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ROSATELLUM e il voto del 4 marzo 2018

Ultimo Aggiornamento: 25/02/2018 10:38
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ROSATELLUM  per chi ha una certa età... e scelse a quei tempi il latino alle Medie, ricorderà bene le lezioni sulle declinazioni latine usando proprio la ROSA "rosa, rosae...." ecc  ebbene, qui non ci troviamo di fronte alla poetica declinazione latina della ROSA  ma ad un vero ed ennesimo tentativo del "fatta la legge gabbato lo santo"   
Il PARLAMENTO viene tenuto fuori, e di conseguenza, almeno in teoria, almeno salvando la faccia, il Parlamento dovrebbe esprimere le NOSTRE NECESSITA'..... no, manco più la faccia, ci tengono fuori e basta..... e allora, documentiamoci su cosa stanno combinando   


  • SISTEMA ELETTORALE

Rosatellum bis? Il sistema elettorale che ci attende

Manifestazione del M5S contro il Rosatellum bis

Tutti i partiti che la appoggiano, Pd, Forza Italia, Lega, Alternativa popolare, ne disconoscono la paternità e la definiscono il male minore. Per ora, però, ha superato il primo scoglio, in verità quello meno insidioso, ed è stata approvata alla Camera dei deputati, con tre voti di fiducia e un voto segreto finale. Da martedì inizierà il suo iter al Senato, dove i numeri sono più risicati e le incognite maggiori.

Il Rosatellum bis, la nuova legge che potrebbe sostituire il Consultellum, frutto delle due pronunce della Corte Costituzionale sul Porcellum e sull’Italicum, è un sistema elettorale misto, in cui un terzo dei deputati (232) e dei senatori (102) viene eletto in collegi uninominali e i restanti due terzi (386 deputati e 207 senatori) con il proporzionale attraverso collegi plurinominali. Inoltre, 12 deputati e 6 senatori vengono eletti nella circoscrizione estero. Nei collegi uninominali, viene eletto chi prende un voto in più degli altri. La ripartizione dei seggi alla Camera avviene su base nazionale, quella al Senato su base regionale. La soglia di sbarramento è fissata al 3% sia alla Camera che al Senato, mentre quella per le coalizioni è pari al 10%.

Il sistema sembra pensato apposta per blindare il patto del Nazareno e favorire accordi tra Pd e Forza Italia, penalizzando il Movimento Cinque Stelle che, correndo da solo e senza fare alleanze, rischia seriamente di soccombere soprattutto nei collegi uninominali, dove sarà possibile che i partiti coalizzati presentino e sostengano lo stesso candidato così da non farsi concorrenza.

I grillini sarebbero certamente penalizzati da questa legge elettorale anche per quanto riguarda il divieto del voto disgiunto. In pratica, gli elettori, se passasse il Rosatellum bis, non potrebbero votare un candidato nel collegio uninominale e un partito diverso nella parte proporzionale. Riceverebbero un’unica scheda e quindi potrebbero votare un candidato nel collegio uninominale, e, coerentemente, la coalizione nazionale associata. Siccome nell’uninominale si tende a votare il volto più noto e siccome i candidati Cinque Stelle hanno normalmente minore notorietà rispetto agli altri, è facile prevedere che gli elettori possano votare i nomi più blasonati degli altri partiti ed essere quindi costretti a optare anche per la coalizione che comprende quei partiti, senza poter esprimere un voto di opinione o di protesta per altre forze politiche come i pentastellati. Infine, i candidati vengono scelti dai partiti e non ci sono le preferenze; dunque i cittadini, con il Rosatellum bis, non potrebbero di fatto scegliere le persone da mandare in Parlamento.

Secondo alcuni si tratta di un sistema che rasenta l’incostituzionalità, ma a prescindere da questo va detto che si tratta di un sistema elettorale approvato in modo affrettato e precipitoso, senza un vero confronto in Parlamento, e con la metà delle forze politiche contrarie: Movimento Cinque Stelle, Fratelli d’Italia, Mdp, Sinistra italiana. Ciò pone le premesse per un muro contro muro e per uno sbriciolamento delle coalizioni.

Ben difficilmente, in caso di ingovernabilità post-elezioni, i bersaniani entrerebbero a far parte di un governo con Renzi e Berlusconi. Neanche i leghisti, che pure sostengono il Rosatellum bis, qualora dalle urne non uscisse una maggioranza chiara, accetterebbero di sedersi a un tavolo di trattativa con il segretario Pd e il leader del centrodestra. Dunque, questa riforma elettorale, qualora passasse anche l’esame del Senato e venisse definitivamente approvata, non garantirebbe la governabilità e neppure la rappresentatività, come si è già evidenziato, anzi acuirebbe le fratture in entrambi gli schieramenti. L’opinione pubblica la vede come l’ennesimo disperato tentativo degli apparati di partito di negare ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti e di garantire sopravvivenza politica (ed economica) a un ceto di fedelissimi e portaborse. E non è detto che la reazione possa essere proprio quella di dare fiducia al Movimento Cinque Stelle, che a questa legge fieramente si oppone.

Sono in molti a pronosticare un governo di larghe intese dopo il voto, ma, stando agli attuali sondaggi, dando per scontato che il Carroccio non ne farebbe parte, ben difficilmente Pd, Forza Italia e centristi arriverebbero al 51%. A quel punto sarebbe il caos e le colpe verrebbero date proprio a Renzi e Berlusconi.

In ogni caso l’approvazione del Rosatellum bis è tutt’altro che scontata. Il via libera di Montecitorio non fa comunque dormire sonni tranquilli a chi lo sponsorizza. A Palazzo Madama ci sarà battaglia e i voti di differenza tra i pro e i contro sono pochissimi. Per di più l’ex Presidente Napolitano ha già annunciato un appassionato intervento contro la riforma elettorale, che ritiene dannosa per il Paese. Dunque, non è affatto detta l’ultima parola.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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URNE APERTE IL 4 MARZO

Rosatellum alla prova del voto: istruzioni per l'uso

Si voterà con il Rosatellum, la nuova legge elettorale che prevede l’elezione del 37% dei seggi con il sistema maggioritario e del 61% con il proporzionale. Ma la legge non ha alcun premio di maggioranza, né alcun vincolo che impedisca, nel post-voto, ai partiti di “cambiare” alleati.


Il prossimo 4 marzo gli elettori italiani saranno chiamati alle urne sia per le elezioni politiche che per quelle regionali, in Lazio e in Lombardia. L'idea di votare nello stesso giorno sia per le politiche che per le regionali serve in particolare a risparmiare risorse pubbliche e a non alimentare l’astensionismo. Nel 2018 dovranno rinnovare il consiglio regionale ed eleggere il proprio presidente anche il Molise – che potrebbe seguire la data scelta da Lazio e Lombardia – e tre regioni a Statuto Speciale: il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia lo scorso dicembre ha bocciato una mozione pro-election day e potrebbe andare alle urne il prossimo 6 maggio. Si attende la decisione della Valle d’Aosta, mentre il Trentino Alto Adige ha stabilito di votare a ottobre. Questa ultima regione rinnoverà l’amministrazione autonoma provinciale di Trento e quella di Bolzano, i cui consigli poi vanno a formare il consiglio regionale.

