Medieval 2 Total War
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Le pagine bianche

Ultimo Aggiornamento: 18/12/2021 06:43
05/12/2012 03:54
 
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CAPITOLO V
SECONDA PARTE
1157 d.C.


L'eretico


7 Dicembre 1157 d.C.

- Dove diavolo è il mio cavallo?!? – Urlò Sobislaw Sobieslawice.
Marek, il suo assistente, aveva appena finito di stringere i nodi della sua spessa armatura ed era ora inginocchiato a terra intento a far calzare i suoi piedi negli stretti stivali di cuoio. La nebbia mattutina aveva coperto lo schieramento delle truppe nemiche e il repentino inizio dell’assalto aveva colto un po’ tutti di sorpresa.
Un attendente si precipitò dunque nella stanza.
- Duca... Le difese stanno cedendo! Il nemico sta occupando le vie della città! Dovremmo suonare la campana!?! -
Sobislaw imprecò furibondo. – Si si certo! Suonate subito la campana! Voglio tutti qui nel piazzale! Non avranno questa città! E tu.. muoviti dannazione!!! –


L’assistente finì il lavoro, aiutò il Duca ad alzarsi e corse velocemente fuori dalla stanza. Sobilaw si mosse lentamente, appesantito dalla pesante corazza, e si affacciò dal balcone al lato della camera. Un brivido gli percorse la schiena. Dal palazzo poteva vedere chiaramente quello che stava succedendo: ovunque si sentivano grida strazianti e urla di guerra. I suoi uomini erano intenti a combattere sia sulle mura che nelle strade mentre i cavalieri ducali, la sua guardia personale, si stavano già scontrando nel piazzale sottostante circondati da lancieri e balestrieri a cavallo. Le mura a ovest avevano preso fuoco e diverse costruzioni nelle vicinanze stavano bruciando.
Lukasz Biurek, il suo fido scudiero, lo vide sporgersi e urlò dal basso a squarciagola: - Mio signoreee!!! Gli uomini hanno perso il controllo delle fortificazioni!!! Quali sono gli ord.. - Non fece a tempo di finire la domanda che una lancia lo trafisse da parte a parte. Il corpo cadde esanime sulla neve in una pozza di sangue.


– Che Dio ci salvi ! – Esclamò Sobislaw a voce alta. Indietreggiò allibito decidendo sul da farsi. Doveva raggiungere al più presto il retro del palazzo, utilizzando un'uscita secondaria, montare a cavallo e fuggire dal cancello a Nord. Percorse con la mente la via più breve per attuare il suo piano, uscì quindi in fretta nell'anticamera e procedette lungo l'edificio. Ma appena raggiunse le gradinate principali un rumore arrestò il suo cammino, paralizzandolo. Nell’atrio a pian terreno riecheggiò un inconfondibile fragore di spade... uno strillo, poi un frastuono, la voce di Marek che urlava rauca - Scappateee!!! - e infine il rumore di passi veloci su per le scale. Arretrò titubante e si guardò attorno agitato. Ritornò quindi sui suoi passi, precipitandosi nella stanza, serrò la porta e si mise a cercare qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse utilizzare per barricarsi. Ribaltò dunque il tavolo e spinse. Prese alcune sedie e poi ancora un mobile e li scaraventò accatastandoli davanti all’uscio. Sfoderò infine la spada dall’elsa, stringendola con ambedue le mani, e tremando tese l’orecchio. Ci fu silenzio per qualche minuto ma poco dopo sentì battere sordamente contro la porta. – Aprite! Aprite e arrendetevi! – Esortò la voce. Non disse nulla ma la sollecitazione fu ripetuta.
– Sono il Duca Sobislaw Sobieslawice... - rispose infine. – Voglio arrendermi... ma prima di tutto invoco il diritto di poter parlare con Sir Henryk Piast! Voglio fare un patto con lui! Avete sentito?!? –

Novantasette minuti prima...

