Ottovolante di Giba34
 
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serenella

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2016 21:06
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Post: 1.208
Sesso: Femminile
16/03/2016 19:53



LA NINFA

Il piccolo camion ferma accanto alle mura di cinta in prossimità del grande cancello di ferro.
Un vento fortissimo comincia a squassare il bosco. In un attimo il cielo si oscura e sembra notte fonda.
Due uomini scendono in fretta e, presa qualcosa dal retro, si avviano correndo verso il cancello che non fanno in tempo a spalancare, prima che il diluvio si abbatta su di loro.
Chi li vedesse riderebbe di cuore, o almeno sorriderebbe, guardando due spaventapasseri: i capelli che grondano acqua e cadono lunghi e flosci sulle spalle di Martino, la barba di Roberto brillante per la miriade di gocce d'acqua e poi... abiti spugnati e scarpe zuppe che fanno assomigliare l'andatura a oche sull'aia.
I due giungono infine sotto l'arco di pietra e Roberto trae dalla capace borsa da lavoro una grossa e pesante chiave che infila nella toppa del massiccio portone di legno.
Entrano con circospezione accolti da una grande sala illuminata dalla scarsa luce che proviene da alcuni stretti finestroni posti in alto. Si scorge solo un lungo tavolo e qualche sedia malandata.
Roberto, si rivolge al compagno più giovane: «E ora che ci siamo, dove andiamo? Il barone Nicotera ha detto che il crollo è avvenuto in biblioteca e che essa confina con il muro di cinta e con la cucina. Ci basterà solo trovare i libri. Vuol dire che faremo gli esploratori.»
«Non ho mai esplorato nulla, neanche il bosco perché mamma dice che è pericoloso. Sono tutto bagnato, ma sono contento di essere qua.»
«Tua mamma esagera sempre! Ormai non sei più un bambino, hai dodici anni!»
Roberto trae dalla capace borsa due cartocci e ne porge uno al ragazzo: «Rifocilliamoci anche se è ancora presto: a stomaco pieno anche l'umido ci darà meno fastidio.»
La borsa viene posata sul tavolo sollevando una nuvola di polvere che fa tossire Roberto. Una grande torcia compare nelle mani dell'uomo e illumina lo spazio circostante: ora che ci si vede meglio il ragazzino spalanca la bocca per la meraviglia. Un cenno al muro: « Voi sapevate che c'era?»
La fonte di tanta meraviglia è un grande affresco che rappresenta una giovane donna bionda col capo e la lunga veste bianca cosparsi di fiori.
«Lo avevo visto da ragazzo quando con i miei compagni venivamo in questo salone a fingere di essere cavalieri inforcando lunghi bastoni e urlando come immaginavamo facessero i soldati in battaglia!»
Martino sembra esterrefatto: Roberto è stato bambino? Ha giocato con gli amichetti? Gli sembra impossibile.
«La giovane raffigurata rappresenta una ninfa dei boschi, così come se la raffigurò il pittore Amatucci. Questa ninfa girava per i sentieri fra gli alberi alla ricerca di funghi che poi regalava ai paesani meritevoli. Un giorno, però un cacciatore la scambiò per una lepre e la colpì con il suo archibugio.
Tutto il paese cercò di soccorrere la ninfa, ma neanche il medico condotto riuscì a salvarla.
Martino ascolta a bocca aperta.
«La ninfa fu sepolta in una radura nel bosco dove un ceppo ne ricorda la morte.»
Il ragazzo perplesso: «A me avevano detto che nel bosco si nascondeva
una strega figlia di un mago. Mamma per questo non voleva che venivo da solo nel bosco!»
«La ninfa si chiamava Serenella e tutti quelli che la vedevano si innamoravano di lei: maschi e femmine. Ora sei abbastanza grande per capire che a spargere la voce che era una strega, sono state tutte le donne del villaggio gelose di tanta bellezza. Io non ho mai visto un archibugio, ma il maestro a scuola mi spiegò che era una specie di fucile»
«Ma tu non sei così vecchio! Mica vivevi già all'epoca degli archibugi! Mi racconti frottole!» il giovane è molto adirato e la voce gli trema quasi.
«Tua mamma ti ha fatto vivere troppo isolato: sei molto diffidente! Ti racconto solo quello che nella mia famiglia si tramanda da generazioni. A proposito di tramandare, andiamo subito a cercare la biblioteca.»
Alla luce della torcia trovano la biblioteca che a Martino sembra solo un posto pieno di cartacce ammonticchiate e piene di polvere.
Roberto va a esaminare da vicino il muro che, cedendo, mostra un bel buco quasi tondo. Come un medico tocca e ritocca, strofina e misura. Poi la diagnosi: «Con del materiale adatto, possiamo ripararlo! Ci toccherà tornare al furgone per prendere quanto ci occorre» si ferma un attimo pensieroso «anzi, tu cominci a picconare tutto intorno e io vado a prendere il materiale»
L'apprendista sembra sul punto di piangere: «Non mi puoi lasciare da solo.»
«Preferisci uscire con me e inzupparti ancora di più?»
Roberto si rimette il giaccone rabbrividendo, riprende la borsa e esce.
Martino è rimasto solo. Ha freddo e paura. Comincia a fare saltelli intorno al tavolo.
Quando avrò compiuti tre giri di saltelli, o forse quattro, Roberto sarà di ritorno.
Dopo aver compiuto due giri inciampa e sta per cadere in terra proprio davanti all'affresco. Impreca rumorosamente mentre quasi si inginocchia. Dall'affresco una delle mani della fanciulla si leva e lo sorregge: «ATTENTO!»
Si rialza in piedi tremando: non può essere vero. Sarà un sogno.
L'umido e il freddo mi hanno preso alla testa. Roberto tarda a venire, mi conviene saltellare ancora, ma prima mi tolgo il giaccone.
Messo in atto il proposito il ragazzino si ritrova ancora tutto bagnato e con l'umido che lo percorre da capo a piedi. Ricomincia con i saltelli, ma ora sta più attento di prima. Guadagna un poco di calore testimoniato da esili nuvolette che si alzano dagli abiti.
«Trallalerò, trallalà, cosa accade qua?»
Sto male, molto male se sento una voce. Sisina sentiva le voci e dissero che era pazza!

