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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 14:47

76. A frate Giovanni di Bindo di Doccio dei frati di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costante e perseverante alla virtù, a ciò che non volliate lo capo indietro a mirare l'arato, ma con perseveranza seguitiate la via della verità; poiché la perseveranza è quella cosa che è coronata, e senza la perseveranza non potremmo essere piacevoli né acetti a Dio. Ella è quella virtù che porta, con l'abondanzia della carità, lo frutto d'ogni nostra fatica dentro nell'anima nostra.

Oh quanto è beata l'anima che corre e consuma la vita sua in vera e santa virtù, poiché in questa vita gusta la caparra di vita eterna! Ma non potremmo giognere a questa perfezione senza lo molto sostenere, poiché questa vita non passa senza fatica; e chi volesse fuggire la fatica, fuggirebbe lo frutto, e non averebbe però fuggita la fatica, poiché portare ce la conviene in qualunque stato noi siamo.

è vero che elle si portano con merito e senza merito, secondo che la volontà è ordenata secondo Dio. Gli uomini del mondo, perché lo loro principio dell'affetto e amore è corrotto, ogni loro opera è guasta e corrotta, unde costoro portano le fatiche senza alcuno merito. Quante sono le fatiche e le pene che essi sostengono in servizio del demonio! che spesse volte per comettere lo peccato mortale sostengono molte pene, e mettonsene alla morte del corpo loro. Questi cotali sono i martiri del demonio e figli delle tenebre, e insegnano ai figli della luce, e dannoci materia di grande vergogna e confusione dinanzi da Dio. O figlio carissimo, quanta ignoranza e miseria è la nostra, a parerci tanto duro e incomportabile a sostenere per Cristo crocifisso, e per avere la vita della grazia; e non pare malagevole alli uomini del mondo a sostenere pena in servizio del demonio! Tutto questo procede perché noi non siamo fondati in verità e con vero cognoscimento di noi, e non siamo posti sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù, poiché chi non conosce sé, non può conoscere Dio; e non conoscendo Dio nol può amare; non amandolo, non viene a perfetta carità né ad odio santo di sé medesimo, lo quale odio fa portare con vera pazienza ogni pena, fatica e tribulazione dagli uomini e dal demonio. Poiché alcune volte siamo perseguitati da li uomini con ingiurie o con parole o con fatti - e questo permette Dio, perché sia provata in noi la virtù -; e alcune volte da le demonia con molte e diverse cogitazioni per farci privare della grazia, e per conducerci nella morte. Le battaglie sono diverse: alcune volte contro lo prelato nostro, facendoci parere indiscrete l'obedienzie imposte da lui; e così si concepe uno pentimento verso di loro e dell'Ordine nostro. E questo fa per privarci dell’obbedienza; ed entrando lo demonio per questa porta della disobbedienza, non ce n'avederemmo che egli ci trarrebbe fuore dell'Ordine, dicendo lo demonio dentro nella mente: «Poiché essi sono tanto indiscreti, e tu sei giovane, non poteresti sostenere tanta pena. Meglio t'è dunque che tu te ne parta: qualche modo trovarai tu, che tu ti starai assente con qualche licenzia», con la quale fa vedere che si possa stare licitamente. Queste sono battaglie che vengono, le quali non fanno però danno nell'anima; né queste né altre molte miserabili e dissolute battaglie, se la propria volontà non consente, poiché Dio non le dà per nostra morte, ma per vita; non perché noi siamo venti, ma perché noi venciamo, e perché sia provata in noi la virtù.

Ma noi, virili, col lume della santissima fede apriamo l'occhio dell'intelletto a raguardare lo sangue di Cristo crocifisso, a ciò che si fortifichi la nostra debolezza, e cognosciamo la virtù e la perseveranza in questo glorioso e prezioso sangue. Nel sangue di Cristo si trova la gravezza e il pentimento della colpa; ine si manifesta la giustizia e ine si manifesta la misericordia. Noi sappiamo bene che se a Dio non fusse molto dispiaciuta la colpa, e non fusse stata di grandissimo danno alla salute nostra, non ci avrebbe dato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, del quale volse fare un incudine, punendo le colpe nostre sopra lo corpo suo; e così volse che si facesse giustizia della colpa commessa. E il Figlio non ci avrebbe data la vita, dandoci lo prezzo del sangue con tanto fuoco d'amore, facendocene bagno e lavando la lebbra delle colpe nostre; e questo fece per grazia e per misericordia, e non per debito. Bene è dunque che nel sangue troviamo lo pentimento e la gravezza della colpa, la giustizia e l'abondanzia della misericordia, conobbedienza pronta correndo con vera umilità infine alla oprobiosa morte della croce.

