Settima classificata
“Insaziabile appetito”
di CatherineC94
Totale: 28.4/38
Grammatica e stile: 7/10
La storia presenta alcune criticità dal punto di vista della forma, che comprendono errori grammaticali, di sintassi, di lessico e di costruzione del testo. Voglio premettere che questa valutazione non è assolutamente un giudizio sul valore di te come autrice e neanche sul valore della storia in realtà, ma vuole essere un’analisi del testo partecipante a un concorso, finalizzata all’individuazione di punti forti e deboli che possano aiutarti ad acquisire maggiore consapevolezza di te stessa per procedere nella tua evoluzione personale come autrice. Ti riporto quindi i punti deboli della tua storia, quelli che, nell’ambito di questo parametro di valutazione, sono da considerarsi dei veri e propri errori, per poi passare a definire un’opinione generale sulla forma del tuo testo.
Innanzitutto, sin dall’inizio ho riscontrato un uso improprio della particella “ne”, la quale può avere funzione di avverbio di luogo (“Vado a casa e non ne esco più” = da lì) oppure di pronome personale, che sostituisce forme quali di ciò, da ciò, di questo, da questo, da quello. [Riferimento: enciclopedia Treccani.]
Quando scrivi: “il suo viso si volge e ne getta uno sguardo”, la particella risulta assolutamente superflua e scorretta, perciò la frase dovrebbe essere: “il suo viso si volge e (lei) getta uno sguardo”.
Ancora: “ma lei ha paura e ne avverte uno strano presentimento”, implica che lei avverta un presentimento di qualcosa (un presentimento di paura? Non è corretto, lei ha già paura, a causa di un presentimento di qualcosa che, ad esempio, avverrà in futuro) oppure che il presentimento provenga da qualche parte (ma non essendo specificato, né intuibile, neanche questa forma è corretta).
Una frase che ho riletto più volte, inoltre, credo sia costruita male, quindi te la riporto:
“Lo scongiura, lo supplica quasi di darle quel liquido color rubino e di riempire il calice costellato dalle sue labbra che sono anonime, come lo sono sempre state.”
Da come hai scritto, si capisce che lei scongiura, supplica lui di dare a lei, il liquido, quindi la pozione, ma noi sappiamo che è lei che la dà a lui, quindi al contrario. Inoltre, la seconda parte vede labbra anonime costellare (non il termine più adatto, in questo caso) un calice, ma sono le labbra di lui o di lei? Leggendo la frase così com’è, mi verrebbe da dire di lei, perché è lei a bere la pozione, ma probabilmente non è quello che volevi dire: le labbra anonime forse sono davvero quelle di Merope, ma la pozione la beve certamente Tom. Insomma, questa frase andrebbe rivista.
Alcuni altri costrutti sintattici non sono usati nella maniera più opportuna, per esempio quando scrivi: “si pente di averlo indotto a quella condizione” usi il verbo “indurre” seguito da “a” + sostantivo, che va bene in presenza di termini figurativi (“indurre al male”, “indurre all’errore”), ma più in generale bisognerebbe utilizzare “a” se segue un verbo all’infinito (“indurre a fare qualcosa”), oppure “in” se segue una condizione morale (“indurre in tentazione”, “indurre in errore”). Volendo essere proprio pignola, non trovo il verbo “indurre” particolarmente appropriato a questa circostanza, perché il significato di questo termine ha un’implicazione meno diretta, come “sospingere qualcuno verso qualcosa”, mentre Merope è causa diretta ed esplicita della sua condizione. Qui veniamo al lessico, che secondo me costituisce un altro problema di questa storia.
Hai cercato di utilizzare un registro più elevato che, correggimi se sbaglio, mi sembra poco naturale per il tuo stile, come se fosse forzato. Sono dell’idea che sia sempre preferibile un registro più semplice, ma utilizzato adeguatamente e con cura, piuttosto che uno che si sa maneggiare poco. Alcuni termini suonano male nel contesto in cui li hai inseriti, forzati o addirittura inappropriati.
Per quanto riguarda la punteggiatura, ci sono parecchie virgole che avrei messo o non messo a seconda dei casi, ma senza entrare nel dettaglio delle considerazioni più discrezionali su questo aspetto, ti riporto soltanto quello che è certamente un vero e proprio errore (reiterato e secondo me anche importante): i vocativi, o complementi di vocazione, devono sempre essere isolati dal resto della frase tramite l’uso di virgole; laddove si trovino a inizio frase la virgola va posta soltanto dopo, mentre essa va posta soltanto prima se si trovano a fine frase (e sono quindi seguiti dal punto).