Si voterà con il Rosatellum, la nuova legge elettorale che prevede l’elezione del 37% dei seggi con il sistema maggioritario e del 61% con il proporzionale (il restante 2% è riservato alla sezione Estero). Nonostante la presenza di collegi uninominali - suddivisioni territoriali delle circoscrizioni in base al numero di elettori, in genere abbinate a un sistema elettorale maggioritario - e nonostante la possibilità di unirsi in coalizione, si tratta di una legge elettorale prevalentemente proporzionale.

Dei 630 seggi che compongono la Camera dei deputati, 232 verranno assegnati con collegi uninominali maggioritari: in pratica, i candidati si sfidano tra loro, e colui o colei che prende più voti vince. Altri 386 seggi verranno assegnati in collegi plurinominali, con metodo proporzionale in base ai voti raccolti dalle singole liste. Per la ripartizione, conta la percentuale presa dalla lista su scala nazionale. Gli eletti all’estero sono 12.

Al Senato, analogamente, dei 315 seggi disponibili 116 saranno assegnati con i collegi uninominali: le coalizioni e i partiti che corrono da soli si sfidano con un solo candidato e chi vince viene eletto. Altri 193 seggi vengono assegnati con metodo proporzionale in base ai voti raccolti dalle singole liste nei collegi plurinominali. La ripartizione dei seggi, per il Senato, avviene su base regionale. I seggi attribuiti dai collegi plurinominali variano a seconda della grandezza della popolazione. Completano l’Assemblea i 6 senatori eletti all’Estero.

I partiti possono presentarsi da soli o in coalizione. La coalizione è unica a livello nazionale. I partiti in coalizione presentano candidati unitari nei collegi uninominali, quindi il centrodestra presenterà in quei collegi un solo candidato, che presumibilmente sarà votato da tutti gli elettori di Forza ItaliaLegaFratelli d’Italia eNoi per l’Italia (centristi della cosiddetta “quarta gamba”), mentre il candidato unico del centrosinistra sarà votato da tutti gli elettori di PdInsieme (coalizione di socialisti, verdi e prodiani), Civica popolare (ex alfaniani confluiti nel centrosinistra, con leader Beatrice Lorenzin) e +Europa di Emma Bonino. Invece Liberi e Uguali e Movimento Cinque Stelle corrono da soli, ognuno per conto proprio, e in ogni collegio uninominale presentano un loro candidato. Lo sbarramento è al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. Per le coalizioni non vengono comunque computati i voti dei partiti che non hanno superato la soglia dell’1 per cento. Se una lista non raggiunge il 3% ed è parte di una coalizione i voti vengono, a quel punto, “dirottati” al partito prevalente all’interno dell’alleanza. Il candidato eletto in un collegio maggioritario mantiene il seggio anche se il partito a cui appartiene viene escluso dalla ripartizione proporzionale. La legge non ha alcun premio di maggioranza, né alcun vincolo che impedisca, nel post-voto, ai partiti di “cambiare” alleati.

L’elettore avrà due schede elettorali: una per la Camera e una per il Senato. Con la singola scheda si vota sia la parte proporzionale sia quella maggioritaria. Accanto ai nomi dei candidati nel collegio che saranno eletti con il maggioritario ci saranno i simboli dei partiti che lo sostengono e i nomi dei relativi “listini” bloccati, che compongono la parte proporzionale.

Barrando il simbolo del partito, il voto si estende anche al candidato dell’uninominale; barrando invece il nome del candidato, se il candidato dell’uninominale è collegato a un solo partito, il voto si trasferisce interamente al partito, altrimenti si trasferisce in maniera proporzionale ai voti ottenuti in quella circoscrizione. Si può anche apporre una doppia X sul nome del candidato uninominale e su uno dei partiti che lo sostiene. Non è ammesso, e viene invalidato, il voto disgiunto: non si può cioè votare un candidato uninominale e un partito non collegato a quel nome. Ciò è stato deciso soprattutto in funzione anti-grillina per impedire che qualcuno del centrodestra o del centrosinistra votasse il proprio partito ma anche, in modo disgiunto, il candidato pentastellato nell’uninominale.

Le istruzioni per il voto saranno stampate sulla scheda e, per la prima volta, sarà inserito un tagliando antifrode che consiste di un codice numerico controllato dagli scrutatori al momento della riconsegna della scheda per impedire lo scambio con schede elettorali già votate.

Il ministero dell’Interno ha ammesso 75 simboli dei 103 depositati. La nuova legge elettorale prevede che entro 10 giorni (31 gennaio) dalla scadenza del termine per il deposito dei contrassegni, sulla sezione Elezioni trasparenti del sito del Ministero dell’interno (http://dait.interno.gov.it/elezioni), saranno pubblicati per ciascun partito, movimento e gruppo politico organizzato che ha presentato le liste: a) il contrassegno depositato, con l’indicazione del soggetto che ha conferito il mandato per il deposito; b) lo statuto ovvero la dichiarazione di trasparenza depositati; c) il programma elettorale con il nome e cognome della persona indicata come capo della forza politica depositati.

Nella stessa sezione, entro 10 giorni (8 febbraio) dalla scadenza del termine di presentazione delle liste dei candidati, saranno pubblicate per ciascun partito, movimento e gruppo politico organizzato, le liste di candidati presentate per ciascun collegio.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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LA LECTIO MAGISTRALIS/1

Chiesa e mondo, rapporto necessario e di Grazia

POLITICA  11-02-2018

«Dal concetto che noi avremo della creazione e della grazia, nonché del rapporto tra le due, scaturirà anche la nostra teologia del rapporto Chiesa-mondo. Alla domanda: "Il mondo ha bisogno di Cristo?", si risponderà diversamente secondo il punto di vista teologico di partenza». Ecco la prima parte della relazione di don Mauro Gagliardi svolta al convegno della Nuova BQ sulla Dottrina sociale. Per iniziare dal principio a formarsi i criteri con cui scegliere e decidere in vista del voto del 4 marzo. 

In vista delle elezioni politiche del 4 marzo, la Nuova BQ sta seguendo la campagna elettorale concentrandosi non sulle dichiarazioni e sugli spot elettorali di questo o quel candidato, ma sulle ragioni che permettano ad ogni elettore, soprattutto cattolico, di formarsi un giudizio chiaro sui criteri con i quali effettuare secondo la Dottrina sociale della Chiesa la propria scelta.

E’ un’attività pre-politica, ma che non vuole tirare la volata a nessun partito perché quello che ci interessa è offrire ai lettori le ragioni dell’essere più che quelle del fare, che viene di conseguenza.

E’ il senso della giornata che La Nuova BQ ha offerto ai suoi lettori sabato 3 febbraio a Milano organizzando assieme all’Osservatorio Van Thuan un convegno di studi sui criteri di scelta. Nel corso della giornata, ha avuto molta rilevanza l’intervento di don Mauro Gagliardi, professore ordinario dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e professore invitato alla Pontificia Università di San Tommaso (Angelicum) di Roma. L’intervento di Gagliardi è stata la trattazione di base teologica attraverso cui costruire le ragioni e criteri dei relatori del convegno, che si è svolto al Teatro Guanella di Milano. Una lunga lectio magistralis sulla teologia del rapporto Chiesa-mondo: dottrina e prassi che per comodità di percorso abbiamo diviso in tre parti e che pubblicheremo oggi e nelle prossime domeniche.

