INCONTRI
Stamani mi sono svegliato di malumore: piove e già questo non è un motivo di allegria. Poi da ieri il cervello non fa che chiedersi se esista un altro mondo.
Lo so che questa è una domanda che assilla tutti gli uomini fin da quando sono bambini, ma l’improvvisa morte di un amico nel fiore degli anni mi ha portato a riconsiderare la cosa. Possibile che tutto ciò che ho condiviso con Marco sia finito con lui? Che tutto ciò in cui ha creduto e per cui si è battuto sia finito nel nulla e che non vedrà il frutto delle sue battaglie?La cultura cattolica nella quale sono cresciuto afferma con decisione l’esistenza di un altro mondo migliore di questo, ma prove non ce ne sono e vorrei tanto poterci credere.
La pioggia torrenziale dell’autunno mi costringe a ripararmi in un portone.
Cerco di scrollarmi di dosso l’ acqua e, senza volerlo, schizzo un poco altri passanti rifugiatisi sotto quell’androne.
“Signò, state chiù accorto(signore siate più attento)!” Mi rimprovera una voce di dietro.
“Chiedo scusa, non l’ho fatto apposta.”
“Le scuse sono poco”
Già il tempo è brutto, sono bagnato come un pulcino, È quasi mezzogiorno, sono stanco ed affamato, non mi conviene litigare con questi sconosciuti.
L'acqua continua a cadere a fiotti, il mio senso di malessere aumenta anche perché non ho nulla da fare. Con la coda dell'occhio vedo un movimento alle mie spalle e un batuffolo bianco viene a sfiorarmi il pantalone. Accidenti a quei padroni di cani che li portano a spasso con guinzagli lunghi che permettono agli animali di essere più liberi!
Allungo la gamba per scuotermi di dosso l'animale che mi ha preso di mira: non vorrei che mi scambiasse per un albero!
“Signore, è solo un cagnolino!”
Mi giro per osservare le figure dietro di me.
La padrona del cane è solo una vecchia signora che si affanna a riavvolgere il guinzaglio. Poi, stupito, osservo altre due persone: un uomo e una donna con abiti di altri tempi.
Lui sarà sulla cinquantina, ha vivaci occhi scuri e indossa un frac nero illuminato da sparato bianco ed porta un cilindro sul capo.
Lei indossa un abito dalla profonda scollatura, lungo fino ai piedi e rigonfio, con ampie maniche, una collana di perle, i capelli chiari raccolti in una crocchia sul capo. Nel viso paffuto brillano enormi occhi celeste cielo. Davvero graziosa anche se un po’ rotonda.
L'anziana signora non sembra notare nulla di strano, ma la mia curiosità, cui devo il mestiere che faccio, mi induce a rivolgermi ai due signori:
“Scusate, ma tornate da un ballo in maschera?”
La mia domanda sembra cogliere di sorpresa i due.
“Giuvinò, comme ve permettite(giovanotto, come vi permettete)!”
“Signove…….non capisco.”
“Siete vestiti con abiti di altra epoca, pensavo ad un ballo in maschera.”
“Vestito strano site vuje, purtate sta’ funicella ‘ncanna, sta' giacca gonfia e rossa, ma ve site guardato ‘o specchio?(Voi siete vestito strano, portate questa cordicella alla gola, questa giacca gonfia e rossa, ma vi siete guardato allo specchio?)”
Calma, mi dico tra me, non vale la pena arrabbiarsi, però sono curioso di scoprire chi sono i miei interlocutori, mi conviene cercare un espediente per appurarlo.
La signora col cane esce dall'androne quasi trascinata dal cane.
Sul marciapiedi di fronte a noi si riflette la luce dell’insegna di un bar e un odore di cornetti e caffè si diffonde nell’aria.
“Signori, vado a prendere un caffè al bar qui di fronte, volete farmi compagnia?”
“Je vulesse ‘nu caffè e ‘nu cornetto(Io vorrei un caffè ed un cornetto).”
“Cos’è covnetto?”
La voce è gentile e la signora non pronunzia la erre il che la rende più affascinante, deve essere una turista francese.
Mi affretto: “Una specie di brioche, signora, con un ripieno di crema o marmellata.”
Un’esclamazione strozzata proviene dalle mie spalle:
“Bvioche! Oh, non mi pavlate di bvioche!”
La signora è diventata pallida come un cencio, gli occhi sbarrati come avesse visto un fantasma ed il viso contratto in un’espressione di orrore.