Rumore di qualcosa che cade nella biblioteca. Cosa potrà mai essere stato? Diffidente smette di saltellare e piano, ma molto piano, si avvicina alla stanza accanto. La tempesta sembra aver interrotto la sua furia perché qualche raggio dorato illumina le vecchie scartoffie. Per terra un grande fascicolo aperto. Lui non ricorda bene come si legge, è tanto tempo che non si esercita più. La curiosità lo induce a dare un'occhiata. Per terra la ninfa gli sorride, mentre leva un braccio a salutarlo. Sbalordito torna indietro: l'affresco è sempre al suo posto e nulla è mutato. Guarda ancora per terra e il gesto di saluto si ripete.
Il freddo e l'umido gli provocano questi strani effetti?
Richiude il librone e lo rimette in quello che crede il suo posto sullo scaffale. Un foglio vola via e cade a suolo.
Corre al buco nella parete e, afferrato il piccone, comincia a picconare come un ossesso. L'attività fisica sembra dargli forza e coraggio: posa il piccone per terra e va a guardare il foglio caduto poco prima. Serenella con un lieve cenno della mano lo saluta. Una serie di rumorosi starnuti lo distrae.
Un rumore come di qualcosa trascinato per terra: «Chi è?»
Silenzio. IL rumore si avvicina. «Chi è?»
Dall'atrio entra Roberto che trascina un lungo scaletto che va a depositare sotto il buco.
Sbuffa: «Invece di rimanere lì imbambolato, mi potresti dare una mano!»
Roberto vede il ragazzino col volto terrorizzato che gli mostra l'affresco.
«Benedetto ragazzo! Vedo che Serenella è sempre lì, ma non si può muovere, quindi... Ora mettiamoci al lavoro, non restare lì immobile. Forza, amalgama l'acqua alla polvere e fa' il cemento!»
Martino terrorizzato comincia a piangere e, la voce impastata: «Questo posto è stregato, voglio andare via!»
«Trallalerò, trallalà, cosa accade qua?»
Ora anche Roberto sembra perplesso.
«Lo senti, lo senti anche tu?»
Roberto esita:non vuole suscitare il terrore in Martino. Dio solo sa come non si sia messo a gridare.
Un tonfo nella biblioteca.
I due si avviano piano a vedere cosa sia stato.
Per terra la stessa immagine di prima.
L'uomo la guarda incuriosito: «Deve essere la bozza che servì a Amatucci per fare l'affresco.»
Roberto decide di iniziare il lavoro e prende un poco del cemento e comincia a colmare il buco.
Fuori la pioggia ha ripreso a scrosciare e il vento soffia forte sibilando da ogni apertura. La biblioteca è diventata un vortice di vecchie carte che prima planano nell'aria, poi si depositano lievi per terra. Un vortice più forte strappa i fiori dall'abito della ninfa e la stanza si riempie di rosa e giallo, viola e celeste.
«Trallalerò, trallalà, cosa accade qua?»
«Chi sei? Cosa vuoi? Fatti vedere!»
Martino ha la voce colma di disperazione.
Dall'atrio passi cadenzati come una danza: due scarpe con un piccolo tacco nero e lucido sono sovrastate da un pantalone nero a grossi bolli rossi, rossi come la giacca con lunghe code. Il volto anziano, ma rubizzo è incorniciato da corti capelli candidi.
Roberto si fa incontro al nuovo venuto con fare cordiale (non vuole indispettirlo) «Ci puoi aiutare?»
Il ragazzo ricomincia la sua serie di starnuti.
Le mani dello sconosciuto si agitano come quelle di un illusionista e un vortice rosa, giallo e celeste torna ad ornare Serenella.
«Sono … intrappolato qui da 200 anni perché LEI» la mano indica la ninfa «non mi ha perdonato di non riuscire a farla rivivere.»
«Se ci aiuti a chiudere il buco, possiamo andarcene e il ragazzo non avrà una polmonite.»
«Sono Santiago, il mago del castello e voglio aiutarvi, soprattutto per la giovane età del ragazzino» le mani si muovono un poco a destra e un poco a sinistra e il cemento dal secchio finisce con forza sul muro.
Il muro ora non mostra traccia di fori.
Martino va accanto a Santiago:«Tu sei stato buono con noi. Dicci cosa possiamo fare noi per te!»
«Trallalero, trallalà un colpo in testa mi puoi dar» si ferma un attimo vedendo l'espressione sbigottita del ragazzino«se mi colpisci abbastanza forte, forse Serenella avrà pietà di me e mi lascerà andare via di qua.»
Roberto si fa scherzoso:«Andrai via morto? »
«Sono prigioniero in questo luogo buio e solitario, non posso fare nulla di ciò che mi piace come giocare a carte o a dadi con gli altri maghi, non posso mangiare null'altro che alcune bacche del bosco che hanno un sapore disgustoso. Non è meglio porre fine a questo tormento?»
Martino ricomincia a frignare (tra uno starnuto e l'altro): «La morte etcì non è una bella cosa etcù mio nonno è morto e non l'ho potuto vedere più.»
«A volte , per chi se ne va è una liberazione. Per me lo sarebbe!»
«Ragazzino, vediamo di andarcene, questo mago ci vuole trattenere con disquisizioni sulla giustezza dell'eutanasia per fargli compagnia, ma noi fuori abbiamo chi ci aspetta.»
Martino si reca accanto all'affresco e con la mano carezza la fronte di Serenella, quando gli occhi cominciano a colare lacrime e gli starnuti si ripetono a ritmo velocissimo.
Il ragazzino si scosta di botto:”etcì etcù” saranno i colori ”etcì etcù.”
Renato si sente responsabile: “Sei allergico ai colori?”
E..etcù “Sì.”
Santiago si interpone fra i due:«Se mi siete grati, il ragazzino potrebbe fare una cosa per me.»
Martino, dubbioso, guarda il mago. Quale tranello celerà la sua proposta?
«Dimmi cosa vuoi e dopo ti farò sapere.»
«Dovresti carezzare il volto di Serenella mostrandole tutta la tua umanità per compensare il male fattole da un altro uomo.»
Il ragazzino esita: se solo da lontano la sua allergia si è scatenata, cosa avverrà al contatto diretto? Non ha con sé lo spray e potrebbe morire. Ha molta paura e la sua espressione lo dimostra.
«Ma a te cosa importa?»
«Se Serenella si sentirà soddisfatta, forse mi lascerà libero.»
Il pensiero dei due esseri stravaganti: Serenella prigioniera di un affresco e Santiago di un castello, commuovono il suo cuore ancora innocente e, dopo un attimo di incertezza:«Lo farò per tutti e quattro.»
Con trepidazione si avvicina all'affresco e molto piano alza la mano destra a carezzare la gota rosata. La parete gelida sembra pigliare calore e il ragazzino ripete la carezza. La guancia si gonfia in uno sbuffo e un lungo sospiro esce dalle labbra vermiglie. Martino guarda Roberto e Santiago che a gesti lo incitano a continuare. Dopo qualche minuto di ripetute carezze, Serenella si scosta dal muro dove solo una macchia bianca indica il luogo dove era prima.
«Non ce la facevo più a stare ferma su questa parete. Grazie Martino!»
«Tu eri morta e sepolta com'è che sembri viva?»
«Le ninfe non possono morire davvero, sono immortali. Lo stratagemma di un orco cattivo portò quell'uomo a spararmi, ma io sapevo di poter rivivere con l'aiuto di una gentile anima candida e andai in sogno a farmi vedere dal pittore Amatucci.
Ora potrò tornare nel bosco a bere l'acqua dei ruscelli e a cercare i funghi da donare.
Tu, che hai superato le tue paure è come se avessi superato una prova di transizione. Non sei più un bambino, ora sei un giovane adulto.»
Napoli, 15/03/16
Mariella Ricciardi























