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[TEMPIO] "Non sarò mai un Bastone"

Ultimo Aggiornamento: 08/08/2014 17:45
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Sesso: Femminile
08/08/2014 17:45

Hivtur, Irisyan


RIASSUNTO



Hivtur, dopo esser uscita dalla sua camera al Tempio, oltrepassato
la Nicchia di Rhiannon, si ritrova nei giardini esterni con Irisyan.
Lei oggi non ha l' Argento vivo addosso,
però la conoscenza tra le due avviene,
ovviamente dopo il primo spavento della piccola nel mirare l'immagine dell'altra.
Tutta nuova per la bambina.
Le parole correranno lente, passando alla fine sul Bastone del Corvo.



COMMENTO

Una giocata molto molto carina, ringrazio la bravissima player di Hivtur [SM=g27822]


...



{ Tempio, Giardini esterni... }




HIVTUR  { Stanza ospiti > Navata centrale } L'inserviente l'ha accompagnata in una stanza spaziosa, che profuma di pulito. Ha spiegato che è una delle camere riservate agli ospiti del Tempio e può restare finché le Sacerdotesse decideranno altrimenti. Non se l'è fatto ripetere due volte e, appena Ròis l'ha lasciata sola, è sprofondata sul materasso, tra lenzuola appena lavate che presto sono diventate color terra - un bagno proprio non vuole farlo, come la bambina che più non è. Per una frazione di secondo l'impressione, addirittura gradevole, è stata quella di star annegando in un abisso di stoffa. Per tutta la notte è rimasta sveglia, con un occhio vigile e l'altro avvolto da uno dei soliti incubi. Buffo sapere che in quei brutti sogni, però, c'è la persona a lei più cara, suo padre: può vedere il suo volto sciupato con carta bagnata e le palpebre dipinte di nero. Come dimenticarlo? Come dimenticare il sangue? E i rantolii. E l'uomo che lei stessa ha massacrato. Non si può. Soprattutto, non potrebbe una ragazzina. Dopo solo un silenzio assurdo, e il gracchiare lontano di una mezza dozzina di corvi, quegli animali tanto ammirati, quasi si sentisse una di loro, ancor prima che umana. Dietro le iridi grigio pioggia è uno stillicidio di ricordi. Lentamente si alza e, presi con sé un bastone alto quasi quanto lei e un candelabro di fattura cristiana, esce dalla stanzetta, diretta verso la navata centrale. Cammina piano per non fare rumore ma nel petto ha un uragano, i polmoni sono due nuvole cariche, il cuore batte i secondi che mancano alla prossima tempesta.



IRISYAN  {{ . Giardino Esterno . }} Due piedini nudi uniti sull'erba fresca, la schiena dritta appoggiata al tronco di un albero nano del giardino del Tempio, le gambe piccole piegate al petto, una mano sul prato, l'altro lasciata libera. I capelli liberi, disordinati anche un po', il tuo facchino oggi triste, qualche piccola lacrima scesa, asciugata di fretta, nascosta. Non sempre il sorriso salva un'ombra e non sempre pochi anni di bambina sono forieri di letizia e felicità. Tiri su col nasino, scacci via lacrime, la boccuccia così curva verso il basso, tanta paura nel cuore, temono quei ricordi, quella Fuga così disperata per salvarti la vita, perché è per quella che hai navigato e omesso chi fossi veramente, anche qui. Nell'animo tanto silenzio, in questo meriggio rosso, perché quel colore  lo vedi dappertutto, in questo Tempio che sfolgora di fuoco, proprio come falò di notte nell'oscurità di foreste incantate. E per un giorno intero nemmeno il pensiero del tuo Drago immaginario ti avrebbe sollevato da quei piccoli fardelli, nemmeno quel volo che desideri, avrebbe la forza di farti sorridere.



