cuba!

Tuttavia, non furono gli unici italiani a fare la causa cubana, per motivi diversi.


Guiseppe Manzini, fondatore della Giovane Italia, scrisse contro l'ipocrisia americana che rifiutava di riconoscere la belligeranza di Mambisa.
Un altro Giovanni, un tenente dal cognome Placosio, insieme a diversi ungheresi e tedeschi, formò un gruppo conosciuto come il Reggimento dei Patrioti Cubani, e con esso sbarcò sotto gli ordini di Narciso López. E sul suolo cubano morì, non è chiaro se fu ucciso dopo essere caduto prigioniero degli spagnoli.


Nella lista degli italiani che si sono dati alla lotta per Cuba, ci sono alcuni nomi:
Ugo Gerardo Ricci, che, agli ordini di Maceo e anche con il grado di tenente, fu famoso nelle battaglie di Peralejo, Maltiempo e nell'odissea dell'invasione da est a ovest;
Natalio Argenta, di 34 anni, che si dice avesse un fisico così enorme che era capace di smontare un solo cannone dal mulo che lo portava;
Anche il siciliano Achille Avilés, morto nella conquista di Las Tunas, si unisce a loro;
Insieme a loro naviga l'ingegnere Francesco Pagliuchi, nativo della città di Pisa, che era stato capitano della marina argentina e aveva condotto una nave con una spedizione alle coste cubane, e poi un altro, e molti altri, e disse scherzando che se avesse dovuto morire per annegamento lo avrebbe fatto vestito in modo tale che vedendo il suo cadavere tutti avrebbero detto che doveva essere un gentiluomo.

Molti altri cognomi del sud abbondano nella storia rivoluzionaria cubana: il Fontana, il Petriccione, il Montessori; La famiglia Lanci dice di aver sopportato con grande stoicismo le difficoltà della manigua, il politico Ferrara che chiamava il Generalissimo Maximo Gomez "il mago della guerra", e che alla fine avrebbe lasciato brutti ricordi nella storia cubana, a differenza del dottor Francesco Falco, eminente e capace, fedele e combattente.

Si dice che il funesto Capitano Generale spagnolo Valeriano Weyler avvertì: "Bisogna stare molto attenti agli italiani che vanno a Cuba perché di solito sono straccioni garibaldini e con i Santi di barri, boniti e barati diffondono cattive dottrine".

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16/08/2021 10:14





Figlio di Amatis Meucci e Maria Domenica Bebi, Antonio Meucci nacque a Firenze il 13 aprile 1808. Lì frequentò l'Accademia di Belle Arti, dove studiò chimica e ingegneria meccanica e in particolare elettrologia. Queste materie costituirono le basi per la sua futura carriera di inventore.



Nel 1833 Meucci cercava un'occupazione che non fosse opprimente e che potesse diventare una fonte di nuove idée, iniziò così a cercare un posto di lavoro nell'ambiente teatrale. Accettò un posto ben remunerato al Teatro della Pergola, a Firenze, come assistente del capo macchinista Artemio Canovetti. Fu proprio a teatro che conobbe la costumista Ester Mochi, che il 7 agosto 1834, nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, divenne sua moglie.


Nell'ottobre 1835, Meucci e sua moglie lasciarono Firenze per non tornarvi mai più. Emigrarono a Cuba. Lavorarono entrambi al Gran Teatro de Tacón, Antonio come sovrintendente tecnico ed Ester come capo costumista.

E così l'Avana divenne la nuova dimora dei coniugi Meucci. Lì Antonio si dedicò a numerose ricerche e sperimentazioni, sviluppando un nuovo metodo di galvanoplastica dei metalli. Questo nuovo metodo fu applicato alle strumentazioni dell'esercito cubano, rendendo famoso Meucci e facendolo riconoscere come un ricercatore scientifico in grado di sviluppare nuove tecnologie. Durante il soggiorno all'Avana, Meucci inventò un sistema di purificazione dell'acqua che venne usato al Gran Teatro de Tacón per rendere l'acqua potabile e per alimentare un sistema di fontane.

La decisione di trasferirsi all'Avana era stata dunque buona. Un Meucci giovane e sognatore apprezzò la natura ispiratrice e affascinante della vita lavorativa nel teatro. L'accoglienza sincera e l'apprezzamento devoto contribuirono a rendere felice la vita della giovane coppia.
Meucci era affascinato dalle condizioni fisiologiche e alle risposte del corpo a stimoli elettrici e cominciò così a studiare "elettro-medicina", materia ai tempi abitualmente praticata sia in Europa che nel continente americano. Grazie a queste sperimentazioni, sviluppò un metodo in cui usava brevi impulsi elettrici per il trattamento del dolore con l'intento di curare le malattie.

Una rivelazione straordinaria si ebbe quando un uomo che soffriva di emicrania si rivolse a Meucci. Questi pose un piccolo elettrodo di rame sulla lingua del paziente e sulla propria e mandò una leggera scossa elettrica al paziente. Meucci sentì il grido di sorpresa dell'uomo nella sua stessa bocca, scoprendo quello che fu poi chiamato effetto "elettrofonico" o il fenomeno successivamente noto come "fisiofonia". L'uomo lo ringraziò e se ne andò guarito dalla sua emicrania.

Meucci dimostrò ripetutamente il fenomeno fisiofonico. I pazienti, sperimentando l'effetto ormai noto, rimanevano sbigottiti. Sviluppando ulteriormente questa scoperta, Meucci arrivò a concepire il primo sistema telefonico nel 1849, quando Alexander Bell aveva solo due anni.

Nel 1850 Meucci e sua moglie lasciarono l'Avana ed emigrarono negli Stati Uniti, stabilendosi a Rosebank, un quartiere di Staten Island, New York, dove vissero per il resto della loro vita. Meucci sviluppò una formula per la creazione di candele senza fumo e aprì, nella sua proprietà, una piccola fabbrica per la loro produzione. La vendita di queste candele senza fumo ai vicini, alle parrocchie a ai negozi generava un piccolo introito che gli permetteva di sopravvivere.
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16/08/2021 10:33

Giovanni Placosio è stato uno degli italiani che ha combattuto per la libertà e l’indipendenza di Cuba. Nel 1951 partecipa alla sfortunata spedizione di Narciso Lopez e con tutta probabilità viene catturato e ucciso il 18 agosto 1851 in un conflitto a fuoco sulle alture boschive della costa di Pinar del Rio. Aveva 40 anni.

Placosio, il 31 agosto 1849, partì per Torino, assegnato a quell'Ospedale Militare (dispaccio ministeriale 25 agosto 1849, n. 9031, Divisione Amministrativa Militare).
Dopo un breve periodo decise di lasciare l'Italia e di portarsi a Cuba che stava lottando per l'indipendenza dal dominio spagnolo.
Probabilmente aiutato dal ministro Carlo Cameroni, trevigliese, riuscì ad espatriare ed a raggiungere New York. Da qui scese verso sud dove, a New Orleans, incontrò Narciso López che, ben volentieri, prese con sè il giovane medico-combattente, nominandolo Tenente.
Intanto López preparava i piani per una nuova spedizione a Cuba e, infatti, ai primi di agosto del 1851, circa 500 uomini salparono da New Orleans sul battello "Pampero" con destinazione Cuba.

Sbarcati sulla costa di Pinar del Rio, si divisero in piccoli gruppi nella speranza di poter effettuare azioni di sorpresa, ma furono tutti scoperti e sconfitti. Il nostro tenente medico venne catturato ed ucciso il 18 agosto durante un combattimento sulle alture circostanti il luogo di sbarco.
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16/08/2021 10:34

Re:
cocoloco, 16/08/2021 10:33:

Giovanni Placosio è stato uno degli italiani che ha combattuto per la libertà e l’indipendenza di Cuba. Nel 1951 partecipa alla sfortunata spedizione di Narciso Lopez e con tutta probabilità viene catturato e ucciso il 18 agosto 1851 in un conflitto a fuoco sulle alture boschive della costa di Pinar del Rio. Aveva 40 anni.