“Signora è un dolce buonissimo con il quale in Italia siamo soliti fare la colazione, non deve preoccuparsi.”
“Devo pveoccupavmi, voi non sapete quali pvoblemi ho avuto a causa delle bvioche.”
“Signora, potete sempre prendere qualche altra cosa, una pasta, una cioccolata calda …..o che so io.”
La bionda signora assume un'espressione riflessiva.
L'uomo in frac sembra spazientito: “Signò, approfittammo do’ giuvinotto e del suo paracqua. Tanto, nun veco carrozze e i miei guagliune si pure m’aspettano, pensaranno c’ agge fatte tarde.” (Signora, approfittiamo del giovanotto e del suo ombrello. Tanto non vedo carrozze e i miei ragazzi se pure mi aspettano, penseranno che abbia fatto tardi).
In attesa che la signora si decida, chiedo all'uomo in frac: “Avete dei figli?”
“Giuvinò c’aggjo tanta figlie, ma a tre piccerilli songo molto affezziunato pecchè m’ajutano in teatro” (Giovanotto ho tanti figli, ma a tre piccoli sono molto affezionato perchè mi aiutano in teatro). Fa una lunga pausa, poi prosegue:
“Piccerilli ‘na vota, se so fatte grosse e so’ pure morte (piccoli un tempo, sono diventati grandi e sono morti anche)!
“Come morti?”
“L’anne nun rispettano a nisciuno quanno vene l’ora(gli anni non rispettano nessuno quando viene l'ora).”
Tutto è sempre più strano. Quest’uomo parla dei suoi figli come fossero ancora piccoli e poi mi dice che sono diventati grandi e sono morti.
Riapro l’ombrello e faccio cenno ai due di ripararsi, insieme attraversiamo il breve tratto di strada.
Nel bar ci sono pochi avventori: è tardi per la colazione, un po’ presto per l’aperitivo.
Mentre l’uomo mostra alla signora il contenuto delle vetrine, mi avvicino alla cassa dove il cassiere mi chiede se abbiamo uno spettacolo al vicino teatro.
Questa è un’ipotesi che non mi aveva sfiorato la mente, ma mi sembra possa essere attendibile. I due sconosciuti saranno attori con i costumi di scena pronti per le prove.
La signora sceglie una cioccolata calda ed una sfogliatella riccia, mentre noi uomini optiamo per un cornetto ed un caffè.
Dopo aver effettuato le consumazioni decidiamo di ritornare al portone perché continua la pioggia torrenziale e il bar non offre molto spazio. La signora si pulisce la bocca con il fazzolettino di carta e rimane lì non sapendo cosa farne. Glielo tolgo dalle mani, lo infilo distrattamente in tasca e riapro l’ombrello.
Un poco ristorati riprendiamo i nostri posti sotto l’androne, ma brucio dal desiderio di capire chi sono i due signori. Traggo dalla tasca un biglietto da visita e lo porgo alla signora che lo legge. Lo passa al signore, poi mi chiede:
“Non capisco tvoppo bene l’italiano, mi spiegate cos’è un vedattove?”
“E’ ‘nu giornalista, signò(E' un giornalista, signora).”
“Quello che vende i giovnali?”
“No isso ‘e scrive ‘e giurnale(No, lui li scrive i giornali)!”
“Signor Giancarlo Testa, ora ve pozzo ringrazià (ora vi posso ringraziare) con nome e cognome.”
“Certo, signore, ma io non conosco il vostro nome.”
“Songhe (sono) Eduardo Scarpetta, signore.”
“Mi volete prendere in giro! Se non sbaglio siete morto verso la metà degli anni ’20 e non capisco cosa ci fate a Napoli negli anni 2000.”
“M’anno ritto ca ‘o teatro mio nun c’e stà cchiù(mi hanno detto che il mio teatro non c'è più). Sò turnate pe’ fa schiattà ‘e paura i responsabili(son tornato per far morire di paura i responsabili). Farò “Il fantasma del San Carlino. Aggio (ho) intenzione di agire stasera stessa, ma nun veco nemmanco ‘na carrozza(ma non vedo neanche una carrozza).”
“Signore, mi dite delle cose strane davvero se siete morto e ritornate a vivere con scopi di vendetta.”
“Giuvinò(Giovanotto), scusate, signor Testa, io songhe morte, ma anche da lassù m’ha dato ‘na (una) pena grande vedè (vedere) abbattere il San Carlino.”