Dico che questo è lo modo di venire a perseveranza e resistere contro gli uomini e contro le battaglie del demonio, col lume della fede, come detto è, e con vero cognoscimento di noi, unde ci aumiliaremo; dal quale cognoscimento verremo al perfettissimo odio della propria sensualità, e l'odio sarà quello che farà giustizia della colpa sua. E portarà con vera pazienza ogni ingiuria, strazii, scherni e villania, eobbedienza indiscreta, e fatiche dell'Ordine, e ogni altra battaglia, da qualunque lato elle vengano. E per questo modo gustarà lo frutto della divina misericordia, lo quale ha trovato per affetto d'amore, e veduto con l'occhio dell'intelletto. Perciò non voglio, figlio carissimo, che cadiate in negligenzia, né manchi in voi lo santo cognoscimento, né serriate l'occhio dell'intelletto a raguardare questo glorioso e prezioso sangue; poiché, se voi nel levaste, cadareste in molta ignoranza, e non cognosciareste la verità; ma, come occhio pieno di nebbia, sarebbe abagliato, cercando lo diletto e il piacere colà dove egli non è, ponendosi ad amare le cose create più che lo Creatore, e pigliare diletto e piacere delle creature.

E alcune volte si comincia ad amare le creature sotto colore di spirituale amore, e se egli non s'ha cura, e non essercita la virtù, non conosce la verità e non tiene l'occhio nel sangue di Cristo crocifisso; unde l'amore diventa tutto sensuale. E poi che lo demonio l'ha condutto colà dove egli voleva - d'averli fatta lasciare quella conversazione delle creature sotto colore di spirito, e l'essercizio della santa orazione, e il desiderio delle virtù, e il cognoscimento della verità -, subito gli mette uno tedio e una tristizia nella mente con una disperazione, in tanto che si vuole partire dal giogo dell’obbedienza, e abandonare lo giardino dell'ordine, dove ha gustato tanti dolci e gloriosi frutti prima che egli perdesse lo gusto del santo desiderio, a quello tempo dolce che le fatiche e pesi dell'ordine gli parevano di grande suavità.

Sì che vedete quanto male per questo ne potrebbe venire; e però voglio che voi vi studiate, giusta al vostro potere, di portarvi sì e con vero desiderio, che questo non adivenga mai a voi, per neuno caso che v'avenisse. Non venga mai la mente vostra a nessuna confusione, ma levate l'occhio nel sangue e pigliate una larga e dolce speranza, ponendo lo remedio di levarsi da tutte quelle cose che gl'impediscono la verità; e allora ricevarà grandissima grazia da Dio, e cominciarà a ricevere lo frutto delle sue fatiche, ricevendo l'abondanzia della carità nell'anima. Or fuggite, figlio carissimo, nella cella del cognoscimento di voi, abracciando lo legno della santissima croce, bagnandovi nel sangue de l'umile e immacolato Agnello, fuggendo ogni conversazione la quale vi fusse nociva alla salute vostra. E non mirate a dire: «che parrà, se io mi levo da queste creature? Io lo' dispiacerò, e avrannolo per male». Non lassate però, ché noi siamo posti per piacere al Creatore, e non alle creature.

Sapete che dinanzi al sommo giudice neuno risponderà per voi nell'ultima 'stremità della morte; ma solo la virtù sarà quella, con la divina misericordia, che risponderà. Quanto c'è necessaria la virtù! senza la virtù non possiamo vivere di vita di grazia; e però dissi che io desideravo di vedervi costante e perseverante alla virtù infine alla morte, sì che non volgeste lo capo indietro per alcuna cosa che sia. Spero nella bontà di Dio, che il farete, sì come debba fare lo vero figlio; e così farete quello che sete tenuto di fare, e adempirete lo desiderio mio. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







77. Al venerabile religioso frate Guglielmo d'Inghilterra, lo quale era baccelliere de l'ordine dei frati Eremitani di santo Augustino a Selva di Lago.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi reverendissimo e dilettissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi del Figlio di Dio, vi conforto e raccomando nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uniti e trasformati ne la sua inestimabile carità, sì che noi, che siamo albori sterili e infruttiferi senza nessuno frutto, siamo innestati ne l'arboro de la vita. Così rapportiamo uno saporoso e dolce frutto, non per noi ma per lo maestro de la grazia che è in noi: sì come il corpo vive per l'anima, così l'anima vive per Dio.

