Gerold seguì l'attendente nelle proprie stanze.
La camera era modesta ma spaziosa, con un'ampia finestra, un letto di piume e uno scrittoio che Gerold probabilmente non avrebbe mai usato.
Gerold sistemò le proprie cose e andò alla finestra.
Dava proprio sul cortile degli addestramenti.
Gerold rimase a guardare finché i cavalieri e gli armigeri terminarono l'allenamento.
Quando l'attendente tornò da lui per scortarlo al banchetto si accorse di non essersi ancora cambiato dal viaggio.
Si svestì in fretta e scelse dal proprio baule un vestito nei colori della sua Casa, bianco e lilla.
Cercò di pettinarsi i capelli passandovi una mano mentre seguiva l'attendente nella sala da cena.
Il banchetto fu allegro anche se Gerold si guardava spesso intorno con circospezione.
I piatti serviti furono di suo gradimento anche se il gusto era troppo vicino a quelli dell'Altopiano piuttosto che a quelli forti e decisi di Dorne.
Se dovrò continuare a mangiare sta roba dovrò chiedere a mio padre di inviarmi spezie e cibi dal deserto.
La cosa positiva era che, non essendoci suo padre, nessuno controllava quanto bevesse.
Forse bevve un po' troppo. A un certo punto qualcuno lo sfidò al lancio degli anelli, forse perché qualcuna delle sue guardie aveva detto quanto Gerold fosse bravo.
Si ritrovò in piedi sul tavolo, con gli anelli in mano ma con un piede in una caraffa di vino.
Quando alla fine si distese sul suo letto non riuscì proprio a ricordarsi quanti anelli avesse effettivamente infilato.
Ser Arthur Dayne
The Sword of the Morning
«Tutti i cavalieri devono sanguinare.
È il sangue il sigillo della nostra devozione.»