HIVTUR  { Navata centrale > Nicchia Rhiannon } Questo posto le ricorda il monastero cristiano che l'ha accolta per poco più di una settimana: c'è lo stesso, pesante, silenzio. Il medesimo profumo di incenso. Eppure il Tempio della Dea è parecchio più arioso, e si può respirare senza cercare una via di fuga tra una fetta di penombra e la successiva. Come sempre, il Corvo indossa  l'unico abito che ha con sé: è color notte, lungo fin sotto le ginocchia che conservano qualche graffio raccolto sulla strada per Barrington. I lembi di pelle - chiarissima - visibili sono in parte nascosti da un velo di polvere e lentiggini o nei: pare non volersene separare. Raggiunta la stanza circolare si guarda attorno con circospezione, quasi potesse, da un momento all'altro,  imbattersi per una seconda volta nella Stella del Vespro. Nulla accade, così taglia con qualche falcata l'abside di fondo per avvicinarsi alla statua d'onice, la sola con cui abbia un minimo di dimestichezza, dato che Hagall gliene ha parlato. La convince poco, la Vecchia. Senza remore, appoggia a terra il candelabro e sfiora con il palmo della mano sinistra le grinze del Suo velo, fredde al tatto. Ha tutta l'aria di essere una scultura come tante altre e il viso severo che la quadra dall'alto la impensierisce poco. C'è di peggio, tra le schiere degli dèi del nord, ed Hell più o meno le somiglia. Dopodiché avvicina l'arto al naso e lo fiuta in silenzio, infine lo lecca: ha il sapore che hanno tutte le rocce. È insipida. Gelida. Anonima. Qualcuno potrebbe gridare allo scandalo, vedendola assorta in simili ragionamenti e siffatti tentativi. Ecco, è costretta ad ammettere a sé stessa: è per davvero semplice pietra.



IRISYAN  {{ . Giardino Esterno . }} Le piccole dita si chiudono sull'erba, poi si riaprono e si richiudono in modo quasi meccanico, come un gioco. Uno stupido gioco. Se ci rimangono fili d'erba incastrati dentro o tra le dita, allora potesti pensare di scendere alla cittadella, altrimenti sfiderai questa sorte senza piangere più. Il capo si piega avanti, poi di lato, ancora sul tronco lievemente lì, con lo sguardo chiuso. Scivoli poco dopo dal tronco, ti guardi la mano, nessun filo di verde tra essa. Scivoli, abbondante l'abito o tunica che indossi, sempre arricciato sui fianchi, tirato su dai bordi, ma decisamente tanto vasto, che potrebbero indossarlo benissimo tre Irisyan insieme. Quando sarai sdraiata sulla schiena, ruoteresti tutto il corpo fino a trovarti con la pancia in giù, a sentire il fresco e bagnato dei fili d'erba che tutto sommato pizzicano. Le piccole braccia si piegano fino a portare le manine sotto al mento, nascondi il viso tra quel piccolo incavo. Sollevi, piegando, la gamba sinistra, su e giù, in attesa, nelle ore lunghe di questo giorno che non ti racconta nessuna favola, nemmeno qualcosa che possa distrarti un pochino.



HIVTUR  { Navata centrale > Ingresso } Poco male. Non si aspettava chissà che da quella divinità. Oltretutto, c'è qualcosa che no torna: la Sacerdotessa ha confermato che la Dea ha tre facce: come mai qui ci sono tre statue, ognuna con un solo viso? Tre donne distinte. Tre visi diversi. S'è forse persa metà del ragionamento di Hagall? Muta, riprovare a sé stessa di prestare maggior attenzione la prossima volta perché, sì, una prossima volta ci sarà -, per capire questa Trina, troppo diversa dai Potenti cui è avvezza. Un sorriso obliquo le curva le labbra tumide, scoprendo la fila sghemba di denti bianchissimi: pare siano stati protagonisti di qualche traversia. O, chi può dirlo, il fato ha voluto per il Corvo un aspetto tanto peculiare. Già, perché basta un'occhiata per   tenere a mente quella bocca. E quegli occhi. Lasciando la Nicchia, soffoca uno sbadiglio, indice dell'ennesima notte insonne. Ha visto di nuovo suo padre. L'ha visto ingabbiato in un sogno sempre uguale. La base del bastone che fu del Vala, scontrandosi con il pavimento, mette a dura prova la calma del colonnato, finché la ragazzina tocca il primo dei gradini d'accesso,  quello perpendicolare all'arco di soglia. Lì si ferma, indecisa. Finché scorge la bambina. Di Avalon conosce poco niente e la prospettiva di incappane di nuovo nell'uomo che ha incrociato nella Foresta l'aletta non molto: le regole le digerisce a fatica. In più regge a stento chi cerca di tenerle corda, pur provando una sorta di insano piacere nel controbattere. È decisamente una creatura  difficile, sì. Decide di avvicinarsi, con la dovuta cautela.