Pertanto, le frasi che hai scritto:
“Che ne dici amor mio di continuare […]”
“[…] un bicchiere o due tesoro mio»”
dovrebbero essere:
“Che ne dici, amor mio, di continuare […]”
“[…] un bicchiere o due, tesoro mio»” (puoi omettere la virgola finale, in questo caso, poiché la frase si conclude con una chiusura di caporali e la punteggiatura è soggetta a questo punto alle regole più flessibili adottate nell’ambito del discorso diretto.)
Infine, sperando di non averti annoiato con tutte queste segnalazioni, voglio farti notare che a ogni punto della storia sei sempre andata a capo. Il punto fermo indica una pausa più lunga del discorso e la conclusione di una frase (in generale), ma c’è distinzione tra l’uso semplice del punto e l’uso del punto e a capo, che denota anche un cambio di argomento oppure la scelta di isolare un determinato periodo. Ti consiglio di approfondire la cosa e di utilizzarla in maniera più appropriata, perché l’uso corretto della punteggiatura è uno strumento di comunicazione importante per un autore.
Lo stile è complessivamente un po’ immaturo, non lo dico in senso dispregiativo, ma semplicemente credo tu debba ancora trovare la tua identità. Adottare un registro che non è quello in cui sei più forte, ricercare costruzioni delle frasi che sono meno immediate di quelle che ti verrebbero spontanee sono tutti tentativi di definire un’identità stilistica, tentativi che, mi dispiace dirlo, in questa storia non risultano andati a buon fine. Tuttavia, è senz’altro ammirevole la ricerca continua di questa identità, si vede che quando scrivi lo fai con passione e che la tua voglia di sperimentare è genuina. Io ti consiglio di insistere sempre, di leggere tanto e scrivere tanto, perché è solo così che raggiungerai i migliori risultati che personalmente ritengo siano del tutto alla tua portata.
Titolo: 2/2
Il titolo funziona, è corretto in italiano, aderente al testo, richiama anche la bramosia di Merope, quindi risulta molto centrato. Mi piace anche come suona, in termini di gusto personale.
Utilizzo dei pacchetti:
Prompt stilistico: 3.9/4
La narrazione deve essere in terza persona con focalizzazione interna fissa, ovvero deve mostrare il punto di vista di un solo personaggio e i suoi pensieri, al massimo speculando sui pensieri degli altri dal punto di vista del personaggio di cui si assume il POV.
Il prompt è inserito e utilizzato correttamente, il punto di vista di Merope emerge dall’inizio alla fine; devo dire che rendere centrale l’utilizzo di questo prompt non è facile, perché paradossalmente le richieste stilistiche più semplici, come appunto l’uso di una terza persona con focalizzazione interna, sono quelle più difficili da soddisfare in maniera appagante. La terza persona interna, in questo caso, pur non essendo assolutamente forzata, non è del tutto indispensabile e potrebbe essere sostituita facilmente con una terza persona esterna senza perdere troppo del significato del testo. Tuttavia, l’uso che ne hai fatto è comunque adeguato e soddisfacente.
Figura retorica: 1.5/4
Sineddoche
“il suo viso (intesa come occhi)”, “i cristalli incandescenti”, “Le sue pupille”, “liquido color rubino”, “bicchiere o due”, “gli zeffiri”, “mille baci”, “innumerevoli”, “senza un tetto”.
Innanzitutto, voglio precisare che non condivido molto la scelta di evidenziare in corsivo all’interno del testo le parole che rappresentano la figura retorica che hai ricevuto come prompt. Naturalmente non ci sarà alcuna penalizzazione per questo, ma voglio specificare che la mia richiesta di indicarli nella scaletta alla consegna non implicava assolutamente una modifica all’interno del testo e, se posso permettermi di darti un consiglio, la eviterei perché il corsivo, come tutti gli altri espedienti grafici a cui può ricorrere un autore, ha uno scopo comunicativo preciso, evidenza un flusso di coscienza, una parola enfatizzata, un pensiero o tante altre cose, nessuna delle quali risponde al tuo caso, perciò il risultato da te ottenuto può essere molto fuorviante. Detto ciò, che è appunto una considerazione assolutamente personale e fuori valutazione, passo all’analisi dell’uso della figura retorica.