In questa prima puntata don Gagliardi tocca il tema della Natura e della Grazia, per arrivare a far comprendere come a seconda di dove inseriamo l’ordine soprannaturale, derivi il nostro rapporto con il mondo e in definitiva con la politica.

***

Per impostare adeguatamente il tema che mi è stato chiesto di trattare, è necessario partire da un elemento fondamentale della dottrina cattolica, ossia la distinzione di un duplice ordine della realtà: l’ordine naturale e quello soprannaturale. In base a ciò, distinguiamo anche verità di ordine naturale e verità di ordine soprannaturale: le prime conoscibili alla luce della sola ragione, mentre le altre conoscibili esclusivamente alla luce della rivelazione divina e quindi della ragione illuminata dalla fede e mai senza la fede.

L’ordine naturale e quello soprannaturale sono realmente sussistenti: cioè esistono in sé e per sé e non solo nella nostra mente; ma non sono opposti l’uno all’altro. Essi vengono denominati anche natura e grazia. Qual è la relazione tra i due? È una relazione di reciproco richiamo. Essendo sussistenti in sé e per sé, i due ordini della realtà posseggono una certa autonomia, ossia possono esistere anche l’uno senza l’altro; ma questa autonomia è relativa e non assoluta proprio perché Dio li ha stabiliti con vicendevole richiamo. San Tommaso d’Aquino ha insegnato che la grazia non si oppone alla natura, ma al contrario presuppone la natura, la risana dai difetti che si sono inseriti in essa a causa del peccato dell’uomo e la eleva, perfezionandola. In queste poche parole c’è tutto.

La creazione ha una sua certa autonomia: il Creatore ha immesso nell’ordine naturale una sua consistenza che si regge da sé, senza necessità che dietro ogni singolo processo naturale vi sia all’opera un’azione soprannaturale. Se il proverbio popolare dice: “non cade foglia che Dio non voglia”, noi sappiamo che ciò significa che non cade foglia se non a motivo della legge di gravità, che Dio ha stabilito nel cosmo materiale. Non significa certo che Dio con una grazia attuale soprannaturale spinga verso il suolo ogni foglia che cade. Questa autonomia della creazione è reale ma anche relativa, perché è una autonomia comunque legata al Creatore, a Dio. Appartiene alla visione atea pensare una autonomia assoluta del cosmo. Per questo, il Vaticano II ha insegnato che la creatura senza il Creatore svanisce (GS 36). Questa relativa autonomia della creazione, inoltre, implica che la creazione non si eleva da sé alla propria perfezione, perché questa elevazione è opera della grazia.

La grazia, dal canto suo, ha ugualmente una sua autonomia, ossia l’ordine soprannaturale potrebbe sussistere in sé anche senza quello naturale. Tuttavia, la grazia – dice san Tommaso – suppone la natura, cioè la grazia si stende sulla natura, è offerta da Dio alla natura, in vista del risanamento e dell’elevazione perfettiva della natura stessa. Di conseguenza, per quanto i due ordini siano distinti, essi non sono separati e sono ordinati l’uno all’altro.

A ciò si deve aggiungere che la teologia cattolica ha sempre sottolineato, soprattutto da sant’Agostino in poi, il carattere eminentemente gratuito della grazia, chiamata in latino gratia proprio perché è data gratis, ossia perché è dono di Dio. Un dono è gratuito, altrimenti non è tale. Un dono è una elargizione non dovuta, altrimenti sarebbe un salario. La grazia divina è dono soprannaturale gratuito, indebito, di Dio. È il tema della gratuità del soprannaturale, che non è dovuto alla natura, ma è dato alla natura appunto per grazia, perché Dio così vuole e non per un merito previo delle creature. Agostino blindò questa dottrina contro il Pelagianesimo.

Il tema natura/grazia è tornato al centro di accese discussioni teologiche nella prima metà del XX secolo. Si ricorda ad esempio il nome del paleontologo gesuita Teilhard de Chardin, che nel suo tentativo di conciliare scienze e fede, finì per identificare l’evoluzione cosmica con la storia della salvezza, sopprimendo di fatto la distinzione tra processi naturali e piano salvifico soprannaturale di Dio. Altro nome eccellente è quello del patrologo gesuita e poi cardinale Henri de Lubac il quale fu al centro di un vivo dibattito sul tema natura/grazia. La questione assunse tale importanza da indurre Papa Pio XII ad intervenire e, nell’enciclica Humani generis, mise in guardia – senza fare nomi, ma forse con riferimento a de Lubac – da quei teologi che con le loro recenti teorie mettevano a rischio la nozione di gratuità del soprannaturale. De Lubac, comunque, dopo un primo saggio storico un po’ spericolato intitolato Surnaturel, ne scrisse un altro di natura teologica dal titolo «Il mistero del soprannaturale», in cui assunse posizioni più equilibrate. Non così invece un altro gesuita (da cui in seguito lo stesso de Lubac prenderà le distanze): il tedesco Karl Rahner, il quale parve inizialmente voler difendere la posizione di Pio XII, mentre invece sviluppò una teologia in cui la distinzione tra naturale e soprannaturale veniva talmente assottigliata, da risultare praticamente eliminata. Possiamo qui soltanto menzionare, peraltro in maniera rapidissima, due sue tesi teologiche. La prima riguarda la definizione della grazia.

Per Rahner, la grazia è l’«esistenziale soprannaturale», cioè una dimensione esistenziale che appartiene all’uomo in quanto uomo e che l’uomo, anche nel peccato, non può mai veramente perdere. Quindi la grazia, secondo Rahner, rientra nel concetto di natura umana, essendo parte di esso a livello nozionale ed esistenziale (per Rahner, si potrebbe ipotizzare solo in maniera teorica un uomo naturale senza l’esistenziale soprannaturale). Una seconda tesi rahneriana è quella del mondo come sacramento, cioè il mondo come segno e strumento dell’azione di Dio. Siccome tale azione nella teologia classica appartiene all’ordine soprannaturale, con la terminologia rahneriana del sacramentum mundi, il mondo nella sua mondanità è già espressione della grazia. Il mondo non è il profano al quale va aggiunto in seguito il sacro. Il mondo è già e sempre impregnato del soprannaturale. Anche qui, quindi, la distinzione tra natura e grazia è presa di petto.

Ci sarebbe molto da dire per illustrare adeguatamente questi temi, ma qui dobbiamo rinunciare a qualunque approfondimento al riguardo. In base a questi pochi cenni, possiamo volgerci ora al tema del rapporto Chiesa-mondo, che non è altro se non una delle tante declinazioni possibili della questione descritta: il rapporto tra il naturale ed il soprannaturale. Il mondo, infatti, esprime l’ordine naturale, che ha origine da Dio in quanto Creatore. La Chiesa, invece, è parte dell’ordine soprannaturale, che ha Dio per Autore e Conduttore. Infatti, nell’ordine soprannaturale, Dio agisce con interventi tesi a realizzare una provvidenziale storia della salvezza, che sbocchi nel fine ultimo della vita in Cielo. La Chiesa è un mistero di grazia, non una realtà semplicemente umana – nonostante abbia una componente chiaramente umana. In quanto mistero di grazia, essa appartiene all’ordine soprannaturale. La Chiesa infatti è stata fondata dal Dio-Uomo Gesù Cristo e non da uno o più uomini qualunque.