Henryk fissava concentrato le mura di legno della cittadina portuale di Gdansk. Tutto era pronto e lo schieramento era in attesa del suo ordine. L’aria gelida e salmastra riempiva le narici e tendendo l’orecchio si poteva udire in lontananza lo scroscio delle onde del mare. Nessuno fiatava. Aveva nevicato parecchio in quei giorni e una leggera foschia mattutina contornava il paesaggio che si uniformava sotto una spessa coltre di bianco tenue.
Rispensò a suo fratello. Nessuno poteva affermare che Mieszko non era stato di parola: aveva assegnato al suo comando quasi duemila uomini provenienti da tutta la Grande Polonia. Henryk, tuttavia, non era per niente soddisfatto. I castelli di Gniezno e Wrezlaw erano famosi in tutto il regno per aver addestrato in varie occasioni valide truppe e guerrieri capaci. Mieszko, invece, aveva inviato unicamente nove unità di “Vojnici” per un totale di millequattrocento uomini. Essi erano lancieri slavi di secondo rango, coscritti nelle milizie cittadine principalmente per la difesa di strade e borghi da briganti e ribelli. Armati unicamente di una lunga lancia, per la maggior parte erano solo dei giovani che con ogni probabilità non avevano mai partecipato ad una vera battaglia. Non possedevano protezioni e potevano contare soltanto su un grande scudo per la difesa. Sicuramente avrebbero rappresentato un valido supporto a truppe più esperte durante uno scontro campale, ma, nel suo caso, erano il cuore pulsante dell’esercito.


Nelle prime file, invece, a stento mantenevano la posizione circa cinquecento “Smerd” equipaggiati con un piccolo arco. Quest’ultimi erano per lo più contadinotti, manovali, carpentieri, braccianti... arruolati dal fratello quasi sicuramente con la forza. La loro abilità bellica era discutibile quanto la loro disciplina. Durante le esercitazioni condotte quell’estate, ogni decina di frecce scoccate solo un paio si avvicinava quantomeno al bersaglio. Rappresentavano l’unica unità da tiro appiedata disponibile e non avrebbe mai potuto contare su di essi durante la mischia; in definitiva facevano solo numero.
La terza ed ultima linea dello schieramento era composta da centocinquanta “Strzelcy”: cavalleggeri muniti di piccola balestra e protetti da armature leggere. Abili nelle pianure a fronteggiare gli slavi dell’Est non avevano però utilità nell’assalto data la corta gittata dei loro dardi. Quest’ultimi insieme alla sua scorta personale, composta da ottanta cavalieri reali, rappresentavano tutta la cavalleria disponibile.


Era dunque questa la “grande armata” promessagli dal fratello due anni prima durante l'incontro al monastero di Kielce.
Henryk percorse con lo sguardo la lunghezza della lunga linea di uomini e deglutì per la tensione. Aveva inviato diverse spie in ricognizione in quei mesi per ottenere infomazioni circa la guarnigione presente, ma un solo uomo era tornato vivo con un rapporto tutt’altro che confortante: il Duca Sobislaw Sobieslawice era arroccato in città con circa millequattrocento uomini fra milizie e "Traperzy", fanteria leggera composta da uomini duri le cui pesanti asce rappresentavano il punto il forza; nonché alcune unità di balestrieri, i "Kusznicy".


Da sette lune aveva posto l’assedio a Gdansk mettendo a dura prova la resistenza delle sue truppe. Calcolò che sarebbe potuto rimanare li per molti mesi ancora, forse addirittura anni, prima che il Duca Sobilaw, preso per sfinimento, avesse dato l’ordine di respigerlo tramite una battaglia campale: lo sbocco al mare rappresentava un’ ottima risorsa e sicuramente la città non soffriva ancora la fame.
Non poteva tuttavia aspettare ancora. L’inverno stava per iniziare e non sapeva quanti uomini avrebbero superato i gelidi mesi seguenti accampati nelle sottili tende a ridosso della città. Durante l’estate era stato facile mantenere alto il morale e stabili gli approvvigionamenti ma da qualche tempo il cibo scarseggiava e oramai aveva dato completamente fondo alle casse per mantere vive le salmerie.

