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LA DIFFUSIONE DELLA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2013 18:08
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10/02/2013 17:58
 
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 Diverse traduzioni in lingua
italiana si susseguirono nei secoli XIII-XVIII (sino al 1500 ci sono undici edizioni dell’intera Bibbia, tra cui emerge per importanza e diffusione quella di Nicolò Malermi camaldolese 1471, con ben 19 edizioni nel solo XVI sec.; da ricordare anche le traduzioni di Antonio Brucioli, del 1532, che però appare fortemente debitore della traduzione di Lutero; del domenicano Zaccaria da Firenze, nel 1536; del calvinista lucchese Giovanni Diodati 1607, la Bibbia in italiano di riferimento per il mondo evangelico, più volte riveduta; la più importante in ambito cattolico, per valore intrinseco e diffusione, fu la traduzione approntata dal sacerdote toscano Antonio Martini nella metà del ’700 (1769-1781), una traduzione fatta però dalla Vulgata, che ebbe 8 edizioni nella sola seconda metà del ’700 e addirittura 40 edizioni nel secolo successivo).

La pluralità delle traduzioni, la mancata ufficializzazione di una di esse, la prevalenza del testo latino della Vulgata grazie all’uso liturgico comportarono che il riferimento al linguaggio biblico nell’area linguistica italiana fosse veicolato dal latino e dai suoi calchi, fino a riconoscere a parole italiane di uso comune significati specifici nel linguaggio religioso.

Solo per accennare a qualcuno di questi calchi, possiamo ricordare termini come “Verbo” o “Paraclito” (qui il calco è, attraverso il latino, dal greco), espressioni come “uomini di buona volontà”. Tutto ciò rappresenta anche una ricchezza per il linguaggio della fede, in quanto così si evita l’impoverimento dei concetti che potrebbe derivare da una traduzione che utilizza termini di uso corrente (vedi, ad es., “Parola” per “Logos”, una scelta che dovrebbe poi giustificarsi rispetto ad altre possibili e tutte plausibili traduzioni come “Discorso”, “Racconto”, “Pensiero”, “Ragione”, “Concetto”, ecc.). In tal modo si giunge anche a costruire, nell’ambito propriamente religioso, uno specifico patrimonio lessicale.

Questo obiettivo non viene abbandonato neanche dalla nuova traduzione che stiamo presentando, la quale si preoccupa di mantenere per quanto possibile questa terminologia religiosa specifica (vale per VerboParaclitoParasceve, ecc.), correggendo solo laddove l’antica espressione a carattere di calco comporta un’interpretazione non più accettabile del testo (per cui invece di “uomini di buona volontà” si legge “uomini, che egli [Dio] ama”, ma era già così nella precedente versione della Bibbia CEI); oppure quando non si tratta di termini con specifico valore teologico (come “mammona”, giudicato troppo antiquato e sostituito ora con “ricchezza”, lasciando al contesto il compito di chiarire che si tratta di una “ingiusta ricchezza”).

2. La natura della traduzione a cura della CEI

La traduzione approntata a cura della CEI è un testo per l’uso liturgico, che ha quindi anzitutto di mira l’atto della proclamazione. Non si tratta di produrre un testo di facile lettura, ma un testo che si lasci ascoltare e che già dall’ascolto manifesti il messaggio che racchiude, senza un’ulteriore mediazione di riflessione come può accadere quando leggendo ci è possibile tornare sulla frase appena letta per decifrarne meglio il senso.

Ciò comporta una costruzione semplice della frase e del periodo, il ricorso a un vocabolario essenziale, senza tuttavia perdere in distinzioni e ricchezza.

Ma questo non descrive compiutamente la natura di questa traduzione. È vero infatti che la Bibbia tradotta a cura della CEI ha come finalità la sua proclamazione nella liturgia, ma di fatto essa è diventata per tanti anche uno strumento essenziale di nutrimento della vita spirituale, il riferimento obbligato per la “lectio divina” e della altre forme di meditazione e preghiera con la Parola. Né possiamo nasconderci il fatto che le persistenti difficoltà ad accostare i testi biblici nelle lingue originali conducono concretamente molte persone a utilizzare la traduzione italiana anche nel momento dello studio biblico, nei vari contesti formativi in cui esso si realizza. Ciò implica che il testo deve quanto più avvicinarsi nella struttura della frase e nelle corrispondenze di vocabolario ai testi originali.

