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Il Grande Nord (Prima Parte)

Ultimo Aggiornamento: 28/02/2014 18:38
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Partito da un'immagine che mi era rimasta in testa appena sveglio e scritto di botto... Fatemi sapere che ne pensate... [SM=x142817] [SM=x142826]

Freddo. Un freddo pesante, che s'insinua fra i peli della mia pelliccia e l'appesantisce come un resina molto densa. Neve alta fino al ginocchio, che mi entra negli stivali. Inciampo, ed ecco che la neve mi entra nei guanti, sotto il cappuccio, mi scivola addosso sotto il maglione, sulla maglietta e sotto. Il sacchetto che ora trascino e ora sollevo si fa sempre più pesante. Sono appena le 15:30, ma qui, nel Grande Nord, a Febbraio il sole è un timido spettro che appare per meno di un'ora al giorno. Guardo il cielo, sperando di scorgere una traccia di aurora, ma vedo solo le stelle, a migliaglia, che mi guardano dall'alto.

"Avanti, Sara!" - Mi dice Alce, qualche decina di metri davanti a me. Mi chiedo come faccia. Con quella specie di maglia rossa e argento, bucata, quel mantello di pelle di renna albina e i piedi scalzi. Fra il mantello bianco e la neve che lo ricopre, è quasi invisibile. - "Il rifugio non è lontano!"

"Come, il rifugio?" - Ansimo. - "Credevo che dovessimo continuare a salire.

Mi guarda, e ride. - "Non fino a domani. Non ce la faresti fino al prossimo accampamento."

Accampamento è una parola grossa, si tratta più che altro di tende di tribù nomadi, che Alce trova sempre con infallibile precisione, Ville-Baite che affondano le palafitte in un mare ghiacciato, o sorte di baite con un filo di fumo che esce dal camino. Spesso, gli abitanti sono addormentati, come se l'immenso freddo di questo inverno li avesse contagiati, ispirandoli a un lungo sonno invernale.

Finalmente raggiungiamo il rifugio. E' una costruzione esagonale. Un monolocale, con la toilette isolata da una tenda. Non ci sono vere finestre, solo dei lucernari in alto, sui muri. La porta è robusta, in ferro, non c'è serratura, ma una volta entrati possiamo chiuderla con una sbarra di ferro. L'arredamento è insesistente, salvo un camino e una sorta di vasca scavata nel centro della stanza. Mi siedo sfinita sul pavimento, segretamente ringraziando qualche dio perché il pavimento è di legno, e non di pietra, marmo o ardesia.

Alce, intanto accende il camino. Poi gira una specie di valvola, accanto al caminetto, che non avevo visto, e la vasca inizia a riempirsi. Filtra dai bordi, scivolando lungo le pareti della cavità, sicché non c'è un vero e proprio rubinetto, ma in pochi minuti la vasca è piena.

"Sono stati intelligenti, i costruttori." - Mi dice Alce.

"Come funziona?" - Gli chiedo io.

"Il calore del fuoco si propaga verso il tetto, dove scioglie la neve che si è posata e l'assorbe in delle canalature. Scendendo, si scalda, finché non arriva a riempire la vasca. Probabilmente pensavano che dormire in una vasca di acqua calda avrebbe risparmiato il cambio di coperte."

Solo allora noto una leggera foschia di vapore alzarsi dalla vasca. Tutto questo mi ricordi i bagni termali del sud. Quelle immense sale, le piscine, a volte persino dei laghi. Le attendenti che porgevano soffici asciugamani, i fanghi... Ora non c'è niente di tutto quello. Solo una vasca, profonda appena abbastanza da coprirmi al collo, se resto in ginocchio, un pavimento di legno e un monolocale esagonale sul Passo del Primo Nord: La Porta al Grande Nord, così la chiamava Alce.

Il Grande Nord: Una terra quasi infinita, sterminata, a sentire alcuni. Sentieri su sentieri di neve. Ora, foreste infinite di Pini e Betulle, e ora, lunghe dorsali di montagne frastagliate. C'era chi parlava di miniere scavate in quelle montagne, così profonde da arrivare al centro della terra. E chi, anche, di montagne così alte che gli altari sfioravano gli dèi. Sebbene fossimo in viaggio da settimane, tutto questo mi faceva pensare all'immenso viaggio che io e Alce avevamo davanti a noi. Lui mi aveva promesso che mi avrebbe portato fino in cima al mondo, se necessario.

"Necessario per cosa?" - Gli avevo allora chiesto io, in quella vinérie di Parigi?

"Necessario perché tu ritrovi il senso del viaggio." - Mi aveva risposto lui.

Alce era un Dìo, in un certo senso. Era entrato in un sogno, ne era uscito, era rinato nel suo sogno, ed era sopravvissuto anche a questo. E ora, vagava per il mondo traghettando povere persone sperdute come me fino in capo ai continenti. Il Grande Nord doveva essere come un suo territorio naturale.

Alce saggiava la temperatura dell'acqua con l'alluce, per controllare che andasse bene.

Solo ora, fermandomi a riposare, mi rendevo conto di quale energia si nascondesse in quella persona. Piedi scalzi, pantaloni all'indiana, maglia rossa, mantello bianco. Capelli neri raccolti in una treccia e tenuti insieme da un cordino argentato, viso allungato e occhi verdi. Quel leggero accenno di baffi sul labbro superiore, in un viso altrimenti interamente pulito.


...

"Ci si sveglia un mattino che è morta l'estate,
e negli occhi tumultuano ancora splendori
come ieri, e all'orecchio i fragori del sole
fatto sangue. È mutato il colore del mondo."
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28/02/2014 18:23
 
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Bello, ma sono di parte. Sono particolarmente congeniale al paesaggio descritto. [SM=g27817]
Non ho ancora visto "Il Grande Nord", ti sei per caso ispirato a quel film?
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28/02/2014 18:26
 
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Ciao :)

No, onestamente non sapevo neppure dell'esistenza del film. Ho scritto questo pezzo di getto, senza una particolare trama in testa. I personaggi mi piaciono, l'idea del viaggio anche, ora sono in cerca di spunti per (eventualmente) continuare. Idee? [SM=g27829]


...

"Ci si sveglia un mattino che è morta l'estate,
e negli occhi tumultuano ancora splendori
come ieri, e all'orecchio i fragori del sole
fatto sangue. È mutato il colore del mondo."
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28/02/2014 18:38
 
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Credo sarebbe più giusto che scegliessi tu, anche gli spunti. La scrittura acquisisce potenza e naturalezza.
Per i miei gusti posso dirti che io mi concentrerei sul Viaggio analizzandolo più profondamente possibile, con annessi paesaggi altrettanto ispiratori.
Ma è solo questione di gusti, segui il cuore [SM=g27811]
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