Henryk non avrebbe sicuramente fatto molto caso a tutti questi dettagli se Mieszko fosse stato li con lui adesso. Aveva atteso pazientemente tutto l’anno che questi lo raggiungesse, possibilmente con alcuni rinforzi, per sferrare insieme l’attacco. Nell’ultima lettera ricevuta, tuttavia, il fratello si era scusato sbrigativamente annunciando che questioni urgenti lo desideravano altrove e di non aspettarlo ulteriormente. Incredulo aveva riletto più volte quelle righe stracciando infine il messaggio.
Si morse un labbro mentre ripensava alla sua stupidità: non gli era mai importato seriamente dell’annessione di quell’inutile cittadina marinara ai suoi possedimenti e più volte aveva meditato circa la possibilità di togliere l’assedio e fare dietrofront. L’unica cosa che lo aveva eccitato in principio era tornare a combattere a fianco del fratello maggiore, sognando di cavalcare al suo fianco fra le risate e le bevute, mentre gli uomini esultanti acclamavano i loro nomi.
Mieszko invece si era praticamente fatto beffe di lui: più volte aveva rimandato il suo arrivo assicurando il suo appoggio alla campagna e infine lo aveva abbandonato solitario assieme alle sue grandiose promesse: " - ...pertanto la nostra bandiera e i nostri vessili torneranno a sventolare a Gdansk e io, Henryk Piast di Sandromierz, prometto davanti a Dio che mi occuperò personalmente della sua riconquista! - ” aveva dichiarato pubblicamente davanti al Consiglio.
Boleslao aveva accolto l’iniziativa con la sua solita lungimiranza: Sobislaw aveva preso il controllo del ducato durante la guerra civile e in seguito aveva dichiarato l’indipendenza dal regno. Il fratello maggiore non aveva fatto nulla in proposito, conscio che il Duca poteva contare su molti sostenitori importanti nonché di un esercito personale di tutto rispetto. Negli ultimi anni aveva tuttavia governato senza render più conto a nessuno e, così, si era attirato le antipatie dell’Imperatore nonché di tutta la nobiltà che conta. Dopo un’attenta riflessione aveva dato infine il suo assenso augurandogli buona fortuna.
Henryk già si immaginava le risa e gli scherni che avrebbe dovuto sopportare se adesso si fosse tirato indietro: chiunque l’avrebbe definito “codardo” o ancor peggio “indegno ”. Tali disonori per lui, così attento alla “purezza” della sua immagine, sarebbero stati peggio della morte stessa. - Mieszko! Che tu sia maledetto per avermi messo in questa situazione! - ripensò furibondo.

Dunque, ora era li. Pronto e teso. Il momento era arrivato. La leggera superiorità numerica era l’unica arma a suo vantaggio e in quella fredda mattina di inizio Dicembre avrebbe assaltato Gdansk con quella “sottospecie” di armata al suo comando, segnando così, in modo o nell’altro, il suo destino.
- Perdonatemi Duca... non capisco cosa stiamo aspettando... la foschia si sta diradando velocemente, a breve non potremo più contare sull’effetto sorpresa... - disse nervosamente il capitano Piotr Rubniach fissandolo esitante. Henryk si voltò pensieroso come se non avesse udito quelle parole. Infine con un’espressione risentita in volto rispose: – Si si certo capitano... stavo riflettendo su alcune variabili... procediamo come d’accordo. Raggiungi pure l'altro lato, io darò il segnale appena sarai arrivato. –