Placosio, il 31 agosto 1849, partì per Torino, assegnato a quell'Ospedale Militare (dispaccio ministeriale 25 agosto 1849, n. 9031, Divisione Amministrativa Militare).
Dopo un breve periodo decise di lasciare l'Italia e di portarsi a Cuba che stava lottando per l'indipendenza dal dominio spagnolo.
Probabilmente aiutato dal ministro Carlo Cameroni, trevigliese, riuscì ad espatriare ed a raggiungere New York. Da qui scese verso sud dove, a New Orleans, incontrò Narciso López che, ben volentieri, prese con sè il giovane medico-combattente, nominandolo Tenente.
Intanto López preparava i piani per una nuova spedizione a Cuba e, infatti, ai primi di agosto del 1851, circa 500 uomini salparono da New Orleans sul battello "Pampero" con destinazione Cuba.

Sbarcati sulla costa di Pinar del Rio, si divisero in piccoli gruppi nella speranza di poter effettuare azioni di sorpresa, ma furono tutti scoperti e sconfitti. Il nostro tenente medico venne catturato ed ucciso il 18 agosto durante un combattimento sulle alture circostanti il luogo di sbarco.




DUE GARIBALDINI BERGAMASCHI A CUBA


Numerosi storici italiani si sono occupati in questi anni di trovare a Bergamo le esili tracce che da Cuba riportino a Bergamo i nomi di Giovanni Placosio e Natalio Argenta, bergamaschi garibaldini che combatterono contro gli spagnoli per la libertà di Cuba e che lì morirono. I loro nomi sono scolpiti, a caratteri d’oro, in un obelisco di marmo e granito a Key West in Florida dedicato ai “ Martiri per la libertà del popolo cubano” ed eretto nel 1892.


A Cuba i nomi di Natalio Argenta e Giovanni Placosio sono conosciutissimi negli archivi e nelle biblioteche de L’Avana e numerosi sono gli storici cubani(1) che ci hanno raccontato del valore e del coraggio dimostrati da questi garibaldini bergamaschi che operarono nell’ Esercito di liberazione Cubano negli anni 1851/1880. In Italia, a richiamare l’attenzione su di loro sono stati Carlo Lambiase, Domenico Campolongo (2), Anna e Roberto Tola, che hanno cercato in questi anni negli archivi italiani, nelle biblioteche e negli uffici anagrafici qualche notizia o informazione che ci potesse far conoscere la loro storia e il perché della loro scelta di andare a combattere per la libertà in un paese lontano. Non fu solo una voglia di avventura quella che portò i garibaldini a Cuba, forse fu anche quella, ma piuttosto sentirono forte l’esigenza di lottare e di combattere il sopruso e lo sfruttamento delle nuove potenze e dei nuovi imperi industriali. I loro cognomi (Argenta e Placosio) sicuramente non ci sono stati di aiuto e fino ad ora anche a Bergamo non si era trovato alcun documento degno di nota. In particolare Natalio Argenta è considerato a Cuba un po’come Francesco Nullo in Polonia. Il Generale Calixto Garcia, che lo ebbe a fianco nel tentativo insurrezionale del 1880, la cosiddetta “Guerra Chiquita “, oltre a ricordare più volte le sue origini bergamasche, lo descrive come un gigante fortissimo che da solo riusciva a sollevare e smontare un cannone dal basto di un mulo, sempre di buon umore, tanto da aver composto una canzone che diventò un inno per gli esuli cubani di Cayo Hueso. Per le sue azioni coraggiose Argenta,c he aveva 34 anni e aveva combattuto con Garibaldi, si guadagnò sul campo il grado di capitano. Salpato da Cayo Hueso in Florida ( in inglese Key West, isola che dista meno di 90 miglia da l’Avana) con una ventina di esuli cubani, dopo un viaggio pieno di insidie che lo costrinse a far rotta verso la Giamaica, seguito e pedinato da spie spagnole, sbarcò a Cuba nelle vicinanze della Sierra Maestra.Nascosto presso l’allevamento “El Soccorro”, in attesa di dar seguito ad un’azione di guerriglia a Las Tunas , a causa di un tradimento fu fatto prigioniero il 29 aprile 1880, con altri 6 compagni. Tradotto a Bayamo, fu fucilato dagli spagnoli vicino alla fortezza “España” il 7 Luglio 1880, insieme a Pio Rosado, Felix Morejon e Enrique Varona, catturati anche loro il 29 aprile. Davanti al plotone di esecuzione gridò “Viva la Repubblica Universale”. Josè Marti più volte ricordò nei suoi scritti (3)l’esempio e il coraggio di questo valoroso italiano “figlio di Bergamo” che fu amico di Cuba e della libertà e organizzò a Tampa in Florida, insieme ai numerosi emigrati italiani, i Club “San Carlos” , per aiutare gli esuli cubani “per la redenzione delle Antille”. Altrettanto sfortunata fu la spedizione di Narciso Lopez, cui partecipò Giovanni Placosio, con il grado di tenente. Circa mezzo migliaio di uomini salparono da New Orleans sul battello Pampero e, sbarcati a Cuba nell’agosto del 1851, divisi in piccoli gruppi, dopo una serie di scontri con gli spagnoli furono annientati. Placosio, che aveva allora 40 anni, con tutta probabilità fu catturato e ucciso il 18 agosto 1851 in un conflitto a fuoco sulle alture boschive della costa di Pinar del Rio, dove erano sbarcati.

La spedizione si concluse nel sangue con l’uccisione di Narciso Lopez il 07settembre1851 mediante il garrote vil. Sappiamo che nel 1850 Garibaldi da New York si recò a Cuba con il battello postale Giorgia , sotto il falso nome di José Pane, per dare un appoggio e un consiglio ai rivoluzionari cubani,r endendosi conto di persona dei tempi non ancora maturi per l’azione rivoluzionaria ma assicurando loro il suo pieno appoggio e solidarietà che mai verranno meno, anche negli anni a seguire. Furono 15 i garibaldini italiani che combatterono con i cubani contro gli spagnoli, quattro quelli uccisi nella lotta di liberazione.Ora una prima seppur esile traccia può far ripartire le ricerche storiche, almeno per uno dei due garibaldini bergamaschi, Giovanni Placosio. Questa ricerca e questo mio interesse è anche merito del Circolo di Bergamo dell’Associazione Nazionale di Amicizia di Italia-Cuba che nel 2007 , con una pubblicazione, mi ha fatto conoscere questa straordinaria storia . Il documento reperito e che apre nuovi spiragli alla ricerca è datato 28 gennaio 1861, porta la firma di Nicola Bonorandi( 4) ed è conservato presso la Civica Biblioteca e archivi storici “Angelo Maj” di Bergamo. Si tratta di un foglio a righe, scritto a mano, ed è l’ “Elenco nominativo dei Signori Ufficiali appartenenti ai Corpi dei Volontari organizzati in Bergamo nel 1848 e comandati dal Colonnello Signor Nicola Bonorandi”. Placosio fece quindi parte della Colonna Bonorandi , sul fronte del Tonale.Troviamo il nome di Placosio dr. fisico, indicato come Medico, inserito in un battaglione di bersaglieri di circa 200 volontari, organizzati in Bergamo nel seconda metà di Aprile 1848; capitano di tale battaglione è Pezzoli Eugenio, luogotenente Zambelli Francesco, tenente Moroni Guglielmo, la destinazione è la Valle Camonica ,linea del Tonale. Nelle osservazioni riportate si dice che tale compagnia si è distinse in vari combattimenti con il nemico e che tale battaglione occupò la posizione da metà aprile ai primi di agosto 1848, unendosi poi alla Guardia Mobile Bergamasca comandata da Gabriele Camozzi di Gherardi ,con la quale operò la ritirata in Svizzera per poi riunirsi sul Lago Maggiore, in Piemonte, ai Corpi lombardi , reggimentati nell’Ottobre del 1848. Infatti il 10 agosto 1848 gli uomini di Bonorandi si unirono ad Edolo alle forze comandate da Gabriele Camozzi e con altri gruppi di volontari provenienti dallo Stelvio; a Tirano operarono l’ultimo disperato tentativo di resistenza; poi ,attraverso la Valle Engadina, ripararono in Svizzera per raggiungere in seguito il Piemonte. Trovato questo prezioso documento, forse il primo in Italia e a Bergamo con il nome di Placosio e peraltro compatibile con il periodo dell’effettiva presenza di Giovanni Placosio negli Stati Uniti e a Cuba, restano comunque da indagare altre circostanze: dove e in che anno si laureò, quando decise di andare a Cuba (forse dopo la sconfitta di Novara del marzo 1849, aiutato come altri ad espatriare dal Ministro del regno Piemontese Cameroni, anche lui originario della provincia di Bergamo), da quale porto europeo si imbarcò per raggiungere New York, Perché a Cuba non si sottolinea il fatto di essere medico, ma solo il grado di tenente. Ipotesi tutte che dovranno essere studiate e verificate.

capitanargenta.wordpress.com/2014/06/07/due-garibaldini-bergamaschi-a-cuba-traccia-dellintervento-di-alberto-scanzi-alla-serata-dell8-f...

