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Manifesto degli intellettuali antifascisti

Ultimo Aggiornamento: 08/01/2019 17:55
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03/01/2019 10:12
 
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Gl'intellettuali fascisti, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agl'intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi la politica del partito fascista.

Nell'accingersi a tanta impresa, quei volenterosi signori non debbono essersi rammentati di un consimile famoso manifesto, che, agli inizi della guerra europea, fu bandito al mondo dagl'intellettuali tedeschi; un manifesto che raccolse, allora, la riprovazione universale, e più tardi dai tedeschi stessi fu considerato un errore.

E, veramente, gl'intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell'arte, se, come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l'iscriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno il solo dovere di attendere, con l'opera dell'indagine e della critica e le creazioni dell'arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale affinché con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie.

Varcare questi limiti dell'ufficio a loro assegnato, contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso.

E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto che risplende di molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie nazioni.

Nella sostanza, quella scrittura è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocini; come dove si prende in iscambio l'atomismo di certe costruzioni della scienza politica del secolo decimottavo col liberalismo democratico del secolo decimonono, cioè l'antistorico e astratto e matematico democraticismo, con la concezione sommamente storica della libera gara e dell'avvicendarsi dei partiti al potere, onde, mercé l'opposizione, si attua quasi graduandolo, il progresso; o come dove, con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degl'individui al tutto, quasi che sia in questione ciò, e non invece la capacità delle forme autoritarie a garantire il più efficace elevamento morale; o, ancora, dove si perfidia nel pericoloso indiscernimento tra istituti economici, quali sono i sindacati, ed istituti etici, quali sono le assemblee legislative, e si vagheggia l'unione o piuttosto la commistione dei due ordini, che riuscirebbe alla reciproca corruttela, o quanto meno, al reciproco impedirsi.

E lasciamo da parte le ormai note e arbitrarie interpretazioni e manipolazioni storiche. Ma il maltrattamento delle dottrine e della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a paragone dell'abuso che si fa della parola "religione"; perché, a senso dei signori intellettuali fascisti, noi ora in Italia saremmo allietati da una guerra di religione, dalle gesta di un nuovo evangelo e di un nuovo apostolato contro una vecchia superstizione, che rilutta alla morte la quale, le sta sopra e alla quale dovrà pur acconciarsi; e ne recano a prova l'odio e il rancore che ardono, ora come non mai, tra italiani e italiani.

Chiamare contrasto di religione l'odio e il rancore che si accendono contro un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere di italiani e li ingiuria stranieri, e in quell'atto stesso si pone esso agli occhi di quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della Patria i sentimenti e gli abiti che sono propri di altri conflitti; nobilitare col nome di religione il sospetto e l'animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto persino ai giovani delle università l'antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli altri in sembianti ostili; è cosa che suona, a dir vero, come un'assai lugubre facezia.

In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d'altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamenti alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo.

E se anche taluni plausibili provvedimenti sono stati attuati o avviati dal governo presente, non è in essi nulla che possa vantarsi di un'originale impronta, tale da dare indizio di nuovo sistema politico che si denomini dal fascismo.

Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento.

Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l'Italia operarono, patirono e morirono; e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri avversari, e gravi e ammonitori a noi perché teniamo salda la loro bandiera.

La nostra fede non è un'escogitazione artificiosa ed astratta o un invasamento di cervello cagionato da mal certe o mal comprese teorie; ma è il possesso di una tradizione, diventata disposizione del sentimento, conformazione mentale o morale.

Ripetono gli intellettuali fascisti, nel loro manifesto, la trita frase che il Risorgimento d'Italia fu l'opera di una minoranza; ma non avvertono che in ciò appunto fu la debolezza della nostra costituzione politica e sociale; e anzi par quasi che si compiacciano della odierna per lo meno apparente indifferenza di gran parte dei cittadini d'Italia innanzi ai contrasti fra il fascismo e i suoi oppositori.

I liberali di tal cosa non si compiacquero mai, e si studiarono a tutto potere di venire chiamando sempre maggior numero di italiani alla vita pubblica; e in questo fu la precipua origine anche di qualcuno dei più disputati loro atti, come la largizione del suffragio universale.

Perfino il favore col quale venne accolto da molti liberali, nei primi tempi, il movimento fascista, ebbe tra i suoi sottintesi la speranza che, mercé di esso, nuove e fresche forze sarebbero entrate nella vita politica, forze di rinnovamento e (perché no?) anche forze conservatrici.

Ma non fu mai nei loro pensieri di mantenere nell'inerzia e nell'indifferenza il grosso della nazione, appoggiandone taluni bisogni materiali, perché sapevano che, a questo modo, avrebbero tradito le ragioni del Risorgimento italiano e ripigliato le male arti dei governi assolutistici o quetistici.

Anche oggi, né quell'asserita indifferenza e inerzia, né gl'inadempimenti che si frappongono alla libertà, c'inducono a disperare o a rassegnarci.

