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Speculazioni filosofiche

Ultimo Aggiornamento: 06/09/2013 14:58
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06/09/2013 14:58
 
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Che cos'è il fine? è la massima espressione della nostra essenza, oppure una componente di un disegno divino attribuitaci da qualche entità superiore? Oppure il destino? O è semplicemente utilità? Ma a chi? A noi? Agli altri? E per quale scopo abbiamo un fine? per sentirci utili in un mondo che è frutto del caso o di un piano divino? La verità (se ne esiste una e se è univoca) è che Il fine è il mezzo con cui l'uomo giustifica la sua esistenza, infatti senza uno scopo perché l'uomo dovrebbe esistere? Perché qualsiasi cosa avrebbe senso di esistere? Pertanto, se il fine implica esistenza, non necessariamente questa implica quello e parlando di fine, non si può non parlare delle sue figlie: le religioni, credenze che hanno l'arroganza di spiegare per quale motivo io mi trovi qui e dirmi che in che modo devo comportarmi secondo una moralità loro che spesso avvantaggia il vivere in comunità (non che sia uno scopo malvagio, intendiamoci)... La comunità è evidentemente la madre delle religioni, in quanto fornisce arrosto per la brace (uno strano arrosto, a dir la verità, perché è proprio lui a creare la brace). Signori miei, se non volete, dunque, uccidere il fine perché è tanto caro alla vostra felicità, permettemi almeno di uccidere l'etica, così da crearvi un po' di scompiglio!
La morale, se dobbiamo darle un definizione, è il modo secondo il quale bisogna comportasi all'interno di una comunità più o meno grande. Punto primo: essa è relativa alla comunità, quindi non assoluta, infatti una comunità può considerare scortese un atto che se compiuto in un altrà comnunità è considerato, invece, di buon gusto. Ciò è relativo al fatto che la morale essendo attaccata con un cordone ombelicale alla comunità è indubbimente condizionata dalle tradizioni di questa, anche se è tradizione comune (si spera) che l'omicidio gratuito sia condannato da ogni tradizione per lo meno verso un uomo della stessa casta. Adesso è il momento di precisare meglio il concetto di religione: un misto di misticismo e tradizione, se si nega una delle componenti, essa decade, se si negano entrambe, sarebbe ridicolo. Se si negasse la prima componete sarebbe il peggior affronto per un religione poiché la priverebbe di ogni elemento metafisico nei quali i fedeli credono; se si negasse il secondo elemento non sussisterebbe la religione in sè la quale non avrebbe anche la funzione di contenere le masse e darle ordine e codici morali ma nemmeno la liturgia della religione stessa, tuttavia questa è la più sincera deformazione di religione perché ci permette di relazionarci direttamente con l'entità metafisica in cui crediamo, tuttavia si tratta di una relazione tra credente e entità non estensibile a comunità in quanto carete di rituali precisi. Punto secondo: l'etica è non solo relativa alla comunità, ma alla situazione economico-sanitaria del momento della comunità stessa, difatti è logico che durante un'epidemia ci sia il conseguente annichilimento devi doveri morali verso gli altri membri della comunità, anche dei priprio famigliari, dunque, cari miei, non vi dirò certo di non integranvi in una comunità, perché in un giorno tot arriverà un'epidemia tot e ucciderà tot persone comprese i vostri famigliari, non me ne vogliate per la franchezza, però vi dico che una cosa alla fine prevale nei momenti critici, a volte, che va secondo e, a volte, cotro l'indifferente e spietata natura ed è l'istinto di sopravvivenza, di preservare ciò di più prezioso: la vita, che và al di là del bene e del male morale e transcende ogni tipo di coercizione socio-morale. A questo punto un quesito è lecito. Punto terzo: se si ha la necessità di giustificare l'istinto di sopravvivenza in situazioni critiche che prevedono, appunto, l'annullamento dei princìpi morali (perché poi una persona dovrebbe "giustificare"? ) vuol dire che noi consciamnte riconosciamo e accettiamo di aver commesso un errore, ma perché mai avremmo commesso un errore? perché forse ci siamo affidati a l'unica cosa assoluta ed universale che accomuna tutti gli esseri viventi per preservare il dono dell'esistenza?... l'esistenza! Questa è l'unica verità! E preservarla è nostro compito, al di là di codici morali che al confronto sono solo menzogna. Quindi un quesito è lecito... Noi siamo i veri noi stessi, quando perseguiamo l'unica verità assoluta(l'esistenza è l'unica parola ad avere queste tre qualità) oppure quando ci conformiamo alla plurigenere effimera relativa situazionanale etica? Non siamo forse solo stati plagiati dal "progresso" del genere umano e rinchiusi in convenzioni sociali che limitano la nostra vera espressione dell'esistenza? Non siamo forse oramai schiavi dell'etica come sacerdoti?Non siamo forse noi stessi figli della menzogna?
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