"Non al denaro, non all'amore, nè al cielo" - 6 maggio 2005 uscita del nuovo album di Morgan
"Non al denaro, non all'amore, nè al cielo", dal rock alla poesia, Morgan rilegge De Andrè.
Dopo l’esordio con “Le canzoni dell’appartamento” (Sony Columbia, 2003), la colonna sonora “Il suono della vanità” (Mescal/Sony 2004),il 6 Maggio 2005 esce il terzo disco solista di Marco Castoldi, in arte Morgan (Milano, 23/12/1972).
Registrato in “presa diretta” nell’inverno 2004.
Miscelato digitalmente nell’appartamento, alle porte della primavera 2005.
Non un disco di cover ma la cover di un disco (Non un disco ma una dis-cover)
Un’ operazione unica nel suo genere: il primo re-make discografico della musica italiana.
Quasi-fedelmente basato sull' omonimo album di Fabrizio De Andrè, a sua volta liberamente tratto dall' Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters.
Ri-arrangiato e Ri-prodotto da Morgan.
Canta:
Il cantante “morgan”
Suonano :
il gruppo “le sagome” (Sergio Carnevale [bluvertigo] - batteria / Enrico Gabrielli - clarinetto / Giovanni Ferrario -chitarra e basso / Marco Causino - chitarra / Daniele” Megahertz” Dupuis - organo e theremin / Morgan – voce, clavicembalo, pianoforte, sintetizzatori, basso / Alessandro “Pacho” Rossi –percussioni)
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“orchestra scomposta”
(Violino primo - Valentino Corvino / Violino secondo - Zita Petho / Viola - Sandro Di Paolo / Violoncello primo - Piero Salvatori / Violoncello secondo - Roberta Castoldi)
“Non al denaro non all’amore né al cielo” fu pubblicato per la prima volta nel 1971 e subito definito “concept album” sia perché i testi provenivano tutti da un’unica fonte, sia perché il corpo musicale era un tutt’uno finito e autosufficiente, costruito “come una colonna sonora”.
Le musiche, firmate Fabrizio De Andrè / Nicola Piovani, componevano una sequenza di piccole storie musicali connesse tra loro, alcune delle quali strutturate a mo’ di suite, non si trattava quindi d’una qualunque raccolta di canzoni ma di un’opera con i temi ricorrenti, armonie e melodie condivise, continui rimandi, citazioni barocche, passaggi psichedelici.
Gli arrangiamenti erano di Nicola Piovani (allora ventiduenne) e affidati al suono di una grande orchestra classica supportata qua e là da un organico ‘leggero’, pop.
I testi, scritti da De Andrè con Giuseppe Bentivoglio, erano l’adattamento di nove dei 244 epitaffi che compongono l’intera Antologia di Spoon River. Poesie che diventano canzoni, ciascuna delle quali rappresenta un personaggio che ci racconta la sua vita, in forma di ballata o di mini-suite.
La mia versione di quest’opera si attiene ‘quasi-fedelmente’ all’originale, cioè non è una libera e personalissima rivisitazione ‘alla moda sonora contemporanea’, tantomeno una trasformazione-deformazione che avrebbe condotto ad un totale stravolgimento. Ho agito nel rispetto, mosso da curiosità e desiderio analitico verso la cosa per ciò-che-è e non per ciò-che-potrebbe-essere e, come posto di fronte ad un’opera classica (nessuno si sognerebbe mai di ‘liberamente alterare’ le partiture del Don Giovanni di Mozart nel serio e serioso universo della musica colta), ma alleggerito dal trovarmi a lavorare una materia ‘pop’, ho operato una sorta di ricostruzione filologica, soltanto filtrata inevitabilmente dai miei gusti, mezzi e possibilità.
I lavori da me affrontati sinora mi hanno visto impegnato quale autore, arrangiatore, produttore e, anche se talvolta nei dischi inserivo ‘covers’, quelle erano degli episodi isolati, mai più d’una occupava lo spazio d’un album. Considero invece questo lavoro come la mia prima prova da interprete, e non solo vocalmente, poichè qui ad essere reinterpretati sono proprio gli arrangiamenti, la produzione musicale e il suono, il disco nella sua totalità.