Dal concetto che noi avremo della creazione e della grazia, nonché del rapporto tra le due, scaturirà anche la nostra teologia del rapporto Chiesa-mondo. Alla domanda: «il mondo ha bisogno della grazia?», ossia: «il mondo ha bisogno di Cristo?»; si risponderà diversamente secondo il punto di vista teologico di partenza. Se il mondo è già in sé un sacramento di Dio, uno strumento divino, se cioè la nozione di grazia è già contenuta nel concetto di “mondo”, appare difficile vedere come si possa affermare che il mondo abbia bisogno di qualcuno che, per così dire, dall’“esterno” gli offra Cristo/la grazia in quanto causa necessaria del suo perfezionamento. In una simile ottica, la Chiesa non dovrebbe far altro che contribuire alla preservazione il mondo in quanto mondo, dell’umano in quanto umano, perché già nel mondano e nell’umano ci sarebbe la grazia salvifica.

La Chiesa, anzi, dovrebbe in fondo identificarsi tout court con l’umano e il mondano. Invece, se si afferma una autonomia solo relativa della creazione, ci si rende conto che la creazione può giungere al suo fine ultimo solo per l’opera della grazia, sanante ed elevante. Di conseguenza, l’azione di Cristo nel mondo e sul mondo sarà intesa come necessaria. E l’azione della Chiesa nei confronti del mondo assumerà caratteristiche di altro genere rispetto a quelle delineate dalla prospettiva testé accennata.

(1- continua)




Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Caffarra: “Cari fedeli, ecco quali sono gli orientamenti per il voto”




 

Nella presente circostanza che, attraverso l’imminente chiamata all’espressione del voto, coinvolge il futuro civile del Paese, l’Arcivescovo S. Em. il Card. Carlo Caffarra offre questa riflessione e criteri di orientamento.

Cari fedeli, solo dopo lunga riflessione ho deciso di dirvi parole di orientamento per il prossimo appuntamento elettorale. Di parole ne avete sentite tante in queste settimane; di promesse ne sono state fatte molte. Io non ho nessuna promessa da farvi. Spero solo che le mie parole non siano confuse con altre, perché non nascono da preoccupazioni politiche.

E’ come pastore della Chiesa che vi parlo.

1. La vicenda culturale dell’Occidente è giunta al suo capolinea: una grande promessa largamente non mantenuta.

I fondamenti sui quali è stata costruita vacillano, perché il paradigma antropologico secondo cui ha voluto coniugare i grandi vissuti umani [per esempio l’organizzazione del lavoro, il sistema educativo, il matrimonio e la famiglia …] è fallito, e ci ha portato dove oggi ci troviamo.

Non è più questione di restaurare un edificio gravemente leso. E’ un nuovo edificio ciò di cui abbiamo bisogno. Non sarà mai perdonato ai cristiani di continuare a essere culturalmente irrilevanti.

2. E’ necessario avere ben chiaro quali sono le linee architettoniche del nuovo edificio; e quindi anche quale profilo intendiamo dare alla nostra comunità nazionale. Ve lo indico, alla luce del grande Magistero di Benedetto XVI.

٭ La vita di ogni persona umana, dal concepimento alla sua morte naturale, è un bene intangibile di cui nessuno può disporre. Nessuna persona può essere considerata un peso di cui potersi disfare, oppure un oggetto – ottenuto mediante procedimenti tecnici [procreazione artificiale] – il cui possesso è un’esigenza della propria felicità.

٭ La dicotomia Stato–Individuo è falsa perché astratta. Non esiste l’individuo, ma la persona che fin dalla nascita si trova dentro relazioni che la definiscono. Esiste pertanto una società civile che deve essere riconosciuta.

Lo Stato è un bene umano fondamentale, purché rispetti i suoi confini: troppo Stato e niente Stato sono ugualmente e gravemente dannosi.

٭ Nessuna civiltà, nessuna comunità nazionale fiorisce se non viene riconosciuto al matrimonio e alla famiglia la loro incomparabile dignità, necessità e funzione. Incomparabile significa che nel loro genere non hanno uguali. Equipararle a realtà che sono naturalmente diverse, non significa allargare i diritti, ma istituzionalizzare il falso. «Non parlare come conviene non costituisce solo una mancanza verso ciò che si deve dire, ma anche mettere in pericolo l’essenza stessa dell’uomo» [Platone].

٭ Il sistema economico deve avere come priorità il lavoro: l’accesso al e il mantenimento del medesimo. Esso non può essere considerato una semplice variabile del sistema.

Il mercato, bene umano fondamentale, deve configurarsi sempre più come cooperazione per il mutuo vantaggio e non semplicemente come competizione di individui privi di legami comunitari.

٭ Tutto quanto detto sopra è irrealizzabile senza libertà di educazione, che esige un vero pluralismo dell’offerta scolastica pubblica, statale e non statale, pluralismo che consenta alle famiglie una reale possibilità di scelta.

3. Non possiamo astenerci dal prendere posizione su tali questioni anche mediante lo strumento democratico fondamentale del voto. La scelta sia guidata dai criteri sopraindicati, che sintetizzo: rispetto assoluto di ogni vita umana; costruzione di un rapporto giusto fra Stato, società civile, persona; salvaguardia dell’incomparabilità del matrimonio – famiglia e loro promozione; priorità del lavoro in un mercato non di competizione, ma di mutuo vantaggio; affermazione di una vera libertà di educazione.

Se con giudizio maturo riteniamo che nessun programma politico rispetti tutti e singoli i suddetti beni umani, diamo la nostra preferenza a chi secondo coscienza riteniamo meno lontano da essi, considerati nel loro insieme e secondo la loro oggettiva gerarchia.

4. Raccomando ai sacerdoti e ai diaconi permanenti di rimanere completamente fuori dal pubblico dibattito partitico, come richiesto dalla natura stessa del ministero sacro e da precise norme canoniche.

5.  Invochiamo infine con perseveranza e fede i santi patroni d’Italia Francesco e Caterina da Siena affinché, per loro intercessione, la nostra preghiera per il Paese trovi ascolto presso il Padre nostro che ‘ci libera dal male’.

Bologna, 16 febbraio 2013

+ Carlo Card. Caffarra

Arcivescovo



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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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LA LECTIO MAGISTRALIS/2

"Noi cristiani immersi in un mondo da salvare"
DOCUMENTI  18-02-2018

Lo sviluppo storico-sociale del mondo ha importanza per la costruzione del Regno di Dio? Su questa domanda il pensiero teologico ha prodotto due scuole di pensiero delineate nell'incarnazionismo e nell'escatologismo. Ma mentre la seconda ci ricorda che la Chiesa conquista il mondo diffondendo il Vangelo e i Sacramenti, la prima ha dato luogo alla teologia politica di un mondo ripiegato su se stesso. La seconda parte della lectio magistralis di don Mauro Gagliardi alla giornata della Dottrina sociale. 

 

Proseguiamo con la lettura della lectio magistralis di don Mauro Gagliardi tenuta il 2 febbraio scorso al teatro Guanella nell'ambito della giornata di Dottrina sociale promossa dalla Nuova BQ e dall'Osservatorio Van Thuan. 