Quel che importa è che si sappia ciò che si vuole e che si voglia cosa d'intrinseca bontà. La presente lotta politica in Italia varrà, per ragioni di contrasto, a ravvivare e a fare intendere in modo più profondo e più concreto al nostro popolo il pregio degli ordinamenti e dei metodi liberali, e a farli amare con più consapevole affetto.

E forse un giorno, guardando serenamente al passato, si giudicherà che la prova che ora sosteniamo, aspra e dolorosa a noi, era uno stadio che l'Italia doveva percorrere per ringiovanire la sua vita nazionale, per compiere la sua educazione politica, per sentire in modo più severo i suoi doveri di popolo civile.


Benedetto Croce
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03/01/2019 18:22
 
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Questo andava bene all'epoca.
Ma dichiararsi antifascisti oggi è da cretini (Jeff in una foto aveva su una maglia antifascista) ed è uno dei motivi della mancanza della Sinistra in Italia, che in realtà non è mai esistita veramente, almeno dal secondo dopoguerra, ma è stata solo un anti-DC, anti-fascismo, anti-Berlusconi, ed ora il nulla, non c'è più da tempo nemmeno una guida, basti pensare che lo scorso Decennio i due più over a sinistra erano Travaglio e Grillo, uno di destra e l'altro qualunquista.

Tornando a Noi, va citato Talebano che ha giustamente confrontato le figure di Ankie e di Steam a Gramsci e Matteotti.
Anche Gigietto m'ha fatto commuovere.
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03/01/2019 19:00
 
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Re:
anklelock89, 03/01/2019 18.22:

Questo andava bene all'epoca.
Ma dichiararsi antifascisti oggi è da cretini (Jeff in una foto aveva su una maglia antifascista) ed è uno dei motivi della mancanza della Sinistra in Italia, che in realtà non è mai esistita veramente, almeno dal secondo dopoguerra, ma è stata solo un anti-DC, anti-fascismo, anti-Berlusconi, ed ora il nulla, non c'è più da tempo nemmeno una guida, basti pensare che lo scorso Decennio i due più over a sinistra erano Travaglio e Grillo, uno di destra e l'altro qualunquista.

Tornando a Noi, va citato Talebano che ha giustamente confrontato le figure di Ankie e di Steam a Gramsci e Matteotti.
Anche Gigietto m'ha fatto commuovere.



Hai posto un tema molto complesso.
Di certo oggi è da cretini dichiararsi anti-fascisti, nel senso politico del termine. Esiste il neofascismo, certo; ma è un fenomeno totalmente innocuo, che non preoccupa nessuno e non diventerà mai preoccupante.

Esiste però il fascismo sociale, ovvero il conformismo. Molti di quelli che si dichiarano anti-fascisti politicamente, che magari votano pure Potere al Popolo, sono fascisti nel senso sociale; e quando gli viene dato un minimo di potere, dimostrano proprio la loro natura fascista (nel senso di natura autoritaria). Rimando a questo video da 2:40 a 3:49 per capire meglio il senso di quello che cerco di dire.



Il nuovo Manifesto degli intellettuali antifascisti è il Salò di Pasolini. Ma se la preoccupazione principale di Pasolini era la mercificazione dei corpi, ciò di cui oggi ci dovremmo preoccupare è la mercificazione delle coscienze. Il conformismo fa sì che certe cose non si possano dire in nessun contesto, privandoci di fatto della libertà di parola. Ma qui allargheremo il discorso.
Quindi in sostanza, ti do ragione se si parla di fascismo politico; ma il fascismo sociale (che potremmo quindi anche chiamare autoritarismo conformista) è molto più vivo oggi che all'epoca del fascismo.
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04/01/2019 08:55
 
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Il fascismo si è presentato come l'anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo, con la sua promessa di impunità, a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia barbarica e antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e bene amministrato.

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Abbiamo in Italia il regime fascista, abbiamo a capo del fascismo Benito Mussolini, abbiamo una ideologia ufficiale in cui il "capo" è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero [...] Mussolini è il tipo concentrato del piccolo borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica
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Hard is Ono
08/01/2019 15:56
 
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Io non sono tanto d'accordo con questa cosa del fascismo sociale.

Cioè non è che non è vero l'effetto, ma chiamarlo fascismo secondo me crea solo confusione.
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08/01/2019 16:10
 
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Ormai si è affermata così.

A un livello più rigoroso è vero, è il conformismo che precede e sta alla base del fascismo, del nazismo e di tutti i totalitarismi di massa. Ma a un livello più pratico, se c'è il tale conduttore televisivo che non fa parlare o contraddice il tale ospite che dice la sacrosanta verità (ma politicamente scorretta), se lo chiami conformista che se ne fa? Vuoi mettere con il chiamarlo fascista? È tutto un altro effetto.

