| | | OFFLINE | Post: 22 | Registrato il: 07/04/2020 | Città: URBINO | Età: 37 | Sesso: Femminile | Utente Junior | |
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17/03/2021 22:03 | |
1. Nome del pg, razza e livello;
NOME DEL PG: Alphard
RAZZA: Mezzelfo
LIVELLO: 13
2. Background;
0.0 Adulterio e Maledizione.
Accadde ancora prima di nascere, per dei gesti, non suoi, bensì, per i gesti di sua madre. Si. Un'adultera. Ambigua femmina umana che si legò ad un uomo per i suoi beni e la sua mollezza di carattere. Occupando spesso il proprio letto, con calori di uomini, elfi e mezz'elfi diversi da suo marito. Un Omuncolo insipido, e devoto. Così lo definiva. Una adepta di Feriy. Subdola e falsa. Fino a quando, tra tutti, spiccò un elfo della notte, gendarme dell'esercito elfico e nobile delle terre elfiche, era sposato e aveva già una figlia da cui tornare, eppure, la fascinosa donna dai capelli rossi e dalle forme prosperose, riuscì ad ammaliarlo, attirandolo a sè e facendogli commettere alto tradimento, contro sua moglie, la sua famiglia, la sua vita. Eppure, lui, era innamorato, e per una volta, nella sua vita, lo fu anche lei, comprendendo assieme all'amore e alla gioia, anche il dolore e la vergogna che aveva inflitto a "Quell'omuncolo insipido". Decise di liberare il fardello di quell'uomo sparendo nella notte con l'elfo, ma, dopo un'ultima spedizione che fece nelle terre attorno al lago di Dalsida, non fece mai più ritorno portando la donna in uno stato di angoscia costante. Facendola crollare in un vortice di dolore e apatia che la rese cieca delle proprie condizioni, che via via divennero palesi anche agli occhi dei cittadini di quel piccolo villaggio di falegnami arroccato sopra Dalsida. Impossibile fosse di suo marito, i tempi, infatti, non potevano coincidere in quanto, lui, aveva passato l'intera stagione dei tagli, nei boschi assieme agli altri uomini per poter riportare il materiale del loro sostentamento a casa.
Per l'uomo fu troppo. Convocò un consiglio per condannare la moglie di Adulterio, ed insieme ad esso, decisero di riunire degli adepti del duplice per poter maledire la progenie della donna, prima di esiliare lei e il figlio che le stava crescendo in grembo, dal villaggio e dalle terre di Dalsida.
0.1 Il Rito
Una grotta buia. Le pareti umide dalla pietra levigata e calcarea, un odore di muffa e salsedine derivata da un rigagnolo di acqua stagnante che marciva in quell'anfratto che dava verso il lago. Fu allestito tutto con delle candele, degli specchi che ne riflettevano la luce, e le immagini della grotta, e dei frammenti di vetro colorati, che posizionati in uno specifico calderone innanzi alle torce, creavano delle immagini caleidoscopiche e inquietanti che danzavano sulle pareti. In centro, vi era lei. L'Adultera. I polsi legati ad un ceppo, costretta in piedi da delle catene tese legate allo stesso, il ventre ormai gonfio di quello che veniva visto come il più empio degli abomini. Il volto della donna, sudato raccoglieva ciuffi di capelli rossi ribelli, un vestito, minimale, evidenziava le sue forme ancor più invitanti dallo stato di ormai avanzata gravidanza. Era lì da giorni. In attesa del responso del Consiglio. E del rituale.
Un vociare sommesso, dai cunicolo di accesso a quell'ansa di grotta, si espande, suggestivo, rimbalzando tra quelle pareti insane, divenendo onnipresente, assordante. Ombre oblunghe presero spazio tra quell'ipnotizzante caleidoscopica luce. Un forte odore di oppio si espande nell'aria ed il respiro della donna divenne più pesante. La cantilena divenne sempre più alta, nell'innalzare formule e preghiere al Duplice, donando a lui in sacrificio, non solo una vita, ma due. Maledicendo, oltre che lei, la creatura che la donna stava crescendo in grembo "Condannata tu sia, femmina, a rivelare al mondo la bestia che sei, sotto forma grottesca ed animalesca, ad ogni plenilunio ed in ogni occasione in cui tu possa cadere preda delle tue emozioni, e con te, che sia dannata allo stesso modo la creatura che alberga nel tuo grembo, ad essere segnata da subito ai capricci del Duplice fin quando, al tuo ultimo respiro esalato, lui non riscuota in lei il suo ultimo tributo risvegliandone la bestia che in lei sarà fino ad allora sopita"
La vita della nuova creatura, fu così segnata.
