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CRITICA STORICA ALLA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2014 21:29
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01/05/2013 18:45
 
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PRECISAZIONI DA PRECISARE 

Hanno fatto un certo rumore alcuni densi articoli biblici, di precisazione, di S.E. Salvatore Baldassarri. Uno l'ho visto riportato in un vivace foglio parrocchiale di Bracciano, gli altri li ho letti direttamente nella Settimana del Clero n. 29-30, 1967. V'è chi li ha ammirati e chi li ha criticati; e penso che niente meglio desideri l'illustre studioso che alimentare la utile riflessione e problematica. Subito, ad ogni modo, vi si coglie la stringata chiarezza dell'antico dotto professore. Ma la concisione talora ha forse impoverito il pensiero. Mi riferirò a qualche affermazione che ha fatto più impressione e che è più significativa, nel quadro del dramma della esegesi moderna. 
 
ESAMERONE 
 
In questo periodo postconciliare di ripensamento - si chiede S.E. B. - «che cosa resta?». E' una domanda pressante, soprattutto in relazione alla Bibbia.

Quanto all'Esamerone: «La Bibbia espone nel modo popolare del suo tempo e del suo ambiente le cosiddette questioni scientifiche. Unica preoccupazione che rientra nel mistero della salvezza: tutte le cose provengono da Dio». - Troppo poco. Le parole da me sottolineate esprimono una verità fondamentale, ma c'è ben altro nel Genesi di «importanza sostanziale» per «il mistero della salvezza»: e il Magistero si è pronunciato più volte in tal senso, come nella Humani generis di Pio XII e nella ivi citata «Lettera... inviata all'Arcivescovo di Parigi dalla Pontificia Commissione per gli Studi Biblici». 

«Questa Lettera infatti ­dice la H. g. - fa notare che gli undici primi capitoli del Genesi... con parlare semplice e metaforico, adatto alla mentalità di un popolo poco civile, riferiscono sia le principali verità che sono fondamentali per la nostra salvezza, sia anche una narrazione popolare dell'origine del genere umano e del popolo eletto» (H. g. 39). Tra tali «verità fondamentali» v'è il monogenismo e il peccato originale (38). Si veda in proposito anche il Tridentino (D-S 1511, 1512, 1513, 1514, 1523), il Vaticano II (CM 24: deh. 1393; cfr. ivi 22, 29: deh. 1385, 1409; C 2: deh. 285), Paolo VI (Oss. R. 16 luglio 1966; Professione di Fede, 30 giugno 1968). Già ne parlai, trattando dell'evoluzionismo. 

Il dotto articolista cita bensì la suddetta Lettera all'Arcivescovo di Parigi (riportata nella H. g.) nel secondo articolo di Sett. d. Cl.; ma si riferisce soltanto a «la storia primitiva in genere», mentre avremmo letto volentieri e con tanta utilità una chiara riaffermazione sulpeccato originale
 
STORICITÀ DEI VANGELI 
 
Ecco poi come nel primo art. di Sett. d. Cl. è presentata la importantissima problematica attuale sulla storicità dei Vangeli: «E' difficile oggi per il Sacerdote ordinario distinguere fra ciò che si riferisce realmente a fatti avvenuti e ciò che è elaborazione dell'Evangelista... In particolare sui Vangeli dell'Infanzia ci si chiede: se la tradizione sinottica inizia con la vita pubblica di Gesù, che cosa pensare del valore storico dei ricordi di ciò che la precede?... anche sulla vita pubblica di Gesù: che cosa pensare della storicità dei detti e fatti di Gesù? E' possibile una elaborazione evangelica delle parole di Cristo che ne abbiamutato il senso?». 

Ho sottolineato le parole che lasciano perplessi e richiedono spiegazioni. L'elaborazione dell'Evangelista sembra contrapposta, come sovrastruttura non storica, ai fatti avvenuti(come infatti una certa esegesi progressista afferma). So bene che vi sono esegeti che moltiplicano in tal senso gli esempi. Ma io nego che vi sia un solo caso provato. Anzi una esegesi veramente critica sarà sempre più portata a negarlo (14). 
 