IRISYAN  {{ . Giardino Esterno . }} L'ombra ti protegge, sotto quel basso albero, potrebbe dirsi un piccolo acero, striato dei verdi e dei rossi sulle foglie, hai come la sensazione di avere un tetto sulla testa. La chioma di quell'alberello è peculiare, sviluppato molto su di un lato e per di più i rami all'estremità scendono ad angolarsi verso il basso. Mezzo busto stà lì sotto, l'altra parte e le gambine si stendono fuori da lì. Con le dita dei piedi spingi sul suolo, poi di nuovo, fino a quando respiri profondamente liberando il viso dal buio dell'incavo delle braccia e punteresti lo sguardo in avanti e dritto. Una farfalla vola leggera, si posa su di un fiore grande, con petali bianchi e robusti, ben delineati sui bordi. Ti issi sù piano- piano portandoti a quattro zampe e cercando di essere più silenziosa possibile per cercare di avvicinarti e tentare di non farla volare. La farfalla ha ali medie, ma di un azzurro che spinge al violetto, il contorno di quelle ali è nero e bianco ed ha su ogni ala un puntino altrettanto nero. Per caso staresti nuovamente incurvando le labbra in un sorriso senza sentire il rumore di un passo o di un bastone dietro di te.



HIVTUR  { Ingresso > Giardini esterni } L'unica mano visibile è la destra, abbarbicata al bastone. Sul dorso giace un glifo sbiadito vecchio di un paio d'anni, che tuttavia conserva la lucentezza del giorno in cui fu impresso nella carne. Una firma nera, familiare, sulla pagina bianca. Il prologo di un libro ancora da scrivere. Qualcuno, un tempo, le ha gridato contro che lei, con la gente, davvero non ci sa fare. Ne ricorda le esatte parole. Ecco perché, adesso, si avvicina ad Irisyan con passo felpato e movimenti quasi esagerati che ricordano che sangue abbia in corpo: quello di un uomo che in molti - troppi - credevano folle. Eccentrico. Imprevedibile. Sotto i piedi nudi, prima i ciottoli del sentiero e poi il tappeto d'erba, risvegliano i sensi intorpiditi da un viaggio  lungo mesi. Giusto il tempo necessario a far sbiadire l'immagine dello scontro. Il tanfo di sangue e l'espressione devastata di suo padre, invece, sono ricordi ancora nitidi. Ad un paio di passi dai piedi che fanno capolino oltre l'acero, il Corvo allunga la mano, così che l'estremità del bastone sfiori le caviglie della sconosciuta. Per di più convintissima di non poterla spaventare in alcun  modo. Quasi fosse un atteggiamento consueto intromettersi nella solitudine altrui senza chiedere il permesso. Tuttavia quel gesto è scevro da ogni arroganza, almeno in parte: la nordica si sforza di essere quanto più leggera possibile, e pare riuscirci. { Ehi… } Un monosillabo le pare il giusto compromesso per allentare la situazione di per sé spinosa. Ma dipende dai punti di vista.