LA NINFA

Il piccolo camion ferma accanto alle mura di cinta in prossimità del grande cancello di ferro.
Un vento fortissimo comincia a squassare il bosco. In un attimo il cielo si oscura e sembra notte fonda.
Due uomini scendono in fretta e, presa qualcosa dal retro, si avviano correndo verso il cancello che non fanno in tempo a spalancare, prima che il diluvio si abbatta su di loro.
Chi li vedesse riderebbe di cuore, o almeno sorriderebbe, guardando due spaventapasseri: i capelli che grondano acqua e cadono lunghi e flosci sulle spalle di Martino, la barba di Roberto brillante per la miriade di gocce d'acqua e poi... abiti spugnati e scarpe zuppe che fanno assomigliare l'andatura a oche sull'aia.
I due giungono infine sotto l'arco di pietra e Roberto trae dalla capace borsa da lavoro una grossa e pesante chiave che infila nella toppa del massiccio portone di legno.
Entrano con circospezione accolti da una grande sala illuminata dalla scarsa luce che proviene da alcuni stretti finestroni posti in alto. Si scorge solo un lungo tavolo e qualche sedia malandata.
Roberto, si rivolge al compagno più giovane: «E ora che ci siamo, dove andiamo? Il barone Nicotera ha detto che il crollo è avvenuto in biblioteca e che essa confina con il muro di cinta e con la cucina. Ci basterà solo trovare i libri. Vuol dire che faremo gli esploratori.»
«Non ho mai esplorato nulla, neanche il bosco perché mamma dice che è pericoloso. Sono tutto bagnato, ma sono contento di essere qua.»
«Tua mamma esagera sempre! Ormai non sei più un bambino, hai dodici anni!»
Roberto trae dalla capace borsa due cartocci e ne porge uno al ragazzo: «Rifocilliamoci anche se è ancora presto: a stomaco pieno anche l'umido ci darà meno fastidio.»
La borsa viene posata sul tavolo sollevando una nuvola di polvere che fa tossire Roberto. Una grande torcia compare nelle mani dell'uomo e illumina lo spazio circostante: ora che ci si vede meglio il ragazzino spalanca la bocca per la meraviglia. Un cenno al muro: « Voi sapevate che c'era?»
La fonte di tanta meraviglia è un grande affresco che rappresenta una giovane donna bionda col capo e la lunga veste bianca cosparsi di fiori.
«Lo avevo visto da ragazzo quando con i miei compagni venivamo in questo salone a fingere di essere cavalieri inforcando lunghi bastoni e urlando come immaginavamo facessero i soldati in battaglia!»
Martino sembra esterrefatto: Roberto è stato bambino? Ha giocato con gli amichetti? Gli sembra impossibile.
«La giovane raffigurata rappresenta una ninfa dei boschi, così come se la raffigurò il pittore Amatucci. Questa ninfa girava per i sentieri fra gli alberi alla ricerca di funghi che poi regalava ai paesani meritevoli. Un giorno, però un cacciatore la scambiò per una lepre e la colpì con il suo archibugio.
Tutto il paese cercò di soccorrere la ninfa, ma neanche il medico condotto riuscì a salvarla.
Martino ascolta a bocca aperta.
«La ninfa fu sepolta in una radura nel bosco dove un ceppo ne ricorda la morte.»
Il ragazzo perplesso: «A me avevano detto che nel bosco si nascondeva
una strega figlia di un mago. Mamma per questo non voleva che venivo da solo nel bosco!»
«La ninfa si chiamava Serenella e tutti quelli che la vedevano si innamoravano di lei: maschi e femmine. Ora sei abbastanza grande per capire che a spargere la voce che era una strega, sono state tutte le donne del villaggio gelose di tanta bellezza. Io non ho mai visto un archibugio, ma il maestro a scuola mi spiegò che era una specie di fucile»
«Ma tu non sei così vecchio! Mica vivevi già all'epoca degli archibugi! Mi racconti frottole!» il giovane è molto adirato e la voce gli trema quasi.
«Tua mamma ti ha fatto vivere troppo isolato: sei molto diffidente! Ti racconto solo quello che nella mia famiglia si tramanda da generazioni. A proposito di tramandare, andiamo subito a cercare la biblioteca.»
Alla luce della torcia trovano la biblioteca che a Martino sembra solo un posto pieno di cartacce ammonticchiate e piene di polvere.
Roberto va a esaminare da vicino il muro che, cedendo, mostra un bel buco quasi tondo. Come un medico tocca e ritocca, strofina e misura. Poi la diagnosi: «Con del materiale adatto, possiamo ripararlo! Ci toccherà tornare al furgone per prendere quanto ci occorre» si ferma un attimo pensieroso «anzi, tu cominci a picconare tutto intorno e io vado a prendere il materiale»
L'apprendista sembra sul punto di piangere: «Non mi puoi lasciare da solo.»
«Preferisci uscire con me e inzupparti ancora di più?»
Roberto si rimette il giaccone rabbrividendo, riprende la borsa e esce.
Martino è rimasto solo. Ha freddo e paura. Comincia a fare saltelli intorno al tavolo.
Quando avrò compiuti tre giri di saltelli, o forse quattro, Roberto sarà di ritorno.
Dopo aver compiuto due giri inciampa e sta per cadere in terra proprio davanti all'affresco. Impreca rumorosamente mentre quasi si inginocchia. Dall'affresco una delle mani della fanciulla si leva e lo sorregge: «ATTENTO!»
Si rialza in piedi tremando: non può essere vero. Sarà un sogno.
L'umido e il freddo mi hanno preso alla testa. Roberto tarda a venire, mi conviene saltellare ancora, ma prima mi tolgo il giaccone.
Messo in atto il proposito il ragazzino si ritrova ancora tutto bagnato e con l'umido che lo percorre da capo a piedi. Ricomincia con i saltelli, ma ora sta più attento di prima. Guadagna un poco di calore testimoniato da esili nuvolette che si alzano dagli abiti.
«Trallalerò, trallalà, cosa accade qua?»
Sto male, molto male se sento una voce. Sisina sentiva le voci e dissero che era pazza!

Rumore di qualcosa che cade nella biblioteca. Cosa potrà mai essere stato? Diffidente smette di saltellare e piano, ma molto piano, si avvicina alla stanza accanto. La tempesta sembra aver interrotto la sua furia perché qualche raggio dorato illumina le vecchie scartoffie. Per terra un grande fascicolo aperto. Lui non ricorda bene come si legge, è tanto tempo che non si esercita più. La curiosità lo induce a dare un'occhiata. Per terra la ninfa gli sorride, mentre leva un braccio a salutarlo. Sbalordito torna indietro: l'affresco è sempre al suo posto e nulla è mutato. Guarda ancora per terra e il gesto di saluto si ripete.
Il freddo e l'umido gli provocano questi strani effetti?
