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GIAMPIERO MUGHINI - Scritti & Interviste

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2022 14:29
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27/09/2019 13:16
 
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Giampiero Mughini per Dagospia



Caro Dago, ti confesso che ieri sera e mentre assistevo alla tornata televisiva su RaiDue in onore di Gianni Boncompagni ero senza fiato. In particolare nei momenti in cui scorrevano le immagini di una mirabolante serata al Piper romano di via Tagliamento. E c’erano Gianni e Renzo Arbore che facevano gli onori di casa e in prima fila sedeva “la ragazza del Piper” per eccellenza, ossia Patty Pravo, e tutt’attorno il giovane Pippo Baudo, Walter Chiari, due irradianti Raimondo Vianello/Sandra Mondaini, quel grandissimo giornalista che è stato Ruggero Orlando, Mike Bongiorno, una Loredana Bertè che sembrava si volesse mangiare la vita, il Sandro Ciotti che come le raccontava lui le partite, l’architetto (chiamiamolo così) Marius Marenco, e ne sto dimenticando molti.




Non so se ci fossi tu quella sera, tu che appena mollavi il lavoro da cassiere in banca eccome se ti davi da fare. Incredibile la concentrazione di tanto talento, di tanta gioia di vivere, di tanti maestri tra quelli che hanno fondato la comunicazione moderna, da Gianni/Renzo a Orlando a Ciotti e senza dimenticare Walter Chiari, uno verso cui l’Italia è come se resti in debito.




Incredibile era innanzitutto il locale, nato nel 1965, dove a fare da sfondo era un bellissimo collage di Claudio Cintoli, altro grandissimo morto ahimè troppo presto (nel 1978). Il pittore romano Pablo Echaurren (il futuro illustratore de ”I porci con le ali”) racconta che aveva una base segreta dove andava a cambiarsi d’abito e agghindarsi per poi andare al Piper munito di un paio di stivaletti che si era comprati usati da un capellone della prima ora, nome di battaglia “Ciclamino”. Quando nel 2008 Echaurren ha fatto una mostra della sua opera trentennale e talmente polivalente, c’era anche una foto del 1967 di Ciclamino seduto al Piper con accanto una ragazza che ha l’aria adorante. In quella foto Ciclamino indossa un paio di jeans decorati a mano. Quei jeans che Pablo Echaurren reputa la prima in ordine cronologico delle sue opere d’arte.



Quanto alle ragazze del Piper, la loro trasformazione vestimentaria avveniva a metà delle scale di casa loro. Giunte a metà, e se stavano andando al Piper, arrotolavano la loro gonna che appena uscite di casa arrivava al ginocchio e la portavano su di quattro dita buone. La mia ragazza dei vent’anni lo faceva a Catania, non a Roma.





Sì, io tutto questo ben di Dio non l’ho vissuto in prima persona perché abitavo in provincia, a Catania. Semmai l’ho vissuto con la mia immaginazione che è fervida. Al Piper arrivai (la prima di cinque o sei volte) credo nel 1966. Mi faceva da cicerone un mio amico siciliano che viveva a Roma. Io non ballavo perché non so ballare bene, e le cose che non so fare bene preferisco non farle (e difatti non faccio altro se non scrivere). Guardavo, eccome se al Piper c’era da guardare. Sulla pedana in quel momento c’erano non più di due coppie, e anche se è inesatto definire coppia quella formata da un ragazzo che aveva l’aria qualsiasi e da una ragazza inaudita e non perché fosse bella da vertigine, anche se bella lo era di certo.



Era inaudita da quanto fosse inedita ai miei occhi, mai vista né immaginata prima, una razza femminile di cui sino a quel momento non avevo visto alcun esemplare. Più ancora che bella era sorprendente, a usare le parole dello scrittore triestino Renzo Rosso (oggi dimenticatissimo) che nei Sessanta aveva scritto tre o quattro romanzi molto belli.





E a non dire che nel mio ricordo quella ragazza di oltre 50 anni fa era abbigliata quanto di più tranquillamente, una gonna qualsiasi e un maglione qualsiasi. Inaudita era la sua danza solitaria e struggente, i suoi movimenti a metà strada tra una marcia trionfale e un ancheggiare diabolico, un percorso dell’anima che lei scandiva inondando noi maschi tutt’attorno di sguardi terrificanti che volevano dire “Vi rendete conto che voi siete nulla rispetto a me, al mio corpo, alla mia libertà di fare quello che voglio e come voglio?”.



E difatti quel suo corpo lei lo muoveva e lo ondulava come voleva, percorrendo la pedana in una direzione per poi tornare indietro e cambiare ritmo, e le braccia e i fianchi e le gambe e i capelli che si fondevano in un’armonia totale, e gli scatti e le pause e i sussulti. Quell’erotismo che ti arriva al cervello e ne fa un rogo.





Era il 1966, era un’Italia che guardava al futuro con gioia, e di canali radiofonici ce n’erano solo due, solo che su uno dei due troneggiavano Gianni e Renzo nonché la loro banda guerrigliera. Dio che fortuna abbiamo avuto ad avere vent’anni in quel decennio, illustrato da tali e tanti maestri. Dio quanto sono stati importanti Gianni e Renzo nella storia nostra culturale.



Qualche Utente in Futuro dirà "Dio quanto sono stati importanti Ankie e Horace nella storia nostra culturale" ? Aaaah, saperlo...
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