***

Un’altra domanda, correlata alle precedenti, è poi questa: lo sviluppo storico-sociale del mondo ha importanza o meno rispetto alla costituzione della Gerusalemme celeste? Cioè: i progressi storici dell’umanità preparano direttamente l’avvento del Regno di Dio, o sono pressoché ininfluenti rispetto alla venuta della fine dei tempi? Anche questa problematica è stata affrontata nella teologia del Novecento, in una querelle tra due posizioni opposte: l’incarnazionismo di autori come G. Thils e D. Dubarle, e l’escatologismo di altri quali L. Bouyer e J. Daniélou.

L’escatologismo è posizione più classica e consiste nel dire che c’è una netta distinzione tra il progresso umano e sociale e la venuta del Regno finale di Dio. Il progresso della società è ritenuto comunque un bene, ma non è pensato come direttamente collegato con la venuta finale del Signore, che verrà un giorno a giudicare il mondo e a stabilire i cieli nuovi e la terra nuova. Vi sarebbe, cioè, discontinuità tra la storia che noi viviamo e l’inizio dei tempi ultimi. I teologi che sostengono questa tesi dicono che nel Nuovo Testamento non si dà importanza alla storia dopo che Cristo è venuto; anzi, i primi cristiani sembrano desiderare che la storia umana termini al più presto, in modo che possa cominciare il Regno definitivo di Cristo. Questo si esprime nella preghiera «Maranatha, Vieni Signore Gesù!». Anche il Credo, che recitiamo tutte le domeniche a Messa, salta direttamente dalla risurrezione e ascensione al Cielo del Signore, al fatto che Gesù verrà alla fine «a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine»: quindi, nella nostra professione di fede, la storia intermedia non sembra essere molto rilevante. Essa è solo un periodo di fastidiosa attesa e non ha in sé valore per il Regno di Dio. Sant’Agostino è uno dei Padri più rappresentativi di questa corrente. Egli sostiene – riallacciandosi a san Paolo – che la pienezza dei tempi è già venuta; perciò dalla storia non dobbiamo attenderci nulla di nuovo che abbia davvero importanza. Ma allora, a che serve la storia? Per gli escatologisti, la storia è il tempo che Dio ci dà perché ognuno di noi, vivendo secondo il Vangelo, possa meritare la sua salvezza; ed è anche il tempo in cui, attraverso la nostra cooperazione, il mondo, inteso soprattutto dal punto di vista morale, possa tornare a Dio attraverso Cristo. Ma in questo tempo intermedio tra la prima e la seconda venuta di Cristo non si verifica – secondo l’escatologismo – un processo di purificazione dinamico e progressivo di tutta la società: si tratta sempre di singoli individui, o magari anche di gruppi e popoli che si aprono alla grazia, e si salvano; oppure che si chiudono ad essa, e si dannano. In questo tempo intermedio, la Chiesa lotta per guadagnare anime a Cristo.

All’opposto vi sono i teologi che scelgono il modello chiamato incarnazionista. Secondo loro, la grazia di Cristo è all’opera in questo mondo e tende a realizzarvi forme migliori di umanità e socialità, le quali sono preludio e caparra della perfezione futura del Regno celeste di Dio. La grazia è qui considerata come un arricchimento del mondo, che lo orienta a nuovi traguardi. La venuta del Regno di Dio coinciderà, secondo gli incarnazionisti, con il compimento del cammino perfettivo dell’umanità nella storia, da forme di socialità imperfette e arretrate, a forme evolute. Certo, anche per questi teologi il Regno verrà per iniziativa di Dio, ma non senza legami con lo sviluppo di quanto è contingente. Come si è accennato, Teilhard intende ciò soprattutto in senso cosmico, intendendo la parola «mondo» come kosmos, l’insieme della creazione visibile. Ci sono altri autori, invece, che hanno applicato questo schema al mondo inteso come società civile e storia. Tra questi possiamo citare il teologo tedesco Johannes Baptist Metz, il quale sostiene che è la società a dover essere modificata, per poter diventare il Regno di Dio. La salvezza non è cosa privata e individuale, egli dice, ma «elemento critico e liberante di questo mondo sociale e del suo processo storico» (Sul concetto della nuova teologia politica, 1967-1997, Brescia 1998, p. 14). Metz, discepolo di Rahner, è considerato il padre della teologia politica, la quale pare tendere verso una immanentizzazione e collettivizzazione del concetto di Regno.

In sintesi: per gli escatologisti la Chiesa conquista il mondo a Cristo soprattutto diffondendo il Vangelo, celebrando i Sacramenti e realizzando un ambiente umano e sociale che faciliti una vita ordinata secondo i comandamenti. Per gli incarnazionisti, invece, l’opera della Chiesa verso il mondo consisterebbe piuttosto nel favorire lo sviluppo positivo del mondo in quanto tale. Entrambi i gruppi possono ricorrere ai brani evangelici del lievito nella massa, o del sale che dà sapore: per gli escatologisti sono immagini di espansione del Regno soprannaturale nell’impasto naturale; per gli incarnazionisti esse indicano la cooperazione di una minoranza che tutto sommato rimane tale, ma che lavora insieme alle altre componenti della massa.

In base a tutto questo, chiediamoci: questo mondo è buono o è cattivo in sé? Esso va lasciato così com’è o persino accompagnato nella sua mondanità, oppure va modificato, trasformato, persino conquistato? E, in questa seconda ipotesi, qual è il senso, lo scopo di tale trasformazione? La Chiesa, ossia i battezzati: cosa devono fare nei confronti del mondo? Cristo deve regnare solo sulle anime, o anche sui corpi sociali? I cattolici, specificamente i laici, devono preoccuparsi solo di vivere in grazia di Dio a livello personale, o devono lavorare per espandere il Regno di Cristo anche visibilmente e socialmente? E infine: l’espressione “Regno sociale di Cristo” significa lo stesso di “Regno politico di Cristo”?

Si tratta ovviamente di domande enormi, cui noi dobbiamo cercare di dare risposta in un tempo ristretto. Per tentare un’impresa così ardua, volgiamoci – come sempre bisogna fare – al messaggio della Rivelazione, cominciando da ciò che essa ci dice sul mondo.

Nella Sacra Scrittura il mondo è innanzitutto l’insieme del cielo e della terra (cf. Gen 1,1), ossia di tutto ciò che è stato creato da Dio, il cosmo. In questo senso, il mondo è buono: Dio vide che tutto quello che aveva fatto era cosa molto buona (cf. Gen 1,31); le creature sono sane e in esse non c’è veleno di morte, dice il Libro della Sapienza (cf. 1,14). Ma poco più avanti lo stesso Libro aggiunge che la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo (cf. 2,24). Il mondo, inteso come creazione, resta ancora bello e ordinato, e in quanto tale, è un segno chiaro dell’esistenza del Creatore, ma al tempo stesso è ferito: in esso si è inserito un veleno che lo corrode. Perciò il mondo non è più solo il meraviglioso habitat creato da Dio per la sua creatura terrestre preferita: l’uomo. Ora il mondo è anche motivo di sofferenza per l’uomo: il peccato originale induce Dio a pronunciare la seguente sentenza: «Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!» (Gen 3,17-19).