La terra iniziò leggermente a tremare sotto il passo regolare degli uomini che avanzavano. Henryk aveva diviso l’esercito in due legioni da circa mille uomini ciascuna per condurre un attacco da due lati. Aveva studiato la strategia minuziosamente: quattro unità di Vojnici avrebbero assaltato simultaneamente le mura con le scale per coprire l’avanzamento di due unità munite di ariete. Gli Smerd si sarebbero avvicinati quasi fin sotto i lunghi pali di legno, tirando a chiunque si fosse affacciato sopra di essi. Sperava che quest’ultimi attirassero così l’attenzione dei balestrieri, limitando considerevolmente le perdite delle assai più imporanti milizie. Le restanti tre unità di Vojnici avrebbero dovuto attendere pazientemente l’evoluzione della situazione, salendo a loro volta sulle scale o aiutando i loro compagni nello sfondamento dei i cancelli. Una volta aperto un varco sarebbero entrati in battaglia gli Strzelcy, bersagliando il nemico nelle strade e cercando di occupare il centro della città supportando così i lancieri soppravvissuti all’assalto frontale. Infine avrebbe raggiunto lui stesso a sua volta gli uomini per dare il colpo di grazia agli eventuali superstiti, nonché per fronteggiare la cavalleria nemica, che senza dubbio avrebbe rappresentato un grosso ostacolo.
Si domandò che faccia avesse quel Duca Sobislaw. Se fosse riuscito ad ucciderlo o a imprigionarlo Gdansk sarebbe caduta facilmente. Strinse la spada e guardò fisso dinnanzi a sé. La battaglia ebbe inizio prima del previsto. Da ogni direzione frecce e dardi scagliati da archi e balestre provenienti dalle torri e dai baluardi oscurarono parzialmente il cielo. Henryk rabbrividì. Quello era senza dubbio il momento cruciale: i suoi uomini avrebbero continuato ad avanzare ignorando i morti e i feriti o avrebbero arretrato dandosi alla fuga?



- Aprite subito! - riprese la voce incurante delle dichiarazioni. Sobilaw iniziò a camminare febbrilmente avanti e indietro per la stanza e decise infine di calarsi in qualche modo dalla struttura. Corse di finestra in finestra notando con grande disappunto che il palazzo era letteralmente circondato. Non aveva scampo. Poi sentì un tonfo. Poi un altro ancora. La porta dunque cedette sotto i poderosi colpi di una trave usata come ariete e cinque uomini armati entrarono sommossamente nella stanza. Sobilaw immediatamente rivoltò la spada e si inginocchiò porgendola in segno di resa. Un pugno gli centrò la faccia e cadde a terra sanguinante. – So..sono il Duca Sobislaw Sobieslawice... - disse sputando sangue e toccandosi il naso dolorante mentre arretrava seduto con la mano sinistra aperta rivolta verso gli uomini - ...fermatevi in nome di Dio! Voglio poter parlare... -
- Abbiamo capito chi sei! – Disse uno degli uomini sghignazzando. - Non temere non è ancora giunta la tua ora... abbiamo bisogno che tu dica due paroline ai tuoi cavalieri giù nel piazzale... –

Henryk ammirava incredulo quello che era successo nell’ultima ora e mezza. Non aveva avuto il tempo di realizzarlo durante la foga dello scontro. Ce l’aveva fatta, aveva vinto! Le mura erano state abbandonate e i suoi uomini stavano disarmando i Kusznicy e le poche milizie superstiti. Nelle strade interi gruppi di Traperzy si arrendeva gettando le grandi asce a terra.
In seguito allo sfondamento delle porte era giunto insieme ai suoi prodi cavalieri a sostegno dei lancieri e degli Strzelcy nel piazzale dinnanzi al palazzo. La cavalleria ducale nemica si era rivelata un osso duro, ma anche quest’ultima si era infine consegnata, quando dal balcone il Duca Sobislaw aveva pregato insistentemente di abbassare le armi e desistere dallo scontro.
Piotr Rubniach si avvicinò a lui sorridendo: – Congratulazioni Sir. La città è vostra adesso! –
- Si Piotr. Ce l’abbiamo fatta! – rispose Henryk carico di adrenalina.
- Che ne facciamo dei prigionieri? –
- Conduceteli tutti qui nella piazza e legateli, ma ripeto: non uccideteli per nessun motivo. Prima di tutto voglio parlare con quel Duca Sobieslawice... –
Scese da cavallo e fece per incamminarsi quando improvvisamente si voltò nuovamente verso il capitano: - Se vengo a sapere che anche un solo uomo ha usato violenza contro donne o bambini, commesso saccheggi o distrutto strutture, verrà qui oggi giustiziato per alto tradimento e crimine di guerra! –
- Non temete Duca, gli uomini sanno come si devono comportare, come da vostri precedenti ordini. –