Questa complessità organica di finalizzazioni del testo se per un verso porta a dover far convivere esigenze diverse ha però come corrispettivo positivo il fatto che nella consapevolezza di fede dei credenti è possibile fare riferimento ad un’unica forma testuale, favorendo quindi l’unità tra i vari momenti vitali: spirituale, liturgico, pastorale e culturale. Possiamo così intravedere anche per un’umile traduzione come la nostra il compito di assumere quel ruolo che la Vulgata ebbe per tanti secoli nella cristianità italiana.

Va anche considerato che la traduzione CEI si è andata imponendo anche a rischio di semplificare il panorama della legittima, e per alcuni aspetti utile, pluralità delle versioni, diventando “il” testo biblico di riferimento per tutti. La ricchezza del testo rivelato comporta che nessuna traduzione-interpretazione può esaurirne il significativo; in questa prospettiva la molteplicità delle traduzioni costituisce un vantaggio, in quanto dal loro confronto diventa già visibile come nessuna comprensione del testo possa dirsi definitiva.

In positivo, tuttavia, il convergere sulla traduzione della CEI anche da parte di edizioni di commenti alla Bibbia di varie editrici contribuisce a ribadire il primato e l’autorevolezza di questa traduzione, fattore non secondario di unità nella Chiesa nel nostro Paese. A tale situazione deve risponde la consapevolezza della responsabilità in ordine alla costruzione del linguaggio di fede e quindi della coscienza di fede della comunità ecclesiale in Italia e in ordine al confronto con l’ambiente culturale. Le reazioni dell’opinione pubblica agli annunciati cambiamenti di questa terza edizione della Bibbia CEI indicano l’interesse che anche l’ambito più ampio della cultura nutre al riguardo.

3. La prima e la seconda edizione della traduzione CEI

Quella che ora viene presentata non è la prima traduzione che la CEI appronta. A seguito delle esigenze poste dalla riforma liturgica postconciliare, la CEI decise infatti subito di dotarsi di una propria traduzione della Bibbia e diede inizio ai lavori in tal senso nel 1965. Non si pensò di fare una traduzione “ex novo”, ma di utilizzare come base il testo della Bibbia non da molto pubblicata per la UTET a cura di Enrico Galbiati, Angelo Penna e Piero Rossano, invitando a farne una revisione ai fini dell’utilizzazione liturgica.

La revisione di quella traduzione fu affidata a un gruppo di biblisti e italianisti sotto la guida del Card. Ermenegildo Florit. I criteri di revisione affidati a tale gruppo furono: «esattezza nel rendere il testo originale; precisione teologica, nell’ambito della stessa Scrittura; modernità e bellezza della lingua italiana; eufonia della frase, in modo da favorirne la proclamazione; cura del ritmo, con conseguente possibilità di musicarne i testi (specie i Salmi), di cantarli, di recitarli coralmente».

Il lavoro, approvato dall’8ª Assemblea Generale della CEI (14-19 giugno 1971), ebbe una prima edizione nel dicembre 1971[1] e una seconda, che includeva le correzioni richieste dalla Santa Sede per alcuni testi utilizzati nella Liturgia, nell’aprile 1974. Da questa seconda edizione sono tratti i testi delle pericopi bibliche dei Lezionari liturgici e della Liturgia delle ore che sono stati fino ad oggi in uso.

4. L’elaborazione della nuova, terza edizione

La revisione della traduzione della Bibbia CEI era una esigenza che emergeva dall’uso dei Lezionari nel tempo, come attestano numerose richieste di modifiche giunte alla Segreteria Generale della CEI; soprattutto però si impose come inderogabile dopo la pubblicazione della Nova Vulgata. Le novità maturate nell’ambito degli studi biblici, soprattutto in quello della critica testuale, hanno infatti indotto la Santa Sede ad avviare già nel 1965 una revisione della Vulgata geronimiana, un lavoro terminato nel 1979; ulteriori approfondimenti portarono a pubblicare una seconda edizione della Nova Vulgata, promulgata il 25 aprile 1986 e dichiarata “typica”, specie per l’uso liturgico[2].