La tradizione sinottica inizierebbe con la vita pubblica? E allora dove li mettiamo i primi due capitoli di S. Matteo e di S. Luca? Non fanno parte della sinossi? Se si vuol parlare dellapredicazione apostolica iniziale, allora sì, poteva essere ben naturale che partisse dai fatti più recenti e notori. Ma tanto essi quanto i fatti dell'Infanzia venivano tratti da ricordi e testimonianze ugualmente sicure, garantite ugualmente dalla probità degli scrittori e dalla infallibile assistenza dello Spirito Santo. Quanto ai ripetuti documenti del Magistero circa la verità dei «detti» e «fatti» di Gesù (fino agli ultimi, ossia alla Intructio della P. C. Biblica del 1964, n. 2 e alla Cost. conciliare Dei verbum del 1965, n. 19: deh. 901; cfr. 11: deh. 890) è chiaro che l'Infanzia vi rientra, con importanza fondamentale. 
 
In merito all'elaborazione dell'evangelista e agli autentici fatti e alle autentiche parole di Cristo, l'Ecc.mo autore risponde nel secondo articolo del medesimo settimanale, opportunamente appellandosi ai suddetti due ultimi documenti del Magistero. Sottolineo le espressioni che non eliminano però le perplessità, su un punto tanto delicato. 

«I vangeli... partendo dalla vita e predicazione di Gesù, passano per la predicazioneapostolica [salvo probabilmente, quanto alla primitiva predicazione, per il racconto dell'Infanzia, non meno però accuratamente attinto da sicure testimonianze: cfr. Lc 1, 3] e sono messi in iscritto secondo i diversi punti di vista dei singoli autori». 

Purtroppo quell'indeterminato «passano» e soprattutto quella generica espressione «diversi punti di vista» possono indurre a temere chi sa quale contributo personale dell'agiografo nella narrazione evangelica, capace di porre un invalicabile diaframma tra il Vangelo e i veri «detti» e «fatti» di Gesù.

E' inutile aggiungere, per tranquillizzare, come fanno tanti esegeti, che anche le elaborazioni didascaliche e teologiche degli agiografi sarebbero state assistite dallo Spirito S. e sarebbero quindi infallibilmente vere. Resterebbe il falso di presentare tali fatti e detti come direttamente e storicamente compiuti e pronunziati da Gesù. Ciò, mentre da un lato ripugna alla infallibile verità dello Spirito Santo, dall'altro minerebbe la sicurezza storica di base della verità di Cristo e della conseguente infallibile assistenza dello Spirito S. Questa infatti non può essere logicamente affermata prima della documentazione evangelica, la cui sicurezza è condizionata alla piena obiettività della narrazione; e questa a sua volta è caratterizzata dalla obiettività delle concrete e circostanziate affermazioni. 
 
Molto più precisi sono i due supremi documenti del Magistero opportunamente citati. NellaIstruzione si parla solo ripetutamente di «variis dicendi modis» e si enumerano soltanto questi tipi di elaborazione, del resto ovvi, da parte degli evangelisti e dei primi predicatori: «seligentes», «synthesim», «explanantes», «alio contextu», «diverso ordine», «non ad litteram, sensu tamen retento», «variis condicionibus fidelium et fini a se intento accommodata [scelta di ciò che era adatto]». Nella Costituzione conciliare poi figurano solo le espressioni: «seligentes», «synthesim», «explanantes», «formam praeconii», insieme alla ribadita condizione che «semper ut vera et sincera de Iesu [tutto, dunque anche l'Infanzia)... communicarent».
 
Solo così possono ammettersi quei «diversi punti di vista» dell'articolo. Solo così la storicità obiettiva è salva e il Vangelo è sicuro, secondo la logica, la critica imparziale, la fede. 
 
Nell'articolo sono esposte poi varie conseguenze, che meritano riflessione. 
«Nei Vangeli hanno fondamentale valore storico principalmente i fatti della vita pubblica, della passione, morte e risurrezione di Gesù, di cui gli Apostoli furono diretti testimoni e che essi ripeterono nella predicazione. I fatti della vita nascosta, pur essendo anch'essibasati certamente su alcune tradizioni, sono più aperti alla elaborazione teologicadell'evangelista, non avendo avuto nel kerygma una forma fissa di trasmissione». - Ora, v'è innanzi tutto da notare che il principio della ispirazione biblica e i documenti del Magistero che hanno ribadito, come fa la suddetta Costituzione conciliare, che i Vangeli riportano «vera e sincera de Iesu», non fanno alcuna distinzione tra vita pubblica e vita nascosta. Noi, quindi, come possiamo farla? 