Per prima cosa, non tutte le espressioni che hai riportato sono interpretabili come sineddoche, perciò le analizzo individualmente: “il suo viso (intesa come occhi)” non risponde al concetto di “parte per il tutto” espresso dalla sineddoche perché in questo caso dire “volgere il viso” anziché “volgere gli occhi” significa descrivere due gesti diversi e non lo stesso gesto rappresentato dal tutto o dalla parte che compie l’azione di volgersi; “Le sue pupille” è già più vicina al senso della sineddoche, ma ti faccio notare che il senso è quello di rappresentare uno sguardo perso, quindi più che una sineddoche vera e propria qui si potrebbe parlare di metonimia o addirittura di metafora, perché le pupille non sostituiscono gli occhi (legame quantitativo), ma lo sguardo in senso lato (legame figurativo); in “liquido color rubino” non c’è alcuna sineddoche; “bicchiere o due” è una falsa sineddoche, perché qui il legame tra la parola rappresentata e quella rappresentativa non è quantitativo, ma qualitativo, infatti si intende “bere il contenuto del bicchiere” e si parla di metonimia; “mille baci”, “gli zeffiri”, “innumerevoli” e “senza un tetto” sono invece espressioni correttamente interpretabili come sineddoche.
Confesso di non aver compreso cosa volevi intendere con “i cristalli incandescenti”, ma avendo tanti altri riferimenti non è un problema. Avevo specificato che non avrei dato particolare peso alla frequenza di utilizzo della figura retorica, ma avevo chiesto che le fosse attribuito un significato centrale. Un punto a tuo favore sta certamente nel fatto che ti sei documentata, hai provato a usare la sineddoche in tutte le declinazioni in cui esiste (anche sbagliando in qualche caso, ma non importa) e questo lo apprezzo molto. Tuttavia, nessuna delle espressioni che hai utilizzato riguarda il significato centrale della tua storia e, sostituendole o addirittura eliminandole, al racconto non si sottrae nulla. Ciò significa che non sono centrali dal punto di vista del significato e in realtà risultano anche leggermente forzate nel contesto in cui sono inserite.
Coerenza e caratterizzazione dei personaggi: 6/8
Il personaggio che emerge in maniera preponderante dalla tua storia è Merope, che risulta coerente dall’inizio alla fine e caratterizzata dalle sue pulsioni: vuole ardentemente Tom, al punto che ne è consumata, ed è combattuta tra il desiderio di tenerlo legato a sé, tramite la pozione, e il pentimento per la condizione a cui lo ha condannato. Il suo conflitto emerge un po’ ovunque, attraverso le sue azioni contraddittorie (prima cerca di conquistarlo con la seduzione, poi si arrende al bisogno di dargli la pozione) e questo consente al lettore di entrare in empatia con lei.
Tom è assolutamente di sfondo, non compare praticamente mai pur essendo l’oggetto del desiderio di lei, e questo va bene se si pensa a lui come una persona svuotata dal filtro d’amore che assume, ma stride con l’uso di una focalizzazione interna dal punto di vista di Merope: lei lo guarda, lei fa l’amore con lui e lo desidera, ma il lettore intravede soltanto frammenti (occhi persi, capelli scuri), senza percepire ciò che coinvolge tanto lei; in pratica: cosa ci vede Merope in Tom? Il lettore non lo saprà mai, quindi in questo la focalizzazione interna fallisce.
Nel complesso, i personaggi sono coerenti – abbastanza caratterizzata lei, di meno lui – ma forse un po’ distanti dal lettore.
Gradimento personale: 8/10
L’idea di fondo mi è piaciuta, i personaggi sono poco conosciuti dal canon e ho apprezzato la scelta di narrare un momento della loro intimità. Tuttavia sono stata molto distratta dalla forma del testo, che non mi è piaciuta in più punti per i motivi che ho già spiegato, e quindi non sono riuscita ad appassionarmi alla storia. Questo però non deve scoraggiarti, spero che le mie indicazioni ti aiutino a migliorare e ti spingano a voler fare sempre di più; sono sicura di poter leggere, un giorno, qualcos’altro di tuo e trovare finalmente non solo la correttezza della forma, ma addirittura una vera e propria impronta caratteristica che sia la tua firma e il tuo marchio d’autore.