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16/08/2021 19:03

Alfonso M. Cancellieri era lombardo. Il suo sogno più puro, appassionato e urgente era viaggiare a Cuba. Per fare questo, partì per New York e dopo enormi sforzi con gli amici cubani, nella prima imbarcazione disponibile, iniziò l'avventura. Il vapore si chiamava Tillie. Sembrava sicuro e navigabile, ma la natura lo mise alla prova.
Appena partito dalla città di New York, una violenta tempesta si abbatté sulla fragile nave. Onde enormi che la oltrepassavano, riempivano di acqua salata le sue stive e i suoi compartimenti.
Fu necessario gettare in mare bagagli e merci per alleggerirla. L'esperto equipaggio, tra cui c’era John O'Brien, noto come il Capitano "Dinamite", vecchio leone di mare, e l'ingegnere italiano Frank Pagliuchi, fece tutto il possibile per evitare il disastro. Fu tutto vano.
In pieno Oceano Atlantico, due giorni dopo la partenza, la nave affondò. Dei suoi 22 occupanti, solo 18 si salvarono. Cancellieri, il giovane lombardo innamorato di Cuba, che si recava lì per combattere per la sua indipendenza, morì annegato il 23 gennaio 1898. Le acque dell’Atlantico sono state la sua tomba.
Non è stato l'unico nativo della regione più attaccata oggi in Italia dal nuovo coronavirus, che ha combattuto per Cuba. Natalio Argenta, capitano garibaldino, poeta, musicista, anchelui innamorato dell'indipendenza dell'Isola, a cui cantò inni, melodie e poesie a Tampa e Key West, si arruolò in un'altra spedizione. Nativo di Bergamo, innamorato della libertà, viaggiò verso l'Isola nella spedizione del maggiore generale dell'Esercito di Liberazione Calixto García, per prendere parte alla Guerra Chiquita.
Accompagnato da un piccolo contingente di audaci rivoluzionari e provenienti dalla Giamaica, il veterano capo mambí sbarcò il 7 maggio 1880 a sud della Sierra Maestra. Dopo aver coperto la ritirata del generale Calixto e averlo salvato da una nuova prigionia, Argenta fu fatto prigioniero. Il 7 luglio 1880, fu fucilato nella città di Bayamo. Morì sfidando il nemico al grido di "Viva la Repubblica Universale!".
I due lombardi non furono gli unici italiani a combattere per l'indipendenza di Cuba. Il napoletano Oreste Ferrara sbarcò a Punta Brava, in Oriente, il 21 maggio 1897, nella spedizione del Dauntles, comandata dal comandante Serapio Arteaga Betancourt. Concluse la guerra agli ordini del General el Jefe Máximo Gómez, come colonnello dell'Esercito di Liberazione.
Il mantovano Gerardo Ugo Ricci, un militare di carriera nella sua nativa Italia, combatté duramente nella provincia di Matanzas, dove raggiunse il grado di tenente colonnello nell'impresa del '95. Fu uno degli eroi del combattimento di Jicarita, uno dei più gloriosi di l'epopea mambisa. Conclusa la guerra, si stabilì a Bolondrón, in provincia di Matanzas, dove visse fino alla morte.
Il dottor Francesco Federico Falco, nato a Penne, in Abruzzo, era il segretario del Comitato Italiano Pro Cuba. Nel gennaio 1897 pubblicò un libro intitolato La lotta di Cuba e la solidarietà Italiana. Il delegato del Partito Rivoluzionario Cubano a Parigi, il benemerito portoricano Ramón Emeterio Betances, cercò di convincerlo dell'importanza del suo lavoro in Italia a favore della Rivoluzione cubana, ma Falco decise di recarsi a Cuba e lottare per la sua libertà.
Arrivò sull'isola alla fine di aprile del 1898, raggiungendo il grado di comandante nel corpo sanitario militare. Avrebbe scritto diversi libri legati alla guerra di Cuba, tra cui: Il Capo dei Mambises, su Máximo Gómez; In Memoria di Calixto García; Ideale cubano; e Vent’anni dopo il grido di Baire.
Comandanti erano anche Francesco Lenci, nativo di Lucca, che combatté nella guerra del '95 sotto agli ordini del generale Carlos García Vélez, e l'ingegnere Francesco Pagliuchi Guerra, nativo di Livorno, che come membro del Dipartimento di Spedizioni del Partito Rivoluzionario Cubano a New York, dove entrò nel marzo del 1896, prestò servizio come macchinista navale e meccanico, portando a Cuba numerose spedizioni a Cuba durante la guerra del '95.
Il capitano Carlo Dominici, che combatté agli ordini di Garibaldi, e fu a Parigi con i comunisti a La Comuna, prese parte alla fallita spedizione dell’Octavia o Uruguay nel 1876. Garibaldi era il suo idolo.
Tenente dell'Esercito di Liberazione fu il napoletano Guglielmo Petriccione Raia, ufficiale d’artiglieria laureato nel suo paese, che sbarcò a Punta Brava, Manatí, sulla costa nord di Oriente, il 21 maggio 1897 nella spedizione Dauntles, guidata dal Comandante Serapio Arteaga. Combattè come artigliere agli ordini del maggiore generale Calixto García. Alla pace fu console di Cuba a Parigi e Marsiglia, e d’Italia a Cienfuegos.
Sottotenente nella guerra del '95 e combattente del Primo Corpo d'Esercito nel Reggimento di Fanteria José Maceo numero 8, fu Raffaele Paliozzo. Sempre nel Primo Corpo combatté come soldato Santiago Nivia Aniva, originario di Pavia.
Mambises italiani furono, inoltre, i siciliani Aquiles Avilés, uno spedizionario di El Salvador, che arrivò a Cuba il 13 maggio 1869 agli ordini del generale Rafael de Quesada e morì nel 1870 durante l'attacco alla città di Las Tunas; Fernando Castroverde, sbarcato a La Habana il 24 maggio 1897 come spedizionario del Dauntles; e tre patrioti con nomi sconosciuti, un parmigiano ex-cannoniere dell'esercito italiano, fucilato dalle truppe spagnole a El Cobre, Santiago de Cuba, nel 1895; un altro nativo di Cremona, morto vicino a Matanzas nel 1896; e un terzo morto a Río Hondo, Pinar del Río, nel 1897.
L'Italia, la nazione europea che ha reso al generale Antonio Maceo i più grandi omaggi quando ha appreso della sua fatidica morte, è stata solidale con l'indipendenza di Cuba.
Per un ulteriore simbolismo, un partigiano italiano nato a Venezia, Gino Donè, sarebbe arrivato sullo yacht Granma per lottare per la definitiva indipendenza di Cuba.
La gloriosa vita di quegli eroi serve da stimolo ai cubani in camice bianco che oggi sono in Italia, proprio nella terra di Cancellieri e Argenta, per restituire, in un gesto di gratitudine e d’amore, vita e salute a un popolo a cui la storia ci affratella.
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16/08/2021 19:20



Natalio Argenta, cuya muerte ocurrió hace 140 años, vino a Cuba con el Mayor General Calixto García en mayo de 1880, a participar en la que se llamaría Guerra Chiquita. Pero, cómo se conocieron y hasta dónde intimaron este italiano y el cubano mambí hablamos aquí?