In ossequio a tale indicazione, la Presidenza della C.E.I. nel maggio 1988 costituì un Gruppo di lavoro per provvedere a una revisione della traduzione italiana, alla luce del testo della Nova Vulgata “editio altera” e, con l’occasione, per migliorarne la qualità. Il lavoro di revisione (anche questa volta non una nuova traduzione), affidato a questo Gruppo di lavoro guidato successivamente dai vescovi Giuseppe Costanzo (1988-1991), Wilhelm Egger (1991-1994), Franco Festorazzi (1994-2000) e composto da biblisti, liturgisti, italianisti e musicisti[3], fu orientato da indicazioni e criteri stabiliti dal Consiglio Episcopale Permanente e in seguito sulla scorta di quanto previsto dall’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti Liturgiam authenticam (2001) relativa alla traduzione dei testi liturgici, che invita a rivedere i testi biblici utilizzati nell’azione liturgica in base ai testi originali presupposti dalla Nova Vulgata.

I criteri che hanno guidato il lavoro di revisione possono essere così riassunti:
- i libri e le pericopi da tradurre, in quanto facenti parte del Canone biblico della Chiesa cattolica, sono stati individuati in conformità alla Nova Vulgata e, in genere, alla tradizione liturgica occidentale;

- la traduzione esistente è stata rivista in base ai testi originali (ebraici, aramaici e greci), secondo le migliori edizioni critiche oggi disponibili, dalle quali è stata tradotta anche la Nova Vulgata[4], e secondo i principi classici della critica testuale e dell’esegesi. Nei casi di lezioni testuali dubbie o discusse, ci si è riferiti in primo luogo alla versione dei Settanta, per l’Antico Testamento, e poi allaVulgata, tenendo conto delle scelte compiute dalla Nova Vulgata;

- inesattezze, incoerenze ed errori della traduzione del 1971-1974 sono stati corretti seguendo scelte condivise tra gli esegeti e avendo come riferimento, nei casi dubbi, la Nova Vulgata;

- si è cercato di recuperare un’aderenza maggiore al tono e allo stile delle lingue originaliorientandosi verso una traduzione più letterale, senza compromettere tuttavia l’intelligibilità del testo fin dal momento della lettura o dell’ascolto;

- particolare attenzione è stata riservata alla corrispondenza dei testi sinottici, alla varietà degli stili e dei generi letterari nei diversi libri della Scrittura, cercando al contempo uniformità e continuità del vocabolario;

- ci si è preoccupati di rendere il testo in buona lingua italiana, con modalità espressive di immediata comprensione e comunicative in rapporto al contesto culturale odierno, evitando forme arcaiche del lessico e della sintassi;

- si è curato il ritmo della frase, per rendere il testo rispondente alle esigenze della proclamazione liturgica e, dove occorra, adatto a essere musicato per il canto.

Nel lavoro di revisione, durato dodici anni, ci si è avvalsi dei suggerimenti forniti da esegeti specialisti dei diversi libri biblici[5]. Il lavoro è stato costantemente seguito dal Consiglio Episcopale Permanente, anche mediante un apposito Comitato ristretto[6].

Nel corso del cammino non sono mancati anche apporti di carattere ecumenico e interreligioso. In particolare è stato chiesto un confronto sulla traduzione del Nuovo Testamento alla Federazione delle Chiese Evangeliche d’Italia; altre osservazioni, relative alla traduzione del Pentateuco, sono state richieste alla presidenza dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia.

Nell’aprile 2000 il Gruppo di lavoro ha consegnato i testi rivisti alla Segreteria Generale della C.E.I., che ha provveduto a un’ulteriore rilettura, dedicata in particolare a dare maggiore omogeneità agli interventi nei diversi libri, con particolare attenzione ai Vangeli, e ad affrontare il problema dell’uniformità dell’onomastica[7]. Nell’estate 2001, il testo è stato inviato ai vescovi per una prima consultazione. Hanno risposto 218 dei 249 vescovi aventi diritto. Il testo presentato ha ricevuto un larghissimo consenso: 168 placet, 47 placet iuxta modum, 3 schede bianche, nessun voto contrario. Sono stati proposti 1321 emendamenti formali e circa un migliaio di osservazioni, finalizzate al miglioramento del testo. La Commissione Episcopale per la liturgia ha demandato a un apposito Comitato l’esame degli emendamenti proposti. Il Comitato, guidato dal presidente della Commissione, il vescovo Adriano Caprioli, e composto dai vescovi Luciano Monari e Mansueto Bianchi, si è avvalso della consulenza di biblisti e liturgisti già impegnati nelle precedenti fasi dell’iter di revisione[8]. Il Segretario Generale della C.E.I. ha partecipato a tutti i lavori.