La cosa mi intriga, se costui è davvero un fantasma: “Mi sa che anche lassù le cose vanno a rilento perché sono più di cinquant’anni che hanno abbattuto il teatro.”
L’uomo scuote la testa con aria sconcertata ed approfitto del suo silenzio per rivolgermi alla signora che ha ascoltato con l’aria di non comprendere ciò che ci siamo detti:
“Chi è lei, signora?”
“Mavia Antonietta, signove”
“Maria Antonietta come?”
“Maria Antonietta D’Orleans.”
Mi sta prendendo in giro, anche lei si fa beffa di me, non è possibile!
“Ma….siete morta, cosa ci fate a Napoli?”
“I miei guavdiani mi hanno detto che io, abituata alle vegole fin da bimba, dovevo venive in questa città senza vegole per impavave l’avte di viveve.”
“Signò, l’arte di vivere da morta?”
“Si muore, si rinasce, si muore di nuovo…la vita è un circolo e c’è sempre da imparare per migliorarsi.”
“Siete una reincarnata, allora?”
“Solo per pvova, ora. Ma se tovno a nasceve...
“Cosa vorrebbe?”
“La felicità, signore.”
“Pure ‘na vita longa, Signò?”
“Lunga o bveve, non impovta, ma felice, si.”
“Cosa intende per felicità?”
“Guagliò, ma ve pare l’ora e ‘o momento pe’ fa filosofia?”
“Certo che no, signor Eduardo, ma sareste così gentili da dirmi cosa c’è lassù? Da alcune ore il mio cervello non fa che pensare a se esista un altro mondo oltre quello in cui viviamo.”
“Lassù. quaggiù, vi siete fatte propeto (proprio)‘na visione Dantesca, signò. Tutto è un unicum di spazio e tempo dove le cose procedono in contemporanea. Sulla Terra, nel vostro mondo, insomma, siete abituati ad una visione lineare che vi consente di attenuare le angosce, ma non è così.
“Spiegatemi meglio, per favore.”
“Ma non capite? Eppure è facile. Guardate come un neonato sa attaccarsi al seno della madre. Se è per definizione un nuovo essere, come potrebbe sapere? Chi gli dà quella conoscenza?”
“Siamo abituati a dire che è l’istinto.”
Già... quando non si sa, si dice l’istinto, la natura o qualche altra fesseria del genere. No, non è istinto, è esperienza.
“Allora, signor Eduardo, voi sostenete che i morti non sono morti?”
“A volte capita come alla regina Maria Antonietta di reincarnarsi, ma a volte non si è coscienti di vivere esperienze parallele finché un senso di struggimento non ci convince che c’è qualcosa di meraviglioso che non arriviamo a comprendere, un senso di unità cui abbiamo fatto a meno, o meglio, cui dobbiamo fare a meno per la nostra ignoranza.”
“Allora il mio amico Marco sta vivendo quell’esperienza di unità di cui mi parlate?”
“Di sicuro, giuvinò. Quando si sarà abituato, poi, potrà tornare per portare a termine la sua opera in quest’epoca.”
“Signovi è spiovuto, devo mettevmi in moto per osservave ed appvendeve, vi auguro una buona giovnata.” Rapida la signora sguscia fuori dall’androne e scompare dietro l’angolo. Per cercarla con lo sguardo mi sono affacciato fuori dal portone, mi giro per parlare con Scarpetta e mi accoglie un androne vuoto.
Scuoto la testa per schiarirmi le idee. Devo aver immaginato tutto. Il mio cervello ossessionato dalla morte di Marco deve avermi giocato questo brutto scherzo. Comunque mi sento ristorato e pieno di energia, impugno l’ombrello e mi avvio, poi con fare distratto metto una mano in tasca e la mia mano tira fuori il fazzolettino di carta datomi da Maria Antonietta.
FINE
Mariella Ricciardi
INCONTRI
Stamani mi sono svegliato di malumore: piove e già questo non è un motivo di allegria. Poi da ieri il cervello non fa che chiedersi se esista un altro mondo.
Lo so che questa è una domanda che assilla tutti gli uomini fin da quando sono bambini, ma l’improvvisa morte di un amico nel fiore degli anni mi ha portato a riconsiderare la cosa. Possibile che tutto ciò che ho condiviso con Marco sia finito con lui? Che tutto ciò in cui ha creduto e per cui si è battuto sia finito nel nulla e che non vedrà il frutto delle sue battaglie?La cultura cattolica nella quale sono cresciuto afferma con decisione l’esistenza di un altro mondo migliore di questo, ma prove non ce ne sono e vorrei tanto poterci credere.
