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Dibbuk (Possessione)

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2012 22:37
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01/10/2012 22:37

Nel folklore nelle credenze popolari ebraiche un spirito malefico un'anima dannata che entra in una persona vivente ne aggredisce l'anima, causa malattie mentali, parla per sua bocca e rappresenta una personalità separata e aliena, è chiamata Dibbuk (spirito maligno), talvolta nel nuovo testamento è chiamato “spirito immondo”.

L’atto di un cattivo spirito di possedere una persona è chiamato Dibbuk me-ru’ah ra’ah (assalto di uno spirito maligno), o Dibbuk min ha-hizonim (assalto demoniaco). L'atto dell'attaccamento dello spirito al corpo divenne il nome dello spirito stesso ed è l’equivalente di possessione.
Le storie sulle possessioni sono frequenti nel periodo del secondo Tempio e in quello talmudico e soprattutto nei Vangeli. All'inizio il Dibbuk era considerato un diavolo o un demone che entrava nel corpo di una persona malata. Più tardi fu aggiunta una spiegazione comune ad altri popoli, e cioè che alcuni dei Dibbukim sono gli spiriti di persone morte che non sono state sepolte e quindi sono divenuti demoni. Questa idea (comune anche tre cristiani del medioevo) si combinò con la dottrina della reincarnazione e divenne diffusa e accettata presso vasti segmenti della popolazione ebraica.
I Dibbukim venivano generalmente considerate anime che a causa dell'enormità dei loro peccati, non potevano trasmigrare, e come “spiriti nudi” cercavano rifugio nei corpi di persone viventi. L'entrata di un Dibbuk in una persona era un segno che questa aveva commesso un peccato segreto che apriva la porta al Dibbuk. Una combinazione di credenze comuni nell'ambiente non ebraico e di credenze popolari ebraiche influenzate dalla Cabala forma tali concezioni.
La letteratura cabalistica contiene molti episodi e “protocolli” sull'esorcismo dei Dibbukim. Numerosi manoscritti presentano istruzioni dettagliate sul modo di esorcizzarli. Il potere di scacciare era attribuito a speciali sacerdoti, a uomini pii ed eletti. Essi esorcizzavano il Dibbuk dal corpo ad esso legato, lo rimandavano all’inferno e contemporaneamente redimevano l’anima che era stata posseduta.




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