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Il diario di Gino Cornabò

Ultimo Aggiornamento: 23/12/2013 19:31
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23/12/2013 19:31
 
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Il diario di Gino Cornabò è uno dei più famosi romanzi dello scrittore italiano Achille Campanile, probabilmente il più famoso scrittore umoristico italiano del XX secolo, l’opera venne pubblicata a puntata su La Gazzetta del Popolo di Torino per poi uscire in volume nel 1942 (si può pensare che all’epoca la gente avesse altro da fare che non leggere quest’opera, ma evidentemente un buon riscontro di pubblico deve esserci pur stato).
Di cosa parla? In pratica è la storia di un nessuno che si crede qualcuno, Gino Cornabò è un ometto sulla cinquantina, senza qualità apparenti, non ha un lavoro, né denaro né una famiglia, passa le sue giornate nella speranza che venga notato da qualcuno importante che gli faccia da mecenate, vorrebbe vedere pubblicate le sue voluminose opere che al momento sono tutte inedite, vorrebbe avere una vita sentimentale piena di soddisfazioni, magari aiutata dalla fama che ritiene gli spetti di diritto, vorrebbe essere conosciuto dal pubblico e non solo dai creditori, ultimo ma non per importanza, vorrebbe essere fatto cavaliere, l’impossibilità oggettiva di raggiungere questi obbiettivi (anche perché non è detto che queste qualità le abbia davvero) lo ha portato a una sorta di mania di persecuzione che lui crede di subire dai suoi contemporanei (non mancano, praticamente a ogni pagina, rampogne contro il loro atteggiamento e paragoni tra sé e i grandi del passato, come Colombo, Galileo, Bizet, Socrate a altri); perciò confida nei posteri che di sicuro lo rivaluteranno, anche se nelle ultime pagine si nota che ha perso speranza anche in questi ultimi, del resto non sono forse i discendenti di chi ora lo tiene nell’anonimato?
La narrativa moderna (e con questo termine indico libri, film, fumetti, teatro e così via) ha conosciuto un processo di massificazione/democratizzazione; ora, accanto alla figura classica dell’eroe senza macchia e senza paura, ha trovato posto una figura più dimessa, “l’uomo qualunque” che si trova alle prese con una vita quotidiana fatta spesso di angherie (compiute da persone che non sono migliori di li, ma solo più potenti) che deve sopportare pur di andare avanti, sempre nella speranza che qualcosa possa cambiare e che il fato possa mostrarsi benevolo.
Leggendo le disavventure di questo nullafacente pretenzioso vengono in mente varie figure di “umiliati e offesi”, si potrebbe citare il Marcovaldo di Calvino, il sognante manovale sottoproletario che vuole cercare la natura in città e si ritrova invece coinvolto in una realtà votata al consumismo, e il famigerato rag. Ugo Fantozzi, perseguitato da tutti e tutto, dal megadirettore galattico alle ambasce di una famiglia dalla quale vorrebbe fuggire (a volte leggendo il romanzo si ha l’impressione che al tapino manchi solo la “nuvola da impiegato”), ma Cornabò è diverso da loro, sia Marcovaldo che Fantozzi sono a loro modo integrati nella società e nel ruolo loro assegnato, né il primo discute la ditta Sbav, né il secondo la Megaditta, Cornabò invece non ha un lavoro e non fa nulla per cercarlo (anzi crede che sia il lavoro a dover cercare lui) nonostante questa situazione lo porti (come lui stesso dice più volte) a essere “nella più nera bolletta” o “ai verbi difettivi”, è convinto di avere un grande destino, se solo gli altri si accorgessero di lui.
Il resto del cast non si rivela migliore di lui, c’è la sua compagna Adalgisa Ciabatta (ex sua serva che ha deciso di restare con lui; una Santippe moderna, a dire del protagonista, che lo punisce a colpi di battipanni per i guai che combina e per le frequenti scappatelle con servette e tardone, ma anche l’unica che gli voglia un po’ di bene), sua sorella Brigida (alias Fiamma D’Arienzo, per aver fatto una volta la comparsa in un film ha scelto un nome d’arte) alleata di Adalgisa nelle punizioni da infliggere al protagonista; c’è il prof. Tripponi, felice borghesuccio pieno di sé, la folla di creditori per cui Cornabò è costretto a cambiare di continuo domicilio; Anastasio, zio defunto del protagonista (che gli dà numeri al lotto che non escono mai) e Memo, ragazzotto che si è autoproclamato discepolo del protagonista (e per dabbenaggine è davvero degno di tal maestro).
Campanile è fine umorista, e ha saputo impostare il romanzo con una doppia chiave di lettura, se avesse parlato solo delle miserie di uno pseudo-intellettuale fallito e rancoroso il romanzo sarebbe stato godibile ma troppo rivolto a una critica alla categoria, invece ha innestato all’interno della struttura narratica una serie di gag classiche (lo scambio di vestiti e/o di cappelli, l’arrivo del marito mentre si corteggia una donna, l’essere vittima di raggiri, il restare senza costume al mare e altro ancora) ma che assumono altra e nuova luce perché raccontato nel tono pomposo e magniloquente usato dal protagonista che si ritiene un genio perseguitato dal destino avverso (molte sue giornate iniziano e finiscono con aspre recriminazioni contro di esso)..
Come si può capire, il romanzo è ambientato in epoca fascista, ma si sbaglierebbe a vedere in questo testo una critica sia pure velata al regime o più in generale all’Italia di quell’epoca, perché il messaggio di fondo di quest’opera è universale; infatti, mutantis mutandis, si po’ dire che lo spirito di Gino Cornabò aleggi ancora oggi, lo si può vederei nel tentativo di tanti aspiranti (scrittori, ma non solo) di “svoltare” o “arrivare” (metafore di moto che indicano il raggiungimento di un obbiettivo che dovrebbe essere quello di uscire dalla massa anonima, il “voler restare” come lo stesso Cornabò rivela, ormai morente, nella sua lettera ai posteri che apre il volume), molto probabilmente oggi imperverserebbe sul web, avrebbe un proprio sito o blog (con il download, a pagamento ovvio, delle sue monumentali opere), oltre a profili sui social network (dove pur di essere visto cliccherebbe “mi piace” a iosa), di certo però non proverebbe la via dell’editoria a pagamento o dell’autopromozione, solo perché le sue risorse finanziarie non glielo permettono..
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