La pioggia torrenziale dell’autunno mi costringe a ripararmi in un portone.
Cerco di scrollarmi di dosso l’ acqua e, senza volerlo, schizzo un poco altri passanti rifugiatisi sotto quell’androne.
“Signò, state chiù accorto(signore siate più attento)!” Mi rimprovera una voce di dietro.
“Chiedo scusa, non l’ho fatto apposta.”
“Le scuse sono poco”
Maurizio in tono ironico
“Vuole che gliele chieda in ginocchio?”
Dal fondo dell'androne si fa avanti un uomo sulla cinquantina. Ha vivaci occhi scuri e indossa un frac nero illuminato dallo sparato bianco e porta un cilindro sul capo.
Un lampo illumina la figura alle spalle dell'uomo.
Una donna che indossa un abito dalla profonda scollatura, lungo fino ai piedi e rigonfio, con ampie maniche, una collana di perle, i capelli chiari raccolti in una crocchia sul capo. Nel viso paffuto brillano enormi occhi celeste cielo. Davvero graziosa anche se un po’ rotonda.
Maurizio stupito: Scusate, ma tornate da un ballo in maschera?
La mia domanda sembra cogliere di sorpresa i due.
L'uomo in frack: Giuvinò, comme ve permettite
La signora dall'abito lungo: Signove…….non capisco.
Maurizio: Siete vestiti con abiti di altra epoca, pensavo ad un ballo in maschera.
L'uomo in frack:Vestito strano site vuje, purtate sta’ funicella ‘ncanna, sta' giacca gonfia e rossa, ma ve site guardato ‘o specchio?
***
Sul marciapiedi di fronte a noi si riflette la luce dell’insegna di un bar e un odore di cornetti e caffè si diffonde nell’aria.
“Signori, vado a prendere un caffè al bar qui di fronte, volete farmi compagnia?”
“Je vulesse ‘nu caffè e ‘nu cornetto(Io vorrei un caffè ed un cornetto).”
“Cos’è covnetto?”
La voce è gentile e la signora non pronunzia la erre il che la rende più affascinante, deve essere una turista francese.
Mi affretto: “Una specie di brioche, signora, con un ripieno di crema o marmellata.”
Un’esclamazione strozzata proviene dalle mie spalle:
“Bvioche! Oh, non mi pavlate di bvioche!”
La signora è diventata pallida come un cencio, gli occhi sbarrati come avesse visto un fantasma ed il viso contratto in un’espressione di orrore.
“Signora è un dolce buonissimo con il quale in Italia siamo soliti fare la colazione, non deve preoccuparsi.”
“Devo pveoccupavmi, voi non sapete quali pvoblemi ho avuto a causa delle bvioche.”
“Signora, potete sempre prendere qualche altra cosa, una pasta, una cioccolata calda …..o che so io.”
La bionda signora assume un'espressione riflessiva.
L'uomo in frac sembra spazientito: “Signò, approfittammo do’ giuvinotto e del suo paracqua. Tanto, nun veco carrozze e i miei guagliune si pure m’aspettano, pensaranno c’ agge fatte tarde.” (Signora, approfittiamo del giovanotto e del suo ombrello. Tanto non vedo carrozze e i miei ragazzi se pure mi aspettano, penseranno che abbia fatto tardi).
In attesa che la signora si decida, chiedo all'uomo in frac: “Avete dei figli?”
“Giuvinò c’aggjo tanta figlie, ma a tre piccerilli songo molto affezziunato pecchè m’ajutano in teatro” (Giovanotto ho tanti figli, ma a tre piccoli sono molto affezionato perchè mi aiutano in teatro). Fa una lunga pausa, poi prosegue:
“Piccerilli ‘na vota, se so fatte grosse e so’ pure morte (piccoli un tempo, sono diventati grandi e sono morti anche)!
“Come morti?”
“L’anne nun rispettano a nisciuno quanno vene l’ora(gli anni non rispettano nessuno quando viene l'ora).”
Tutto è sempre più strano. Quest’uomo parla dei suoi figli come fossero ancora piccoli e poi mi dice che sono diventati grandi e sono morti.
Riapro l’ombrello e faccio cenno ai due di ripararsi, insieme attraversiamo il breve tratto di strada.
Nel bar ci sono pochi avventori: è tardi per la colazione, un po’ presto per l’aperitivo.