José Martí cuenta que Calixto, quien desde septiembre de 1878 presidía el Comité Revolucionario Cubano en Nueva York, trabajaba sin descanso para unir voluntades y crear clubes, fuera y dentro de Cuba, y organizar una nueva contienda para liberar a Cuba del coloniaje español.

“... bajaba de mañana a la tienda de Leandro Rodríguez, tesorero de la Junta Revolucionaria y allí en un rincón estrecho recibía sus visitas, con benevolencia hidalga, castigaba con arranques elocuentes la desidia o abyección de sus paisanos, recordaba con chispas en los ojos la bravura de la guerra, comentaba, con lucidez singular, la historia de los pueblos y la literatura militar”.

Martí conoció al General y su exquisita y humilde familia en los primeros días de enero de 1880, y ya el italiano Natalio Argenta era como si formara parte de aquel hogar lleno de alegría por los niños. Isabel Vélez, esperaba un nuevo vástago. Ese mismo mes nació el cuarto hijo del matrimonio y le pusieron por nombre Mario.

Argenta era natural de Bérgamo, Italia, y por la unidad de su país había combatido bajo las órdenes de Garibaldi. Emigró a los Estados Unidos; vivió en Tampa y Cayo Hueso y luego en Nueva York. Aquí conoció al general Calixto García, con quien simpatizó de inmediato y se unió al movimiento revolucionario que éste encabezaba para luchar por la libertad de Cuba.

Se puso a la entera disposición del general mambí y le servía de ayudante y guardaespalda, por lo que era asiduo visitante en la casa familiar. Cuentan que cuando nació Mario la ayuda de Natalio Argenta fue indispensable. Sabía cocinar todo tipo de comida italiana, por lo que se ganó fama en esa faena y pronto todos fueron adeptos a sus manjares.

Para venir con Calixto García a pelear a Cuba, por Cuba, se alistaron 82 hombres, entre ellos el italiano Natalio Argenta. Desde Jersey City, en la goleta Hattie Haskel, en marzo de 1880, solo partieron 26 expedicionarios, incluyendo al Mayor General García y a Argenta. La expedición fracasó y tuvieron que refugiarse en Jamaica. En esta isla, Calixto prepararía otra expedición a finales de abril, pero a la goleta en que venían 15 hombres hacia Cuba, entre ellos Argenta, se le rompió el mástil y tuvieron que regresar. Una semana después, el Mayor General parte de nuevo, ahora eran 19 hombres, contando a Argenta.

Esta vez sí llegaron. El veterano jefe mambí y el pequeño contingente de audaces revolucionarios desembarcaron el 7 de mayo de 1880 en un lugar de Santiago de Cuba entre Aserradero y Cojímar.

Desde la llegada, el mayor general Calixto García estuvo sujeto a la implacable persecución del ejército español. El 6 de julio el periódico La Voz de Cuba informaba de una acción contra las fuerzas de Calixto García en Los Diablos, inmediaciones de la Sierra Maestra, y que se habían hecho prisioneros al italiano Natalio Argenta, a Julio Morejón y al comandante Enrique Varona.

En el encuentro, tras cubrir la retirada del general Calixto, para salvarle la vida y de una nueva prisión, Argenta cayó prisionero.

El día 21 de julio, el Mayor General le escribe a Esteban Estrada, hermano de Logia, pidiéndo ayuda, y entre otras cosas le dice:

De 19 hombres que desembarcamos, solo quedamos seis desnudos y descalzos. Mi posición se hace, pues, cada día más difícil y para empeorarla estoy padeciendo fiebres y no tengo quinina para cortármelas.

Como usted comprenderá, la cuestión es de vida o muerte, y morir poco me importa, si algún beneficio reportara a mi país, pero en las actuales circunstancias sería un beneficio estéril.

También deseo ardientemente tener noticias de la suerte que le ha cabido a mis desgraciados compañeros que fueron hechos prisioneros en “Los Diablos”, Pío Rosado, Juan Soto, Natalio Argenta, Enrique Varona, Manuel Cortés, Miguel Cantos, Félix Morejón y Domingo Mesa.

Tengo esperanzas de que el enemigo no los habrá fusilado a todos, y si para salvarlos fuese necesario entregarme yo a los españoles, lo haré sin titubear.

Pero, ya su leal amigo y compañero, el italiano Natalio Argenta había sido fusilado en la ciudad de Bayamo el día 7 de julio. Cuentan que desafiante, frente al pelotón de fusilamiento, gritó a toda voz:”¡Viva la República Universal!”

José Martí tampoco lo olvidó. El 22 de agosto de 1892, en el periódico Patria decía: “…¿No hemos de recordar con agradecimiento que el hombre de corazón que se llevó a Cuba, en su guerra infortunada, Calixto García, era italiano de cuna, era Natalio Argenta?”

Luego, el 3 de septiembre, en la misma publicación escribía: “…Patria rendía un tributo merecido a la memoria del valiente italiano Natalio Argenta, que por nosotros sangró y bajo cuyo nombre los italianos de Tampa, amantes de la libertad, se alistan para ayudar a la obra grandiosa de la redención de las Antillas…”
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16/08/2021 19:52




Francesco Federico Falco (Penne, 12 aprile 1866 – Livorno, 11 agosto 1944) è stato un medico italiano.

Nacque a Penne, da Nemesio e Antonia Tarquini. Si laureò in medicina a Roma. Iscritto al Partito Repubblicano di Mazzini, iniziò la sua attività politica nel 1887. Alla fine del secolo abbandonò questa posizione per assumere idee socialiste. Come giornalista esordì nel 1888 su L'Emancipazione di Roma, successivamente scrisse su La Tribuna, Il Messaggero, La Scintilla, Il Popolo toscano. Nell'aprile del 1898, un gruppo di 75 volontari (tra cui Guglielmo Petriccione ed Oreste Ferrara Marino) salpò alla volta di Cuba per portare il suo aiuto agli insorti della Rivoluzione d'indipendenza cubana dalla Spagna. Il 7 maggio, il piccolo drappello approdò sull'isola portando con sé i soldi delle sottoscrizioni. Tra i firmatari figuravano nomi di spicco della storia politica italiana: oltre a Bovio e a Fratti, Matteo Renato Imbriani, Napoleone Colajanni, Andrea Costa, De Felice Giuffrida, il colonnello Gattorno, Ettore Socci, Nicola Barbato, Felice Cavallotti, Edoardo Pantano, Angelo Celli, Salvatore Barzilai, Enroico De Marinis, Giuseppe Marcora. Falco, combattente agli ordini del generale Antonio Maceo, fu nominato il 18 giugno 1898 comandante del Corpo di Sanità militare dell'esercito di liberazione. Falco fondò la rivista “La Cultura Latina”, che trovò ampi consensi nel Venezuela, Messico e Argentina, gettando così il seme della filosofia socialista che negli anni si sarebbe radicata in una parte importante della società cubana. Gli anni trascorsi a Cuba non furono caratterizzati solo dall'impegno in campo militare. Assunta la cittadinanza cubana e divenuto cittadino adottivo di Santiago de Cuba, il medico iniziò una ricchissima serie di collaborazioni con l'Università di Cuba e con altre istituzioni scientifiche e culturali dell'isola. Divenne uno stimato corrispondente del Progresso Italo-americano e i suoi scritti contribuirono notevolmente alla conoscenza della cultura cubana negli Stati Uniti. Egli scrisse più di 40 opere su argomenti diversi e in ben quattro lingue: italiano, spagnolo, francese e inglese. Dopo la vittoria nella guerra di indipendenza il Governo cubano premiò l'impegno leale e idealistico di Falco con incarichi istituzionali: nel 1903 fu nominato console di prima classe della Repubblica di Cuba nella città di Genova e poi console generale ad Amburgo. Rappresentante del Governo cubano nelle conferenze internazionali sull'immigrazione europea e dell'America latina, nel 1912 Falco stampò in Italia un minuzioso studio sull'emigrazione italiana a Cuba, commissionatogli dal Ministro dell'Agricoltura, Commercio e Lavoro della Repubblica di Cuba, Emilio del Junco. Nel 1920 fu scelto come inviato straordinario e ministro plenipotenziario del Governo cubano presso l'Istituto Internazionale di Agricoltura a Roma e successivamente come Ministro plenipotenziario in Italia per la Repubblica cubana. Gli anni del periodo fascista furono duri. Costretto a vivere con pochi mezzi a causa dell'instabilità dei governi cubani, Falco visse prima a Rapallo e poi a Livorno. Morì a Livorno il 11 agosto del 1944.