Sono stati accolti circa i due terzi degli emendamenti e delle osservazioni. Si è poi proceduto a una ulteriore rilettura del testo per controllare la coerenza tra gli interventi effettuati e le precedenti scelte lessicali e interpretative. La traduzione è stata inviata a tutti i membri della C.E.I., che, dopo un esame personale, l’hanno approvata nel corso della 49ª Assemblea Generale, il 23 maggio 2002. Il consenso è stato pressoché unanime: 202 dei 203 votanti hanno approvato il testo proposto.

Il testo è stato inviato alla Congregazione per il Culto, per ricevere la “recognitio” prevista per l’uso liturgico del testo. Per volontà del Santo Padre Benedetto XVI, la Congregazione ha esaminato tutto il testo della Bibbia e non solo le pericopi che vengono attualmente utilizzate nella liturgia della Parola delle celebrazioni eucaristiche e nella Liturgia delle Ore. La Commissione episcopale per la liturgia, presieduta successivamente dai vescovi Adriano Caprioli e Felice Di Molfetta, con il supporto dell’Ufficio liturgico nazionale[9], ha curato l’introduzione delle correzioni richieste dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nel contesto di un fruttuoso dialogo. La “recognitio”, per quanto concerne i Lezionari liturgici è stata ratificata in data 12 luglio 2006; il 28 maggio 2007 per i testi biblici presenti nella Liturgia delle ore.

La Presidenza della CEI, a cui spetta formalmente l’approvazione della versione italiana dei libri della Sacra Scrittura[10], ha infine dato la sua definitiva approvazione nella riunione del 17 settembre 2007. Tre giorni dopo la Congregazione ha dato la sua “recognitio” alla Bibbia nella sua globalità, così come richiesto da Benedetto XVI.

Accanto all’iter di revisione della traduzione del testo biblico, si è avviata in parallelo la revisione delle introduzioni e delle note che accompagnavano le precedenti edizioni della Bibbia C.E.I. Anche in questo caso il lavoro di revisione è stato profondo e ha fatto tesoro delle acquisizioni più recenti degli studi biblici. Introduzioni e note accompagnano il testo, come è doveroso per ogni Bibbia pubblicata in ambito cattolico, ma non hanno il medesimo valore “tipico” della traduzione e pertanto sono pubblicate sotto l’esclusiva responsabilità della Segreteria Generale della CEI, che per questo lavoro si è avvalsa di numerosi collaboratori[11].

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[1] La Sacra Bibbia, Edizioni Pastorali Italiane, Roma 1971.

[2] Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio, editio typica altera, Libreria Editrice Vaticana, Romae 1986 (cf. p. VIII).

[3] Ne hanno fatto parte, con integrazioni e sostituzioni nel corso degli anni, i vescovi Carlo Ghidelli, Alberto Giglioli (†), Luciano Monari, Luciano Pacomio, coadiuvati da Carlo Buzzetti, Romeo Cavedo, Eugenio Costa, Renato De Zan, Giuseppe Ghiberti, Tiziano Lorenzin, Luca Mazzinghi, Antonino Minissale, Angelo Ranon (†), Luigi Sessa (†), Giulio Villani (†). Segretario è stato Giuseppe Danieli.

[4] Si è fatto riferimento per l’Antico Testamento alla Biblia Hebraica Stuttgartensia (a cura di K. Elliger e W. Rudolph, 5a ed. a cura di A. Schenker, 1997) e alla Septuaginta (a cura di A. Rahlfs, 9ª ed., 1971; per ciò che concerne il Siracide ci si è però affidati al testo curato da J. Ziegler, Sapientiae Iesu Filii Sirach, 2ª ed., 1980); per il Nuovo Testamento ci si è basati sul testo della 27ª ed. rivista delNovum Testamentum Graece (Nestle-Aland, 1993) e del GreekNew Testament (curato da B. Aland, K. Aland, J. Karavidopoulos, C.M. Martini, B.M. Metzger, 4a ed., 1993). Il cambiamento dei testi critici di riferimento nella redazione della Nova Vulgata ha avuto importanti conseguenze: la traduzione della Bibbia C.E.I. del 1971 e 1974 presuppone infatti per l’Antico Testamento la Biblia Hebraica di R. Kittel (3a ed.) e per il Nuovo Testamento in generale il Novum Testamentum graece et latine di A. Merk.