Una volta finito il rituale, la donna, drogata e debole, fu abbandonata fuori dalle terre di Dalsida, esiliata per sempre. Fu raccolta da una carovana, che dal deserto, si muoveva verso le terre rigogliose dell’Aengard. Fu curata, fin quando non diede alla luce il bambino, una femmina, dagli occhi incredibilmente dorati. Fu colta da un profondo terrore per quello sguardo d'infante dannato, non la riconobbe, urlando di portarla immediatamente via dalla sua vista, e appena prese le forze, molto velocemente, in verità per il parto difficoltoso che aveva affrontato, una notte di luna piena, scomparve tra l’ormai rado sottobosco malato nei pressi di Dalsida, lasciandole come cimelio, una collanina con un ciondolo che dipingevano la fusione del sole e della luna. Le carovane attesero due lunghi giorni il suo ritorno, prima di riprendere la via del loro viaggio, consci probabilmente che quella madre, non sarebbe ormai tornata mai più.
Le fu dato il nome di Raisha.
Raisha:
Flashback:“il cielo plumbeo è testimone di quel giorno, in cui la terra trema sotto ai piedi di chi, immobile, attende il suo destino, di chi, immobile, scalpita in attesa dell’ordine per quella carica, il cuore a mille, l’adrenalina che esplode nella testa, nell’osservare la carica nemica che ora sbuca dal profilo di quel colle, mentre la terra, trema più forte. E carica sia. A quell’ordine e a quel boato di urla e scudi che sbattono contro le armi in un incitamento alla battaglia, le orecchie assorbono i suoni ovattati a causa della pressione del sangue che martella senza sosta suoi suoi timpani, e urla, lei urla con quanto fiato ha in gola, un urlo gutturale animalesco, liberatori , mentre la propria lama si schianta confrontandosi con un’ascia avversaria, e lì, lì comincia a ballare, sinuosa e d elegante mentre sfrutta la forza avversaria per disorientare ed aprire le difese altrui, balzando intorno a quell’anima irosa che continua ad inseguirla e ad incalzarla per poterle dare il colpo di grazia. Lei invece si limita a danzare sotto il ritmo incalzante della morte, una ferita lieve al braccio, un brivido gelido alla schiena, il prezzo da pagare per quell’affondo che fa ingoiare la spada nel costato della vittima, Occhi dorati, dalle pupille dilatate dall’eccitazione della battaglia, iridi dorate e sclera arrossata. Uno sguardo da diavolo mentre un ghigno ferale le spezza il volto godendo della vista dello sguardo di quell’uomo che si spegne, per sempre, sotto ai colpi della sua spada: onnipotenza, nell’essere il braccio che scende a decidere come un dio, chi vive o chi muore. Un frammento di un attimo, prima di girarsi, e riprendere a danzare.”
La sua vita cominciò da dannata, a causa di crimini che non ha mai commesso. Abbandonata da una madre colma di disperazione, sensi di colpa ed odio.
Continuò come nomade in quelle carovane che l’accolsero, non certo per affetto, ma come risorsa, insegnandole a ballare, cantare, rubare, insegnandole che la menzogna è una virtù, e che la solitudine anche in mezzo ad una folla di gente, è la sopravvivenza.