Questa Parola incarnata non ci poteva in quanto uomo restituire la vita de la grazia, ma - in quanto Dio - per amore la divina essenzia volse e potello fare. O fuoco, abisso di carità, perché non siamo separati da te hai voluto fare uno innesto di te in me: questo fu quando seminasti la Parola tua nel campo di Maria.

Dunque bene è vero che l'anima vive per te, e il prezzo de l'abondantissimo sangue sparto per me valse per l'amore de la divina essenzia. Non mi maraviglio, carissimo padre, se la Sapientia di Dio, Parola incarnata, dice: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me» (Jn 12,32). O cuori indurati, e stolti figli di Adam, bene è misero miserabile cuore, se non si lassa trarre a sì dolce Padre. Dice: «Se io sarò levato» egli; perché? Solo perché noi corriamo. Non ci vedo, carissimo padre, altro peso se non l'amore e la ignoranza che noi abiamo a noi medesimi, e poco lume e cognoscimento di Dio. Chi non conosce non può amare, e chi conosce sì ama.

Non voglio che stiamo più in questa ignoranza, ché non saremo inestati ne la vita; ma voglio che l'occhio de lo intendimento sia levato sopra di noi a vedere e conoscere quella somma ed eterna verità: non ne può altro volere che la nostra santificazione. Ogni luogo e ogni tempo, o per morte o per vita, o per persecuzioni o per gli uomini o per gli dimonii, ci dà solo a questo fine, perché aviamo la nostra santificazione. Dicovi che subito che l'anima ha aperto lo 'ntendimento, diventa amatore de l'onore di Dio e de le creature, diventa amatore di pene, e non si diletta altro che in croce con lui. Non è grande fatto, ché già ha veduto che la bontà di Dio non può volere altro che bene, e ogni cosa viene da lui; già è privato de l'amore proprio che gli dà tenebre e però non vede lume.

O padre, non stiamo più: inestiamoci ne l'arboro fruttuoso, affinché il maestro non si levi senza noi.

Tolliamo lo legame e il vinculo dell'ardentissima sua carità, la quale lo tenne confitto e chiavato in sul legno de la santissima croce. Percotiamo percotiamo (Mt 7,7 Lc 11,9) con affetto, poiché lo infinito bene vuole infinito desiderio. Questa è la condizione de l'anima: perché ella ha infinito essere, e però ella infinitamente desidera e non si sazia mai se non si congiogne collo infinito. Levisi Perciò lo cuore con ogni suo movimento ad amare colui che ama senza essere amato. O amore inestimabile, per fabricare le nostre anime facesti ancudine del corpo tuo, sì che il corpo sodisfa a la pena, e l'anima di Cristo ha pentimento del peccato - e la natura divina colla potenza sua -. Guardate come fedelmente siamo ricomprati; e perché? perché fu levato in alto. Sottomettiamo dunque la nostra volontà perversa sotto lo giogo de la volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene, ricevendo con reverenzia ogni fatica: ché noi non siamo degni di tanto bene.

Dicovi da parte di Cristo crocifisso che non tanto che alcune volte la semmana lo priore volesse che voi diceste la messa in convento, ma voglio che, se vedete la sua volontà, ogni dì voi la diciate. Perché voi perdiate le consolazioni non perdete però lo stato de la grazia, anco l'acquistate quando voi perdete la vostra volontà. Voglio che, affinché noi mostriamo d'essere mangiatori de l'anime e gustatori dei prossimi, noi non attendiamo pure a le nostre consolazioni; ma doviamo attendere e udire e avere compassione a le fatiche dei prossimi, e specialmente a coloro che sonno uniti a una medesima carità; e se non faceste così, sarebbe grandissimo difetto.