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Dopo la presentazione di ottobre a Penne (Pescara), il libro "L'altro eroe dei due mondi - Francesco Federico Falco" è stato presentato anche a L'Avana (Cuba) nell'ambito della Settimana della Cultura Italiana, che la nostra Ambasciata organizza ogni anno a fine novembre. La prima pubblicazione sulla figura poco conosciuta dell'eroico personaggio abruzzese è stata scritta dalla storica Sandra Estevez Rivero, che lavora all'Oficina dell'Historiador di Santiago de Cuba, e da Antonio De Fabritiis, presidente dell'Associazione Abruzzesi in Cuba. All'incontro hanno partecipato, fra gli altri, l'ambasciatore italiano Marco Baccin, la console Giacinta Oddi (nella foto con gli autori) e Domenico Capolongo, che ha curato diverse pubblicazioni sulla presenza italiana a Cuba.

La pubblicazione è stata resa possibile grazie al patrocinio, oltre che del Comune di Penne anche del Cram Regione Abruzzo dell'era Donato Di Matteo-Giuseppe Tagliente.

Falco, medico nato a Penne il 12 aprile 1866, combatté per l’indipendenza di Cuba dalla dominazione spagnola come comandante medico dell’esercito cubano. La Estevez ha sottolineato gli aspetti più significativi della vita di questo eroico personaggio che nel filone della tradizione mazziniana e nello spirito garibaldino promosse iniziative concrete per aiutare i fratelli cubani ad affrancarsi dalla dominazione coloniale spagnola. Fino a fondare nel 1896 un Comitato per la libertà di Cuba che attraverso le varie conferenze fece conoscere agli italiani la realtà cubana e nelle stesse conferenze raccolse soldi da inviare ai combattenti dell’Isola. Egli però non sentendosi pienamente soddisfatto, decise di partecipare in prima persona alla cruenta lotta per la liberazione della maggiore Isola delle Antille, fra le ultime nazioni a essere liberata in America Latina dal dominio spagnolo. Tra mille peripezie e insistenze con una totale determinazione, Falco riuscì a raggiungere Cuba per mettersi agli ordini dei comandanti cubani guidati dal "libertador" Josè Marti e partecipare in modo diretto nelle azioni belliche.

Il medico-guerrigliero abruzzese non fu d’accordo con l’intervento degli Stati Uniti verso la conclusione del conflitto perchè sottraeva ai cubani la possibiltà di riscattare da soli la loro libertà dovendo, per altro, sopportare poi l’ingerenza a stelle e strisce nell’Isola per molti anni in seguito, fino alla Rivoluzione del 1959.

A guerra finita, Falco ricevette dalla Repubblica di Cuba incarichi prestigiosi, prima nell’ambito dell’Isola stessa e successivamente con la nomina di Console a Genova e poi ad Amburgo (Germania). Venne pure nominato Ministro pleniponziario del Governo cubano e delegato alla Organizzazione mondiale di Agricoltura, dove svolse un ruolo di primaria importanza scrivendo anche diverse opere sulla coltivazioni di cereali, grano e mais e sulla maniera più adeguata di combattere le varie piaghe che colpivano questo vitale settore di produzione.

Questo singolare Eroe consacrò tutta la sua vita a praticare e propagare i più alti ideali di libertà e indipendenza dei popoli trascuarando completamente gli affetti familiari e la propia professione, servendo la sua nuova Patria con costanza e dedizione, senza, però essere ripagato per ciò che meritava. Finì la sua vita in povertà senza ricevere da Cuba nemmeno un vitalizio che gli permettesse di realizzare il suo sogno di vivere e morire sull'Isola. Così, in una stanza di un piccolo appartamento a Livorno, l'11 agosto 1944 la fiamma di questo grande garibaldino si spense senza onori né gloria. C'è voluto il libro di Estevez-De Fabritiis per ridare a questo grande personaggio la giusta considerazione storica che merita.

"La comunità pennese è grata agli autori per aver ricordato e fatto conoscere uno dei più illustri cittadini di Penne, al quale è intitolata una via importante del nostro Comune - aveva detto il sindaco di Penne Ezio Di Marcoberardino nella presentazione in Abruzzo - Falco è stato un uomo di valore e di grande impegno civile, mazziniano, garibaldino, socialista, si è battuto sempre per affermare gli ideali di libertà e di democrazia in Italia e soprattutto a Cuba".
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17/08/2021 09:34