Da li a pochissimo, cominciò a capire che la sua vita sarebbe stata caratterizzata dall’abbandono, partendo da sua madre, che la lasciò in balia di quei nomadi, gli stessi che la crebbero fin quando, non si ritrovò in catene, legata ad un palo innanzi alla piazza di Asarn, condannata per un furto ed un omicidio di un infante, due crimini che questa volta aveva commesso, innanzi ad una folla dagli occhi colmi di odio e di disprezzo dei cittadini di quella fredda città del nord. Il suo cuore tumulto di speranza, quando tra tutti quegli sguardi, vide anche quelli di chi, fino a qualche giorno prima, l’ha fatta ridere, danzare e cantare, di chi, per quanto loro avessero mantenuto il distacco, inconsciamente ha vissuto come famiglia. Una speranza, durò un attimo, nel vedere la delusione ed il disprezzo in quegli sguardo, che subito si abbassarono, voltandole le spalle ed andandosene, lasciandola da sola, alla mercè di chi, da lì a poco, l’avrebbe comprata, in balia del suo stesso animo, in lotta tra i sensi di colpa e il disprezzo per se stessa, per quell’omicidio, il suo primo, e quella sensazione inebriante di adrenalina ed onnipotenza che provò nell’osservale la vita di quel ragazzino, spegnersi sotto le sue mani viscide di sangue.
Da lì a pochi mesi, si ritrovò marchiata come una bestia, colma di rabbia, frustrazione ed odio, ad alimentare come un’accelerante sul fuoco uno spirito ribelle, preferendo accusare severe punizioni che obbedire, preferendo essere presa con la forza, piuttosto che abbassare la testa, accondiscendere, e per anni, lottò, con lo spirito di un guerriero, con lo spirito di un animale, non si avvicinò mai a nessuno, rifiutando ostinatamente qualsiasi legame.
Nonostante i suoi sforzi però, cominciò a provare una silenziosa ammirazione per una ragazza che le misero in cella, un giorno, forse della sua stessa età, diversa da lei nel temperamento, dolce, timida, e accondiscendente, forte, in quella sua resilienza, non si spezzava mai. Avendo sempre a disposizione un sorriso ed un saluto, o un gesto gentile, anche per quella sua faccia pesta, e per quello sguardo che riversava il suo odio e il suo disprezzo anche verso di lei, rifiutando ogni suo tentativo di rincuorarla, aiutarla, conoscerla.
Il giorno in cui le cose cambiarono, fu quando, ormai cresciuta e più forte, riuscì ad uccidere uno dei tanti che vollero abusare del suo corpo, uno dei tanti che avrebbe contribuito a lacerare la sua anima. Fu stesa, però, messa in ginocchio dalle guardie, minacciata e pestata, eppure, su di lei, rimaneva quel ghigno colmo di follia e compiacimento, per quel corpo riversato a terra in quella pozza di sangue, lo sguardo ardente e selvatico, indomito, folle.
Una vita per una vita. Il prezzo per il suo ennesimo NO. La ragazza che assistette a tutto, lì, nell’angolo con lo sguardo basso e che versava lacrime per lei, fu presa brutalmente per le braccia ed uccisa innanzi a quei suoi occhi selvaggi. E fu in quell’istante, che provò lo stesso sbalzo di adrenalina che provò poco prima con l’uomo, ed anni prima con l’infante ucciso ad Asarn, nel suo cuore esplose l’orrore di ciò che fosse, e di ciò che la sua cocciutaggine avesse reciso, ed è li, che si vide palesemente nei suoi occhi morire un guerriero, e nascere uno schiavo.
E si piegò. Il suo corpo da quel giorno fu usato per dare piacere al prossimo, come prostituta, per dare piacere al prossimo, come campione nell’arena, per gonfiare l’ego e l’avidità di chi, dagli spalti, scommetteva su quegli scontri all’ultimo respiro nutrendo quella brama di sangue che continuava ad ogni assassinio a ribollirle piacevolmente nelle vene. Come mercenario, nella scorribande di saccheggi e rapimenti per rimpinguare il mercato di schiavi e, verso gli ultimi tempi, come addestratore di campioni, brutale, arrogante, folle. Eppure, inconsciamente, il buono in lei, non morì mai, nascondendosi tra tutta quella arroganza e nei suoi modi brutali, Insegnando loro la sopravvivenza, piegando, e ferendo chi, di li a poco avrebbe dovuto combattere con avversari troppo forti, rendendoli inabili al combattimento, sperando che il destino avesse poi fatto il resto per preservare quei ragazzi.