E però voglio che a le fatiche e necessità di frate Antonio voi prestiateli orecchie a udirlo, e frate Antonio voglio e prego che egli v'oda voi; e così vi prego da parte di Cristo e da mia che facciate. A questo modo conservarete in voi la vera carità, e se non faceste così dareste luogo al demonio a seminare discordia.

Altro non dico, se non che io vi prego e costrengo che siate unito e trasformato in questo arboro di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.





78. A Nicolò povaro di Romagna, romito a Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi tutto rimesso nella divina providenzia, spogliato d'ogni affetto terreno e di voi medesimo, affinché siate vestito di Cristo crocifisso; poiché in altro modo non giognareste al termine vostro, se non seguitaste la vita e dottrina di questo amoroso Verbo. Così ci amaestrò egli quando disse: «Neuno può venire al Padre se non per me» (Jn 14,6).

Ma non vedo che in lui vi poteste bene rimettare, né in tutto spogliarvi di voi, se prima non conosceste la somma ed eterna bontà sua, e la nostra miseria. Dove conosciaremo lui e noi? Dentro nell'anima nostra.

Unde ci è necessario d'entrare nella cella del conoscimento di noi, e aprire l'occhio de lo intelletto, levandone ogni nuvola d'amore propio; e conosciaremo noi non essere nulla, e specialmente nel tempo delle molte bataglie e tentazioni: poiché, se fussimo alcuna cosa, ci levaremo quelle battaglie che noi non volessimo. Bene abiamo dunque materia d'umiliarci e ispogliarci di noi; perché non è da sperare in quella cosa che non è. La bontà di Dio conosciaremo in noi, vedendoci creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) a fine che participiamo il suo infinito ed eterno bene; ed essendo privati della grazia per lo peccato del primo uomo, ci ha ricreati a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio.

O amore inestimabile! Per ricomprare lo servo hai dato il Figlio propio, per rendarci la vita desti a te la morte! Bene vediamo ch'egli è somma ed eterna bontà, e che inefabilemente ci ama, ché se non ci amasse non ci arebe dato sì-fatto ricompratore; e il sangue ci manifesta questo amore. Perciò in lui voglio che speriate e confidatevi tutto; e in lui ponete ogni vostro affetto e desiderio.

Ma atendete che a lui non possiamo fare nessuna utilità, imperò ch'egli è lo Dio nostro che non ha bisogno di noi. In che dunque dimostraremo l'amore che aremo a lui? In quello mezzo che egli ci ha posto per provare in noi la virtù, cioè lo prossimo nostro, lo quale dobiamo amare come noi medesimi, sovenendolo di ciò che vediamo che gli sia necessità, secondo le grazie che Dio ci ha date o desse da amministrare: offrire lacrime umili e continove orazioni dinanzi a Dio per salute di tutto quanto lo mondo, e specialmente per lo corpo mistico della santa Chiesa, la quale vediamo venuta in tanta ruina se la divina bontà non provede. Allora seguitarete la dottrina di Cristo crocifisso, lo quale per onore del Padre e salute nostra dié la vita, correndo come inamorato a l'obrobiosa morte della croce.



E sì com'egli non si ritrasse per pena o rimproverio, né per ingratitudine nostra, che non compisse la nostra salute, così dobiamo fare noi: che per nessuna cagione ci doviamo ritrare di sovvenire alle necessità del prossimo nostro, spirituali e corporali; senza rispetto di nessuna utilità o consolazione ricevarne qua giù: solo amarlo e sovenirlo perché Dio l'ama. Così adempirete la carità del prossimo, secondo il comandamento di Dio e il mio desiderio. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù etc.





79. All'abbadessa e monache di santo Piero in Monticelli a Lignaia in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi vere serve e spose di Cristo crocifisso: sì e per sì-fatto modo seguitiate le vestigie sue che inanzi eleggiate la morte che trapassare i comandamenti dolci suoi, e i consigli i quali voi avete promessi.

Oh quanto è dolce e soave alla sposa consecrata a Cristo seguire la via e dottrina dello Sposo suo! Quale è la via e la dottrina sua? Non è altro che amore, poiché tutte l'altre virtù sono virtù per esso amore. La dottrina sua non è superbia né disubidienzia né amore proprio, né ricchezza né onore né stato del mondo, non piacimento né diletto di corpo - non ha amore d'amare lo prossimo per sé, ma per utilità nostra ci ha amati e data la vita per noi con tanto fuoco d'amore -, anco è profonda e vera umilità.