by Prof. ENZO SANTARELLI

1895 - 1905 : L’Italia per Cuba

Sulla fine del 1968, Antonio Melis ha avuto il merito di presentare l’opuscolo Los mambise italianos di Ferdinando Ortiz, in cui il grande etnologo dell’isola caraibica dava conto fra i primi della "campagna filocubana, condotta con successo dal popolo italiano" onde "fissare per sempre una pagina di storia, che è anche nostra, perché fu scritta per noi"(1).
Ortiz non aveva altra fonte - oltre a qualche più diretta ma frammentaria conoscenza acquisita per esperienza personale - che un numero unico in folio, L’Italia per Cuba, che recava come sottotitolo "nel III Anniversario della Repubblica Cubana" e si dichiarava "pubblicazione commemorativa per cura del Comitato Centrale Italiano per la libertà di Cuba" (2). Il numero unico, compilato e redatto da Felice Albani, edito a Roma il 20 maggio del 1905, attingeva ai carteggi, alle risoluzioni, agli echi di stampa, ai bilanci finanziari e associativi del 1896-1898. Vale anche come testamento politico di quel centro di iniziativa, di cui Albani era stato con ogni probabilità il più alto ispiratore (3).
L’Italia per Cuba riproduce in primo luogo una relazione ufficiale del Comitato Centrale Italiano sopravvissuto fino al 1905 e datata 24 febbraio; un carteggio in parte autografo del 1897 con il dottor Bètances, rappresentante a Parigi - per i paesi dell’Europa - delle forze insorte; un resoconto della commemorazione di Antonio Maceo tenuta a Roma al principio del medesimo anno, oratore ufficiale il vecchio Giovanni Bovio; il testo della conferenza pronunciata da Francesco Federico Falco, segretario del Comitato, a Santa Clara nel settembre del 1899; gli elenchi dei deputati, cittadini, giornali e circoli che, "con l’obolo o con l’opera in differente modo contribuirono allo sviluppo dell’agitazione italiana in favore dell’indipendenza di Cuba". Fra i "pezzi minori", ma forse persino più importanti - come vedremo - sono da segnalare uno scritto del socialista romano Silvio Drago, lo stralcio di una lettera dello stesso Albani sull’intervento degli Stati Uniti, una documentata notizia intorno alla spedizione - rimasta a metà - dei volontari e infine un programma d’azione culturale, da cui traspare il pensiero del Falco.
Se si deve dare un giudizio, L’Italia per Cuba non solo fornisce a Ortiz i dati analitici che egli cita e riassume, ma costituisce una delle fonti a stampa più organiche, sia per ricostruire le linee di una iniziativa di solidarietà essenzialmente repubblicana e di impronta "garibaldina", sia per verificarne l’ampiezza e la risonanza in seno al movimento democratico italiano di fine secolo. L’agitazione ha inizio - con un certo ritardo sugli eventi cubani - nel corso del 1896 (4). Il 7 maggio 1898 i volontari italiani si imbarcarono alla volta di New York per raggiungere Cuba, dove avrebbe dovuto attenderli e guidarli il colonnello Gustavo Martinotti; ma il 2 agosto sono costretti al ritorno in patria. La vicenda si inserisce dunque in un periodo particolarmente travagliato per l’Italia, fra la sconfitta di Adua e i moti del maggio 1898, e coincide anche con il movimento originato dalla guerra per Creta e con le spedizioni di Amilcare Cipriani e Menotti Garibaldi in Grecia, dove nello scontro di Domokos, era caduto Antonio Fratti.
Scrive Felice Albani: "Vera pagina di storia è dunque per noi la presente pubblicazione: e a tale titolo la offriamo agli amici d’Italia e di Cuba, devoti, d’intelletto e amore, alla grande causa della libertà della giustizia e della fratellanza per i popoli e tra i popoli" (5).
L’Albani già leader intorno al 1893-94 del Partito repubblicano socialista formato dalla sinistra dell’antico Patto di fratellanza delle società operaie, e reduce dalla campagna di Grecia si propone fra l’altro di rendere omaggio a Fratti e a Bovio, anche lui scomparso, che erano stati fra i massimi sostenitori dell’iniziativa, e all’amico Falco, "il segretario, l’anima e - sui campi di lotta - il campione" del Comitato Italiano (6); e di propagandare il dono di una targa scolpita da Vettore Ferrari offerto a Cuba con un indirizzo redatto da Barzilai.
Indubbiamente l’impianto del numero unico e il tono della raccolta documentaria sono intrisi di retorica e di arcaismi, di cui sono prova l’"apologia" di Maceo pronunciata da Bovio e la prolissa conferenza tenuta dal Falco nel teatro di Santa Clara (7). L’Albani - ora a capo di un isolato Partito mazziniano italiano - sembra sorvolare sui dati più attuali e ostici: nessun cenno, ad esempio, alle delusioni patite dai cubani a causa della politica nordamericana; ma il suo rimane un internazionalismo di ispirazione democratica e nazionalitaria sinceramente professato, di cui sentiva di dovere continuare la tradizione:
"Fin dai tempi della sua rivoluzione, l’Italia porse il braccio di fraterno ausilio alle nazioni insorte per rivendicare la propria indipendenza, accorrendo in Grecia, in Ispagna, nell’America del Sud, In Polonia, nei Balcani e finalmente ancora in Grecia (...), così, nella misura dei casi e delle circostanze, l’Italia della democrazia non fu insensibile al santo grido di riscossa del Popolo Cubano" (8).
Antonio Fratti, nel dicembre del 1896, aveva ascritto il nome di Maceo al "martirologio dei popoli oppressi" e lo aveva messo assieme Con Santarosa e Pisacane, Mameli e Oberdan, il che offre un’idea degli impulsi postrisorgimentali che animavano la solidarietà repubblicana a favore di Cuba (9). "I preti di Roma - aveva aggiunto - parlano dei diritti secolari della Spagna, e ne parlano anche tanti nostri scettici giornalisti monarchici". La causa della liberazione dell’isola era dunque sentita e propagandata in termini peculiari italiani, per riaffermare tutto un programma di democrazia, secondo pregiudiziali ideologiche e di partito ormai consolidate. Josè Martì diveniva per Bovio "il Mazzini dei cubani" (10). Il mito della Roma del popolo, l’idea delle libertà nazionali e il motivo della fratellanza latina formavano l’involucro dottrinario dei capi; la lotta che si era accesa oltre Atlantico, era ricondotta a risvegliare le sorti dell’idea repubblicana nella penisola. Lo stile di Bovio, quando traccia il mandato con cui si accredita la missione in partenza per l’Avana è più che paludato: "Il Comitato Cubano sedente in Roma, convinto che l’insurrezione di Cuba, raccomandata alla civiltà dall’eroismo dei ribelli contro la ferocia degl’invasori, merita dalla Roma de’ Plebisciti un plauso, delibera mandare al governo cubano il dott. Francesco Federico Falco, membro del Comitato, con questo voto: "Che Cuba, proclamatasi indipendente, determini con plebiscito la forma politica della sua nuova vita" (11).
Francesco Federico Falco, l’emissario italiano, era poi rimasto, nell’isola anche dopo gli avvenimenti del 1898 e del 1901 (l’emendamento Platt), e qui aveva dato vita a La Cultura latina,
"revista cientifica internacional" apparsa nel novembre-dicembre 1902 con un programma di "rinascenza dell’Umanismo latino, svolto per ora nelle scienze sociologiche e loro affini", che aveva trovato ascolto in Gabriel Tarde e in Cesare Lombroso, negli statunitensi Barrows e Baldwin e in altri "cientificos" del Messico, Venezuela e Argentina (12). Il Falco aveva assunto la cittadinanza cubana, ma non sembra fosse troppo sensibile alle condizioni in cui l’indipendenza di Cuba era stata decurtata da parte degli Stati Uniti. Nel positivismo e dottrinarismo della sua cultura - stando agli scarsi documenti di cui disponiamo - prescindeva dai dati di una realtà sociale e nazionale assai più drammatica di quella prefigurata dal suo slancio idealistico: Cuba era una "nuovissima nazione americana" che assurgeva a "Stato libero", una "repubblica latina" che era riuscita ad imporre ai nordamericani il ritiro dal paese: "Una legge non scritta, ma viva in tutte le coscienze democratiche, aveva trovato obbedienza sagace nei direttori del governo degli Stati Uniti, per virtù del carattere cubano (...) e la fermezza di questo popolo otteneva il suo trionfo finale senza altre prove di sangue, e senza ulteriori sacrifici, ma anzi tributando un singolarissimo diploma di gloria alla nazione (Stati Uniti) che abbandonava il campo" (13).
In questo unico accenno che si spinge sul presente, senza troppo allontanarsi dal momento celebrativo dell’epopea cubana (il testo è della fine del 1902 e ha valore programmatico auspicando l’intesa fra "i più valenti compagni di scienza e di lavoro non solamente dei paesi latini dell’Europa e dell’America, ma anche dei paesi anglosassoni e del Giappone") si avvertono i limiti di fondo di un impianto politico e culturale in evidente ritardo sulla realtà nuova dell’imperialismo e anche sui fermenti antimperialistici della più avanzata cultura latino-americana del tempo.
Più aperta e moderna, per quanto qui si può intravedere, la posizione espressa dall’ala socialistica del movimento italiano relegata e rimasta però ad un livello subordinato. Silvio Drago formava un punto di collegamento (intorno al 1895) fra l’Asino Podrecca e Galantara, la Federazione socialista romana e il gruppo repubblicano-collettivista del Futuro Sociale, che era animato da Felice Albani.
Secondo Drago, i cubani insorgevano contro il "parassitismo economico" della Spagna; "l’emancipazione di nuove e grandi energie produttive" urtava con "la conquista, la signoria e lo sfruttamento degli stranieri"; dunque una lotta che non interessava soltanto Cuba, ma poteva essere accostata al recente e fresco anticolonialismo della parte popolare italiana (14) . E’ però all’egemonia ideologica di Felice Albani, che si devono le ombre e le luci in cui si aggira e si muove l’intero movimento.
Nell’Italia per Cuba Albani pubblica una sua lettera di risposta ad un telegramma del Falco, datata 14 aprile 1898. Ne esce una direttiva politica che investe scelte strategiche da operare di fronte al fatto nuovo, imminente dell’intervento nordamericano. L’appiattimento della visuale idealistica prende ora rilievo e denuncia presupposti - e chiusure - di tipo dogmatico: "Una buona volta che essi (Stati Uniti) agiscono da vera Repubblica e una buona volta un popolo forte e potente mette la sua potenza e la sua forza al servizio d’una causa buona, in difesa degli oppressi. Dovremmo esitare noi a testimoniare i nostri sensi di solidarietà - solo per degli apprezzamenti soggettivi e temerari: ad esempio perché gli americani del Nord sono ricchi sfondati, ecc. ecc.? (15).
Il progetto politico - già difficile e arduo nella realizzazione - a questo punto anziché temprarsi rischiava di indebolirsi , specialmente in prospettiva, come di fatto accadde. Secondo Albani, che qui veramente si atteggia a leader morale e politico dell’impresa ed esercita autorevolmente il suo consiglio sul Falco, l’intervento degli Stati Uniti spostava radicalmente i termini con cui era stata, in precedenza, impostata l’intera questione. Si dava "il caso raro e augurale d’una grande potenza che fa sua la causa dell’oppresso"; perciò la spedizione dei volontari veniva a perdere il suo significato.
"Andare in 500 o in mille a pretendere di aiutare 200 o 300.000 in lotta contro si o no 50 o 60 mila, parrebbe una forzatura, e non naturale spontaneità; al fatto verrebbe meno il pericolo, e col pericolo la poesia e la gloria che furono sempre l’aureola dei nostri sacrificati" (16).