IRISYAN  {{ . Giardino Esterno . }} Tendi il braccio destro, spostando il peso sull'altro braccio teso che ti sostiene così, ma è una leggerezza infinita la tua, nei tratti morbidi e rotondi del corpicino, del visetto, in quel profilo che avrà da cambiare nel tempo, mutandoti, realizzando e temprando la personalità che è già spiccata, evidente, senza arrese, senza malvagità. { Dai… } sussurri tra i denti, nello sforzo di poterla toccare, ma la farfalla sarebbe rapida, guizza via, volta in circolo in mille battiti d'ali che ammireresti meravigliata tanto ricade sole e luce su quei bei colori, per poi dimenticarla. Dimenticare quel misto di sfumature così innaturale per sentire dietro di te, nei pressi delle caviglie, un tocco che inizialmente parrebbe solo volerti sfiorare, ma che un attimo dopo ti darebbe la sensazione di un qualche cosa di fastidioso. Ruoti il busto verso destra, velocemente anche il viso. Quell' ''Ehi'' associato all'immagine che ti si palesa negli occhi è tutto e fuor di tutto. Sgrani gli occhi, lo si vedrebbe proprio, di chi si sarebbe spaventato eccome! ma in realtà trattiene alcuni sentimenti dentro sé, per non voler scappare o sembrar sgarbata. Ti ritiri però le gambine al petto, i piedi svanirebbero sotto alla stoffa bianca che ricade sul prato, per poi portare tutto il peso sull'unico braccio teso, il sinistro. Lei è vestita di nero e ha un bastone, ma non è quello… è spettrale, sporca, è una figura che stona con quel caleidoscopio scintillio di colori e vita. Il visetto è tirato, leggermente fermo, immobile, marmoreo.  { Sì… vi siete persa, Signora? } deliziosa vocetta, gentile quanto al tono pietrificata, perfino la mano destra si chiude sul ventre. Tutto si è fermato intorno a te, la guardi sempre con due occhi sbarrati.



HIVTUR  { Giardini esterni } Secondi che sembrano minuti, minuti che sembrano ore. Senza fiatare, stima il lasso di tempo occupato, pur non riuscendo ad averne una visione precisa: a malapena riesce a contare fino a tre, figuriamoci a calcolare altro. La sola cosa in grado di enumerare sono i corvi. Quello le riesce parecchio bene, così dice. Con prudenza allontana il bastone, portandolo parallelo al proprio corpo. Ha la schiena drittissima, lo sguardo ferino incastrato tra i piedi dell'altra. Nessuno le ha mai spiegato che ci vuole molto più tatto per trattare con chi si incontra per la prima volta, anche se si tratta evidentemente di una ragazzina più giovane. La Foresta insegna altro: leggi solide come la pietra ed antiche quanto gli alberi secolari che la sostengono. Certo non favole per bambini. Appena la piccola porta le ginocchia al petto l'istinto, in Hivtur, è quello di allungare una mano per afferrarle una caviglia, eppure - da brava - si trattiene: che penserà Ròis nel vederla? Probabilmente la caccerebbe a calci dalla stanza che profuma di pulito, cui ha insudiciato le lenzuola con la polvere che le riveste la pelle. Ma lei ha bisogno di quel letto: è il solo modo per guadagnarsi un permesso a compiere il sacrificio che tanto brama. Pian piano si piega sulle ginocchia, andando a spiare sotto le fronde dell'acero con fare torvo. { Signora a chi? } Grugna, squadrando Irisyan da capo a piedi. Nossignore, una damigella, appunto, non lo è. Ha le palpebre gonfie di chi ha dovuto fare i conti con la vita e con la morte prima   { E no, non mi sono persa. } Più o meno. Che bugiarda.  del previsto, ma un sorriso che - a tener duro - potrebbe spaccarle tutti i denti. Come un dolcissimo pugno. { Mi chiamo Hivtur. } Si presenta senza troppe cerimonie, al solo scopo di scoprire il nome della biondina. { Tu chi sei? } Probabilmente un topino, dato in che stato l'ha trovata.