Dopo diversi anni, quando ormai fu una donna, finalmente, sfuggì da quel mondo, con grazie a sue eroiche gesta rocambolesche, no, per un errore di chi, convinto della sua morte, la scaricò ferita all’interno di una delle fosse comuni che avevano scavato durante il passaggio di una delle loro scorribande. Poco distante dai piedi della scalinata di Heliriel.
Ed è finì, che si arrampicò. O meglio, fino a metà. Fu accolta da un elfo, dai capelli e dagli occhi scuri, da una barba incolta e da una veste da viaggiatore, ma dalle armi scintillanti di chi, le usava per mestiere.
Di li a breve, scoprì che era un esploratore di alto grado dell’esercito di Heliriel, inserendola pian piano nell’ambiente militare, e questo, le permise di scoprire di avere una sorella, grazie a quel ciondolo lasciatole da sua madre da cui riuscì a non separarsi mai, rappresentante l’araldo della famiglia Galanodel.
In poco tempo, i sentimenti per l’elfo, per i suoi modi gentili e quel sorriso bianco, scalfirono i suoi muri, allo stesso ritmo di quello che fece l’affetto per sua sorella, tornando ad avere fiducia in se stessa, ed un poco anche nel prossimo, e così anche il suo temperamento si svegliò dal torpore dovuto dalla schiavitù. Entrò nell’esercito elfico e con esso combattè battaglie, per la libertà. Ma la rigidità della vita militare, le continua restrizioni, il suo orgoglio e la sua immaturità, probabilmente, la portarono ad un atteggiamento sempre più ribelle ed arrogante, portandola alla fine, alla diserzione. E questo, cominciò a crepare quella campana di vetro in cui si era rifugiata, e presto, fu tradita dalla sorella ed incarcerata per insubordinazione nelle gelide prigioni elfiche, nel mentre una terribile minaccia si riversava sulle terre dell’Aengard. L’unica visita fu quella di quell’elfo, che la salutò prima della partenza in battaglia, lasciandole una morsa di angoscia nel cuore, all’immagine di lui che, voltandole la schiena se ne andò, per sempre. Quando uscì, scopri che quell’elfo che le insegnò ad affinare le sue tecniche, che la fece di nuovo ridere e ad arrossire, si lanciò, consapevolmente e volontariamente assieme ad altri suoi ex compagni in un attacco suicida in battaglia.
Così, la speranza di trovare affetti duraturi nel suo giovane cuore cominciò ad avvizzire, e se ne andò da Heliriel dopo che ebbe scontato i giorni di prigionia, tradita ed esiliata e di nuovo sola, mentre le parole dei nomadi, continuavano a risuonarle nella testa, “la solitudine anche in mezzo ad una folla è quello che ti farà sopravvivere” ed è li, che cominciò a tentare di erigere un muro di indifferenza, e di logica a separarla da chi tentasse di avvicinarsi ancora a lei.
Pochissimo dopo, grazie a quell’insubordinazione che la portarono alla prigionia, fu accolta in un corpo mercenario, capaci di apprezzare quel suo temperamento focoso, e di certo meno rigidi di un corpo d’arme di milizia militare: Le Frecce Nere, e grazie a questo, si conquistò il ritiro dell’esilio dai territori elfici. Imparò a collaborare, divenne una maestra d’arme in qualsiasi disciplina e dopo anni di costante presenza e perseveranza, nel suo cuore cominciò ad aprirsi un varco per il suo mentore, la Leggenda, e per i suoi compagni, alcuni, solo alcuni. Anche con gli altri non si tirava mai indietro ad insegnare, guidare, e confortare in caso di bisogno, riconoscendo, per la prima volta, forse, dopo tanto tempo, un posto da poter chiamare casa, ed un gruppo di folli, da poter chiamare famiglia. Qui, con loro passò molti anni, crescendoci assieme. fin quando, la scomparsa della Leggenda e di altri alti in grado delle Frecce, non fece crollare il castello di carta in cui si era erroneamente rifugiata, ed osservò, da lontano, disfarsi quel gruppo tanto affiato per una mera lotta di potere che infine la allontanò, decidendo per la prima volta, di andarsene per prima, ed abbandonare, trascinandosi dietro l’astio di quella nuova Guida che non riuscì mai a riconoscere come Leggenda.