Henryk salì velocemente le scale ed entrò nella stanza. Alcuni Vojnici erano rimasti di guardia ad un giovane sui venticinque anni, seduto sanguinante e legato ad una sedia. Aveva i capelli neri e gli occhi chiari. Il viso era gonfio e graffiato vicino a naso e bocca ma i lineamenti erano morbidi, quasi vellutati. Trasalì alla sua vista: era davvero un bel ragazzo.
- Chi l’ha colpito così ripetutamente al volto!? – Chiese bruscamente.
Gli uomini si guardarono impauriti, infine uno di essi rispose: - Non voleva arrendersi abbiamo dovuto usare la forza... -
- Spogliatelo! Non ha diritto di rimanere vestito come un principe! –
- Sir Henryk vo..volevo fare un accordo con voi... mio fratello pagherà... - Mormorò Sobilaw ansioso e con voce tremolante mentre gli uomini si accinsero a togliergli l’armatura.
- Non stiate troppo a crucciarvi Sobislaw. Fra poco avremo tutto il tempo di discutere i dettagli della vostra resa... - Rispose Henryk fissando ardentemente il corpo del giovine.
Quando gli uomini ebbero finito Henryk comandò loro di raggiungere il resto delle milizie nel piazzale. Disse di volerlo interrogare personalmente in privato e che nessuno, per nessun motivo, avrebbe dovuto disturbarli. Poi, una volta soli, si accostò a Sobislaw rannicchiato mezzo nudo in un angolo. Tremava come una foglia. Henryk era eccitatissimo.
Delicatamente si avvicinò al suo orecchio destro e sibilò: - Adesso tu farai tutto quello che io ti dirò di fare… non è cosi? –
- S..s..si... – Fu vacillante la risposta.
Lo aiutò ad alzarsi e gli ordinò con un certo garbo di mettersi in ginocchio sulla sedia appoggiata contro il muro rivolgendogli le spalle. Sobilaw non capì subito il motivo di quella richiesta ma poi un’idea orribile prese forma nella sua mente. Tirò fuori tutto il suo coraggio e obiettò: – Sir Henryk! Mio fratello pagherà molto! Non può farmi questo... la scongiuro in nome di Dio... ragioni! - Henryk, spazientito, gli prese con forza la testa per i capelli, lo cinse con l'avrambraccio e con un coltellaccio gli accarezzò delicatamente la gola premendo a tratti: – Non vorrei mai che tuo fratello debba piangere la tua morte domani... perchè non fai il bravo e non ti metti su quella sedia come ti ho chiesto? – Sobilaw non si mosse e annuì ma appena Henryk allentò la presa si divicolò riuscendo per un attimo ad avvicinarsi alla porta. Henryk lo afferrò per un braccio e prese a colpirlo ripetutamente alla nuca col manico del coltello. Sobilaw cadde a terra privo di sensi.
Quando riprese conoscenza dolorante, si ritrovò legato ed imbavagliato. Henryk lo fissava esultante. - Finalmente ti sei svegliato! - Sobislaw iniziò a piangere. Henryk oramai era totalmente incapace di trattenersi. Strappò con foga i pantaloni e lo penetrò violentemente.