Or fu mai veduta tanta umilità, quanta è vedere Dio umiliato a l'uomo - la somma altezza discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanità -, e obbediente infine all'obrobiosa morte della croce? Egli è paziente, in tanta mansuetudine che non è udito lo grido suo per veruna mormorazione; egli elesse povertà volontaria - quelli che era somma eterna ricchezza (2Co 8,9) - in tanto che Maria dolce non ebbe panno dove invollarlo; nell'ultimo, morendo nudo in su la croce, non ebbe luogo dove appoggiare il capo suo.

Questo dolce e inamorato Verbo, satollo di pene e vestito d'obrobii, dilettandosi dell'ingiurie delli scherni e della villania - sostenendo fame e sete colui che satolla ogni affamato con tanto fuoco e diletto d'amore -, egli è lo dolce Dio nostro che non ha bisogno di noi, e non ha allentato d'adoperare la nostra salute, anco ha perseverato. Non per nostra ignoranza né per ingratitudine nostra, né per lo grido dei Giuderi - che gridano che egli scenda della croce (Mt 27,40-42 Mc 15,30-32) -, non lassò poiché non compisse la nostra salute.

Or questa è la dottrina e la via la quale egli ha fatta; e noi miseri miserabili pieni di difetti, non spose vere ma adultere, facciamo tutto lo contrario; noi cerchiamo diletto delizie piaceri e amore sensitivo: un amore proprio, del quale amore nasce discordia e disubbidienzia. La cella si fa nemico; le conversazioni dei secolari e di coloro che vivono secolarescamente si fa amico; vuole abondare e non mancare nella sustanzia temporale, parendoli, se non abonda sempre, avere necessità. Egli si dilunga da l'amore del suo Creatore; lassa la madre de l'orazione, anco, facendo l'orazione debita - nella quale sete obligate -, spesse volte viene a tedio, perché colui che non ama, ogni piccola fatica gli pare grande a sostenere; la cosa possibile gli pare impossibile per potere adoperare. E tutto questo procede dall'amore proprio, lo quale nasce da superbia, e la superbia nasce da lui, fondata in molta ingratitudine ignoranza e negligenzia nelle sante e buone opere.

Non voglio, dilettissime figlie, che questo divenga a voi, ma, come spose vere, seguitate le vestigie dello Sposo vostro; altrimenti non potreste osservare quello che avete promesso e fatto voto, cioè povertàobbedienza e continenzia. Sapete bene che nella professione voi deste per dota lo libero arbitrio vostro allo sposo eterno, ché con libertà di cuore faceste la detta promessione - che sono tre colonne che tengono la città dell'anima nostra che non la lassano cadere in ruina; ché, non avendole, subito viene meno -.



Debba la sposa essere povera volontariamente, per amore di Cristo crocifisso che l'ha insegnata la via: la povertà è ricchezza e gloria delle religiose; grande confusione è quando si trova che elle avesseno che dare.

Sapete quanto male n'esce? che se passa questo, tutti gli altri passerà: colei che pone l'affetto suo in possedere, e non s'unisce con le sorella sì come voi dovete vivere - che dovete vivere a comune, e avere tanto la grande quanto la piccola, e la piccola quanto la grande -, se nol fa ne viene in questo difetto, che ella cadrà nella incontinenzia o mentale o attuale. Cade nella disubidienzia, ché è disobbediente all'Ordine suo e non vuole essere corretta dal prelato, e trapassa quello che aveva promesso, unde vengono le conversazioni di coloro che vivono disordenatamente - vuoli secolari vuoli religiosi, vuoli uomo vuoli donna -. Che la conversazione non sia fondata in Dio non procede da altro se non per alcuno dono o diletto o piacere che trovassero; e tanto basta quello amore e amistà quanto basta lo dono e il diletto. E però dico che colei che non possede, sì che non ha che donare, non avendo che donare sarà tolto da lei ogni disordenata conversazione.