IRISYAN  {{ . Giardino Esterno . }} La mano destra si tiene chiusa, come se dentro quel gesto ci fosse un controllo del corpo o delle parole, come dei piccoli gesti. Ti morderesti la lingua per averle dato della Signora, perché adesso a poggiarci uno sguardo più lungo, avrebbe proprio il viso di una ragazza, non ancora donna, ma nemmeno bambina come te. Rimani ferma ed immobile anche quando si riporta il bastone al fianco e si piega sulle gambe. Una specie di lamento sommesso, un suono che assomiglierebbe tanto all'incertezza di un uggiolare tenero e sperduto. { Nnno... volevo dire, vi siete persa e basta. } Irisyan se non ti mordi la lingua oggi, va a finire che un giorno te la taglieranno. { Piacere, il mio nome è Irisyan. Voi siete una  sacerdotessa, come Rose? } in effetti vestita di nero lo è, ma ti accorgi repentina in un giro di sguardo che non ha alcuna stellina nerissima sulla fronte, sulla mano destra che trattiene il bastone, qualcosa c'è, ma per guardare meglio dovresti davvero gettare uno sguardo preciso, spostarti da lì. Forse potresti chiederglielo. { Io vivo qui, prima lavoravo alla locanda. } sì certo, ti prende la voglia di rompere quei silenzi, perché il cuore potrebbe scoppiarti nel petto. Dovresti solo abituare lo sguardo su quell'immagine così nera, così calcata, così odorosa di venti lontani che sicuramente non conosci, non oggi. Cerchi di sederti, con la gambe incrociate, ma sono movimenti lentissimi. Quasi guardinghi tra Hivtur ed il suo bastone. E la ''cosa'' che non vedi  bene su quel dorso nudo.



HIVTUR  { Giardini esterni } Arduo, se non impossibile, districarsi nell'espressione di Irisyan. Per ovviare ad una moria di parafrasi il Corvo pinza con i denti l'interno del labbro, e inizia a torturarlo. Pressoché come ha fatto con l'assassino di suo padre, Vala di Britannia, anche se in quella circostanza s'è servita di un rametto. È una scala ordinata di neri, grigi e bianchi, il Corvo. Tranne  per la tunica blu e non nera: la luce accecante del pomeriggio potrebbe aver tratto in inganno la bambina. Assolutamente non è una Sacerdotessa. Manco lontanamente. Però è figlia di un Vala, un sacerdote delle tradizioni anglosassoni, uno dei pochi sopravvissuti all'avvento di cristiani e Normanni. Un lampo d'orgoglio le illumina a giorno gli occhi plumbei, non più assorti.   Sorvola la questione Figlie della Dea, a piè pari. { Anche tu hai una stanza tutta per te? } Domanda, scettica, ed arriccia il naso. Lei e la convinzione di trovarsi in un luogo sicuro - pur incredibilmente simile a casa - vanno poco d'accordo. { Mfp. } Che razza di animale farebbe lavorare in una taverna una piccina più o meno alta quanto un vassoio per le birre? C'è stata, in qualche   locanda, lei. Tutti postacci. Gremiti di brutti ceffi e gente marcia. Qui sta la difficoltà: ha un termine di paragone orribilmente distante dai canoni dell'Isola sacra. Con i monaci di Trossachs le riservarono un trattamento diverso, nemmeno paragonabile. E dire che li si crede gente a modo, persino caritatevole. { Come mai sei finita qui? } Le sopracciglia prendono una  piega ancor più dubbiosa. Le lentiggini paiono convergere verso le pendici arricciate del naso, dove si formano sottili rughe d'espressione.



IRISYAN  {{ . Giardino Esterno . }} Stiri un sorriso sulle labbra, difficile sorriso, ma ne esce alla fine fuori qualcosa di pulito, sincero, donato poi volentieri. Scuoti il capo, ma distrattamente perché la stai sempre guardando e ancora pieghi la testa di lato, come se di lei ti sfuggissero un po' gli angoli, un po' il colore degli occhi, un po' la forma della bocca che ha. Poi affermi. { Sì! Anche voi? Anche alla locanda avevo una camera mia, però poi è venuta Rose è mi ha portata qui, perché io sono forte come l'Alba! } te le inventi tutte tu, Irisyan hai capito molto bene la lezioncina di Elysiane, quindi non raccontare frottole, ma a dir la verità non è una bugia, è l'incoscienza della verità. { Non lo so perché sono qui, però meglio dormire qui che alla locanda, anche se Mamma Filippa è  buona, è brava, molto. } pieghi ancora la testa, costringendoti a voler guardare il segno sulla mano. Punti l'indice sul bastone. { Il bastone. } mordicchi il labbricino inferiore ma proseguiresti coraggiosa. { Perché ve lo portate dietro? Una volta l'anziano del villaggio di Gand, mi disse che non riusciva più a camminare e che si appoggiava al suo bastone, poi però mi ha detto che io sarei  stata il bastone di mio papà e di mia mamma, ma io non ho più i genitori, quindi… non sarò mai un Bastone. } negli occhi si sofferma quella piccola lacrima, abbassando il viso a cercare un punto qualsiasi per non guardarla, per non farti conoscere oggi, così fragile, con meno Argento addosso. { Se vi fa piacere, la sera venite nella mia camera vi mostrerò una cosa. } asciughi quella piccola goccia di acqua, per poi sorriderle ancora. Sincera. Un sorriso tutto per Hivtur, lo si capirebbe dagli occhi che le mostreresti.