Che poi non è una falsità. Se i vari Vespa, Baudo, Fede, fossero nati qualche decennio prima, non sarebbero stati dei perfetti fascisti? È talmente evidente la cosa che non c'è bisogno di argomentarla.
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Hard is Ono
08/01/2019 16:23
 
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E' che il conformismo, l'omologazione, non sono sufficienti a definire il fascismo, che è un fenomeno più complesso.

Per me il rischio è sempre quello che se si usano categorie come fascismo per indicare qualcosa che fascismo non è, non sapremo riconoscere il rischio del fascismo medesimo quando questo dovesse, eventualmente, essere una minaccia seria.

Poi ovviamente sono categorie che appertengono ai totalitarismi, ma non li esauriscono.

Nè secondo me ne sono l'elemento principale.
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08/01/2019 16:28
 
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E quale sarebbe l'elemento principale?
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Hard is Ono
08/01/2019 16:50
 
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Il punto è che non tutte le dittature, non tutti I regimi, non tutti gli uomini forti, configurano un sistema fascista.

Per me servono cinque elementi, nessuno escluso:
1) I movimenti fascisti rappresentano in prima istanze le classi intermedie impoverite da una crisi (piccoli propietari, bottegai, professionist, settori di lavoratori dipendenti non sindacalizzati, a cui promettono una riorganizzazione della società che garantisca una redistribuzione della ricchezza che impedisca il loro immiserimento.
2) Questa riorganizzazione della società avviene in ambito capitalista, di cui vuole ridurre l'anarchia per tutelare gli interessi dei settori che egemonizza. Quindi il fascismo è una cosa diversa dai totalitarismi sviluppati negli stati sovietici. Diversa, non peggiore o migliore.
3) I movimenti fascisti sono movimenti eversivi, cioè mirano a distruggere l'ordinamento politico (ma non quello economico) per costruirne uno che permetta loro di effettuare quella regolazione e quella redistribuzione di cui sopra.
4) I movimenti fascisti si riferiscono ad una comunità immaginata omogenea e qui sta il punto di cui parlavamo. Siccome il fascismo deve annientare l'esistente politico, ma mantenendo l'esistente economico, deve costruire un riferimento immaginario omogeneo che seppellisca le differenze di classe. Da qui le forme tipiche che assume questo aspetto: per divisione nazionale, etnica, religiosa, razziale ecc ecc. Una comunità assoluta di riferimento, omologata e senza differenze, in cui il leader, il capo, il partito, il califfo o quel che è incarna l'ideale collettivo.
5) I movimenti fascisti e I regimi fascisti sono totalitari dunque violenti. Si prefiggono l'eliminazione fisica dei loro nemici. La costruzione stessa di un regime fascista passa dall'eliminazione fisica dei nemici, degli oppositore e in generale dei piantagrane.

Questi per me.
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08/01/2019 17:22
 
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Ci sono dei passaggi poco chiari, ma ci passo sopra. A me sembra che dai una certa priorità alla sfera economica rispetto a quella politica, un'operazione che prende il sapore di certe teorie marxiste che sono belle che superate. E anche se non ti rifai a queste teorie, non argomenti il perché la sfera economica dovrebbe prevalere su quella politica.
Mi pare comunque che una contro-argomentazione sarebbe molto semplice: è errato dire che il fascismo non volesse distruggere l'ordinamento economico. Dimentichi che il fascismo si è fatto banditore della terza via, il cosiddetto corporativismo, intermedio tra capitalismo e comunismo. Che poi non sia riuscito a realizzarlo è una questione contingente, magari se fosse durato di più ci sarebbe riuscito.

Sulla violenza concordiamo, ma non sulle modalità di questa (il fascismo si prefiggeva l'eliminazione fisica dei nemici? A me risulta che nel 99% dei casi venissero condannati o al confino o al carcere).

Rimane soltanto il punto 4, che - ti sarai accorto tu stesso - non è che la teorizzazione del conformismo.
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Hard is Ono
08/01/2019 17:42
 
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Si per me la sfera economica è prioritaria su quella politica.

L'autonomia del politico la lascio volentieri a Mario Tronti e ai postoperaisti.

Il corporativismo non è mai stato una terza via, ma una forma di quella regolamentazione dell'anarchia del capitalismo di cui parlavo sopra.

Mica han tolto la Fiat ad Agnelli.
Anzi l'han pure fatto senatore!
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08/01/2019 17:55
 
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Re:
Gag Lee Hano, 08/01/2019 17.42:

Si per me la sfera economica è prioritaria su quella politica.



Comunista.

Gag Lee Hano, 08/01/2019 17.42:

Il corporativismo non è mai stato una terza via, ma una forma di quella regolamentazione dell'anarchia del capitalismo di cui parlavo sopra.



Di nuovo, il fatto che non sia mai stato tale, non significa che non potesse essere davvero la terza via. Rimando alla teorizzazione del corporativismo fatta da Ugo Spirito, filosofo passato dall'essere un convintissimo fascista ad un acceso comunista (chi meglio di lui poteva teorizzare la terza via?).


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