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Mary

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2015 21:31
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Ispirata alla canzone "Mary" dei Gemelli Diversi


Ogni giorno è una tortura, per me.
Non credo di riuscire ad andare avanti così.
Il sorriso mi ha abbandonato, lasciando sul mio viso solo un’ombra indistinta, uno spettro della mia felicità passata, che so non potrà più tornare.
Oggi, però, credo che tutto cambierà.
Farò in modo che ciò avvenga.
Riempio lo zaino con poche cose, il diario nei cui fogli nascondo i ricordi che mi hanno sporcato la vita, qualche vestito, e me ne vado.
Parto, mi metto in viaggio nella notte scura, infreddolita.
Mi stringo al corpo le esili braccia che terminano con i polsi segnati dagli anni chiusa in una prigione, nel vano tentativo di scaldarmi, almeno un po’, ma niente è in grado di sciogliere la cortina di ghiaccio che mi pesa sul cuore come un macigno insostenibile.
Scappo, correndo nel buio della ferrovia, per lasciarmi alle spalle anni di abusi osceni che mi hanno distrutto l’infanzia.
Non ho lasciato alcuna lettera di spiegazione per il mio gesto.
Mia madre non la merita.
Lei, che ha sempre saputo tutto e non ha mai fatto niente.
È stata zitta, senza neanche cercare di impedire a quella bestia di portarsi via la mia vita.
Non ho salutato nessuno, tranne Francesco, il mio migliore amico.
Non gli ho detto poi molto riguardo a dove andrò e cosa farò, l’ho solo abbracciato e gli ho sussurrato che sarei tornata, un giorno.
Ci credo davvero.
Non so quando, ma sono sicura che arriverà il momento giusto, lo capirò dalla mancanza di gocce di dolore sul mio viso e nel mio corpo, quel dolore che ad oggi mi sta frantumando in mille piccoli pezzi affilati, che mi feriscono e fanno sanguinare in me un torrente di caldo liquido scarlatto di sofferenza.
Corro, nella ferrovia, con le lacrime che mi scorrono lungo le guance e si perdono nell’aria estiva.
Me le lascio alle spalle, così come voglio fare con quel mondo sporco che ho scoperto troppo presto.
Troverò qualche motivo per ricominciare a vivere, fuori di qui.
Cercherò sorrisi sinceri, oltre le mura di questa città.
E riuscirò a crescere.



Francesco corse a casa di Mary, ed arrivò al portone senza più fiato.
Quando la ragazza, quella stessa mattina, lo aveva abbracciato e gli aveva mormorato nell’orecchio “tornerò”, lui non aveva capito cosa intendesse dire, e non ci aveva pensato poi più molto.
Nel pomeriggio, però, aveva provato a chiamarla, a contattarla, ma al suo cellulare non rispondeva nessuno.
Si era preoccupato e spaventato, allora, perché forse aveva un’idea del senso delle parole dell’amica.
Avesse avuto il suo numero di casa avrebbe chiamato anche lì, ma siccome non ne era in possesso non aveva potuto fare altro che correre a perdifiato fin sull’uscio della sua abitazione.
Poco gli importava che fosse notte, che i genitori – sempre che quelli si potessero chiamare così – stessero dormendo, incuranti come sempre della vita della figlia.
Lui doveva sapere.
Suonò il campanello, tenendo premuto il dito sul citofono fino ad avere un crampo.
Qualcuno aprì, senza neanche chiedere chi fosse o affacciarsi alla piccola finestra.
Francesco salì le scale a due a due, incurante del rumore che provocava e della possibilità di svegliare i vicini.
Una volta entrato come un furia nel modesto soggiorno in cui tante volte lo aveva condotto Mary, quasi inciampò su una figura esile accovacciata per terra.
< Cosa.. cosa è successo? Dov’è Mary? >, domandò il ragazzo, avendo paura di conoscere la risposta.
< Se n’è andata. È scappata >, mormorò la madre, senza alzarsi dal freddo pavimento su cui era rannicchiata in posizione fetale.
< No… >, sussurrò Francesco, sconvolto.
Poi, scavalcandola con un sol balzo, si diresse nella camera dell’amica.
Tutte le cose erano al loro posto.
< Deve essere partita con il minimo necessario >, mormorò tra sé il giovane, con le lacrime agli occhi.
Qualcosa di colpo attirò il suo sguardo reso appannato dal pianto incessante.
Un foglio era gettato a terra, stropicciato.
Francesco lo raccolse, tremante.
Si accorse che era una pagina di diario strappata con furia.
E su di essa c’era solo una scritta, con l’inchiostro sbavato a causa probabilmente della lacrime versate su di essa.
La lesse, con un tuffo al cuore.
“Quella bestia non è mio papà.”
Francesco sorrise.
Era contento, ora, che l’amica se ne fosse andata.
Lontano, via da quella triste esistenza che non le aveva portato mai nient’altro che sofferenze e paure.
Lontano dagli abusi osceni del padre.
Lontano dal silenzio impaurito della madre.
Pronta a cambiare vita.
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02/02/2015 21:31
 
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Tocchi un tema delicatissimo e purtroppo ancora attuale ,
in una societa' piena ancora di persone a dir poco disturbate .
Chi non c'entra nulla diventa una vittima di un carnefice ,
se poi scappa e si riprende da questo danno non solo fisico , ma soprattutto psichico , compie gia' un miracolo .

Brava per il coraggio del tema che hai scelto .


...

Simone Corrieri
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