Una breve personale introduzione:
“Dormono sulla collina”, la canzone che apre il racconto, è uno sguardo generale, una panoramica sul luogo in cui ci troviamo ( i titoli di testa dell’immaginaria colonna sonora). Seguono otto episodi, autobiografie post-mortem cantate in prima persona da anime vissute, ormai trapassate. Incontriamo lo scemo del villaggio (che assomiglia ad un intellettuale), un blasfemo (che sembra un non-violento), un giudice nano e rancoroso, un malato di cuore innamorato, uno scienziato appassionato di scienza ma indifferente all’amore, un medico buono e truffato dai colleghi invidiosi, un ottico visionario (che sembra uno sciamano o un maestro psichedelico), e infine, un suonatore che pare l’unico in pace con se stesso e col mondo, e , forse per questo, di tutti il più longevo. Essi parlano proprio come persone vive, nei toni e nei sentimenti, ci dicono in quale modo hanno concluso la loro vita e per quale ragione ora si ritrovano ad “abitare” sulla Collina. Non siamo in un aldilà dove le colpe sono espiate, non c’è pentimento, saggezza, omniscienza in queste voci, ma i nudi fatti e una sincerità cinica, comprensibile, condivisibile. In questo luogo ultraterreno e non ameno (ma neppure inquietante o ‘dark’) l’erba è uno spettacolo dolce, fiorito dalle ossa dei corpi, i ciliegi sono talmente rossi di frutti che sembrano feriti, la terra a volte genera vortici di polvere che hanno un suono di gonne di ragazze che ballano. È qui che ascoltiamo le appassionanti vicende di uomini (nessuna donna fu scelta da De Andrè) cui destini, tra fortune e sfortune, sembrano descrivere la realtà odierna piuttosto che un passato remoto, superato, seppellito. Nel mondo di Spoon River c’è qualcosa d’universale che ancora consente di identifincarci, forse perché disegna i tratti di persone comuni, normali, il cui valore, però, è reso eccezionale dal poeta che ascolta, ricorda, scrive, riporta, tramanda. E.L. Masters fa il primo gesto, dopodichè ha inizio una lunga, cangiante e imprevedibile traghettazione che da tempo si perpetua, ad oggi non ha sosta, e sogno, spero, possa ancora continuare, attraversando spazio e forme d’espressione, mutando sempre forma o rappresentazione.
La “traghettazione”:
- 1915 - Il poeta E.L.Masters raccoglie dalla collina le voci delle anime e compone un’antologia di epitaffi.
Poesia.
-1941 - Prima versione italiana di Fernanda Pivano (su iniziativa di Cesare Pavese).
Stessa forma, diversa lingua, salto d’epoca.
Traduzione.
- 1971 De Andrè / Piovani. Da un’opera di poesia americana ad un album di canzoni italiane. Salto di sistema formale.
Adattamento.
- Oggi, 2005 – Morgan, reinterpretazione / restauro.
Stessa forma, salto d’epoca.
Re-make musicale.
Possibili declinazioni future
-Spettacolo di teatro musicale: Morgan e “le sagome” estate 2005.
-Riconduzione alla lingua d’origine, nella forma canzone, ripartendo dall’italiana versione.
La prima cosa che ho pensato quando nel 1999 è morto Fabrizio De Andrè è stato: “ora dorme sulla collina”.
Fabrizio incise Non al denaro quando io avevo “meno un anno”, poi dal vivo non lo eseguì mai, e fatta eccezione per “un giudice”, nessuna altra canzone fu da lui più inserita nel suo repertorio live. Sembrava seppellito… Nel settembre scorso Dori Ghezzi mi propose di inaugurare il centro studi intitolato a De Andrè, istituito dalla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Siena con la Fondazione De Andrè, proponendomi un’esecuzione dell’album di Spoon River, programmata al teatro De’Rozzi per il 13 Dicembre 2004. Accettai l’incarico visto che avevo sempre apprezzato quel disco considerandolo uno dei capolavori della musica italiana (‘leggera’ diranno alcuni/ ‘pesante’ potrebbero dire altri).
Nonostante mi fosse stata data totale libertà d’azione io volevo invece rispettarne la scrittura musicale, il timbro e il suono. Avevo il vantaggio di trovarmi in un’epoca più evoluta tecnologicamente rispetto agli anni ‘70 nei metodi di registrazione, montaggio, nella quantità e qualità degli effetti, ma c’era un grande handicap: non possedevo le partiture originali, andate smarrite. Incominciai così a trascrivere/ ri-scrivere, smontando e ricostruendo.
