7E Le espressioni “Vecchio Testamento” e “Nuovo Testamento”
2Co 3:14 — Gr. ἐπὶ τῇ ἀναγνώσει τῆς παλαιᾶς διαθήκης
(epì tei anagnòsei tes palaiàs diathèkes); lat. in lectione veteris testamenti
1607 “nella lettura del vecchio testamento” La Sacra Bibbia,
di Giovanni Diodati.
1769 “nella lettura del Vecchio Testamento” La Bibbia, di
Antonio Martini.
1950 “alla lettura del vecchio patto” New World Translation
of the Christian Greek
Scriptures (Traduzione
del Nuovo Mondo delle
Scritture Greche
Cristiane), Brooklyn
(New York).
Oggi è abitudine comune riferirsi a quella parte delle Scritture che fu scritta in ebraico e aramaico come al “Vecchio Testamento”. Questo si basa sulla lezione di 2Co 3:14 nella Vulgata latina e nelle versioni successive. Le Scritture Greche Cristiane sono comunemente chiamate “Nuovo Testamento”. È da notare che in 2Co 3:14 la parola diathèkes significa “patto”, come negli altri 32 luoghi in cui ricorre nel testo greco. — Vedi App. 7D.
Riguardo al significato della parola latina testamentum (genitivo: testamenti), Edwin Hatch, nella sua opera Essays in Biblical Greek, Oxford, 1889, p. 48, dichiarò che “per ignoranza della filologia del latino più tardo e volgare, una volta si supponeva che ‘testamentum’, con cui la parola [diathèke] è resa sia nelle prime versioni latine che nella Vulgata, significasse ‘testamento’, mentre in realtà significa anche, se non esclusivamente, ‘patto’”. In modo simile, in A Bible Commentary for English Readers by Various Writers, a cura di Charles Ellicott, New York, vol. VIII, p. 309, W. F. Moulton scrisse che “nell’antica traduzione latina delle Scritture testamentum divenne la comune versione della parola [diathèke]. Poiché comunque questa versione si trova molto spesso dove è impossibile pensare al significato di testamento (per esempio, in Sl. lxxxiii, 5, dove nessuno supporrà che il salmista dica che i nemici di Dio ‘hanno fatto un testamento contro di Lui’), è chiaro che il termine latino testamentum fu usato con un significato esteso, che corrisponde all’ampia applicazione della parola greca”. — Vedi ntt. a Sl 25:10 e 83:5.
In vista di quanto sopra, la traduzione “vecchio testamento” in 2Co 3:14 nelle versioni di Diodati, Martini e altri è inesatta. In questo punto varie traduzioni moderne leggono correttamente “vecchio patto”. Qui l’apostolo Paolo non si riferisce alle Scritture Ebraiche e Aramaiche nella loro interezza. Né vuol dire che gli ispirati scritti cristiani costituiscano un “nuovo testamento (patto)”. L’apostolo sta parlando del vecchio patto della Legge, che fu messo per iscritto da Mosè nel Pentateuco e che costituisce solo una parte delle Scritture precristiane. Per questa ragione nel versetto seguente egli dice: “ogni volta che si legge Mosè”.
Non c’è quindi nessuna base valida per chiamare le Scritture Ebraiche e Aramaiche “Vecchio Testamento” e le Scritture Greche Cristiane “Nuovo Testamento”. Gesù Cristo stesso si riferì alla collezione degli scritti sacri come alle “Scritture”. (Mt 21:42; Mr 14:49; Gv 5:39) L’apostolo Paolo vi si riferì come alle “sacre Scritture”, le “Scritture” e gli “scritti sacri”. (Ro 1:2; 15:4; 2Tm 3:15) In armonia con l’espressione ispirata di Ro 1:2, la Traduzione del Nuovo Mondo contiene nel suo titolo l’espressione “Sacre Scritture”.
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