Richiude il librone e lo rimette in quello che crede il suo posto sullo scaffale. Un foglio vola via e cade a suolo.
Corre al buco nella parete e, afferrato il piccone, comincia a picconare come un ossesso. L'attività fisica sembra dargli forza e coraggio: posa il piccone per terra e va a guardare il foglio caduto poco prima. Serenella con un lieve cenno della mano lo saluta. Una serie di rumorosi starnuti lo distrae.
Un rumore come di qualcosa trascinato per terra: «Chi è?»
Silenzio. IL rumore si avvicina. «Chi è?»
Dall'atrio entra Roberto che trascina un lungo scaletto che va a depositare sotto il buco.
Sbuffa: «Invece di rimanere lì imbambolato, mi potresti dare una mano!»
Roberto vede il ragazzino col volto terrorizzato che gli mostra l'affresco.
«Benedetto ragazzo! Vedo che Serenella è sempre lì, ma non si può muovere, quindi... Ora mettiamoci al lavoro, non restare lì immobile. Forza, amalgama l'acqua alla polvere e fa' il cemento!»
Martino terrorizzato comincia a piangere e, la voce impastata: «Questo posto è stregato, voglio andare via!»
«Trallalerò, trallalà, cosa accade qua?»
Ora anche Roberto sembra perplesso.
«Lo senti, lo senti anche tu?»
Roberto esita:non vuole suscitare il terrore in Martino. Dio solo sa come non si sia messo a gridare.
Un tonfo nella biblioteca.
I due si avviano piano a vedere cosa sia stato.
Per terra la stessa immagine di prima.
L'uomo la guarda incuriosito: «Deve essere la bozza che servì a Amatucci per fare l'affresco.»
Roberto decide di iniziare il lavoro e prende un poco del cemento e comincia a colmare il buco.
Fuori la pioggia ha ripreso a scrosciare e il vento soffia forte sibilando da ogni apertura. La biblioteca è diventata un vortice di vecchie carte che prima planano nell'aria, poi si depositano lievi per terra. Un vortice più forte strappa i fiori dall'abito della ninfa e la stanza si riempie di rosa e giallo, viola e celeste.
«Trallalerò, trallalà, cosa accade qua?»
«Chi sei? Cosa vuoi? Fatti vedere!»
Martino ha la voce colma di disperazione.
Dall'atrio passi cadenzati come una danza: due scarpe con un piccolo tacco nero e lucido sono sovrastate da un pantalone nero a grossi bolli rossi, rossi come la giacca con lunghe code. Il volto anziano, ma rubizzo è incorniciato da corti capelli candidi.
Roberto si fa incontro al nuovo venuto con fare cordiale (non vuole indispettirlo) «Ci puoi aiutare?»
Il ragazzo ricomincia la sua serie di starnuti.
Le mani dello sconosciuto si agitano come quelle di un illusionista e un vortice rosa, giallo e celeste torna ad ornare Serenella.
«Sono … intrappolato qui da 200 anni perché LEI» la mano indica la ninfa «non mi ha perdonato di non riuscire a farla rivivere.»
«Se ci aiuti a chiudere il buco, possiamo andarcene e il ragazzo non avrà una polmonite.»
«Sono Santiago, il mago del castello e voglio aiutarvi, soprattutto per la giovane età del ragazzino» le mani si muovono un poco a destra e un poco a sinistra e il cemento dal secchio finisce con forza sul muro.
Il muro ora non mostra traccia di fori.
Martino va accanto a Santiago:«Tu sei stato buono con noi. Dicci cosa possiamo fare noi per te!»
«Trallalero, trallalà un colpo in testa mi puoi dar» si ferma un attimo vedendo l'espressione sbigottita del ragazzino«se mi colpisci abbastanza forte, forse Serenella avrà pietà di me e mi lascerà andare via di qua.»
Roberto si fa scherzoso:«Andrai via morto? »
«Sono prigioniero in questo luogo buio e solitario, non posso fare nulla di ciò che mi piace come giocare a carte o a dadi con gli altri maghi, non posso mangiare null'altro che alcune bacche del bosco che hanno un sapore disgustoso. Non è meglio porre fine a questo tormento?»
Martino ricomincia a frignare (tra uno starnuto e l'altro): «La morte etcì non è una bella cosa etcù mio nonno è morto e non l'ho potuto vedere più.»
«A volte , per chi se ne va è una liberazione. Per me lo sarebbe!»
«Ragazzino, vediamo di andarcene, questo mago ci vuole trattenere con disquisizioni sulla giustezza dell'eutanasia per fargli compagnia, ma noi fuori abbiamo chi ci aspetta.»
Martino si reca accanto all'affresco e con la mano carezza la fronte di Serenella, quando gli occhi cominciano a colare lacrime e gli starnuti si ripetono a ritmo velocissimo.
Il ragazzino si scosta di botto:”etcì etcù” saranno i colori ”etcì etcù.”
Renato si sente responsabile: “Sei allergico ai colori?”
E..etcù “Sì.”
Santiago si interpone fra i due:«Se mi siete grati, il ragazzino potrebbe fare una cosa per me.»
Martino, dubbioso, guarda il mago. Quale tranello celerà la sua proposta?
«Dimmi cosa vuoi e dopo ti farò sapere.»
«Dovresti carezzare il volto di Serenella mostrandole tutta la tua umanità per compensare il male fattole da un altro uomo.»
Il ragazzino esita: se solo da lontano la sua allergia si è scatenata, cosa avverrà al contatto diretto? Non ha con sé lo spray e potrebbe morire. Ha molta paura e la sua espressione lo dimostra.
«Ma a te cosa importa?»
«Se Serenella si sentirà soddisfatta, forse mi lascerà libero.»
Il pensiero dei due esseri stravaganti: Serenella prigioniera di un affresco e Santiago di un castello, commuovono il suo cuore ancora innocente e, dopo un attimo di incertezza:«Lo farò per tutti e quattro.»
Con trepidazione si avvicina all'affresco e molto piano alza la mano destra a carezzare la gota rosata. La parete gelida sembra pigliare calore e il ragazzino ripete la carezza. La guancia si gonfia in uno sbuffo e un lungo sospiro esce dalle labbra vermiglie. Martino guarda Roberto e Santiago che a gesti lo incitano a continuare. Dopo qualche minuto di ripetute carezze, Serenella si scosta dal muro dove solo una macchia bianca indica il luogo dove era prima.
«Non ce la facevo più a stare ferma su questa parete. Grazie Martino!»
«Tu eri morta e sepolta com'è che sembri viva?»
«Le ninfe non possono morire davvero, sono immortali. Lo stratagemma di un orco cattivo portò quell'uomo a spararmi, ma io sapevo di poter rivivere con l'aiuto di una gentile anima candida e andai in sogno a farmi vedere dal pittore Amatucci.
Ora potrò tornare nel bosco a bere l'acqua dei ruscelli e a cercare i funghi da donare.
Tu, che hai superato le tue paure è come se avessi superato una prova di transizione. Non sei più un bambino, ora sei un giovane adulto.»
Napoli, 15/03/16
Mariella Ricciardi





