Girovagò molto, prima di essere accolta a Varna, e scelta, dalla dea Morwell per proseguire il cammino come Accolita. Non si legò mai più a nessuno in particolare, apprezzando la compagnia delle sorelle, ma non sbilanciandosi mai oltre questo, se non per la loro guida, che conosceva da tempo in quanto compagna d’arme, come lei nel corpo delle Frecce. Ed un’altra consorella.
Ed è stato durante la ricerca di una di loro, che fu vittima, probabilmente di un attacco da parte di qualche gruppo di briganti, lasciandola priva di averi e di conoscenza, e soprattutto, priva di memoria. E fu in quel momento, forse che quel terrore di abbandono si calcificò nella sua anima senza possibilità di cancellarlo mai più, quando, più avanti si accorse, di essere stata abbandonata, anche da una dea a cui stava sacrificando tutta se stessa. Non fu Morwell a palesarsi, no. Fu Feiry.
Alphard:
Flashback:“Una musica avvolgente, allegra le scuote anima e corpo, mentre sul tavolo della locanda, lei balla. Balla. Balla con una naturalezza disarmante, muovendosi fluida e armoniosa come un fuscello di salice scosso da un caldo vento estivo, ed il suo viso, solare, sorride la gioia della vita, mentre accoglie sul tavolo con lei chi volesse aggiungersi a quella danza sfrenata, a volte sensuale, a volte buffa, mantenendo però quella sua grazia che solo il suo sangue elfico avrebbe mai potuto donarle, mostrandosi così una ragazza ilare dai capelli rossi e ribelli, che ondulati, quasi ricci, le ricadono sulle spalle seguendo anche loro eccitati, il ritmo di quella musica ritmata , tra l’ammirazione degli avventori, e le sue stesse risate mentre per la prima volta appoggia lo sguardo dorato su tanta vita, e tanto divertimento”
La vita di Alphard fu breve, in verità, e priva di cambiamenti sconvolgenti nella sua routine. Cominciò, non prima di qualche anno fa, su di un letto in cui si risvegliava in un corpo ferito da guerriera. Le fu dato il nome da un vecchio nano, che la accolse come una figlia insegnandole di nuovo, visto la sua amnesia, a vivere la vita, infondendole dei valori che tenne da quel momento sempre a cuore. I racconti del nano e la sua dolcezza non faticarono a convincerla delle sue storie, spacciandosi facilmente per il compagno di sua madre, e guidandola così ad affiancarlo a gestire quella piccola stazione di posta, dove i viandanti che passavano dalla zona, potevano fermarsi e far rifocillare le loro bestie, mangiare qualcosa e ripartire, senza bisogno che passassero al centro frenetico della città di Narvick. Si ritrovò particolarmente adatta alla gestione dei cavalli e delle altre bestie, confermando nella sua mente la familiarità di quei gesti e di quelle abitudini, anche se in vero, non si è mai posta troppe domande, fiduciosa del prossimo, non vide nessun motivo per poter dubitare del vecchio. Dal carattere dolce e totalmente disinibita, non conosceva il senso del pudore, ne i limiti da poter raggiungere, o quelli in cui doversi fermare, e nonostante il valore, in certi casi la distinzione tra bene e male per lei era talmente dubbia da non vederne la differenza, in nessun a situazione nè per il suo bene... nè per quello del prossimo. Per anni, visse solo con il nano, migliorando nella parola e nella scrittura e recuperando le forze, arrivando finalmente a poter dare seriamente man forte a quel vecchio in quasi tutto. Eppure… Eppure di li a poco il vecchio, Gormash, si ammalò, costringendola a scendere in città per procurare le forniture della locanda, e le medicine per il nano, che infine, in punto di morte, le disse cosa fosse in realtà, e di come, lui anche se non l’avesse mai conosciuta le avesse voluto dare l’impronta di una famiglia, anche se per poco, e l’affetto di un padre. Rovistando nei suoi bauli, ritrovò la sua armatura, ormai inutilizzabile, e le sue armi, arrugginite alcune, spezzate altre. Trovò anche un’armatura della misura di ciò che potesse essere il nano da più giovane, e forse, nella sua mente, comprese il motivo del suo silenzio, non incolpandolo della sua scelta, ma anzi, in cuor suo gli sarà per sempre grata.