La Scrittura, però, non condanna definitivamente il mondo. In essa si parla anche di una restaurazione del mondo: questo lo si fa con diverse immagini; sia quelle di un ripristino del paradiso terrestre, che troviamo in alcuni profeti dell’Antico Testamento, sia quelle – cosiddette apocalittiche – di una distruzione, di una conflagrazione finale di tutto, che poi dovrebbe dare spazio ad un nuovo inizio, chiamato a volte «cieli nuovi e terra nuova» (cf. Is 65,17; 66,22). In qualunque modo ci si immagini questa restaurazione finale, c’è un tempo intermedio tra il peccato originale e la fine del mondo: la storia. È in questo tempo intermedio che si gioca il rapporto Chiesa-mondo.

La via della fede 

Il Nuovo Testamento riprende dall’Antico l’idea che il mondo è stato creato da Dio e precisa che in particolare tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo (cf. Gv 1,3), ossia la seconda Persona della Trinità, che dall’Incarnazione in poi si chiama Gesù di Nazareth, figlio di Maria. Gesù Cristo, uomo e Dio, ci porta la salvezza e la rivelazione definitive. Nella rivelazione definitiva del Nuovo Testamento, ritroviamo con ulteriore precisione quanto già abbiamo detto: il mondo è uscito dalle mani di Dio, ma è ora corrotto per l’invidia del diavolo, che ha indotto l’uomo a peccare.

Perciò spesso la parola «mondo» può e persino deve essere usata negativamente. Ad esempio san Paolo parla dello spirito di questo mondo che non è capace di comprendere i segreti e i doni di Dio (cf. 1Cor 2,12) o della sapienza del mondo, che si gloria delle sue speculazioni razionalistiche e perciò non è capace di accogliere la rivelazione di Dio (cf. 1Cor 1,20). San Giovanni parla dell’Anticristo che è all’opera nel mondo (cf. 1Gv 4,3). Per quanto riguarda Gesù stesso, anche il Signore ci ha avvisato della corruzione del mondo, dicendo: vi do la pace, ma la mia è diversa dalla pace di cui va parlando il mondo (cf. Gv 14,27). Sin dall’inizio, la venuta di Gesù tra noi è stata ostacolata dal mondo: il mondo non lo ha riconosciuto (cf. Gv 1,10). Gesù dice di se stesso: io non sono di questo mondo (cf. Gv 8,23; 17,14) e: il mio regno non è di questo mondo (cf. Gv 18,36). In realtà per Gesù questo mondo è piuttosto il regno di Satana; lo riconosce il demonio stesso quando mette Gesù alla prova nel deserto dicendogli: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio» (Lc 4,6). Perciò il mondo odia Gesù (cf. Gv 15,18), ma il Signore ricorda che il principe di questo mondo non ha nessun potere su di lui (cf. Gv 14,30).

Stando così le cose, noi potremmo dire: il mondo è perduto; il mondo è tutto e solo negatività. Per questo Gesù nel cenacolo ha detto che pregava il Padre solo per i suoi discepoli, ma che non avrebbe pregato per il mondo (cf. Gv 17,9). Però nel Nuovo Testamento troviamo anche altre espressioni. La prima è questa: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). Gesù poi dice: «Io sono la luce del mondo» (Gv 9,5) e inoltre insegna che il pane che discende dal cielo, l’Eucaristia, «dà la vita al mondo» (Gv 6,33; cf. 6,51). Ancora più chiaramente, il Signore dice: «Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47).

Come si vede ci sono due linee di insegnamento, entrambe chiare: il mondo è cattivo e sta sotto la condanna; ma Dio ha amato il mondo e perciò ha mandato il Figlio per salvarlo. Questa salvezza si compie innanzitutto con la redenzione, operata da Gesù con il suo sacrificio personale. Si tratta di una purificazione del mondo dal peccato, di una restituzione dello stato di santità originaria. In questo senso, Gesù stesso condanna il mondo, anche se lo condanna per purificarlo, per salvarlo, per separare i capri dalle pecore, il grano dalla zizzania, la creazione dal peccato. L’opera di Cristo è una lotta contro Satana, che viene sconfitto: «Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori» (Gv 12,31). Perciò Gesù ci esorta: «Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

Questa situazione si proietta da Gesù ai discepoli, a noi. I cristiani stanno nei confronti del mondo nello stesso rapporto in cui vi sta Gesù, il quale, parlando al Padre, ha detto di noi: «Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo» (Gv 17,14; cf. 17,16). Ora noi viviamo ancora nel mondo, nel regno di Satana e del peccato, però non apparteniamo al mondo della corruzione: questo è il cristianesimo. San Giacomo, perciò, dice che il cristiano deve guardarsi dalla sporcizia del mondo (cf. Gc 1,27) perché l’amicizia per il mondo è inimicizia verso Dio (cf. Gc 4,4); san Giovanni dice che non dobbiamo amare questo mondo (1Gv 2,15); e san Paolo insegna che non dobbiamo uniformare il nostro pensiero al pensiero del mondo (cf. Rm 12,2). Tuttavia, lo stesso Nuovo Testamento ci ricorda che, al pari di Cristo, noi abbiamo una verità ed una testimonianza da dare al mondo (cf. Gv 17,18) e proprio esse potranno aiutare il mondo a purificarsi. Questo è il più grande atto d’amore che possiamo fare per il mondo, che pur ci odia, perché siamo di Cristo (cf. Gv 15,18). Il Nuovo Testamento dice che l’arma invincibile per affrontare il mondo è la nostra fede (Eb 11,7; 1Gv 5,4).

2 - Continua 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/02/2018 10:38
 
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LA LECTIO MAGISTRALIS/3

«Laici impegnati senza paura del potere mondano»
DOCUMENTI 25-02-2018

I governanti non devono rifiutare di dare pubblico omaggio a Cristo Re, il quale è vero Legislatore e perciò ha vero potere temporale: legislativo, esecutivo e giudiziario. Per questo servono laici senza paura i quali sappiano che non è la Chiesa a dover imparare dal mondo quanto il mondo dalla Chiesa. I limiti sono nostri, non di Cristo e della sua verità. L'ultima puntata della lectio magistralis di don Mauro Gagliardi.

 

Concludiamo la lettura della lectio magistralis di don Mauro Gagliardi tenuta il 2 febbraio scorso al teatro Guanella nell'ambito della giornata di Dottrina sociale promossa dalla Nuova BQ e dall'Osservatorio Van Thuan. 

***

Dopo questi riferimenti, diciamo qualcosa anche sul concetto di Regno secondo la rivelazione (per i dati seguenti, cf. M. Gagliardi, «La realeza de Jesús de Nazaret: aspectos cristológicos», in N. Derpich [ed.], El Reino de Cristo: Historia, Teología, Vida, Roma 2016, pp. 207-254). Gli esegeti ed i teologi sono oggi concordi nel sostenere che il centro della predicazione e dell’opera di Gesù è stato il messaggio riguardante il Regno di Dio. Ci sono molte interpretazioni riguardo al significato di questo concetto, tuttavia gli studiosi sono d’accordo nel rilevarne la centralità. Non avviene lo stesso riguardo al Re di questo Regno. Il Nuovo Testamento attribuisce a Gesù i titoli di Re, Re dei giudei, Re di Israele, Re dei re, per più di trenta volte. Eppure molti teologi contemporanei, pur scrivendo tanto sul tema del Regno, scrivono poco o niente sul Re. Addirittura, alcuni teologi hanno sostenuto che Gesù annunciava il Regno ma non se stesso. Un famoso teologo del Novecento, Yves Congar, riteneva invece che Gesù fosse Re, ma solo dalla parusia in poi, ossia che il suo Regno universale cominci solo alla fine dei tempi e non sin d’ora. Nel mondo, secondo Congar, Cristo regna, ma solo in modo invisibile, solo nei cuori dei buoni cristiani, e non sulla società.