Levata la conversazione, non ha materia di svagolare la mente, né di cadere nella immondizia corporalmente e spiritualmente; ma trova e vorrà la conversazione di Cristo crocifisso, e dei servi dolcissimi suoi - i quagli amano per Cristo e per amore della virtù e non per propria utilità -, e concepe uno desiderio e fame della virtù che non pare che se ne possa saziare. E perché vede che da la madre e fontana dell'orazione traie la vita de la grazia e il tesoro delle virtù, partesi da la conversazione degli uomini, e fugge e ricovera in cella, cercando lo Sposo suo, abbracciandosi con esso in su.legno della santissima croce. Ine si bagna di lacrime e di sudori; inebbriasi del sangue del consumato e inamorato Agnello; pascesi di sospiri, i quali gitta per dolci e affocati desiderii: questa è vera e reale sposa che realmente segue lo Sposo suo. E come Cristo benedetto, come detto è, non lassò per veruna pena l'adoperare la nostra salute, così la sposa non lassa né debba lasciare per veruna pena né fatica, né fame né sete, né necessità, anco risponda alla tenerezza propria del corpo suo, e dolcemente dica: «Confortati, anima mia, che ciò che ti manca qua giù, t'avanza a vita eterna».

E non lassi la buona opera coi santi desiderii, né per tentazione del demonio, né per fragilità della carne, né per li perversi consiglieri del demonio, che sono peggio che Giuderi, ché dicono spesse volte: «Discende della croce (Mt 27,40) della penitenza e vita ordinata». E non debba lasciare lo servire al prossimo suo - di servirlo in cercare la salute sua - per ingratitudine; né per ignoranza che non conoscesse lo servizio non debba lasciare, poiché, se lassasse, parrebbe che cercasse d'essere retribuito da loro e non da Dio: la quale cosa non si debba fare, ma prima scegliere la morte.

Con pazienza portate, carissime figlie, i difetti l'una dell'altra, portando con pazienza e sopportando con amore i difetti l'una dell'altra; così sarete legate e unite nel legame della carità, lo quale è di tanta fortezza che né demonio né creatura ve ne potrà separare, se voi non vorrete. Siate obbedienti infine alla morte, affinché siate spose vere che, quando lo Sposo vi richiederà nell'ultima 'stremità della morte, voi abbiate la lampana piena e non votia, sì come vergini savie e non matte (Mt 25,1-4). Drittamente lo cuore vostro debba essere una lampana, la quale debba essere piena d'oglio, e dentrovi lo lume del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi, che è lume e fuoco di carità, notricato e acceso nell'oglio della vera e profonda umilità; ché chi non ha lume di cognoscimento di sé non si può umiliare, ché con la superbia mai non s'umilia. Poi che la lampana è fornita, debbasi tenere in mano con una santa e vera intenzione in Dio, cioè la mano del santo timore, lo quale ha a regolare l'affetto e il desiderio nostro: non timore servile, ma timore santo, che per veruna cosa voglia offendere la somma eterna bontà di Dio.

Ogni creatura che ha in sé ragione ha questa lampana, poiché il cuore dell’uomo è una lampana: se la mano del timore santo la tiene ritta, ed ella è fornita, sta bene; se ella è in mano di timore servile, egli la rivolta sottosopra, perché serve e ama d'amore proprio, per proprio diletto e non per onore di Dio. Costui affoga lo lume e versane l'oglio, che non v'è lume di carità e non v'è oglio di vera umilità. E queste sono quelle cotagli di cui disse lo nostro Salvatore: «Io non vi cognosco, e non so chi voi vi sete» (Mt 25,12). Perciò io voglio che siate forti e prudenti: tenete lo cuore vostro e fate che sia lampana dritta, ché, come la lampana è stretta da piei e larga da capo, così lo cuore e l'affetto si debba ristrignare al mondo - e a ogni diletto e vanità e delizie e piacere e contento suo -; e debba essere larga da capo, che il cuore l'anima e l'affetto sia tutto riposato e posto in Cristo crocifisso. A questo modo sarete figlie spose e serve, corrirete per la via e seguirete la dottrina di Cristo crocifisso. Vestitevi di pene e d'obrobii per lui; unitevi e amatevi insieme.

E voi, madonna l'abbadessa, siate madre e pastore che poniate la vita (Jn 10,11) per le vostre figlie, se bisogna. Ritraetele dal vivare in particulare e dalla conversazione, le quali sono la morte delle anime loro e disfacimento di perfezione. Nella conversazione fate che voi lo' siate uno specchio di virtù, affinché la virtù amonisca più che le parole. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



[Modificato da Caterina63 19/10/2012 14:50]
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