L'Ippica è anche e soprattutto questo.....amore e sentimento puro....
“Il mio grande papà”
di
Francesca Buratti
“Ricordo Tor di Valle e Monte Giorgio, le grandi praterie, l’odore del fieno, i nitriti dei cavalli. Ricordo la felicità quando papà mi caricava in macchina e mi portava nel suo mondo”.
Francesca ci parla di un grande amore.
“Non ricordo il giorno in cui incontrai il primo cavallo, ma ricordo l’odore come se già all’epoca mi appartenesse. Ricordo la pista, le scuderie, il bar, la tribuna, la scuderia “Zia Pina”. Ricordo Balance Ferme, Uvensier e Summer VG. Ricordo che all’età di otto o nove anni prendevo Balance e andavamo a fare lunghe passeggiate, uno accanto all’altra. Per me era il mio cavallo. Buono come il pane, ha sempre usato una certa leggerezza con me, che con gli altri non aveva. Non era un campione, ma papà mi aveva detto che poteva essere mio, a patto, però, che l’avrebbe guidato solo lui. Ricordo Uvensièr, un cavallo fenomenale. Hanno vinto tutto loro due. E ricordo Summer VG, nero come la notte, bello come il sole. Sono tutti e tre ancora vivi e pascolano felici nelle immense praterie dell’Umbria. Ero piccola e incosciente. Mi infilavo nei box dei cavalli, di nascosto. Salivo sul sulki assieme a papà dopo le corse e in pista chiedevo di andare più veloce. Lui, che con una mano mi abbracciava e con l’altra guidava, mi faceva fare il giro del mondo su quel sulki”.
Bellissima, questa storia è bellissima, mi sembra di essere lì con loro, ai bordi della pista.
“Ricordo che ero la sua tifosa numero uno, sempre presente in tribuna ad urlare ‘vai papà!’
Era il mio campione. Smise il giorno in cui morì il suo cavallo Chesterfiel B, aveva 4 anni, l’aveva da appena un mese. Una colica fulminante durante la notte se l’era portato via. Ricordo quella chiamata come fosse ieri. Ricordo il volto di mio padre che cambiò, gli occhi lucidi e la voce tremolante. Mi disse ‘Chesterfield è morto’. Avevano vinto la loro prima corsa appena una settimana prima. Quella perdita segnò la fine di tutto. Mio padre smise di correre ed io con lui”.
Sono contento di questo ritratto, ci fa conoscere un mondo, quello delle corse del trotto che molti di noi non conoscono e non apprezzano, sbagliando.
Parlaci del tuo ippobabbo, Francesca.
“Mio padre era il mio migliore amico. Un padre eccezionale presente e mai severo, un amico sincero, un fratello con cui condividere la vita. Non ha mai ostacolato i miei sogni, ha sempre affrontato con me le mie paure, cercando di farmela cavare da sola, ma lui era lì, a proteggermi le spalle. Era la mia persona. Gli raccontavo tutto, eravamo uguali. Litigavamo anche tanto, ma facevamo pace sempre. Non abbiamo mai passato più di quattro ore senza parlarci. Pensare che è quasi un anno che non sento più il suono della sua voce. Papà era quello della vacanze in Sardegna, delle cene di ferragosto, delle risate in compagnia, dei film di Natale il 24 dicembre, delle sciate sulla neve, delle diete infinite, dei viaggi a Parigi. Era quello con cui mi addormentavo mentre vedevamo un film. Era quello che ha sempre accolto in casa come figlie le mie amiche, quello che non ha mia giudicato i ragazzi con cui uscivamo io e mia sorella. Era quello che ha sempre amato mia mamma anche dopo la separazione. Era ottobre 2012. Gli dissi ‘Papà voglio tornare in sella’. Dopo tre giorni ero a cavallo. Mi diceva sempre che un cavallo comporta impegno e sacrificio, che ogni cavallo ci dà anima e cuore. Si raccomandava sempre di dargli altrettanto. Ricordo quando feci la mia prima 100 al sociale con il cavallo che montavo”.
Francesca e il suo papà, il suo ippobabbo, speciale.
“Arriva la primavera del 2014. Stavamo progettando di andare a vedere assieme al mio Istruttore qualche cavallo per me. Ma qualcosa va storto. Forse il destino, io questo non lo so. Era il giorno del mio compleanno. Mio padre, che non aveva mai avuto una febbre in vita sua, si sentì male la mattina. Alle dodici si alzò dal letto e fece lo stesso la carbonara ed il tiramisù come da tradizione per quel giorno, ma non pranzò con noi, non ce la faceva. ‘Ho male al fianco’, diceva. Dopo un mese si convinse a fare le analisi. Globuli bianchi alla stelle. Arriva giugno. Poi il ricovero e poi l’operazione. Tumore al rene destro. Arriva luglio, metastasi ai polmoni. Guarirai dicevano i medici. Arriva agosto, andiamo tutti in Sardegna. Una mattina a colazione papà mi disse ‘Guarda che non ti lascio per due metastasi’. Torniamo a Roma. Arriva ottobre. ‘Massimo, quanto sei dimagrito!’, gli dicevano. Lui rispondeva “Sì, sto seguendo una dieta. La dieta delle zodiaco, ho cominciato con il cancro’….”