[5] In questa fase del lavoro hanno collaborato Augusto Barbi, Valdo Bertalot, Giuseppe Betori, Antonio Bonora (†), Gianantonio Borgonovo, Claudio Bottini, Adriana Bottino, Maria Brutti, Innocenzo Cardellini, Cecilia Carniti (†), Lino Cignelli, Mario Cimosa, Enzo Cortese, Giuseppe Crocetti, Giuseppe Danieli, Angelico Di Marco, Claudio Doglio, Vittorio Fusco (†), Roberto Gelio (†), Mara La Posta, Tiziano Lorenzin, Nicolò Loss (†), Cesare Marcheselli Casale, Mario Masini, Luciano Monari, Francesco Mosetto, Alviero Niccacci, Marco Nobile, Anna Passoni Dell’Acqua, Romano Penna, Antonio Pitta, Virgilio Ravanelli, Armando Rolla, Francesco Saracino, Giuseppe Segalla, Adalberto Sisti, Gianni Trabacchin, Stefano Virgulin (†), Lorenzo Zani, Silverio Zedda (†), Italo Zedde. Altri apporti sono stati dati successivamente da Andrea Andreozzi, Silvio Barbaglia, Sandro Carbone, Gaetano Castello, Flavio Dalla Vecchia, Roberto Filippini, Fortunato Frezza, Corrado Ginami, Pier Angelo Gramaglia, Umberto Neri (†), Piergiorgio Paolini, Paolo Papone, Angelico Poppi, Gian Luigi Prato, Benedetto Prete, Michelangelo Priotto, Gianfranco Ravasi, Maria Luisa Rigato, Pasqualino Tamietti (†), Francesco Vannini, Gianfranco Venturi, Roberto Vignolo.

[6] Del Comitato hanno fatto parte i cardinali Giacomo Biffi (dal 1997 sostituito da Dionigi Tettamanzi), Carlo M. Martini, Giovanni Saldarini (dal 1997 sostituito dal vescovo Renato Corti), nonché i vescovi Mariano A. Magrassi (†) (dal 1997 sostituito da Giuseppe Costanzo) e Benigno L. Papa.

[7] Anche questo lavoro è stato coordinato dal Giuseppe Danieli e ha visto l’apporto di altri esperti, tra cui Augusto Barbi, Eugenio Costa, Luca Mazzinghi, Romano Penna e Gian Luigi Prato, nonché la verifica personale da parte del Sottosegretario poi Segretario Generale della C.E.I. Giuseppe Betori. In questa fase ci si è preoccupati anche di una revisione dei testi dal punto di vista linguistico e letterario, avvalendosi della consulenza di Maria Gabriella Benedetti Presilla, Ermanno Paccagnini, Ferruccio Parazzoli. Un ulteriore contributo di rilettura del testo, finalizzato anche a rendere congruente l’onomastica, è stato offerto da Gregoria Arzani e dalla Comunità del Monastero di S. Maria del mare di Castellazzo (La Spezia).

[8] Nell’esame degli emendamenti ci si è avvalsi dell’apporto di Augusto Barbi, Giuseppe Busani, Romeo Cavedo, Eugenio Costa, Giuseppe Danieli, Renato De Zan, Luca Mazzinghi, Antonino Minissale, Romano Penna.

[9] Direttori, aiutanti di studio e collaboratori dell’Ufficio liturgico nazionale – Michelangelo Giannotti, Guido Genero, Giuseppe Busani, Domenico Falco, Angelo Lameri, Natalina Argentin, Patrizia Di Maio, Anna Paola Fornaci Ranaldi e Ornella Russo – hanno offerto un contributo importante in tutte le fasi del lavoro, particolarmente con compiti di verifica e di organizzazione.

[10] Cfr. can. 825 § 1 del Codice di diritto canonico e delibera C.E.I. n. 25 del 18 aprile 1985.

[11] Alle introduzioni e alle note, con il coordinamento di Giuseppe Danieli, hanno lavorato Claudio Balzaretti, Augusto Barbi, Giuseppe Betori, Enzo Bianchi, Elena Bosetti, Maria Brutti, Carlo Buzzetti, Sandro Carbone, Giuseppe Crocetti, Rinaldo Fabris, Antonio Fanuli (†), Antonio Favale, Alberto Giglioli (†), Primo Gironi, Bruno Maggioni, Luciano Manicardi, Filippo Manini, Gilberto Marconi, Antonino Minissale, Giacomo Morandi, Pasquale Pezzoli, Gian Luigi Prato, Gianfranco Ravasi, Patrizio Rota Scalabrini, Lucio Sembrano, Filippo Serafini.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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