Non è d'altra parte criticamente ragionevole il farla. E' chiaro che gli Apostoli non poterono essere testimoni diretti della storia dell'Infanzia di Gesù; ma vi era per lo meno il testimone più autorevole di tutti, la Madonna. Comunque gli evangelisti (che non furono tutti Apostoli) furono identicamente assistiti dall'infallibile Spirito Santo ad attingere alle sicure testimonianze dirette degli Apostoli e a quelle di altri testimoni sicuri (cfr. Luca 1, 3). La stessissima infallibilità si estende quindi per tutto l'arco della vita del Signore, a cominciare dall'Annunciazione sua e del Precursore. 

L'unica elaborazione teologica ammissibile è quella che poté fare meglio ordinare, sintetizzare, spiegare (come, per es., nei richiami alle profezie o nei brevi commenti personali, chiaramente indicati nel quarto Vangelo). Presentare invece come diretti fatti e detti di Gesù quelli che direttamente non lo furono, costituirebbe non una elaborazione, ma semplicemente un inganno; e quando si tratta dei fatti e detti di un Dio, che sono alla base di tutto, l'inganno sarebbe gravissimo. 

Non si vede poi che importanza avrebbe, a garanzia della autenticità e obiettività della narrazione, la concretizzazione in una forma fissa di trasmissione, quale avrebbe avuta la primitiva predicazione, a differenza della storia dell'infanzia. Se si trattasse infatti di una elaborazione di puro peso storico umano resterebbe da chiedersi se tale forma si fossefissata o no nella verità; trattandosi invece di infallibile assistenza divina, nella scelta delle autentiche testimonianze, sia quella, sia la storia della infanzia e della vita nascosta debbono ritenersi identicamente certe. 
 
Anche per la vita pubblica si afferma poi: «In alcuni elementi appare già la interpretazione ispirata e la spiegazione che la Chiesa dava di essi... Tali elementi, pur non appartenendo alla storia cronistica, non si possono dire inventati, ma sono anch'essi vera storia, nel senso modernamente inteso di penetrazione della sostanza dei fatti del passato». Talielementi «risalterebbero da un esame minuzioso». - Il guaio è che tale «senso modernamente inteso della storia» non lo era per niente in quei tempi, dove era caratteristica anzi, specialmente presso gli Ebrei, secondo la mentalità orientale, la concretezza narrativa dei fatti esteriori e dei dialoghi. 

Gli agiografi quindi che avessero attribuito direttamente a Gesù fatti e pensieri derivanti invece da elaborazione teologica o da artificio didascalico, senza farlo in qualche modo comprendere, o avevano la coscienza d'ingannare o erano stati ingannati: in entrambe le ipotesi non dicevano la verità, il che ripugna all'infallibile ispirazione. Gli esegeti che rifiutano questa conseguenza o dimenticano il fatto dell'ispirazione o equivocano sul concetto di verità storica evangelica. 

Questa - ripeto - non riguarda la verità del pensiero, come può essere vero anche il pensiero di un moderno e ortodosso trattato di teologia (aggiunta solo, per i Vangeli, la infallibilità), ma riguarda la verità della narrazione in quanto tale, in cui la concreta attribuzione di atti e parole a chi li ha veramente compiuti è essenziale, tanto più quando si tratta della divina persona di Gesù.

E' vero che la stesura dei quattro libri s'inserisce nella nascita e crescita della comunità ecclesiale sostenuta dallo Spirito Santo. Ma mentre tale divina assistenza nella comunità ecclesiale ha operato in vista della integra trasmissione della rivelazione, negli agiografi ha operato invece in vista della fedele narrazione dei fatti che sono all'origine della rivelazione e ne costituiscono il fondamento. Mescolare le due fasi sarebbe illogica confusione.
 
Quanto all'«esame minuzioso» che nei singoli casi permetterebbe la scoperta, nel quadro della esteriore narrazione, dei profondi elementi d'«interpretazione», ne ho dato più volte dei ben significativi esempi. Sul cavallo apparente della sottigliezza si galoppa, in realtà, troppo spesso nel mondo della superficialità e della fantasia. 
 
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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