Conca Del Tuono:
Si risvegliò come Alphard, e come tale, affrontò la perdita di chi, le insegnò valori totalmente differenti da quello, che la vita di Raisha aveva appreso. E come Alphard, conobbe chi, le avrebbe sconvolto la vita, arricchendola, riempiendola di una fede malata, dettata da un disprezzo viscerale, e la consapevolezza ed ammirazione per la sua immensa, inequivocabile forza di quel dio dal duplice volto, capace di insinuarsi ovunque, nelle menti, nei sorrisi, nelle ombre, e anche, alla luce di una fede, fittizia, e risultato di una delle sue migliaia di burle, al mondo, e agli esseri che la abitano, bersagli prescelti delle sue trame infide. E Raisha, non è da meno, dannata fin dalla nascita ad essere guidata dai fili di quel meschino burattinaio, che è stato capace di plasmarla in una forse, delle sue migliori fedeli, colma di quel dualismo emotivo costantemente in lotta, colma di quell’ambiguità che caratterizza il suo totale essere, incentivato, ora, dalla nascita di Alphard, e dalla convivenza forzata di chi, un tempo fu Raisha.
Per diverso tempo stette qui lottando con la mancanza di inibizioni e la purezza di Alphard, e con la chiusura e il dolore di Raisha, accolta e sostenuta dai membri delle Mani insinuanti di Feiry, di cui per poco ebbe l’onore di far parte, anche se inconsapevolmente. Li lavorò ancora sull’autocontrollo di se, cercando di soffocare Alphard e la sua tracotanza, per fare emergere la logica e il distacco di Raisha. E fu ancora, l’abbandono di diversi membri del gruppo e la scomparsa della sua donna, a creare la spaccatura definitiva che la fece allontanare da Conca del Tuono, ed il provvidenziale intervento di chi, per la prima volta dopo molto tempo, si sentì di chiamare ancora Leggenda, riprendendo la strada di Raisha e seppellendo Alphard quel tanto che basta da permetterle di donarle un giudizio ed una morale, utili per poter crescere ulteriormente, nel tentativo di conciliare quelle due mentalità così differenti e forti che abitano la sua testa, un costante equilibrio che mantiene cercando di regolare la sua emotività, e i suoi pensieri, ritrovandosi a mostrare oggi, un equilibrio invidiabile, rispetto a quello che le si agita dentro, riuscendo ad incanalare la sua diffidenza, in prudenza, la sua rabbia, in grinta, la sua arroganza in… no, quella probabilmente è rimasta sempre la stessa, anche se ovviamente mitigata da tutti gli altri progressi che è riuscita ad affrontare, divenendo sbruffona, ma pacata, calcolatrice e in apparenza, paziente. Una facciata utile e valida, per nascondere tutto ciò che brucia dentro, rimanendo riservata, chiusa nei sentimenti che prova, esprimendoli più con i gesti, che con le parole, o semplicemente nel restare da sola a sfogare i ritorni che spesso, quel suo animo tumultuoso ricaccia con la necessità dell’isolamento. Ha finalmente trovato il suo equilibrio, la sua dimensione, la sua casa, e si, questa volta si può dire in maniera certa, la sua famiglia.
Famiglia con cui ha un rapporto profondo e sincero all’interno del corpo mercenario, di cui rispetta ciecamente la gerarchia e la impone, istruendo gli scudieri al rispetto e all’obbedienza, oltre che alle armi, famiglia di cui riconosce un unico leader, la Leggenda, famiglia per cui esalerebbe l’ultimo respiro senza battere mezzo ciglio.
3. Causa della maledizione e modalità;
La causa della maledizione, come scritto dul BG, è un’adulterio commesso dalla madre, la cui gravidanza fece da prova al gesto di infedeltà della madre. Fu quindi presa a gravidanza inoltrata da una setta adorante Feiry, e furono maledette, sia lei, che la creatura che portava in grembo. La modalità della maledizione condanna la madre a trasformarsi in bestia, ogni plenilunio e ogni volta che si lascia trasportare da forti emozioni, quali rabbia, e paura. La maledizione si riflette anche sulla figlia, che, si prenderà carico della maledizione appena la madre esalerà l’ultmo respiro, risvegliando la bestia che in lei è sempre rimasta sopita.