Riepiloghiamo: il 6 aprile 1896 - quasi certamente un anno dopo l’inizio dell’insurrezione cubana - si costituisce il Comitato Centrale Italiano; è passato appena un mese dalla caduta di Crispi; nel 1897 l’idea e il programma di un corpo di volontari si rafforzano; ma Cuba è lontana e il richiamo di Candia infinitamente più vicino: il tentativo pro Cuba entra nel concreto nella misura in cui da un lato giungono a compimento le spedizioni in Grecia, dall’altro divengono più frequenti i
dispacci sulla repressione spagnola. All’inizio del ‘98, questo complicato itinerario fa sentire ancora la sua influenza. La lettera di Albani è inoltre ricca di riferimenti retrospettivi, ricerca precedenti e insegnamenti nell’esperienza risorgimentale italiana, mentre nella grande repubblica d’oltre Atlantico si compie una incomprensibile rivoluzione imperialistica....La democrazia italiana, fortemente ideologizzata, che sa comprendere e combattere gli aspetti arcaici e autoritari monarchica e confessionale è sprovveduta di fronte a una situazione coloniale come quella di Cuba, e viene colta di sorpresa. Se mai altri, come Olindo Malagodi, dal suo osservatorio inglese, o più tardi Luigi Negro, saranno atti a intendere e discutere le novità del fenomeno imperialistico (17)
Nell’aprile del 1898 - dunque - non era più il caso per un serio "partito d’azione" di insistere nella spedizione: tuttavia, se dieci, venti o cento giovani intendevano partire, non si doveva scoraggiarli: solo se "il conflitto fra gli Stati Uniti e la Spagna non dovesse andare a fondo" la questione sarebbe stata riesaminata, per risolverla coi nostri tradizionali criteri"; intanto era opportuno che il Falco affrettasse la sua partenza, per recarsi di persona "fra il Governo insorto cubano" (18). Insomma, veniva a prevedere un’impostazione riduttiva, di tipo diplomatico.
Per altro le alternative - che avrebbero potuto essere meno provinciali e più rigorose in prospettiva - non offrivano margini troppo diversi, dalle soluzioni consigliate. Il reclutamento era giunto a buon punto, tanto che il 7 maggio - su un piroscafo del Lloyd germanico - il primo drappello poteva partire per gli Stati Uniti. Fu poi la condotta delle autorità nordamericane a impedire o rendere difficile il trasferimento a L’Avana; ma anche la delegazione della Giunta rivoluzionaria di New York, che si era dichiarata disposta all’equipaggiamento, venne meno ai suoi impegni. Quarantuno uomini erano partiti dall’Italia, altri 34 si erano iscritti alle liste dei volontari (19).
Le sottoscrizioni avevano fruttato 1.400 lire, la vendita dell’opuscolo La lotta di Cuba e la solidarietà italiana altre 600; per la stampa, i comizi, la corrispondenza si erano spese oltre 2.000 lire (aprile 1896- aprile 1898) (20). Forse, l’opera di propaganda svolta nel paese fu il dato più positivo dell’iniziativa; essa si era innestata su una situazione non facile, straordinariamente ricca, in quel periodo, di tensioni politiche e di una emergente ondata di scioperi. Gli elenchi dei sottoscrittori pubblicati da Italia per Cuba comprendono più pagine, fitte di centinaia di nomi e forniscono la mappa del volontariato illuminando uno degli aspetti più interessanti dell’agitazione (21) . Al vertice figurano deputati di parte repubblicana, socialista e radicale: 38 nel suo complesso, calcolati in più anni. Fra i più noti, oltre a Bovio e a Fratti, Matteo Renato Imbriani, Napoleone Colajanni, Andrea Costa, De Felice Giuffrida, il colonnello Gattorno, Ettore Socci, Nicola Barbato, Felice Cavallotti, Edoardo Pantano, Angelo Celli, Salvatore Barzilai, Enroico De Marinis, Giuseppe Marcora. Il modo in cui si era formato il primo Comitato Centrale, con rappresentanze del Parlamento , dei consigli della capitale, del Comitato delle donne italiane, della Camera del Lavoro di Roma, della Massoneria, dell’Associazione "Italia irredenta" (barzilai per Trieste, Tolomei per il Trentino), del Corpo Volontari Garibaldini e del mondo della cultura dimostra però che il movimento era fermamente e quasi per intero nelle mani dei repubblicani. Le adesioni di base toccavano talvolta ambienti socialisti e anarchici; parecchio più larghe quelle della stampa: una quarantina di testate, quasi tutte di settimanali locali (e non quotidiani come travisa Ortiz), con l’aggiunta di qualche giornale e rivista. Anche qui l’asse del movimento di solidarietà si incentrava a Roma, con il Futuro Sociale, la Rivista popolare di Colajanni, L’Asino, il Messaggero, la Tribuna, l’Avanti!; e a Milano con l’Italia del popolo, il Secolo e la Critica Sociale. Tuttavia, ben 17 volontari su 41 erano partiti dal Mezzogiorno.
Per l’orditura del movimento, specie in alcune regioni centrali, era stata importante l’opera di alcuni fogli di provincia, come il Lucifero di Ancona, la Sveglia democratica di Pesaro, Il Popolano di Prato, Il Pensiero di Siena, il Pensiero Romagnolo di Forlì. Ortiz aveva mostrato di apprezzare questa documentazione, e ne aveva tratto delle tabelle statistiche a base territoriale. Il primato delle adesioni collettive (associazioni e circoli) spettava a Foligno, dove non mancava il patrocinio del Comune, seguita da Livorno, quello delle adesioni individuali alla Toscana (440), alle Marche (421) e al Lazio (417). Anche scorrendo l’elenco ufficiale, paese per paese, si ha l’impressione che vi si rifletta la geografia politica della organizzazione radical-repubblicana. A Penne, il luogo natale di F.F. Falco si contano oltre la metà di tutte le adesioni degli Abruzzi; a Pesaro una quarantina di nomi femminili sono il frutto di un’associazione intitolata a Sara Nathan e occupano quasi per intero la lista cittadina, Massa Marittima, nel grossetano supera di gran lunga qualsiasi altro centro della Toscana, e lo stesso avviene in Puglia con Molfetta; la Romagna sopravanza il resto dell’Emilia e i sottoscrittori di Perugia e di Ancona sono numerosi quasi quanto quelli di Roma, mentre l’elenco di Pavia copre per circa i tre quarti le lise riempite nelle province lombarde. Solo Roma, fra i grandi centri, ha un posto preponderante rispetto alla sua regione. Se si aggiungono alcune diecine di adesioni dall’Alleanza repubblicana universale in Argentina, fra gli emigrati di Buenos Aires e di Mar de la Plata, si giunge a un totale di 2.895 unità.
Qua e là, specialmente a Pavia, figurava qualche più notevole aliquota di donne, mobilitate da un appello lanciato attraverso la stampa il 15 settembre 1896 (22).
La massa delle adesioni sembra però provenire da quelle società popolari in cui si manteneva ancora viva, in un clima di tardo garibaldinismo, l’educazione politica repubblicana. Spigolando fra gli elenchi, figurano infatti associazioni in questo senso indicative già dal loro nome: "Libertà e lavoro" a Parma, "Giuseppe Mazzini" a Brescia e altrove, Federazione Repubblicana di Milano e in diversi capoluoghi, "Circolo repubblicano socialista" a Urbino, "Fratellanza artigiana " a Torino, "Lega mazziniana" a Mercato Saraceno, a cui si aggiungono un Circolo socialista e uno di anarchici a Foligno, ecc. Non è improbabile che in seno ai repubblicani prevalesse una coloritura di sinistra, mentre il raggio delle adesioni - e forse qualche iniziativa locale - si spingeva qua e là verso frange di democrazia borghese illuminata o verso avanguardie di classe operaia organizzata: a Livorno sono presenti le logge massoniche "Dovere" e "Felice Orsini", a Perugia si sottoscrive nel corso di una "conferenza del 1° maggio", a Bari fa propaganda il giornale Spartaco, a Sesto Fiorentino aderiscono "cinque operai", a Faenza "una famiglia di repubblicani rivoluzionari".
Il Falco nel discorso di Santa Clara, e Fernado Ortis, nell’opuscolo sui combattenti italiani a Cuba, possono citare una diecina di italiani che, individualmente, al di fuori della spedizione repubblicana, trovandosi nell’isola o avendola raggiunta, si erano impegnati nelle guerriglie del 1895-1898 o comunque nella lotta a sostegno dell’indipendenza cubana, talora a prezzo della vita. Scarne notizie, che solo in parte corrispondono a un elenco preciso; ne affiorano alcuni nomi: Alfonso Cancellieri, Oreste Ferrara, Francesco Lenci, Guglielmo Patriccione, Francesco Pagliuchi e Ugo Ricci, che combatte a Matanzas ed è uno degli ufficiali di Maceo. Ortiz include nel numero anche Falco; di altri non rimanevano i nomi, anche se non se ne era persa del tutto la memoria.



