Medieval 2 Total War
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L'impero del Mediterraneo

Ultimo Aggiornamento: 27/09/2015 01:12
25/09/2015 23:28
 
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Il verme
Leon 1180
Il verme entrò nella caserma del suo ordine. Erano passati tre anni da quando i mori avevano preso Toledo. Di questo periodo ormai rimaneva solo una scia di infinito dolore. Il generale dei mori l'aveva precipitato da un abisso di dolore all'altro, una infernale discesa in cui tutto ciò che lo rendeva uomo era scomparso.
Ricordava a sprazzi le torture subite a Toledo, eppure bastava abbassare lo sguardo sul suo corpo per sapere tutto.
I piedi erano ridotti a masse informe di ossa troppe volte spezzate e saldate malamente, il ginocchio destro aveva definitivamente assunto un angolo impossibile, mentre i femori affioravano sotto la pelle diafana e sottile delle cosce. Ogni volta che doveva urinare era costretto a guardare lo scempio della sua virilità, ridotta a un semplice moncherino. Aveva perso da tempo il conto delle volte che era stato violentato dalla feccia che risiedeva nelle prigioni delle città conquistate. Il torace era un affresco di un pittore impazzito: i lividi dei calci e dei colpi subiti disegnavano ampie zone colorate, dal blu dei colpi recenti al verdino delle botte più vecchie. Ogni respiro gli costava enorme fatica e dolore, quando tossiva le costole spezzate lanciavano brucianti frustate di sofferenza al suo cervello. Le braccia e le mani erano ridotte peggio delle gambe. Lo avevano sfregiato con coltelli affilati, amputandogli le orecchie, il naso e la lingua. L'occhio destro era sparito da tempo e gli avevano scuoiato il cranio.
Più volte aveva respirato sangue, ogni volta aveva pregato ogni dio possibile di ucciderlo e far terminare il tormento. Ogni volta quel dio aveva ascoltato impassibile, aveva ignorato suppliche e minacce. Ormai era convinto che il suo dio fosse diventato Abu Has Umar Al-Hargai, l'uomo che faceva cessare le torture quando era troppo vicino alla morte. L'uomo che le faceva ripartire quando si era ristabilito.
I suoi aguzzini gli avevano lasciato un occhio e si erano premurati di conservargli l'udito: doveva vedere e sentire l'enorme pietà, la repulsione e la compassione che suscitava quando veniva esposto nelle piazze, dove veniva frustato e le ferite venivano ricoperte di sale o di alcool. Ogni volta si prometteva di non gridare e ogni volta le sue urla superavano la soglia dell'umano, diventavano sempre più animalesche.
I momenti più duri venivano però quando l'esercito espugnava una roccaforte del suo ordine: i cavalieri di Alcantara.
Le scene che si aprivano ai suoi occhi erano sufficienti a provocare incubi per l'eternità. Aveva visto i suoi confratelli impiccati per i testicoli e lasciato morire dissanguati. Venivano sventrati, le budella legate a un palo e obbligati a correre in tondo fino a srotolare tutti gli intestini. Uomini crocefissi a testa in giù, appesi al soffitto e fatti cuocere dentro l'armatura da fuochi accesi sotto. I viali di ingresso mostravano i corpi degli uomini più giovani impalati. L'odio e il dolore per la morte della figlia si erano riversati sull'ordine.
Un mese prima il suo cuore aveva fatto un salto: il suo rei si era mosso con quasi ventimila uomini. Sapeva che la maggior parte sarebbero stati miliziani ma soverchiavano l'esercito dei mori di quasi quattro volte. Eppure i mori avevano attaccato di notte l'ala sinistra dell'esercito annientandola e neppure l'arrivo del rei al comando del centro aveva recuperato la situazione. L'intera ala destra, cinquemila soldati non era proprio entrata in battaglia e si era data alla fuga la mattina seguente. Ora l'esercito era entrato nella capitale del regno castigliano, difesa da un pugno di mercenari e aveva ucciso il suo rei. Aveva saputo che un'altra armata, guidata da Mahjoub Al-Hargai, aveva conquistato Santiago ed ora si stava ricongiungendo con i suoi carcerieri.
Questa volta le caserme dell'ordine erano vuote, nessun uomo agonizzante e orrendamente mutilato lo stava accogliendo. Non riusciva a credere che la furia di Abu Has Umar si fosse placata, ma così pareva.
Poi entrò nel campo delle esercitazioni e qui si bloccò, incapace di muoversi, dimentico per la prima volta del dolore delle costole rotte, delle ferite sulla schiena.
Un grosso trono era posizionato al centro, retto da un'intelaiatura di lance su cui erano impalati decine di corpi, tutti castrati, accecati da lame incandescenti e sventrati, le cui budella erano servite a legare il tutto.
Un brutale colpo alla schiena lo risvegliò, strappandogli un grido di dolore.
"Volevi mia figlia? Io ti offro di meglio, un regno. E questo è il tuo trono" Abu Has Umar pronunciò una serie di ordini in arabo che il verme non capì.
Poi venne preso e legato a un palo. A questo punto due uomini iniziarono a eseguire ampi tagli con affilati coltelli dalla lama ricurva e a strappare grandi lembi di pelle.
Le frustate di dolore superavano tutto quello provato fino a quel momento, ogni volta che perdeva i sensi veniva fatto riprendere con grandi secchiate d'acqua. Quando l'ultimo lembo di pelle venne strappato dal suo corpo nudo era ormai ridotto a un ammasso di carne sanguinolenta, le mente devastata dal dolore.
Venne preso e posato sul trono, macabro re di un regno di pazzia e di dolore.
Umar uscì senza più degnare di uno sguardo l'orrendo manichino sul trono.
I due scuoiatori versarono grandi otri di olio da lampade sul trono e incendiarono tutto...



La morte verrà all'improvviso
avrà le tue labbra ed i tuoi occhi
ti coprirà di un velo bianco
addormentandosi al tuo fianco
nell'ozio nel sonno in battaglia
verrà senza darti avvisaglia
la morte va a colpo sicuro
non suona il corno nè il tamburo
[...]
Guerriero che in punta di lancia
dal suolo d'oriente alla francia
di stragi menasti gran vanto
e tra i nemici il lutto e il pianto
di fronte all'estrema nemica
non vale coraggio o fatica
non serve colpirla nel cuore
perché la morte mai non muore
non serve colpirla nel cuore
perché la morte mai non muore
"la morte" Faber


cavalieri che in battaglia ignorate la paura
stretta sia la vostra maglia
ben temprata l'armatura
al nemico che vi assalta
siate presti a dar risposta
perché dietro quelle mura vi si attende senza sosta
"fila la lana" Faber
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