Mentre l’uomo mostra alla signora il contenuto delle vetrine, mi avvicino alla cassa dove il cassiere mi chiede se abbiamo uno spettacolo al vicino teatro.
Questa è un’ipotesi che non mi aveva sfiorato la mente, ma mi sembra possa essere attendibile. I due sconosciuti saranno attori con i costumi di scena pronti per le prove.
La signora sceglie una cioccolata calda ed una sfogliatella riccia, mentre noi uomini optiamo per un cornetto ed un caffè.
Dopo aver effettuato le consumazioni decidiamo di ritornare al portone perché continua la pioggia torrenziale e il bar non offre molto spazio. La signora si pulisce la bocca con il fazzolettino di carta e rimane lì non sapendo cosa farne. Glielo tolgo dalle mani, lo infilo distrattamente in tasca e riapro l’ombrello.
Un poco ristorati riprendiamo i nostri posti sotto l’androne, ma brucio dal desiderio di capire chi sono i due signori. Traggo dalla tasca un biglietto da visita e lo porgo alla signora che lo legge. Lo passa al signore, poi mi chiede:
“Non capisco tvoppo bene l’italiano, mi spiegate cos’è un vedattove?”
“E’ ‘nu giornalista, signò(E' un giornalista, signora).”
“Quello che vende i giovnali?”
“No isso ‘e scrive ‘e giurnale(No, lui li scrive i giornali)!”
“Signor Giancarlo Testa, ora ve pozzo ringrazià (ora vi posso ringraziare) con nome e cognome.”
“Certo, signore, ma io non conosco il vostro nome.”
“Songhe (sono) Eduardo Scarpetta, signore.”
“Mi volete prendere in giro! Se non sbaglio siete morto verso la metà degli anni ’20 e non capisco cosa ci fate a Napoli negli anni 2000.”
“M’anno ritto ca ‘o teatro mio nun c’e stà cchiù(mi hanno detto che il mio teatro non c'è più). Sò turnate pe’ fa schiattà ‘e paura i responsabili(son tornato per far morire di paura i responsabili). Farò “Il fantasma del San Carlino. Aggio (ho) intenzione di agire stasera stessa, ma nun veco nemmanco ‘na carrozza(ma non vedo neanche una carrozza).”
“Signore, mi dite delle cose strane davvero se siete morto e ritornate a vivere con scopi di vendetta.”
“Giuvinò(Giovanotto), scusate, signor Testa, io songhe morte, ma anche da lassù m’ha dato ‘na (una) pena grande vedè (vedere) abbattere il San Carlino.”
La cosa mi intriga, se costui è davvero un fantasma: “Mi sa che anche lassù le cose vanno a rilento perché sono più di cinquant’anni che hanno abbattuto il teatro.”
L’uomo scuote la testa con aria sconcertata ed approfitto del suo silenzio per rivolgermi alla signora che ha ascoltato con l’aria di non comprendere ciò che ci siamo detti:
“Chi è lei, signora?”
“Mavia Antonietta, signove”
“Maria Antonietta come?”
“Maria Antonietta D’Orleans.”
Mi sta prendendo in giro, anche lei si fa beffa di me, non è possibile!
“Ma….siete morta, cosa ci fate a Napoli?”
“I miei guavdiani mi hanno detto che io, abituata alle vegole fin da bimba, dovevo venive in questa città senza vegole per impavave l’avte di viveve.”
“Signò, l’arte di vivere da morta?”
“Si muore, si rinasce, si muore di nuovo…la vita è un circolo e c’è sempre da imparare per migliorarsi.”
“Siete una reincarnata, allora?”
“Solo per pvova, ora. Ma se tovno a nasceve...
“Cosa vorrebbe?”
“La felicità, signore.”
“Pure ‘na vita longa, Signò?”
“Lunga o bveve, non impovta, ma felice, si.”
“Cosa intende per felicità?”
“Guagliò, ma ve pare l’ora e ‘o momento pe’ fa filosofia?”
“Certo che no, signor Eduardo, ma sareste così gentili da dirmi cosa c’è lassù? Da alcune ore il mio cervello non fa che pensare a se esista un altro mondo oltre quello in cui viviamo.”
“Lassù. quaggiù, vi siete fatte propeto (proprio)‘na visione Dantesca, signò. Tutto è un unicum di spazio e tempo dove le cose procedono in contemporanea. Sulla Terra, nel vostro mondo, insomma, siete abituati ad una visione lineare che vi consente di attenuare le angosce, ma non è così.