Era quasi un “restauro” in cui mi trovavo a decifrare zone buie o più sbiadite di altre invece perfette, nitide. Come usando un microscopio acustico cercavo di attenermi all’originale però nella ricostruzione mi accorgevo di ripetere, raddoppiare, allargare, allungare, mai tagliare, talvolta amplificare elementi nascosti, svelare, smascherare le citazioni, inserirne di mie. Ho sentito la necessità di rallentare la velocità di tutti i brani, come mosso da un piacere nel soffermarmi su alcune sensazioni, dilatando più che potevo. Per non lasciare che tutto il lavoro fosse finalizzato al solo concerto, ho voluto registrare quella musica non mia ma ormai quasi-mia, quell’opera di pop-sinfonico, affrescata 34 anni prima, ispirata allo stile barocco, il mio disco-modello, apparentemente “datato” eppure così attuale in quella sua totale diversità dagli stili e dagli schemi oggi imperanti.
Le differenze:
De Andrè
durata complessiva: 31’15"
numero brani: 9
Morgan
durata complessiva: 43’22”
numero brani: 17 (Nelle canzoni-suite c’è un ID all’inizio di ogni sezione)
Alcuni interventi
[di seguito elencati gli elementi di novità –aggiuntivi rispetto agli arrangiamenti originali]
inizio: tema de ‘il suonatore Jones’ eseguito da clavicembalo, organo e quintetto d’archi
Dormono sulla collina: pianoforte, sintetizzatore Moog, coda finale e collegamento al brano successivo
Un matto: struttura inizio, ripetizione temi (riff), clarinetto, arrangiamento cori polifonici su quarta strofa, bisbiglio delle ‘voci in sordina’
Un giudice: (arrangiamento ampiamente rivisitato), batteria e Rhodes Piano Bass, ocarina solista sostituita con flauto a coulisse, tema eseguito ogni volta con diverso strumento e nel finale dalla somma di tutti, ripetizione temi e ripresa finale con coda
Un blasfemo: tempo allargato, tema strumentale duplicato con variazioni armoniche, verso conclusivo 3volte reiterato invece di 2 , nuovo finale
Un malato di cuore: tempo molto allargato, sostituzione della voce soprano con theremin, variazioni armoniche nel ponte e nella sezione strumentale arrangiamento libero su un tema tratto dall’inverno di Vivaldi, in origine accennato con chitarra
Un medico: pianoforte, clarinetto basso, sintetizzatori, mellotron, voci processate con effetti nel ponte, nella terza strofa il clavicembalo espone il tema regio dell’Arte della Fuga di J.S.Bach.
Un chimico: tempo allargato; piano elettrico, contrabbasso, chitarra elettrica; dopo la terza strofa inserto di sedici misure del celebre Canone di Pachelbel eseguite dal quintetto d’archi (O.S.), dopo un’improvvisazione strumentale la tonalità modula alzandosi di un tono e mezzo.
Un ottico: (suite composta di cinque sezioni denominate ‘clienti’) pianoforte e clarinetto, voce con megafono nella seconda strofa e nel finale, riff di ottoni riassegnato a moog+clarino+archi, rielaborazione delle voci dei clienti, improvvisazione ‘free-funk’ del gruppo ‘le sagome’ che si conclude con cluster politonale psichedelico
Il suonatore Jones: il flauto è sostituito dal violino (cfr E.L.Masters, ‘Fiddler Jones’), pianoforte, batteria e basso dalla terza strofa, voce soprano nel finale sostituita dal Theremin, il finale è ripetuto una volta in un crescendo con variazioni armoniche.
Concludono quattro note dal tema di ‘Dormono sulla collina’, nel segno della circolarità.
Mi sono chiesto (supponendo fantasiosamente di esserne in grado): ‘se avessi scritto io oggi questo disco, come avrebbe reagito il mondo moderno?’ Difficilmente qualcuno me l’avrebbe permesso, credo. Comunque avrei incontrato mille ostacoli per pubblicarlo, perchè mi avrebbero detto: “non è commerciale”, “è intellettualoide”, “non arriva alla gente”, “è difficile”, “non ci sono i ‘singoli’”, “non è radiofonico”…
Eppure, forse per merito della grande forza comunicativa che da sempre conservano le canzoni di De Andrè, apprezzate trasversalmente dal pubblico, ho avuto il privilegio di affrontare e portare a termine questo progetto stravagante e paradossalmente inedito; la ri-costruzione di un disco già edito, un album veramente unico e speciale, un vero classico che, proprio perché non mio, potrei quasi considerare il migliore che ho fatto, oops, ri-fatto, volevo dire.