4. Descrizione breve della psicologia del pg sia prima del cambiorazza che dopo;
Psicologia di Alphard/Raisha pre cambiorazza:
Cinica. Arrogante. Diffidente. La vita le ha insegnato a contare su se stessa, sempre. Nonostante abbia affianco ad oggi una famiglia che venera non riesce ad appoggiarsi realmente a qualcuno, chiusa, nella sua costante lotta tra raziocinio ed emotività, per questo è capace ormai di grandissimo autocontrollo.
Ribelle, disinibita, esuberante. La rinascita come Alphard le ha donato una doppia personalità, definendo definitivamente il raziocinio, e l’emotività, l’adulta e dura mercenaria trasformata dalla vita, in grado di seppellire anche l’emozione più intensa, contro il suo lato più puro ed infantile, capace di provare emozioni estremamente forti, e totalmente incapace di controllarle, motivo per cui, di tanto in tanto, quel suo eccellente autocontrollo crolla lasciando spazio a reazioni infantili o eccessive.
Psicologia di Alphard/Raisha dopo il cambiorazza:
La paura di essere un pericolo per i compagni che la circondano, la costringono ad un perodo di auto isolamento, sconvolta e con le emozioni in subbuglio, per il primo periodo sarà lunatica ed irascibile, complice anche la dualità già presente in lei da sempre, si accentuerà la lotta tra la logica e l’istinto, ora, di certo percepito in maniera molto più primordiale e violenta, come le emozioni trovandosi ad avere nuovamnte difficoltà nel gestirle, si sforzerà quindi a lavorare ulterioremente sul proprio autocontrollo, evitando tatalmente qualsiasi contatto nei giorni di luna piena
5.Forma bestiale desiderata in caso di idoneità (foto, dimensioni, ecc.)
La forma prescelta è quella del lupo, animale affine con il suo carattere riservato, diffidente, guardingo e beffardo. Una dualità che nell’immaginario dell’uomo è sempre stato il predatore più temibile e la preda più ambita. Fedele fino all'ultimo respiro ai suoi ideali e alla gente che considera "famiglia". Crea pochissimi legami, ma quelli che crea sono indissolubili, al pari di un lupo con il proprio branco.
Descrizione Mutazione: La mutazione completa, prende le sembianze di un grosso lupo dalla fulva pelliccia e dallo sguardo giallo. Zampe lunghe, petto stretto, alta e snella più che robusta, elegante ed aggraziata. Le orecchie son ben proporzionate e attaccate al cranio in maniera equilibrata, arrotondate. Sguardo obliquo e vicino, magnetico. Coda corta, maschera bianca ben definita, quando arriccia il muso enfatizza l'espressione. Le zampe anteriori in proporzione sono grandi e sporgono verso l'esterno, all’altezza dei gomiti, particolarmente muscolose, ma affusolate e nervose, mantiene il palmo umanoide anche se molto più allungato, con il pollice attaccato più alto rispetto ad una mano umana, ma mobile ed opponibile per quanto la forma della stessa zampa le possa concedere, le dita sono più corte e fornite di artigli affilati. Le zampe posteriori presentano la coscia più lunga del normale sporgendo all’indietro con il tallone che riscenda al suolo con la forma similare alla pianta del piede umano, allungato e terminante con la parte finale delle dita e del la pianta del piede, trasformatasi in cuscinetti della zampa, questo potrebbe permetterle comode impennate, o buona propulsione nei balzi rendendola più stabile in quella posizione eretta anche se per pochissimo tempo. Pesa 90kg ed al garrese misura 180cm ed è lunga 200cm. Ha dei ciuffi di bianco nel pelo sulla schiena che rispecchiano le cicatrici che tiene in forma umana.
Immagini:
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(posa semi eretta che può mantenere per qualche istante)
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Le immagini trovate hanno il soggetto di colore NERO, invece, vorrei specificare, che la pelliccia che mostrerà Alphard, sarà rossiccia, con tipica mascherina bianca sul muso, ali chiare all'altezza delle scapole, occhi giallissimi.
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