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CARATTERISTICHE PER UNA BUONA TRADUZIONE BIBLICA

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2013 21:48
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04/08/2013 21:36
 
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Tradurre la Bibbia oggi significa anche dare una fattiva e valida collaborazione alla pastorale biblica delle comunità cristiane: una pastorale che, sempre nella luce del Concilio Vaticano Il, sta consolidando il suo cammino all'interno delle nostre comunità. Il pericolo, non ancora del tutto scongiurato, è quello di pensare a molteplici e svariate iniziative inerenti all’apostolato biblico senza mai, o quasi mai, giungere al contatto vivo e vivificante con il testo biblico, con il libro sacro. È urgente invece che l’apostolato biblico faccia quanto prima un salto di qualità e ciò potrà essere facilitato dalla revisione della Bibbia in lingua italiana che, nel giro di pochi anni, si spera di poter mettere nelle mani di tutti i fedeli.
Tradurre la Bibbia oggi significa anche prestare un contributo decisivo alla causa dell’ecumenismo, inteso non certo come una moda da seguire, bensì come un movimento che porta le singole confessioni cristiane verso il grande traguardo dell'unità delle Chiese. In questo campo di lavoro sono testimone di non pochi traguardi raggiunti: la traduzione della Bibbia in lingua corrente fatta insieme da cattolici e protestanti, la recente traduzione ecumenica del Vangelo di Giovanni, opera anch’essa di una collaborazione tra protestanti e cattolici, ma soprattutto la molteplice e ricca collaborazione tra cattolici e protestanti in Italia per la diffusione della Bibbia negli ambienti più disparati.
Una buona traduzione biblica oggi costituisce anche un valido strumento all’azione missionaria della Cbiesa. Come i primi cristiani hanno acquisito una chiara consapevolezza del loro essere missionari nel mondo per il loro contatto con Gesù, Parola di Dio fatta persona, e con gli Apostoli, i primi grandi servitori della Parola, cosi anche oggi una comunità cristiana non può prendere coscienza della sua missionarietà e tanto meno vivere la missione come suo compito primario e irrinunciabile se non si tiene in costante, religioso ascolto della parola di Dio scritta e della viva predicazione della Chiesa.

Conclusione
Non vorrei lasciare un'impressione troppo negativa nei lettori, ma più ci si addentra nell’arte dei tradurre più ci si rende conto che ogni traduzione, compresa quella biblica, comporta una certa qual violenza al testo. Sono ben note e sempre valide le riflessioni di J.W. Goethe: "Non si riflette mai abbastanza al fatto che una lingua è propriamente soltanto simbolica, metaforica e che non esprime gli oggetti mai in modo immediato, ma solo di riflesso ... E tuttavia come è difficile non porre il segno al posto della cosa, avere l’essenza sempre dinanzi a sé e non ucciderla con la parola".
Ciò è ancor più vero di una traduzione, di ogni traduzione. Infatti, per chi ha un minimo di sensibilità letteraria e sa che ogni composizione, soprattutto se poetica, è un piccolo capolavoro che resiste a ogni tentativo di trasposizione, assumere ed esercitare il compito del traduttore è un po' come una tortura, un continuo sentirsi sottomesso al giudizio dell’autore, prima ancora che a quello dei lettori.
Ritengo estremamente valida questa avvertenza di R. Pesch: "Il lettore ingenuo, cosiddetto senza pregiudizi, vorrebbe di solito cogliere subito le cose nel testo, e non pensa che la res di un testo, il messaggio di un testo 'vi' è solo nella sua lingua, che essa 'vi' si trova in modo manifesto e insieme velato e che si sottrae a ogni tentativo temerario di cattura; egli non pensa che il linguaggio è una struttura fragile e ha bisogno di un uso prudente, se la vita non vuole essere soffocata e la 'cosa' che in essa traluce essere distrutta e fatta scomparire. Chi "circonda di palizzata - per dirla con Goethe - la parola di un testo, chi strappa la parola dal suo vivo contesto, chi ne fa una formula maneggiabile, comoda, magari dogmatica, si è già allontanato dal messaggio del testo".
Ogni traduttore che ha la consapevolezza dei suo ministero, oltre al senso di insoddisfazione di cui si diceva prima, avverte l’irrinunciabile dovere di portare anche il lettore a condividerla. Ogni testo è come un organismo vivente e non si lascia vivisezionare. Nella prospettiva della fede, accostarsi al testo biblico significa accostarsi a uno di quei 'segni' della presenza del Dio vivente in mezzo a noi, che sono il nostro viatico.

Carlo Ghidelli

(Tratto dalla Rivista del Clero Italiano, anno LXXXI, n° 7-8, luglio-agosto 2000, pp. 538-550)
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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