(1) Cfr. Antonio Melis, Fernando Ortiz e la cultura italiana, in "Ideologie. Quaderni di storia contemporanea", 1968, n. 5-6, pag. 194-206 (quaderno speciale dedicato alle radici storiche della rivoluzione cubana). L’opuscolo di Ortiz era uscito in prima edizione nel 1905.
(2) Debbo alla cortesia - e al dono - dell’amico Luigi Goglia la conoscenza di questo numero unico oggi difficilmente rintracciabile.
(3) Comitato Centrale del 1905: Felice Albani, Adele Albani Tondi, Salvatore Barzilai, Ettore Ferrari, Federico Gattorno, Emilio Nissolino, Ferruccio Tolomei, Federico Zuccari.
(4) Articolazione del Comitato Centrale nel 1896: Barzilai, Bovio, Fratti e Zuccari (per il Parlamento), Gattorno (Consiglio Provinciale di Roma); Ferrari, Nissolino e Zuccari (Consiglio Comunale di Roma), Ferrari (Massoneria italiana), Adele Tondi Albani (Comitato delle Donne Italiane), Nissolino (Camera del Lavoro di Roma), Albani, Gattorno e Tolomei (Corpo volontari garibaldini), ancora Ferrari in rappresentanza dell’"Arte", Barzilai e Tolomei ("Italia irredenta") Albani e Falco (per la stampa).
(5) Cfr F.A. Riassunto ed epilogo, "L’Italia per Cuba", XX maggio 1905, pag. 2.
(6) Ferruccio Tolomei, Giovanni Bovio e Antonio Fratti, Lettera aperta, "L’Italia per Cuba"
(7) Cfr. L’Italia a Cuba e la psicologia della rivoluzione. Discorso di Falco nel teatro di Santa Clara. 24 settembre 1899. Ibidem, pp. 7-10.
(8) Cfr. F..A. Riassunto ed epilogo, cit.
(9) Antonio Fratti, L’eroe cubano (da "il Futuro Sociale", 16 dicembre 1896), in "L’Italia per Cuba", cit.p. 3.
(10) Cfr. La solenne commemorazione di Antonio Maceo a Roma. 28 febbraio 1897, Ibidem, pag. 5. A Roma si era formato un circolo repubblicano Antonio Maceo; al comizio del 28 febbraio erano presenti duemila persone.
(11) Cfr. la nota al citato discorso di Falco su "L’Italia per Cuba e la psicologia della rivoluzione", loc.cit. p.10.
(12) Cfr. Cuba latina in "L’Italia per Cuba", pp.10-12
(13) Cfr Cuba latina
(14) La parola d’un capo socialista italiano per la libertà cubana, ibidem, p. 6 Articolo del settembre 1896, dal "Futuro sociale".
(15) Cfr. La causa cubana. L’intervento degli Stati Uniti. Il dovere dei repubblicani d’Italia. Lettera di Felice Albani, ibidem, pag. 6. La sottolineatura è nel testo.
(16) Dalla lettera di Felice Albani in La causa cubana, cit.
(17) Cfr. ad esempio: O.M. (Olindo Malagodi con ogni probabilità), Gli Stati Uniti e Cuba. in "Critica Sociale", 1898-99 e Silvio Negro, Nuova situazione sociale? L’imperialismo americano e O.M." ibidem, 1901.
(18) Cfr. La causa cubana, cit.
(19) Elenco dei volontari giunti negli Stati Uniti: Cornale Giovanni, Molineri Oreste (Torino), Arsino Guido (Asti), De Molli Carlo, Gallo Nicola, Paravicini Ernesto (Milano), Corti Antonio (Pavia), Alippi Salvatore (Lecco), Binda Giuseppe (Como), Borgia Virgilio (Mantova), Toratto Antonio (Roncegno, Trento), Bassi Emilio, Bono Battista (Venezia), Ravasini Mario (Trieste), Piccirilli Ferruccio (Massa Carrara), Gemignani Luigi (Viareggio, Lucca), Tieri Nicola (Bologna), Baldini Francesco (Parma), Geraci Francesco, Taparelli Gilberto (Reggio Emilia), Pasini Federico (Pesaro), Anastasi Ciro, Vecchiotti Fortunato (Ascoli Piceno), Bottini Pasquale (Campobasso), Niccoli Francesco (Rieti), Ferretti Placido (Isola dei Liri), Mastelloni Raimondo, Violante Francesco (Napoli), Cardillo Alessandro, Di Gennaro Angelo, Greco Angelo, Macchiarolo Luigi, Panella Domenico, Ucci Carmine (Benevento), Vecchioni Raffaele (Nola, Napoli), Cervone Francesco (Caserta), Migliarini Giuseppe, Pizzariello Giovanni (Potenza). Jersale Francesco (Bitonto, Bari), Padula Cesare (Lecce), Flesca Giuseppe (Reggio Calabria).
(20) Cfr. Relazione del Comitato Centrale Italiano. La sua opera, come si svolse e come termina, in "L’Italia per Cuba", pag. 2.
(21) Gli arruolati presso il Comitato nazionale di Roma, pronti a partire per Cuba, erano come si è detto altri 34. Ne indichiamo la provenienza: Torino, Genova, Milano, Mantova, Padova (in numero di sette), Trieste, Livorno, Viareggio, Forlì, Roma, Guinasco di Novara, Chiaravalle di Ancona, Pontassieve (Firenze), Mola di Bari, Trani, Giarre (Catania), Sant’Arcangelo di Romagna. Renato Brocchi forse capeggiava il gruppo padovano. Palmiro Tomberi, a Livorno, sembra avesse un seguito piuttosto numeroso.
(22) Il Comitato delle donne era forse formato,oltre che dalla Albani Tondi, da Paolina Fontana Mauro, Maria Montessori, Emilia Marabini, Eva De Vincentiis, Debora Ghirga.
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