LA NINFA

Il piccolo camion ferma accanto alle mura di cinta in prossimità del grande cancello di ferro.
Un vento fortissimo comincia a squassare il bosco. In un attimo il cielo si oscura e sembra notte fonda.
Due uomini scendono in fretta e, presa qualcosa dal retro, si avviano correndo verso il cancello che non fanno in tempo a spalancare, prima che il diluvio si abbatta su di loro.
Chi li vedesse riderebbe di cuore, o almeno sorriderebbe, guardando due spaventapasseri: i capelli che grondano acqua e cadono lunghi e flosci sulle spalle di Martino, la barba di Roberto brillante per la miriade di gocce d'acqua e poi... abiti spugnati e scarpe zuppe che fanno assomigliare l'andatura a oche sull'aia.
I due giungono infine sotto l'arco di pietra e Roberto trae dalla capace borsa da lavoro una grossa e pesante chiave che infila nella toppa del massiccio portone di legno.
Entrano con circospezione accolti da una grande sala illuminata dalla scarsa luce che proviene da alcuni stretti finestroni posti in alto. Si scorge solo un lungo tavolo e qualche sedia malandata.
Roberto, si rivolge al compagno più giovane: «E ora che ci siamo, dove andiamo? Il barone Nicotera ha detto che il crollo è avvenuto in biblioteca e che essa confina con il muro di cinta e con la cucina. Ci basterà solo trovare i libri. Vuol dire che faremo gli esploratori.»
«Non ho mai esplorato nulla, neanche il bosco perché mamma dice che è pericoloso. Sono tutto bagnato, ma sono contento di essere qua.»
«Tua mamma esagera sempre! Ormai non sei più un bambino, hai dodici anni!»
OFFLINE
Post: 1.208
Sesso: Femminile
30/03/2016 10:03

scusa
Chiedo scusa per aver inserito il racconto precedente più volte [SM=g7393]
OFFLINE
Post: 1.208
Sesso: Femminile
25/08/2016 07:59

nemesi1
LA NEMESI

Da giorni la ossessionava. Si alzava e ci pensava, si lavava e ci pensava. Non c'era ora che non ci pensasse, ma non accadeva nulla. Il commissario era sempre lì inchiodato alla sua sedia, il PC acceso e le mani che andavano a mille sulla tastiera. Per riposarle, ogni tanto agitava i polsi in un movimento rotatorio ora a destra, poi a sinistra.
Non riusciva a farlo spostare o parlare e continuava a osservarne la fronte ampia attraversata da rughe esili e la bocca con labbra sottili e rosse che a volte gli davano un'espressione un poco inquietante. Lui non era generoso come Montalbano e, sotto sotto, a volte parteggiava per i cattivi. Non proprio per i malvagi che uccidono, torturano, sono omofobici o razzisti, neanche per quelli che scippano ai vecchietti la pensione. Parteggiava, però, per coloro capaci di commettere furti senza danni alle persone o alle cose, furti con destrezza, insomma. Un sistema carcerario adeguato forse avrebbe consentito anche agli autori dei crimini più atroci di ravvedersi, ma l'assenza di dignità delle carceri italiane non avrebbe consentito la riabilitazione dei detenuti e... allora a che pro richiudere esseri umani per far loro vivere una umanità indegna di questo nome?

Lei non riusciva a smuoverlo, a dargli almeno una parvenza di vita.
Nei giorni scorsi aveva cercato di presentargli la donna di fronte al commissariato, mentre entrava al supermercato, china su una carrozzina con un bel bimbo biondo. Aveva cercato di lusingarlo, di incuriosirlo, … ma … nulla.

La donna aveva fatto colazione, sciacquato la tazza del latte, riposto il tovagliolo, poi era andata a lavarsi. Fresca e profumata si era diretta allo specchio e aveva osservato le sopracciglia. Presa una pinzetta aveva cominciato a depilarsi. Lo sguardo critico guidava la mano. Riposta la pinzetta, passò a truccarsi in modo leggero: una crema da giorno un poco colorata, un velo di cipria e poi il rossetto. Una ravvivata ai capelli e poi... ferma dinanzi all'armadio aperto a valutare cosa indossare
SPERO CHE MI LEGGIATE
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Sesso: Femminile
09/09/2016 21:06

