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Pagelle Lazio-Milan 0-3

Ultimo Aggiornamento: 05/07/2020 05:51
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05/07/2020 00:08
 
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Strakosha 6: Evita lo 0-4, sfortunato sul rigore, il primo gol sembra imparabile dopo la deviazione
Patric 6.5: Gioca da leader, regista dietro, va all'arrembaggio, spinge Adekanye sul corner da cui nasce l'occasione in fuorigioco di Lazzari
Acerbi 6: Controlla bene Ibrahimovic e chi transita in zona, prova anche ad andare in fase offensiva senza fortuna
Radu 5: Il braccio largo è la pietra tombale sulla serata
Lazzari 5: L'unica cosa buona gli riesce quando è in offside. Impietoso il duello con Hernandez
Parolo 6: Sfortunato sull'autogol, fa una gara di gran cuore, tra i più continui sui 90 minuti
Leiva 5.5: Non era in condizioni di giocare
Milinkovic-Savic 5: Kessie è forse il suo avversario peggiore. Annullato
Jony 5: Solo una cosa buona, un cross rasoterra sul primo palo
Luis Alberto 5: Avanzato non gira, dietro va meglio ma sbaglia clamorosamente il tempo dell'ultimo passaggio a Lazzari
Correa 5: Assolutamente fuori condizione, ma il modo in cui tira nelle uniche occasioni che gli capitano è da censura
Adekanye 5.5: Dieci minuti concreti, poi va ai margini
Vavro 5: Entra e combina solo guai, procurando un gol e mezzo per il Milan
Lukaku 5.5: Meglio di Jony ma ormai la partita è declinante e non può cambiarla da solo
Cataldi sv: Non era in condizione di stare in campo
D. Anderson sv: Spezzone a partita ormai indirizzata, può poco
Inzaghi 5.5: Risultato inevitabile, complice la poca fortuna negli episodi, ma mezzo voto in meno per aver scelto di togliere Luis Alberto dalla mediana, annullando ogni velleità costruttiva della Lazio, specie in zona centrale

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05/07/2020 05:51
 
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19 febbraio 2012: Lazio di scena al “Barbera” di Palermo con parecchi assenti e una difesa decimata, che Reja puntella improvvisando Ledesma in terza linea.
L’argentino, nell’inedito ruolo, non se la cava neppure malaccio: ma a incidere è la sua assenza davanti al reparto arretrato, che apre una voragine. Finisce 5-1 per i rosanero.
Ieri sera è accaduto qualcosa di simile con lo spostamento di Luis Alberto dal centrocampo in una posizione maggiormente avanzata: prova modestissima, in linea con un momento non proprio felice, ma il vero problema è venuto dal dissesto della mediana di cui è da tempo il faro.

Il carico da undici su una situazione già al limite l’ha messo Inzaghi, prontamente rientrato nei ranghi quando toccava a lui aggiungere davvero qualcosa.
Luis Alberto che lancia Correa non è una situazione del tutto inedita, anche se occorreva adattarla a una posizione e a un contesto diversi dal solito.
Operazione rimasta nelle buone intenzioni, coi due che hanno vagato per il campo come anime in pena senza la minima idea di come muoversi e cercarsi.
E le condizioni dell’argentino, un autentico fantasma dopo la sosta, c’entrano meno rispetto alla totale mancanza di organizzazione offensiva.

Sia i giocatori citati sia il tecnico sembrano inseguiti, come se si trattasse di un’ombra, dai difetti, dalle lacune, dai lati oscuri che hanno mostrato negli stenti iniziali o nei momenti peggiori.
Un’ombra che si riappropria improvvisamente delle loro prestazioni, facendo svanire da un attimo all’altro progressi e percorsi di formazione che apparivano ormai consolidati.

Per non parlare, tornando alle nefandezze di giornata di Inzaghi, della trovata di schierare il capitano non giocatore Parolo sul centro-sinistra: vale a dire laddove la squadra è stabilmente abituata ad attendersi la trazione anteriore, sia sul piano della qualità sia su quello del baricentro.
Schierare l’elemento più difensivo da quella parte ha spontaneamente risucchiato in avanti Milinković-Savić, facendo saltare equilibri e distanze sul lato opposto.
Non è un caso se a risentirne sia stato Patric, che ha interrotto con una clamorosa imbarcata un filotto di prestazioni confortanti: e non tanto per colpe proprie quanto perché privato, da una partita all’altra, dei riferimenti di squadra da cui non è ancora in grado di prescindere.

Avviata su questi binari e contro un Milan superiore alle attese, la partita è mestamente rotolata verso l’inevitabile lasciando in dote un trattatello sulla malasorte.

È sfortuna, o peggio, che un arbitro fulmini il centravanti titolare e sotto diffida con un’ammonizione chirurgica quanto inventata.
Non è sfortuna allestire un organico con un solo giocatore nel ruolo.
È sfortuna ritrovarsi infortuni in serie, e di non immediata risoluzione, in questa fase della stagione.
Non è sfortuna la loro contestualizzazione in una situazione di gruppo che alla ripresa, sotto il profilo della condizione fisica, colloca la Lazio in ventunesima posizione su venti partecipanti: e il lockdown, fino a prova contraria, c’è stato per tutti.
È sfortuna che il tiro di Çalhanoğlu incocci nella deviazione di Parolo, quasi una nemesi per il gol di Torino.
Non è sfortuna che Strakosha parta con quella mezz’oretta di ritardo su una parabola comunque resistibile.
È sfortuna che il rigore di Ibra scivoli proprio nella direzione meno indicata.
Non è sfortuna che l’estremo difensore – bravissimo nell’intuire il tiro – vi arrivi con una mano molle, destinata a essere piegata anche da una conclusione più debole, per un evidente errore di impostazione tecnica.
Come non è sfortuna avere un serio problema fra i pali e raccontarsi di poter contare su un portiere fra i migliori del campionato (di quale Paese?).
È sfortuna, o peggio, se il killer armato di fischietto assegna un rigore morbosamente antiregolamentare con distanza ravvicinata, difendente girato di spalle e braccio attaccato al corpo.
Non è sfortuna se l’unica reazione alle immancabili sevizie arbitrali sono i comunicati di Diaconale, i testi scritti più inutili dai Sumeri in poi.

Elenco che potrebbe continuare se il concetto non fosse già chiaro: la posizione in classifica, per il momento parecchio superiore alle attese, non cancella errori, omissioni, scelte deliberatamente illogiche, mille cose che potevano essere fatte meglio anche coi mezzi a disposizione.
Dimenticando le quali, per attribuire ogni problema a interventi esterni o al destino cinico e baro, si rischia di somigliare all’Alberto Sordi di a me m’ha rovinato ‘a guèra.
Personaggio che, con tutto l’affetto per l’attore, non rappresenta la quintessenza della lazialità.

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