Nel piazzale furono ammassati circa quattrocento prigionieri. Gli uomini erano in festa e si congratulavano abbandonandosi a fragorose risate e vigorose pacche sulle spalle. Gli incendi furono domati e i feriti meno gravi vennero trasportati in fretta e furia nella chiesetta e nell'oratorio antistante, per sottoporsi alle prime cure; a coloro che invece non ebbero stessa fortuna fu dato il colpo di grazia per alleviar loro la pena. Quasi duemila uomini erano periti quel giorno a Gdansk, colorando la neve delle strade di un maleodorande rosso violaceo. Il rapporto delle perdite aveva tuttavia superato la più lucida e favorevole previsione:


Henryk, dopo qualche tempo, fece la sua apparizione dal balcone del palazzo; attese che gli uomini si riunissero per ascoltare quello che aveva da dire. In mano teneva la testa mozzata di uomo: era la testa del Duca Sobislaw Sobieslawice.
La lanciò a terra e questa rotolò davanti alla lunga fila di prigionieri inginocchiati, legati insieme a catenaccio. I soldati risero davanti a quel gesto.
Guardò dunque fisso il suo pubblico che ammutolì al suo cenno. Inspirò profondamente e disse solennemente a gran voce: - Quest’uomo, conosciuto anche come il Duca Sobislaw Sobieslawice, è stato qui ora processato e ha confessato i suoi peccati, maledicendo la Santa Vergine e rinnegando più volte l'autorità di Dio. Egli si è macchiato di infamia e disonore, facendo ricorso a false promesse e grandi menzogne per condurre Voi tutti a seguirlo nelle suoi più folli vaneggiamenti, mossi, come da sua stessa ammissione, dal volere di Satana, il Diavolo in persona. –
Un brusio concitato si levò nell’auditorio. Henryk attese qualche momento e poi riprese: - Egli ha pagato pertanto con la vita la sua blasfemia e il suo spirito arde già ora all’inferno! Dichiaro che il suo corpo venga qui oggi bruciato e che il suo nome venga bandito dal regno come portatore di grande eresia...
...come recita la Sacra Bibbia, su cui tutti noi abbiamo prestato giuramento, siamo tutti fratelli in questo mondo. Non dobbiamo dunque combatterci e odiarci l’un l’altro, ma rimanere unitì per far fronte alle insidie che uomini come costui portano ogni giorno alla nostra attenzione...
...non vedo dunque colpe in voi, o combattenti valorosi, prodi guerrieri e brava gente, che dapprima accecati e in seguito ingannati avete perso il sentiero della fede a causa di questo nefasto demone...
...dichiaro pertanto che siete tutti liberi! Potete andare fratelli miei! Potete lasciare questo luogo e raccontare che io, Henryk Piast di Sandromierz, vi ho reso salva la vita nel nome di Cristo Gesù e Dio onnipotente! Oppure, per vostra libera scelta, potete rimanere qui e servire ancora questa città che è stata oggi liberata dal fuoco della perdizione...
...prometto quindi di governare con onore e dignità, nella giustizia nel timor di Dio, guidando Voi tutti attraverso quei principi che hanno da sempre reso grande il regno di Polonia. -


Quando Henryk ebbe finito il suo discorso, che aveva le parvenze più che altro di un lungo sermone, gli uomini si guardarono un po’ dubbiosi l’un l’altro cercando approvazione nel loro vicino. In seguito annuirono in maggioranza e levarono le spade al cielo. I prigionieri alzarono lo sguardo increduli, fissando i loro vecchi nemici i quali gli fecero cenno di alzarsi. I cittadini, accorsi in gran numero nella piazza, felici di aver salva la vita e di non perdere alcun bene, con grande calore diedero anch’essi il loro consenso.
La folla infine scoppiò in un boato intonando in coro: - Henryk Piast! Henryk Piast! Henryk Piast! Henryk Piast! -


ndr.
In seguito a questo capitolo si è sviluppato un dibattito sull'omofobia e la discriminazione razziale... chi non fosse interessato a leggerlo troverà il VI capitolo a pagina 3, post N°41.
[Modificato da deemax87 09/12/2012 16:59]





"Chi in cento battaglie riporta cento vittorie, non è il più abile in assoluto; al contrario, chi non dà nemmeno battaglia, e sottomette le truppe dell’avversario, è il più abile in assoluto."
Cit. - Sun Tzu, L'arte della guerra
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