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“Mio padre non ce l’ha fatta. Mi ha lasciato la notte del 12 febbraio. Tutti eravamo lì. Le sue figlie, mia mamma, i suoi migliori amici. Mia madre, da gran donna quale è, gli ha tenuto la mano sino all’ultimo respiro ed ha dormito con lui ogni notte da quando si era aggravato. Lui voleva solo lei. Ricordo la paura ed il dolore. Ricordo le mani fredde. Ricordo che aveva sempre caldo. Non ricordo però molto di quella notte. Ricordo solo che tutte le persone che gli volevano bene era con lui. Non dimenticherò mai la paura ed il dolore nei suoi occhi. Ricordo il bacio che io e mia sorella gli abbiamo dato poco prima che chiudesse gli occhi per sempre. Ricordo il cuore che mi si spezzava, le gambe che tremavano e lo stomaco che si dilatava. La mia vita è cambiata radicalmente. Ma non dimenticherò mai il sorrisone di mio padre”.
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“Per una strana circostanza, il giorno della sua morte si fermò anche l’ippica. Papà non riuscì a vincere la sua corsa più importante, ma ha vinto sulla vita, ha vinto come padre perché si è fatto amare. Aveva appena compiuto cinquantadue anni. Non è giusto. Ad oggi non riesco ancora a sentirlo accanto, non riesco a sentirlo nelle cose in cui faccio. Quando monto spesso mi giro per vedere se arriva. Torno a casa la sera e spero di trovarlo lì. Spesso mi chiedo perché proprio a lui, perché tutta quella sofferenza ad un uomo che amava il sole, la vita, il mare. Mi manca tanto, ma mi sento in ogni caso fortunata, perché ho tante persone accanto che mi vogliono bene. Ho il mio cane, che silenziosamente si siede vicino nei momenti peggiori. Sono fortunata, perché ho vissuto ventiquattro anni accanto a un uomo straordinario che mi ha amata come solo un padre sa fare”.
Non è facile, proseguire nell’intervista.
Come hai conosciuto UCIF, Francesca, e che consigli di senti di darci?
“UCIF l’ho conosciuta gironzolando su FB, cercando pagine sui cavalli. Mi ero totalmente innamorata di un cavallo del mio maneggio, Bolero. Parliamo di ormai tre anni fa. Lo presi in mezza fida, ma purtroppo scoprimmo che il cavallo era affetto da navicolite. Papà lo prese e lo portó a Guidonia, in pensione da un suo amico. Oggi Bolero ha 16 anni, è il mio cavallo, vive pascolando con altri due cavalli in un grande paddock. Ogni tanto lo libero in una distesa di prato immensa e galoppa felice nitrendo. Ho deciso di non montarlo più, nemmeno al passo, perché voglio che sia un cavallo libero. Gli voglio bene e lui ne vuole a me. È molto riconoscente. Al maneggio provava a mordermi, oggi si sdraia con la testa sopra le mie gambe. Lui è un regalo del mio papà, resterà sempre con me. Cosa cambierei di UCIF? Le persone che commentano ogni post con maleducazione”.
E del mondo equestre cosa cambieresti?
“Nel mondo equestre cambierei la mentalità. L’Equitazione non è solo gare. Non è solo salti. Non è solo fare una gimcana, una gara di reining o un esibizione in dressage. È molto di più. E la passione dovrebbe unire. Io pratico salto ostacoli, ma rispetto tutte le discipline, se fatte con buon senso. Fortunatamente, nel mio maneggio siamo un gruppo di amiche e le adoro, tra noi non c’è rivalità, anzi, siamo sempre pronte a supportarci e a darci il consiglio giusto. Questo è anche grazie al mio Istruttore Michele, un uomo buono e paziente, che ringrazio per tutto quello che fa per me ogni giorno, per la sicurezza e calma che mi trasmette quando sto in sella, perché tutto ciò è anche grazie a lui”.
Io chiudo qui. Ma me la rileggo con calma questa intervista, me la rileggerò ogni volta che questo nostro mondo equestre mi deluderà, ogni volta che mi diranno che rovina le persone e le rende insensibili. Non è così, non può essere così.
Grazie Francesca, grazie papà Buratti, grazie.