“Spiegatemi meglio, per favore.”
“Ma non capite? Eppure è facile. Guardate come un neonato sa attaccarsi al seno della madre. Se è per definizione un nuovo essere, come potrebbe sapere? Chi gli dà quella conoscenza?”
“Siamo abituati a dire che è l’istinto.”
Già... quando non si sa, si dice l’istinto, la natura o qualche altra fesseria del genere. No, non è istinto, è esperienza.
“Allora, signor Eduardo, voi sostenete che i morti non sono morti?”
“A volte capita come alla regina Maria Antonietta di reincarnarsi, ma a volte non si è coscienti di vivere esperienze parallele finché un senso di struggimento non ci convince che c’è qualcosa di meraviglioso che non arriviamo a comprendere, un senso di unità cui abbiamo fatto a meno, o meglio, di cui dobbiamo fare a meno per la nostra ignoranza.”
“Allora il mio amico Marco sta vivendo quell’esperienza di unità di cui mi parlate?”
“Di sicuro, giuvinò. Quando si sarà abituato, poi, potrà tornare per portare a termine la sua opera in quest’epoca.”
“Signovi è spiovuto, devo mettevmi in moto per osservave ed appvendeve, vi auguro una buona giovnata.” Rapida la signora sguscia fuori dall’androne e scompare dietro l’angolo. Per cercarla con lo sguardo mi sono affacciato fuori dal portone, mi giro per parlare con Scarpetta e mi accoglie un androne vuoto.
Scuoto la testa per schiarirmi le idee. Devo aver immaginato tutto. Il mio cervello ossessionato dalla morte di Marco deve avermi giocato questo brutto scherzo. Comunque mi sento ristorato e pieno di energia, impugno l’ombrello e mi avvio, poi con fare distratto metto una mano in tasca e la mia mano tira fuori il fazzolettino di carta datomi da Maria Antonietta.
FINE
Mariella Ricciardi
INCONTRI
Stamani mi sono svegliato di malumore: piove e già questo non è un motivo di allegria. Poi da ieri il cervello non fa che chiedersi se esista un altro mondo.
Lo so che questa è una domanda che assilla tutti gli uomini fin da quando sono bambini, ma l’improvvisa morte di un amico nel fiore degli anni mi ha portato a riconsiderare la cosa. Possibile che tutto ciò che ho condiviso con Marco sia finito con lui? Che tutto ciò in cui ha creduto e per cui si è battuto sia finito nel nulla e che non vedrà il frutto delle sue battaglie?La cultura cattolica nella quale sono cresciuto afferma con decisione l’esistenza di un altro mondo migliore di questo, ma prove non ce ne sono e vorrei tanto poterci credere.
La pioggia torrenziale dell’autunno mi costringe a ripararmi in un portone.
Cerco di scrollarmi di dosso l’ acqua e, senza volerlo, schizzo un poco altri passanti rifugiatisi sotto quell’androne.
“Signò, state chiù accorto(signore siate più attento)!” Mi rimprovera una voce di dietro.
“Chiedo scusa, non l’ho fatto apposta.”
“Le scuse sono poco”
Maurizio in tono ironico
“Vuole che gliele chieda in ginocchio?”
Dal fondo dell'androne si fa avanti un uomo sulla cinquantina. Ha vivaci occhi scuri e indossa un frac nero illuminato dallo sparato bianco e porta un cilindro sul capo.
Un lampo illumina la figura alle spalle dell'uomo.
Una donna che indossa un abito dalla profonda scollatura, lungo fino ai piedi e rigonfio, con ampie maniche, una collana di perle, i capelli chiari raccolti in una crocchia sul capo. Nel viso paffuto brillano enormi occhi celeste cielo. Davvero graziosa anche se un po’ rotonda.
Maurizio stupito: Scusate, ma tornate da un ballo in maschera?
La mia domanda sembra cogliere di sorpresa i due.
L'uomo in frack: Giuvinò, comme ve permettite
La signora dall'abito lungo: Signove…….non capisco.
Maurizio: Siete vestiti con abiti di altra epoca, pensavo ad un ballo in maschera.
L'uomo in frack:Vestito strano site vuje, purtate sta’ funicella ‘ncanna, sta' giacca gonfia e rossa, ma ve site guardato ‘o specchio?
***
Sul marciapiedi di fronte a noi si riflette la luce dell’insegna di un bar e un odore di cornetti e caffè si diffonde nell’aria.
“Signori, vado a prendere un caffè al bar qui di fronte, volete farmi compagnia?”