È noto che il Magistero della Chiesa, particolarmente con papa Pio XI, ha invece insegnato la regalità anche sociale di Cristo. Secondo Pio XI, questa dottrina sarebbe anzi dogma di fede, definito dal Concilio di Trento. Ma nonostante ciò, parecchi teologi negli ultimi decenni hanno preferito concentrarsi su un concetto solo spirituale di regalità cristologica. Invece Papa Ratti aveva insegnato, certo, che la regalità spirituale è quella principale; tuttavia non è l’unica dimensione dell’azione di Cristo Re. E il Concilio Vaticano II, sebbene con un linguaggio diverso rispetto a quello utilizzato da Pio XI, dice lo stesso.

UN RE CON UN REGNO

Infatti la Costituzione Lumen Gentium 36 insegna che Cristo ha potere universale già qui in terra e che Egli detiene questo potere sino alla fine dei tempi. Inoltre, si insegna che Cristo trasmette questo potere regale partecipandolo ai suoi discepoli, in un duplice senso: da una parte con riferimento alla libertà regale dei credenti, cioè al fatto che i cristiani vincano in se stessi il regno del peccato (e questa è la regalità spirituale di Cristo in noi); ma dall’altra parte, il Vaticano II afferma che i laici cristiani devono condurre anche altri al loro Re. Il Concilio scrive, testualmente: «Il Signore desidera estendere il suo Regno anche per mezzo dei fedeli laici».

Notiamo innanzitutto: l’estensione del Regno non è velleità politica dei cattolici; è desiderio del Signore. In secondo luogo si aggiunge: anche per mezzo dei laici. L’estensione del regno spirituale si opera soprattutto coi mezzi soprannaturali come i Sacramenti e questo viene fatto ad opera soprattutto dei ministri ordinati. Se il concilio dice «e questo anche per mezzo dei fedeli laici», vuol dire che il Signore desidera estendere il suo Regno anche in altro modo rispetto a quello spirituale-sacramentale: vale a dire nel modo proprio dei laici, che il Concilio (riprendendo una espressione di Pio XII) chiama consecratio mundi (LG 34). Dunque anche per il Vaticano II il Regno ha una connotazione principalmente spirituale e soprannaturale, ma ne ha anche un’altra: quella storico-sociale.

I fedeli laici sono identificati come i protagonisti naturali di questo tipo di espansione, come i sacerdoti lo sono della prima. Il Concilio scrive ancora che attraverso i laici il mondo deve essere impregnato dello spirito di Cristo. È chiaramente una terminologia di conquista, anche se di conquista in senso cristiano. Ciò si farà soprattutto attraverso l’opera dei laici nel lavoro, nella tecnica e nella cultura. D’altro canto, simile azione non è autonoma rispetto alla grazia soprannaturale, perché i fedeli laici potranno operare in questo modo solo ed esclusivamente sotto l’influsso della grazia divina. I laici possono estendere il Regno di Cristo nella società solo se il Regno di Cristo è già dominante nel loro cuore. I sacerdoti sono responsabili di immettere questo Regno di Cristo nelle anime e di custodirvelo, con la Parola ed i Sacramenti. In questo senso, il mondo viene conquistato a Cristo dalla grazia: l’ordine soprannaturale raggiunge quello naturale, lo purifica e lo eleva. 

Esiste dunque certamente quella che Pio XII chiamava la «legittima sana laicità dello Stato» (cit. in LG, nota 116), eppure il Vaticano II, così come ha ricordato che senza il Creatore la creatura svanisce, ugualmente ricorda che «in ogni cosa temporale [i laici] devono lasciarsi guidare dalla coscienza cristiana, perché nessuna attività umana, nemmeno temporale, può sottrarsi al dominio di Dio» e di conseguenza «va rigettata la funesta dottrina che pretende di costruire la società senza tenere in alcun conto la religione». Questo equilibrio della dottrina sociale cristiana è espresso anche dalla liturgia nel giorno dell’Epifania. Da una parte, mediante il famoso inno Hostis Herodes impie, si ricorda che Cristo Re permette ai governanti umani di gestire la cosa pubblica con una relativa (non assoluta) autonomia: «Perché temi, Erode, il Signore che viene?Non toglie i regni umani, chi dà il regno dei cieli».

Dall’altra parte, però, la liturgia della medesima solennità ricorda che la sana laicità della cosa pubblica può e deve essere solo relativa e non assoluta; cioè la vera laicità non è il laicismo dell’etsi deus non daretur, perché anche in uno stato moderno Cristo rimane il Re di tutti. Perciò l’inno delle Lodi di Epifania aggiunge: «Non conosce confini nello spazio e nel tempo il suo regno d’amore, di giustizia e di pace». Entrambi gli aspetti sono dunque espressi. Vi è un governo naturale relativamente autonomo: non è vero che l’unica forma di governo per noi accettabile sarebbe una res publica christiana; Erode può continuare ad essere re anche dopo che è nato il vero Re, che non toglie i regni umani perché dà il Regno dei cieli. Ma d’altro canto questo governo è solo relativamente autonomo, perché deve comunque rendere conto a Cristo, Re dei re, dal quale riceve in ultima analisi la propria autorità. È questo il motivo per cui Pio XI aveva insegnato che i governanti non dovevano rifiutare di dare pubblico omaggio a Cristo Re, il quale è vero Legislatore e perciò ha vero potere temporale: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Non dobbiamo nasconderci che oggi questi insegnamenti appaiono impossibili da proporre, in un mondo pluralista e multireligioso. Ed è vero che è inutile proporli in questa forma. Però possono e devono essere mantenuti e vissuti per quanto riguarda il loro nucleo veritativo profondo. Da questa dottrina come può oggi scaturire una prassi non utopistica e realizzabile?

Pur non essendo questo il momento di dare linee precise di azione, anche perché per fornire simili indicazioni è necessaria una competenza specifica, si può dire che un grande principio può ispirare indicazioni pratiche concrete, che altri trarranno in maniera più dettagliata. Il Re è Cristo e noi sappiamo e vogliamo che Egli deve regnare anche socialmente, oltre che spiritualmente. Dunque il rapporto Chiesa-mondo deve essere segnato da questa azione sacerdotale e laicale, attraverso cui il Regno di Cristo si espande e nelle anime e nei corpi sociali.