incontri








INCONTRI


Stamani mi sono svegliato di malumore: piove e già questo non è un motivo di allegria. Poi da ieri il cervello non fa che chiedersi se esista un altro mondo.
Lo so che questa è una domanda che assilla tutti gli uomini fin da quando sono bambini, ma l’improvvisa morte di un amico nel fiore degli anni mi ha portato a riconsiderare la cosa. Possibile che tutto ciò che ho condiviso con Marco sia finito con lui? Che tutto ciò in cui ha creduto e per cui si è battuto sia finito nel nulla e che non vedrà il frutto delle sue battaglie?La cultura cattolica nella quale sono cresciuto afferma con decisione l’esistenza di un altro mondo migliore di questo, ma prove non ce ne sono e vorrei tanto poterci credere.
La pioggia torrenziale dell’autunno mi costringe a ripararmi in un portone.
Cerco di scrollarmi di dosso l’ acqua e, senza volerlo, schizzo un poco altri passanti rifugiatisi sotto quell’androne.
“Signò, state chiù accorto(signore siate più attento)!” Mi rimprovera una voce di dietro.
“Chiedo scusa, non l’ho fatto apposta.”
“Le scuse sono poco”
Già il tempo è brutto, sono bagnato come un pulcino, È quasi mezzogiorno, sono stanco ed affamato, non mi conviene litigare con questi sconosciuti.
L'acqua continua a cadere a fiotti, il mio senso di malessere aumenta anche perché non ho nulla da fare. Con la coda dell'occhio vedo un movimento alle mie spalle e un batuffolo bianco viene a sfiorarmi il pantalone. Accidenti a quei padroni di cani che li portano a spasso con guinzagli lunghi che permettono agli animali di essere più liberi!
Allungo la gamba per scuotermi di dosso l'animale che mi ha preso di mira: non vorrei che mi scambiasse per un albero!
“Signore, è solo un cagnolino!”
Mi giro per osservare le figure dietro di me.
La padrona del cane è solo una vecchia signora che si affanna a riavvolgere il guinzaglio. Poi, stupito, osservo altre due persone: un uomo e una donna con abiti di altri tempi.
Lui sarà sulla cinquantina, ha vivaci occhi scuri e indossa un frac nero illuminato da sparato bianco ed porta un cilindro sul capo.
Lei indossa un abito dalla profonda scollatura, lungo fino ai piedi e rigonfio, con ampie maniche, una collana di perle, i capelli chiari raccolti in una crocchia sul capo. Nel viso paffuto brillano enormi occhi celeste cielo. Davvero graziosa anche se un po’ rotonda.
L'anziana signora non sembra notare nulla di strano, ma la mia curiosità, cui devo il mestiere che faccio, mi induce a rivolgermi ai due signori:
“Scusate, ma tornate da un ballo in maschera?”
La mia domanda sembra cogliere di sorpresa i due.
“Giuvinò, comme ve permettite(giovanotto, come vi permettete)!”
“Signove…….non capisco.”
“Siete vestiti con abiti di altra epoca, pensavo ad un ballo in maschera.”
“Vestito strano site vuje, purtate sta’ funicella ‘ncanna, sta' giacca gonfia e rossa, ma ve site guardato ‘o specchio?(Voi siete vestito strano, portate questa cordicella alla gola, questa giacca gonfia e rossa, ma vi siete guardato allo specchio?)”
Calma, mi dico tra me, non vale la pena arrabbiarsi, però sono curioso di scoprire chi sono i miei interlocutori, mi conviene cercare un espediente per appurarlo.
La signora col cane esce dall'androne quasi trascinata dal cane.
Sul marciapiedi di fronte a noi si riflette la luce dell’insegna di un bar e un odore di cornetti e caffè si diffonde nell’aria.
“Signori, vado a prendere un caffè al bar qui di fronte, volete farmi compagnia?”
“Je vulesse ‘nu caffè e ‘nu cornetto(Io vorrei un caffè ed un cornetto).”
“Cos’è covnetto?”
La voce è gentile e la signora non pronunzia la erre il che la rende più affascinante, deve essere una turista francese.
Mi affretto: “Una specie di brioche, signora, con un ripieno di crema o marmellata.”
Un’esclamazione strozzata proviene dalle mie spalle:
“Bvioche! Oh, non mi pavlate di bvioche!”
La signora è diventata pallida come un cencio, gli occhi sbarrati come avesse visto un fantasma ed il viso contratto in un’espressione di orrore.
“Signora è un dolce buonissimo con il quale in Italia siamo soliti fare la colazione, non deve preoccuparsi.”
“Devo pveoccupavmi, voi non sapete quali pvoblemi ho avuto a causa delle bvioche.”
“Signora, potete sempre prendere qualche altra cosa, una pasta, una cioccolata calda …..o che so io.”
La bionda signora assume un'espressione riflessiva.
L'uomo in frac sembra spazientito: “Signò, approfittammo do’ giuvinotto e del suo paracqua. Tanto, nun veco carrozze e i miei guagliune si pure m’aspettano, pensaranno c’ agge fatte tarde.” (Signora, approfittiamo del giovanotto e del suo ombrello. Tanto non vedo carrozze e i miei ragazzi se pure mi aspettano, penseranno che abbia fatto tardi).
In attesa che la signora si decida, chiedo all'uomo in frac: “Avete dei figli?”
“Giuvinò c’aggjo tanta figlie, ma a tre piccerilli songo molto affezziunato pecchè m’ajutano in teatro” (Giovanotto ho tanti figli, ma a tre piccoli sono molto affezionato perchè mi aiutano in teatro). Fa una lunga pausa, poi prosegue:
“Piccerilli ‘na vota, se so fatte grosse e so’ pure morte (piccoli un tempo, sono diventati grandi e sono morti anche)!
“Come morti?”
“L’anne nun rispettano a nisciuno quanno vene l’ora(gli anni non rispettano nessuno quando viene l'ora).”
Tutto è sempre più strano. Quest’uomo parla dei suoi figli come fossero ancora piccoli e poi mi dice che sono diventati grandi e sono morti.
Riapro l’ombrello e faccio cenno ai due di ripararsi, insieme attraversiamo il breve tratto di strada.
Nel bar ci sono pochi avventori: è tardi per la colazione, un po’ presto per l’aperitivo.
Mentre l’uomo mostra alla signora il contenuto delle vetrine, mi avvicino alla cassa dove il cassiere mi chiede se abbiamo uno spettacolo al vicino teatro.
Questa è un’ipotesi che non mi aveva sfiorato la mente, ma mi sembra possa essere attendibile. I due sconosciuti saranno attori con i costumi di scena pronti per le prove.
La signora sceglie una cioccolata calda ed una sfogliatella riccia, mentre noi uomini optiamo per un cornetto ed un caffè.
Dopo aver effettuato le consumazioni decidiamo di ritornare al portone perché continua la pioggia torrenziale e il bar non offre molto spazio. La signora si pulisce la bocca con il fazzolettino di carta e rimane lì non sapendo cosa farne. Glielo tolgo dalle mani, lo infilo distrattamente in tasca e riapro l’ombrello.
Un poco ristorati riprendiamo i nostri posti sotto l’androne, ma brucio dal desiderio di capire chi sono i due signori. Traggo dalla tasca un biglietto da visita e lo porgo alla signora che lo legge. Lo passa al signore, poi mi chiede:
“Non capisco tvoppo bene l’italiano, mi spiegate cos’è un vedattove?”
“E’ ‘nu giornalista, signò(E' un giornalista, signora).”
“Quello che vende i giovnali?”
“No isso ‘e scrive ‘e giurnale(No, lui li scrive i giornali)!”
“Signor Giancarlo Testa, ora ve pozzo ringrazià (ora vi posso ringraziare) con nome e cognome.”
“Certo, signore, ma io non conosco il vostro nome.”
“Songhe (sono) Eduardo Scarpetta, signore.”
“Mi volete prendere in giro! Se non sbaglio siete morto verso la metà degli anni ’20 e non capisco cosa ci fate a Napoli negli anni 2000.”
“M’anno ritto ca ‘o teatro mio nun c’e stà cchiù(mi hanno detto che il mio teatro non c'è più). Sò turnate pe’ fa schiattà ‘e paura i responsabili(son tornato per far morire di paura i responsabili). Farò “Il fantasma del San Carlino. Aggio (ho) intenzione di agire stasera stessa, ma nun veco nemmanco ‘na carrozza(ma non vedo neanche una carrozza).”
“Signore, mi dite delle cose strane davvero se siete morto e ritornate a vivere con scopi di vendetta.”
“Giuvinò(Giovanotto), scusate, signor Testa, io songhe morte, ma anche da lassù m’ha dato ‘na (una) pena grande vedè (vedere) abbattere il San Carlino.”
La cosa mi intriga, se costui è davvero un fantasma: “Mi sa che anche lassù le cose vanno a rilento perché sono più di cinquant’anni che hanno abbattuto il teatro.”
L’uomo scuote la testa con aria sconcertata ed approfitto del suo silenzio per rivolgermi alla signora che ha ascoltato con l’aria di non comprendere ciò che ci siamo detti:
“Chi è lei, signora?”
“Mavia Antonietta, signove”
“Maria Antonietta come?”
“Maria Antonietta D’Orleans.”
Mi sta prendendo in giro, anche lei si fa beffa di me, non è possibile!
“Ma….siete morta, cosa ci fate a Napoli?”
“I miei guavdiani mi hanno detto che io, abituata alle vegole fin da bimba, dovevo venive in questa città senza vegole per impavave l’avte di viveve.”
“Signò, l’arte di vivere da morta?”
“Si muore, si rinasce, si muore di nuovo…la vita è un circolo e c’è sempre da imparare per migliorarsi.”
“Siete una reincarnata, allora?”
“Solo per pvova, ora. Ma se tovno a nasceve...
“Cosa vorrebbe?”
“La felicità, signore.”
“Pure ‘na vita longa, Signò?”
“Lunga o bveve, non impovta, ma felice, si.”
“Cosa intende per felicità?”
“Guagliò, ma ve pare l’ora e ‘o momento pe’ fa filosofia?”
“Certo che no, signor Eduardo, ma sareste così gentili da dirmi cosa c’è lassù? Da alcune ore il mio cervello non fa che pensare a se esista un altro mondo oltre quello in cui viviamo.”
“Lassù. quaggiù, vi siete fatte propeto (proprio)‘na visione Dantesca, signò. Tutto è un unicum di spazio e tempo dove le cose procedono in contemporanea. Sulla Terra, nel vostro mondo, insomma, siete abituati ad una visione lineare che vi consente di attenuare le angosce, ma non è così.
“Spiegatemi meglio, per favore.”
“Ma non capite? Eppure è facile. Guardate come un neonato sa attaccarsi al seno della madre. Se è per definizione un nuovo essere, come potrebbe sapere? Chi gli dà quella conoscenza?”
“Siamo abituati a dire che è l’istinto.”
Già... quando non si sa, si dice l’istinto, la natura o qualche altra fesseria del genere. No, non è istinto, è esperienza.
“Allora, signor Eduardo, voi sostenete che i morti non sono morti?”
“A volte capita come alla regina Maria Antonietta di reincarnarsi, ma a volte non si è coscienti di vivere esperienze parallele finché un senso di struggimento non ci convince che c’è qualcosa di meraviglioso che non arriviamo a comprendere, un senso di unità cui abbiamo fatto a meno, o meglio, cui dobbiamo fare a meno per la nostra ignoranza.”
“Allora il mio amico Marco sta vivendo quell’esperienza di unità di cui mi parlate?”
“Di sicuro, giuvinò. Quando si sarà abituato, poi, potrà tornare per portare a termine la sua opera in quest’epoca.”
“Signovi è spiovuto, devo mettevmi in moto per osservave ed appvendeve, vi auguro una buona giovnata.” Rapida la signora sguscia fuori dall’androne e scompare dietro l’angolo. Per cercarla con lo sguardo mi sono affacciato fuori dal portone, mi giro per parlare con Scarpetta e mi accoglie un androne vuoto.
Scuoto la testa per schiarirmi le idee. Devo aver immaginato tutto. Il mio cervello ossessionato dalla morte di Marco deve avermi giocato questo brutto scherzo. Comunque mi sento ristorato e pieno di energia, impugno l’ombrello e mi avvio, poi con fare distratto metto una mano in tasca e la mia mano tira fuori il fazzolettino di carta datomi da Maria Antonietta.
FINE
Mariella Ricciardi

