“Je vulesse ‘nu caffè e ‘nu cornetto(Io vorrei un caffè ed un cornetto).”
“Cos’è covnetto?”
La voce è gentile e la signora non pronunzia la erre il che la rende più affascinante, deve essere una turista francese.
Mi affretto: “Una specie di brioche, signora, con un ripieno di crema o marmellata.”
Un’esclamazione strozzata proviene dalle mie spalle:
“Bvioche! Oh, non mi pavlate di bvioche!”
La signora è diventata pallida come un cencio, gli occhi sbarrati come avesse visto un fantasma ed il viso contratto in un’espressione di orrore.
“Signora è un dolce buonissimo con il quale in Italia siamo soliti fare la colazione, non deve preoccuparsi.”
“Devo pveoccupavmi, voi non sapete quali pvoblemi ho avuto a causa delle bvioche.”
“Signora, potete sempre prendere qualche altra cosa, una pasta, una cioccolata calda …..o che so io.”
La bionda signora assume un'espressione riflessiva.
L'uomo in frac sembra spazientito: “Signò, approfittammo do’ giuvinotto e del suo paracqua. Tanto, nun veco carrozze e i miei guagliune si pure m’aspettano, pensaranno c’ agge fatte tarde.” (Signora, approfittiamo del giovanotto e del suo ombrello. Tanto non vedo carrozze e i miei ragazzi se pure mi aspettano, penseranno che abbia fatto tardi).
In attesa che la signora si decida, chiedo all'uomo in frac: “Avete dei figli?”
“Giuvinò c’aggjo tanta figlie, ma a tre piccerilli songo molto affezziunato pecchè m’ajutano in teatro” (Giovanotto ho tanti figli, ma a tre piccoli sono molto affezionato perchè mi aiutano in teatro). Fa una lunga pausa, poi prosegue:
“Piccerilli ‘na vota, se so fatte grosse e so’ pure morte (piccoli un tempo, sono diventati grandi e sono morti anche)!
“Come morti?”
“L’anne nun rispettano a nisciuno quanno vene l’ora(gli anni non rispettano nessuno quando viene l'ora).”
Tutto è sempre più strano. Quest’uomo parla dei suoi figli come fossero ancora piccoli e poi mi dice che sono diventati grandi e sono morti.
Riapro l’ombrello e faccio cenno ai due di ripararsi, insieme attraversiamo il breve tratto di strada.
Nel bar ci sono pochi avventori: è tardi per la colazione, un po’ presto per l’aperitivo.
Mentre l’uomo mostra alla signora il contenuto delle vetrine, mi avvicino alla cassa dove il cassiere mi chiede se abbiamo uno spettacolo al vicino teatro.
Questa è un’ipotesi che non mi aveva sfiorato la mente, ma mi sembra possa essere attendibile. I due sconosciuti saranno attori con i costumi di scena pronti per le prove.
La signora sceglie una cioccolata calda ed una sfogliatella riccia, mentre noi uomini optiamo per un cornetto ed un caffè.
Dopo aver effettuato le consumazioni decidiamo di ritornare al portone perché continua la pioggia torrenziale e il bar non offre molto spazio. La signora si pulisce la bocca con il fazzolettino di carta e rimane lì non sapendo cosa farne. Glielo tolgo dalle mani, lo infilo distrattamente in tasca e riapro l’ombrello.
Un poco ristorati riprendiamo i nostri posti sotto l’androne, ma brucio dal desiderio di capire chi sono i due signori. Traggo dalla tasca un biglietto da visita e lo porgo alla signora che lo legge. Lo passa al signore, poi mi chiede:
“Non capisco tvoppo bene l’italiano, mi spiegate cos’è un vedattove?”
“E’ ‘nu giornalista, signò(E' un giornalista, signora).”
“Quello che vende i giovnali?”
“No isso ‘e scrive ‘e giurnale(No, lui li scrive i giornali)!”
“Signor Giancarlo Testa, ora ve pozzo ringrazià (ora vi posso ringraziare) con nome e cognome.”
“Certo, signore, ma io non conosco il vostro nome.”
“Songhe (sono) Eduardo Scarpetta, signore.”
“Mi volete prendere in giro! Se non sbaglio siete morto verso la metà degli anni ’20 e non capisco cosa ci fate a Napoli negli anni 2000.”