LA VERITA' DA DIFENDERE

Probabilmente una via percorribile per questo consiste nel concentrarsi sul tema della verità. Questo perché lo stesso Cristo che è il Re dell’universo, è anche la Verità in Persona, come ha detto di Sé: io sono la Via, la Verità e la Vita. Senza tralasciare che il tema della verità torna nel Vangelo proprio in un brano ad alto coefficiente politico: il processo di Cristo da parte di Pilato. Anche in quell’occasione, il Cristo Verità sta maestosamente davanti allo scetticismo del procuratore romano che chiede: cos’è la verità? Benedetto XVI nella Caritas in veritate dice che la dottrina sociale della Chiesa è «annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità» (n. 5). Questa dimensione della verità è fondamentale nei nostri rapporti con il mondo.

Un primo modo concreto di espandere nel mondo il regno di Cristo attuando la verità è quello di non idolatrare il mondo, ossia di non soffrire complessi di inferiorità dinanzi ad esso. Accostarsi con tale complesso al mondo implica sempre il volerlo compiacere, per essere da esso accettati. Con tutta umiltà dobbiamo dire: non è principalmente il mondo che ha qualcosa da dare alla Chiesa, ossia al Corpo Mistico di Cristo, bensì piuttosto il contrario. Non è tanto la Chiesa a dover imparare dal mondo quanto il mondo dalla Chiesa, che è Madre e Maestra, Mater et Magistra. Si è mai vista una brava madre che chiede al figlio cosa fare? o una buona maestra che si dichiara incapace di insegnare davanti ai suoi studenti? La verità è che la Chiesa ha da dare e da insegnare al mondo: non abbiamo dunque paura! Siamo umili, certo, consapevoli dei nostri limiti umani. Ma i limiti sono nostri, non di Cristo e della sua verità. Noi non portiamo noi stessi, ma Lui e la sua dottrina; dunque bisogna essere meno impauriti dei poteri mondani e più forti nell’impegno.

Secondo: verità vuole che la Chiesa sappia rimanere ciò che è, ossia ciò che Cristo l’ha fatta: sacramento universale di salvezza. Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas est ha scritto: «È perciò molto importante che l’attività caritativa della Chiesa mantenga tutto il suo splendore e non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante» (n. 31). Si ricorderà poi che Papa Francesco, nella primissima omelia come Pontefice, tenuta ai cardinali il giorno dopo l’elezione, disse che la Chiesa non è una ONG. Per evitare di diventare un’agenzia di servizi, la Chiesa ha bisogno della fede, ossia della dottrina professata, dei sacramenti, della preghiera e della penitenza. Inutile illuderci che cambieremo il mondo senza queste realtà. Se così pensassimo di poter fare, diventeremmo di nuovo pelagiani, negando anche noi la sana reciprocità tra natura e soprannatura.

Terzo: si opera nella verità dicendo la verità, dando testimonianza ad essa, quando è facile e quando non lo è. Non possiamo né dobbiamo mai nascondere la nostra fede: né in famiglia, né sul lavoro, né in politica, né nel mondo culturale o associativo di qualunque genere. Riceviamo il sacramento della Cresima proprio per avere la forza soprannaturale di questo coraggio testimoniante. Romano Guardini ci incoraggia a dire sempre la verità, anche quando questo coraggio ci mettesse in cattiva luce davanti al mondo. Egli dice: «Chi parla dica ciò che è, e come lo vede e lo intende. Dunque, che esprima anche con la parola quanto egli reca nel suo intimo. Può essere difficile in alcune circostanze, può provocare fastidi, danni e pericoli; ma la coscienza ci ricorda che la verità obbliga; che essa ha qualcosa di incondizionato, che possiede altezza. Di essa non si dice: Tu la puoi dire quando ti piace, o quando devi raggiungere uno scopo; ma: Tu devi dire, quando parli, la verità; non la devi né ridurre, né alterare. Tu la devi dire sempre, semplicemente; anche quando la situazione ti indurrebbe a tacere, o quando puoi sottrarti con disinvoltura a una domanda» (Virtù, Brescia 1997, p. 21).

EROI CON UN IDEALE

Si tratta di parole che risuonano nel nostro cuore provocando una certa emozione e suscitando propositi di impegno. Ma ci accorgiamo sempre più di quanto sia oneroso dire la verità e lottare per essa, anche perché spesso noi non vediamo immediatamente l’effetto positivo del nostro coraggio nel parlare. Qui può sorgere in noi un certo scoraggiamento: a che serve dire la verità se quasi nessuno ci ascolta, se nulla cambia? Non è meglio una diplomazia del compromesso, che almeno può ottenere qualcosa? L’esperienza storica dei nostri compromessi ha dimostrato nei fatti che questa logica è perdente. Solo la testimonianza della verità vince, anche se a volte i tempi sono lunghi. Noi non dobbiamo lottare per la verità solo nella misura in cui vediamo che gli altri ci ascoltano o ci apprezzano. Noi dobbiamo lottare per la verità perché la amiamo e sappiamo di doverla trasmettere integra ai nostri posteri, così come ci è stata trasmessa dai nostri predecessori. 

Questo comporta un ultimo aspetto e cioè che per la verità e per la diffusione del Regno di Cristo noi dobbiamo essere disposti a soffrire. A soffrire l’incomprensione, a volte anche all’interno della Chiesa, e più spesso nella società o nella famiglia. E dobbiamo essere disposti a sacrificare anche qualcosa di notevole, come una brillante carriera, ecclesiastica o civile, per amore della verità. La verità merita tali sacrifici perché la verità rende liberi. Parlando delle associazioni cattoliche il cardinale Giuseppe Siri, intervistato, alla domanda: «Qual è, secondo lei, in un tempo di pluralità di esperienze, il segreto per la formazione del laicato?», rispondeva: «Di formarlo interiormente, non solo esternamente, e di abituarlo al sacrificio e al coraggio. Le associazioni cattoliche, se non hanno combattività, non valgono niente. Vivono, anzi vivacchiano per se stesse» (cit. in R. Spiazzi [ed.], Il Cardinale Giuseppe Siri, Bologna 1990, p. 116). La nostra vita merita più di questo. La vita di cattolici, di uomini e donne conquistati da Cristo Redentore, è una vita degna di essere vissuta più intensamente e coraggiosamente, che non essere vivacchiata galleggiando sul non-senso quotidiano della società contemporanea. 

Concludiamo richiamando il grande successo che negli ultimi tempi stanno riscuotendo i film che rappresentano storie di lotta tra il bene il male, quali Guerre stellariIl Signore degli Anelli o Le Cronache di Narnia. A parte gli effetti speciali e alcuni aspetti pur criticabili, questi film attraggono per un motivo profondo: essi tramettono una visione eroica, una visione epica della vita. La vita, in questi film, non è presentata solo come la ricerca del piccolo piacere personale, ma come un bene da spendere per un grande ideale, perché il male sia sconfitto e il bene trionfi. Se è necessario, gli eroi di queste saghe sono disposti anche a dare la vita perché questo ideale diventi realtà. La fede cristiana ci spinge a vivere così, con un grande ideale e grandi orizzonti. C’è da augurarsi che possiamo vivere in questo modo: non inseguendo la piccola speranza individuale, che alla fine delude sempre, ma avendo il coraggio di seguire il grande ideale del Vangelo e di dare per esso tutta la nostra vita.

(3 - FINE)

(Già pubblicato: 1- Chiesa e mondo: rapporto necessario e di Grazia; 2- Immersi in un mondo da salvare)

IL VIDEO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DI DON GAGLIARDI A MILANO










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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