 
 


 











INCONTRI
Stamani mi sono svegliato di malumore: piove e già questo non è un motivo di allegria. Poi da ieri il cervello non fa che chiedersi se esista un altro mondo.
Lo so che questa è una domanda che assilla tutti gli uomini fin da quando sono bambini, ma l’improvvisa morte di un amico nel fiore degli anni mi ha portato a riconsiderare la cosa. Possibile che tutto ciò che ho condiviso con Marco sia finito con lui? Che tutto ciò in cui ha creduto e per cui si è battuto sia finito nel nulla e che non vedrà il frutto delle sue battaglie?La cultura cattolica nella quale sono cresciuto afferma con decisione l’esistenza di un altro mondo migliore di questo, ma prove non ce ne sono e vorrei tanto poterci credere.
La pioggia torrenziale dell’autunno mi costringe a ripararmi in un portone.
Cerco di scrollarmi di dosso l’ acqua e, senza volerlo, schizzo un poco altri passanti rifugiatisi sotto quell’androne.
“Signò, state chiù accorto(signore siate più attento)!” Mi rimprovera una voce di dietro.
“Chiedo scusa, non l’ho fatto apposta.”
“Le scuse sono poco”
Maurizio in tono ironico
“Vuole che gliele chieda in ginocchio?”
Dal fondo dell'androne si fa avanti un uomo sulla cinquantina. Ha vivaci occhi scuri e indossa un frac nero illuminato dallo sparato bianco e porta un cilindro sul capo.
Un lampo illumina la figura alle spalle dell'uomo.
Una donna che indossa un abito dalla profonda scollatura, lungo fino ai piedi e rigonfio, con ampie maniche, una collana di perle, i capelli chiari raccolti in una crocchia sul capo. Nel viso paffuto brillano enormi occhi celeste cielo. Davvero graziosa anche se un po’ rotonda.
Maurizio stupito: Scusate, ma tornate da un ballo in maschera?
La mia domanda sembra cogliere di sorpresa i due.
L'uomo in frack: Giuvinò, comme ve permettite
La signora dall'abito lungo: Signove…….non capisco.
Maurizio: Siete vestiti con abiti di altra epoca, pensavo ad un ballo in maschera.
L'uomo in frack:Vestito strano site vuje, purtate sta’ funicella ‘ncanna, sta' giacca gonfia e rossa, ma ve site guardato ‘o specchio?
***
Sul marciapiedi di fronte a noi si riflette la luce dell’insegna di un bar e un odore di cornetti e caffè si diffonde nell’aria.
“Signori, vado a prendere un caffè al bar qui di fronte, volete farmi compagnia?”
“Je vulesse ‘nu caffè e ‘nu cornetto(Io vorrei un caffè ed un cornetto).”
“Cos’è covnetto?”
La voce è gentile e la signora non pronunzia la erre il che la rende più affascinante, deve essere una turista francese.
Mi affretto: “Una specie di brioche, signora, con un ripieno di crema o marmellata.”
Un’esclamazione strozzata proviene dalle mie spalle:
“Bvioche! Oh, non mi pavlate di bvioche!”
La signora è diventata pallida come un cencio, gli occhi sbarrati come avesse visto un fantasma ed il viso contratto in un’espressione di orrore.
“Signora è un dolce buonissimo con il quale in Italia siamo soliti fare la colazione, non deve preoccuparsi.”
“Devo pveoccupavmi, voi non sapete quali pvoblemi ho avuto a causa delle bvioche.”
“Signora, potete sempre prendere qualche altra cosa, una pasta, una cioccolata calda …..o che so io.”
La bionda signora assume un'espressione riflessiva.
L'uomo in frac sembra spazientito: “Signò, approfittammo do’ giuvinotto e del suo paracqua. Tanto, nun veco carrozze e i miei guagliune si pure m’aspettano, pensaranno c’ agge fatte tarde.” (Signora, approfittiamo del giovanotto e del suo ombrello. Tanto non vedo carrozze e i miei ragazzi se pure mi aspettano, penseranno che abbia fatto tardi).
In attesa che la signora si decida, chiedo all'uomo in frac: “Avete dei figli?”
“Giuvinò c’aggjo tanta figlie, ma a tre piccerilli songo molto affezziunato pecchè m’ajutano in teatro” (Giovanotto ho tanti figli, ma a tre piccoli sono molto affezionato perchè mi aiutano in teatro). Fa una lunga pausa, poi prosegue:
“Piccerilli ‘na vota, se so fatte grosse e so’ pure morte (piccoli un tempo, sono diventati grandi e sono morti anche)!
“Come morti?”
“L’anne nun rispettano a nisciuno quanno vene l’ora(gli anni non rispettano nessuno quando viene l'ora).”
Tutto è sempre più strano. Quest’uomo parla dei suoi figli come fossero ancora piccoli e poi mi dice che sono diventati grandi e sono morti.
Riapro l’ombrello e faccio cenno ai due di ripararsi, insieme attraversiamo il breve tratto di strada.
Nel bar ci sono pochi avventori: è tardi per la colazione, un po’ presto per l’aperitivo.
Mentre l’uomo mostra alla signora il contenuto delle vetrine, mi avvicino alla cassa dove il cassiere mi chiede se abbiamo uno spettacolo al vicino teatro.
Questa è un’ipotesi che non mi aveva sfiorato la mente, ma mi sembra possa essere attendibile. I due sconosciuti saranno attori con i costumi di scena pronti per le prove.
La signora sceglie una cioccolata calda ed una sfogliatella riccia, mentre noi uomini optiamo per un cornetto ed un caffè.
Dopo aver effettuato le consumazioni decidiamo di ritornare al portone perché continua la pioggia torrenziale e il bar non offre molto spazio. La signora si pulisce la bocca con il fazzolettino di carta e rimane lì non sapendo cosa farne. Glielo tolgo dalle mani, lo infilo distrattamente in tasca e riapro l’ombrello.
Un poco ristorati riprendiamo i nostri posti sotto l’androne, ma brucio dal desiderio di capire chi sono i due signori. Traggo dalla tasca un biglietto da visita e lo porgo alla signora che lo legge. Lo passa al signore, poi mi chiede:
“Non capisco tvoppo bene l’italiano, mi spiegate cos’è un vedattove?”
“E’ ‘nu giornalista, signò(E' un giornalista, signora).”
“Quello che vende i giovnali?”
“No isso ‘e scrive ‘e giurnale(No, lui li scrive i giornali)!”
“Signor Giancarlo Testa, ora ve pozzo ringrazià (ora vi posso ringraziare) con nome e cognome.”
“Certo, signore, ma io non conosco il vostro nome.”
“Songhe (sono) Eduardo Scarpetta, signore.”
“Mi volete prendere in giro! Se non sbaglio siete morto verso la metà degli anni ’20 e non capisco cosa ci fate a Napoli negli anni 2000.”
“M’anno ritto ca ‘o teatro mio nun c’e stà cchiù(mi hanno detto che il mio teatro non c'è più). Sò turnate pe’ fa schiattà ‘e paura i responsabili(son tornato per far morire di paura i responsabili). Farò “Il fantasma del San Carlino. Aggio (ho) intenzione di agire stasera stessa, ma nun veco nemmanco ‘na carrozza(ma non vedo neanche una carrozza).”
“Signore, mi dite delle cose strane davvero se siete morto e ritornate a vivere con scopi di vendetta.”
“Giuvinò(Giovanotto), scusate, signor Testa, io songhe morte, ma anche da lassù m’ha dato ‘na (una) pena grande vedè (vedere) abbattere il San Carlino.”
La cosa mi intriga, se costui è davvero un fantasma: “Mi sa che anche lassù le cose vanno a rilento perché sono più di cinquant’anni che hanno abbattuto il teatro.”
L’uomo scuote la testa con aria sconcertata ed approfitto del suo silenzio per rivolgermi alla signora che ha ascoltato con l’aria di non comprendere ciò che ci siamo detti:
“Chi è lei, signora?”
“Mavia Antonietta, signove”
“Maria Antonietta come?”
“Maria Antonietta D’Orleans.”
Mi sta prendendo in giro, anche lei si fa beffa di me, non è possibile!
“Ma….siete morta, cosa ci fate a Napoli?”
“I miei guavdiani mi hanno detto che io, abituata alle vegole fin da bimba, dovevo venive in questa città senza vegole per impavave l’avte di viveve.”
“Signò, l’arte di vivere da morta?”
“Si muore, si rinasce, si muore di nuovo…la vita è un circolo e c’è sempre da imparare per migliorarsi.”
“Siete una reincarnata, allora?”
“Solo per pvova, ora. Ma se tovno a nasceve...
“Cosa vorrebbe?”
“La felicità, signore.”
“Pure ‘na vita longa, Signò?”
“Lunga o bveve, non impovta, ma felice, si.”
“Cosa intende per felicità?”
“Guagliò, ma ve pare l’ora e ‘o momento pe’ fa filosofia?”
“Certo che no, signor Eduardo, ma sareste così gentili da dirmi cosa c’è lassù? Da alcune ore il mio cervello non fa che pensare a se esista un altro mondo oltre quello in cui viviamo.”
“Lassù. quaggiù, vi siete fatte propeto (proprio)‘na visione Dantesca, signò. Tutto è un unicum di spazio e tempo dove le cose procedono in contemporanea. Sulla Terra, nel vostro mondo, insomma, siete abituati ad una visione lineare che vi consente di attenuare le angosce, ma non è così.
“Spiegatemi meglio, per favore.”
“Ma non capite? Eppure è facile. Guardate come un neonato sa attaccarsi al seno della madre. Se è per definizione un nuovo essere, come potrebbe sapere? Chi gli dà quella conoscenza?”
“Siamo abituati a dire che è l’istinto.”
Già... quando non si sa, si dice l’istinto, la natura o qualche altra fesseria del genere. No, non è istinto, è esperienza.
“Allora, signor Eduardo, voi sostenete che i morti non sono morti?”
“A volte capita come alla regina Maria Antonietta di reincarnarsi, ma a volte non si è coscienti di vivere esperienze parallele finché un senso di struggimento non ci convince che c’è qualcosa di meraviglioso che non arriviamo a comprendere, un senso di unità cui abbiamo fatto a meno, o meglio, di cui dobbiamo fare a meno per la nostra ignoranza.”
“Allora il mio amico Marco sta vivendo quell’esperienza di unità di cui mi parlate?”
“Di sicuro, giuvinò. Quando si sarà abituato, poi, potrà tornare per portare a termine la sua opera in quest’epoca.”
“Signovi è spiovuto, devo mettevmi in moto per osservave ed appvendeve, vi auguro una buona giovnata.” Rapida la signora sguscia fuori dall’androne e scompare dietro l’angolo. Per cercarla con lo sguardo mi sono affacciato fuori dal portone, mi giro per parlare con Scarpetta e mi accoglie un androne vuoto.
Scuoto la testa per schiarirmi le idee. Devo aver immaginato tutto. Il mio cervello ossessionato dalla morte di Marco deve avermi giocato questo brutto scherzo. Comunque mi sento ristorato e pieno di energia, impugno l’ombrello e mi avvio, poi con fare distratto metto una mano in tasca e la mia mano tira fuori il fazzolettino di carta datomi da Maria Antonietta.
FINE
Mariella Ricciardi

