HIVTUR  { Giardini esterni } Il bastone che regge nella mano destra si sta facendo pesante. Lo stringe molto più forte, tanto che il tatuaggio sul dorso della mano si contrae come le zampe di un rapace. I suoi artigli, così li ha chiamati davanti alla Stella del Vespro. E, con un po' di fantasia, si può persino immaginare di trovarsi in compagnia di un corvo in carne - pelle, più che altro - e ossa. Di tanto in tanto scarica l'esiguo peso del proprio corpo da una gamba all'altra per evitare che, così piegate, formicolino i piedi. Cosa che trova estremamente fastidiosa. I capelli sono un'aureola scura attorno ad un viso che di bello ha poco, di insolito molto: le labbra, piene e ampie, vengono arricciate con fare inquisitorio. Mio padre è stato assassinato, vorrebbe  dirle. Sotto i miei stessi occhi. E, di rimando, lei ha seviziato e ucciso il mandante. Per questo sente piovere nello sterno tutt'oggi, per questo sorride per esorcizzare. { Era dell'uomo che mi ha allevata. } Facile desumere l'epilogo, un po' meno collegare soggetto e narrante. Persino a lei hanno detto che era un bastone. Una trave per l'esattezza, e solo riferendosi al piattume del fisico.  La curva sulle labbra vacilla, infine va in frantumi. { Riesco a camminare benissimo… } E lo dimostra staccando da terra l'estremità del legno. { …però in un certo senso è vero: senza questo non potrei andare avanti. } Oltre una simile affermazione, un fiume di sottintesi. Resta immobile quando l'ombra di una lacrima fa capolino negli occhi dell'altra, no muove un muscolo. Lei ne ha versate a migliaia. Rafforzano. { Va bene, ma un altro giorno. } La curiosità, quella è dura a morire. Come Hivtur. { A presto. } Conclude, con lo sguardo grigio già verso le mura del Tempio, che paiono lingue di fuoco, e solamente dopo una replica la lascerà di nuovo sola. Forse, ad ogni modo, triste.



IRISYAN  {{ . Giardino Esterno . }} Senza fiato. Ascoltare Hivtur è come guardare qualcosa di cui però non ci si annoia. Vorresti toccarlo quel bastone che è nodoso, spesso, arricciato di venature calcate e profonde. Chiudi gli occhi fugacemente per ricacciare una nota di tristezza. Lei ha la voce di una litania che oscilla tra l'atrio immerso di nuvole e subito dopo ci si ritrova in una camera  fatta di acqua, acqua come pioggia. Accetta l'invito. Ora l'aspetterai, aspetterai il giorno in cui busserà laggiù, sulla lignea della tua porta. Perché sei speranzosa, credi fortemente nelle parole degli altri, ma sai perfettamente che molti possono mentire, come hai fatto tu, per pura necessità di salvarti la vita. Il cuore ancora nel petto. Lì a battere. Avalon ha totalmente abbassato le tue difese, immersa nel tuo personale Sogno. Forse non arriverà la voce ad Hivtur che cammina allontanandosi, però cercherai di parlare a tono nemmeno molto alto. { Ma poi lo posso toccare? } domandi in un soffio di voce che si abbassa maggiormente lasciandoti sola, sola come prima, prima della Farfalla e del Bastone. Quando lei si sarà allontanata, allora ti solleverai in piedi correndo via dai giardini, oltrepassando il colonnato, giungendo fino alla tua camera, cercando il foglio con il disegno, i tuoi occhi guardano. Un attimo solo, per poi tornare fuori, aspettando davvero che le mura del tempio diventino nere.




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