“M’anno ritto ca ‘o teatro mio nun c’e stà cchiù(mi hanno detto che il mio teatro non c'è più). Sò turnate pe’ fa schiattà ‘e paura i responsabili(son tornato per far morire di paura i responsabili). Farò “Il fantasma del San Carlino. Aggio (ho) intenzione di agire stasera stessa, ma nun veco nemmanco ‘na carrozza(ma non vedo neanche una carrozza).”
“Signore, mi dite delle cose strane davvero se siete morto e ritornate a vivere con scopi di vendetta.”
“Giuvinò(Giovanotto), scusate, signor Testa, io songhe morte, ma anche da lassù m’ha dato ‘na (una) pena grande vedè (vedere) abbattere il San Carlino.”
La cosa mi intriga, se costui è davvero un fantasma: “Mi sa che anche lassù le cose vanno a rilento perché sono più di cinquant’anni che hanno abbattuto il teatro.”
L’uomo scuote la testa con aria sconcertata ed approfitto del suo silenzio per rivolgermi alla signora che ha ascoltato con l’aria di non comprendere ciò che ci siamo detti:
“Chi è lei, signora?”
“Mavia Antonietta, signove”
“Maria Antonietta come?”
“Maria Antonietta D’Orleans.”
Mi sta prendendo in giro, anche lei si fa beffa di me, non è possibile!
“Ma….siete morta, cosa ci fate a Napoli?”
“I miei guavdiani mi hanno detto che io, abituata alle vegole fin da bimba, dovevo venive in questa città senza vegole per impavave l’avte di viveve.”
“Signò, l’arte di vivere da morta?”
“Si muore, si rinasce, si muore di nuovo…la vita è un circolo e c’è sempre da imparare per migliorarsi.”
“Siete una reincarnata, allora?”
“Solo per pvova, ora. Ma se tovno a nasceve...
“Cosa vorrebbe?”
“La felicità, signore.”
“Pure ‘na vita longa, Signò?”
“Lunga o bveve, non impovta, ma felice, si.”
“Cosa intende per felicità?”
“Guagliò, ma ve pare l’ora e ‘o momento pe’ fa filosofia?”
“Certo che no, signor Eduardo, ma sareste così gentili da dirmi cosa c’è lassù? Da alcune ore il mio cervello non fa che pensare a se esista un altro mondo oltre quello in cui viviamo.”
“Lassù. quaggiù, vi siete fatte propeto (proprio)‘na visione Dantesca, signò. Tutto è un unicum di spazio e tempo dove le cose procedono in contemporanea. Sulla Terra, nel vostro mondo, insomma, siete abituati ad una visione lineare che vi consente di attenuare le angosce, ma non è così.
“Spiegatemi meglio, per favore.”
“Ma non capite? Eppure è facile. Guardate come un neonato sa attaccarsi al seno della madre. Se è per definizione un nuovo essere, come potrebbe sapere? Chi gli dà quella conoscenza?”
“Siamo abituati a dire che è l’istinto.”
Già... quando non si sa, si dice l’istinto, la natura o qualche altra fesseria del genere. No, non è istinto, è esperienza.
“Allora, signor Eduardo, voi sostenete che i morti non sono morti?”
“A volte capita come alla regina Maria Antonietta di reincarnarsi, ma a volte non si è coscienti di vivere esperienze parallele finché un senso di struggimento non ci convince che c’è qualcosa di meraviglioso che non arriviamo a comprendere, un senso di unità cui abbiamo fatto a meno, o meglio, di cui dobbiamo fare a meno per la nostra ignoranza.”
“Allora il mio amico Marco sta vivendo quell’esperienza di unità di cui mi parlate?”
“Di sicuro, giuvinò. Quando si sarà abituato, poi, potrà tornare per portare a termine la sua opera in quest’epoca.”
“Signovi è spiovuto, devo mettevmi in moto per osservave ed appvendeve, vi auguro una buona giovnata.” Rapida la signora sguscia fuori dall’androne e scompare dietro l’angolo. Per cercarla con lo sguardo mi sono affacciato fuori dal portone, mi giro per parlare con Scarpetta e mi accoglie un androne vuoto.
Scuoto la testa per schiarirmi le idee. Devo aver immaginato tutto. Il mio cervello ossessionato dalla morte di Marco deve avermi giocato questo brutto scherzo. Comunque mi sento ristorato e pieno di energia, impugno l’ombrello e mi avvio, poi con fare distratto metto una mano in tasca e la mia mano tira fuori il fazzolettino di carta datomi da Maria Antonietta.
FINE
Mariella Ricciardi