 
 


 



INCONTRI
Stamani mi sono svegliato di malumore: piove e già questo non è un motivo di allegria. Poi da ieri il cervello non fa che chiedersi se esista un altro mondo.
Lo so che questa è una domanda che assilla tutti gli uomini fin da quando sono bambini, ma l’improvvisa morte di un amico nel fiore degli anni mi ha portato a riconsiderare la cosa. Possibile che tutto ciò che ho condiviso con Marco sia finito con lui? Che tutto ciò in cui ha creduto e per cui si è battuto sia finito nel nulla e che non vedrà il frutto delle sue battaglie?La cultura cattolica nella quale sono cresciuto afferma con decisione l’esistenza di un altro mondo migliore di questo, ma prove non ce ne sono e vorrei tanto poterci credere.
La pioggia torrenziale dell’autunno mi costringe a ripararmi in un portone.
Cerco di scrollarmi di dosso l’ acqua e, senza volerlo, schizzo un poco altri passanti rifugiatisi sotto quell’androne.
“Signò, state chiù accorto(signore siate più attento)!” Mi rimprovera una voce di dietro.
“Chiedo scusa, non l’ho fatto apposta.”
“Le scuse sono poco”
Maurizio in tono ironico
“Vuole che gliele chieda in ginocchio?”
Dal fondo dell'androne si fa avanti un uomo sulla cinquantina. Ha vivaci occhi scuri e indossa un frac nero illuminato dallo sparato bianco e porta un cilindro sul capo.
Un lampo illumina la figura alle spalle dell'uomo.
Una donna che indossa un abito dalla profonda scollatura, lungo fino ai piedi e rigonfio, con ampie maniche, una collana di perle, i capelli chiari raccolti in una crocchia sul capo. Nel viso paffuto brillano enormi occhi celeste cielo. Davvero graziosa anche se un po’ rotonda.
Maurizio stupito: Scusate, ma tornate da un ballo in maschera?
La mia domanda sembra cogliere di sorpresa i due.
L'uomo in frack: Giuvinò, comme ve permettite
La signora dall'abito lungo: Signove…….non capisco.
Maurizio: Siete vestiti con abiti di altra epoca, pensavo ad un ballo in maschera.
L'uomo in frack:Vestito strano site vuje, purtate sta’ funicella ‘ncanna, sta' giacca gonfia e rossa, ma ve site guardato ‘o specchio?
***
Sul marciapiedi di fronte a noi si riflette la luce dell’insegna di un bar e un odore di cornetti e caffè si diffonde nell’aria.
“Signori, vado a prendere un caffè al bar qui di fronte, volete farmi compagnia?”
“Je vulesse ‘nu caffè e ‘nu cornetto(Io vorrei un caffè ed un cornetto).”
“Cos’è covnetto?”
La voce è gentile e la signora non pronunzia la erre il che la rende più affascinante, deve essere una turista francese.
Mi affretto: “Una specie di brioche, signora, con un ripieno di crema o marmellata.”
Un’esclamazione strozzata proviene dalle mie spalle:
“Bvioche! Oh, non mi pavlate di bvioche!”
La signora è diventata pallida come un cencio, gli occhi sbarrati come avesse visto un fantasma ed il viso contratto in un’espressione di orrore.
“Signora è un dolce buonissimo con il quale in Italia siamo soliti fare la colazione, non deve preoccuparsi.”
“Devo pveoccupavmi, voi non sapete quali pvoblemi ho avuto a causa delle bvioche.”
“Signora, potete sempre prendere qualche altra cosa, una pasta, una cioccolata calda …..o che so io.”
La bionda signora assume un'espressione riflessiva.
L'uomo in frac sembra spazientito: “Signò, approfittammo do’ giuvinotto e del suo paracqua. Tanto, nun veco carrozze e i miei guagliune si pure m’aspettano, pensaranno c’ agge fatte tarde.” (Signora, approfittiamo del giovanotto e del suo ombrello. Tanto non vedo carrozze e i miei ragazzi se pure mi aspettano, penseranno che abbia fatto tardi).
In attesa che la signora si decida, chiedo all'uomo in frac: “Avete dei figli?”
“Giuvinò c’aggjo tanta figlie, ma a tre piccerilli songo molto affezziunato pecchè m’ajutano in teatro” (Giovanotto ho tanti figli, ma a tre piccoli sono molto affezionato perchè mi aiutano in teatro). Fa una lunga pausa, poi prosegue:
“Piccerilli ‘na vota, se so fatte grosse e so’ pure morte (piccoli un tempo, sono diventati grandi e sono morti anche)!
“Come morti?”
“L’anne nun rispettano a nisciuno quanno vene l’ora(gli anni non rispettano nessuno quando viene l'ora).”
Tutto è sempre più strano. Quest’uomo parla dei suoi figli come fossero ancora piccoli e poi mi dice che sono diventati grandi e sono morti.
Riapro l’ombrello e faccio cenno ai due di ripararsi, insieme attraversiamo il breve tratto di strada.
Nel bar ci sono pochi avventori: è tardi per la colazione, un po’ presto per l’aperitivo.
Mentre l’uomo mostra alla signora il contenuto delle vetrine, mi avvicino alla cassa dove il cassiere mi chiede se abbiamo uno spettacolo al vicino teatro.
Questa è un’ipotesi che non mi aveva sfiorato la mente, ma mi sembra possa essere attendibile. I due sconosciuti saranno attori con i costumi di scena pronti per le prove.
La signora sceglie una cioccolata calda ed una sfogliatella riccia, mentre noi uomini optiamo per un cornetto ed un caffè.
Dopo aver effettuato le consumazioni decidiamo di ritornare al portone perché continua la pioggia torrenziale e il bar non offre molto spazio. La signora si pulisce la bocca con il fazzolettino di carta e rimane lì non sapendo cosa farne. Glielo tolgo dalle mani, lo infilo distrattamente in tasca e riapro l’ombrello.
Un poco ristorati riprendiamo i nostri posti sotto l’androne, ma brucio dal desiderio di capire chi sono i due signori. Traggo dalla tasca un biglietto da visita e lo porgo alla signora che lo legge. Lo passa al signore, poi mi chiede:
“Non capisco tvoppo bene l’italiano, mi spiegate cos’è un vedattove?”
“E’ ‘nu giornalista, signò(E' un giornalista, signora).”
“Quello che vende i giovnali?”
“No isso ‘e scrive ‘e giurnale(No, lui li scrive i giornali)!”
“Signor Giancarlo Testa, ora ve pozzo ringrazià (ora vi posso ringraziare) con nome e cognome.”
“Certo, signore, ma io non conosco il vostro nome.”
“Songhe (sono) Eduardo Scarpetta, signore.”
“Mi volete prendere in giro! Se non sbaglio siete morto verso la metà degli anni ’20 e non capisco cosa ci fate a Napoli negli anni 2000.”
“M’anno ritto ca ‘o teatro mio nun c’e stà cchiù(mi hanno detto che il mio teatro non c'è più). Sò turnate pe’ fa schiattà ‘e paura i responsabili(son tornato per far morire di paura i responsabili). Farò “Il fantasma del San Carlino. Aggio (ho) intenzione di agire stasera stessa, ma nun veco nemmanco ‘na carrozza(ma non vedo neanche una carrozza).”
“Signore, mi dite delle cose strane davvero se siete morto e ritornate a vivere con scopi di vendetta.”
“Giuvinò(Giovanotto), scusate, signor Testa, io songhe morte, ma anche da lassù m’ha dato ‘na (una) pena grande vedè (vedere) abbattere il San Carlino.”
La cosa mi intriga, se costui è davvero un fantasma: “Mi sa che anche lassù le cose vanno a rilento perché sono più di cinquant’anni che hanno abbattuto il teatro.”
L’uomo scuote la testa con aria sconcertata ed approfitto del suo silenzio per rivolgermi alla signora che ha ascoltato con l’aria di non comprendere ciò che ci siamo detti:
“Chi è lei, signora?”
“Mavia Antonietta, signove”
“Maria Antonietta come?”
“Maria Antonietta D’Orleans.”
Mi sta prendendo in giro, anche lei si fa beffa di me, non è possibile!
“Ma….siete morta, cosa ci fate a Napoli?”
“I miei guavdiani mi hanno detto che io, abituata alle vegole fin da bimba, dovevo venive in questa città senza vegole per impavave l’avte di viveve.”
“Signò, l’arte di vivere da morta?”
“Si muore, si rinasce, si muore di nuovo…la vita è un circolo e c’è sempre da imparare per migliorarsi.”
“Siete una reincarnata, allora?”
“Solo per pvova, ora. Ma se tovno a nasceve...
“Cosa vorrebbe?”
“La felicità, signore.”
“Pure ‘na vita longa, Signò?”
“Lunga o bveve, non impovta, ma felice, si.”
“Cosa intende per felicità?”
“Guagliò, ma ve pare l’ora e ‘o momento pe’ fa filosofia?”
“Certo che no, signor Eduardo, ma sareste così gentili da dirmi cosa c’è lassù? Da alcune ore il mio cervello non fa che pensare a se esista un altro mondo oltre quello in cui viviamo.”
“Lassù. quaggiù, vi siete fatte propeto (proprio)‘na visione Dantesca, signò. Tutto è un unicum di spazio e tempo dove le cose procedono in contemporanea. Sulla Terra, nel vostro mondo, insomma, siete abituati ad una visione lineare che vi consente di attenuare le angosce, ma non è così.
“Spiegatemi meglio, per favore.”
“Ma non capite? Eppure è facile. Guardate come un neonato sa attaccarsi al seno della madre. Se è per definizione un nuovo essere, come potrebbe sapere? Chi gli dà quella conoscenza?”
“Siamo abituati a dire che è l’istinto.”
Già... quando non si sa, si dice l’istinto, la natura o qualche altra fesseria del genere. No, non è istinto, è esperienza.
“Allora, signor Eduardo, voi sostenete che i morti non sono morti?”
“A volte capita come alla regina Maria Antonietta di reincarnarsi, ma a volte non si è coscienti di vivere esperienze parallele finché un senso di struggimento non ci convince che c’è qualcosa di meraviglioso che non arriviamo a comprendere, un senso di unità cui abbiamo fatto a meno, o meglio, di cui dobbiamo fare a meno per la nostra ignoranza.”
“Allora il mio amico Marco sta vivendo quell’esperienza di unità di cui mi parlate?”
“Di sicuro, giuvinò. Quando si sarà abituato, poi, potrà tornare per portare a termine la sua opera in quest’epoca.”
“Signovi è spiovuto, devo mettevmi in moto per osservave ed appvendeve, vi auguro una buona giovnata.” Rapida la signora sguscia fuori dall’androne e scompare dietro l’angolo. Per cercarla con lo sguardo mi sono affacciato fuori dal portone, mi giro per parlare con Scarpetta e mi accoglie un androne vuoto.
Scuoto la testa per schiarirmi le idee. Devo aver immaginato tutto. Il mio cervello ossessionato dalla morte di Marco deve avermi giocato questo brutto scherzo. Comunque mi sento ristorato e pieno di energia, impugno l’ombrello e mi avvio, poi con fare distratto metto una mano in tasca e la mia mano tira fuori il fazzolettino di carta datomi da Maria Antonietta.
FINE
Mariella Ricciardi
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