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Topic Visionario

Ultimo Aggiornamento: 25/07/2022 15:39
03/12/2004 20:36
 
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Peana per il segretario





una volta al supermercato incontrai diverse rose. quattro, se non ricordo male, ma po-trei. una era la rosa del commiato, pallida e tesa come una freccia di nylon, una era la ro-sa/salame, velenosa, corpuscolare, ondeggiante in un velo di crinolina celeste, una era la rosa d'argilla, rara come solo dio sa essere, e la quinta (la quarta essendo regolarmente dimissionaria e delegante con svolazzato sigillo) la rosa di brace - che tutti sappiamo bene com'è fatta.
(non mi dissero niente di interessante, ma il loro ronzio mi conciliò un sonno denso e vischioso per diverse notti). poi fui spinto via, in un tripudio di luci puzzolenti, tanto che il ricordare è ancora duro, a tratti. comprai del detergente intimo per la mia lavatrice, nin-noli per la mia sposa, un attrezzo per scavare buchi nella pelle del tempo e qualche chilo di domande aperte, in offerta. per i ninnoli era ancora presto, però, e quando tornai a ca-sa non potei ignorare il rigurgito sul pavimento; cercai inginocchiandomi di toccarlo con la punta del pene, ma si ritrasse, e piansi. ma parliamo d'altro.

tornai al supermercato, il pomeriggio seguente (un pomeriggio unto di cifre, come 2 e 9, soprattutto): le rose facevano la fila al banco dell'elio, tre avevano dei grossi baffi, e solo la rosa/salame mi accennò un lieve sguardo canzonatorio, strabico, come di serpe asseta-ta. era il ventisette di maggio, e solo in quel giorno persi più di qualche capello. grandi fe-ste, balli.
il 2 giugno la rosa d'argilla allungò verso di me un dito a forma di spilla da balia, poi scappò via ridendo e io lasciai cadere le mie buste piene di dolci e carezze.
il 5 giugno cantavano.
il 9 giugno no.

la mia casa diventava scivolosa, nel frattempo. rappresa di conti in sospeso, di carta da bruciare e musica tonante. bigia e sontuosa come centosette anni fa. il ritratto di mia nonna, grande sul camino, perde i colori, e io con lei. ma ho imparato a liquidare l'evento come semplice trascuratezza. ben lontani erano i tempi in cui avrei scoperto le masse d'a-zoto prodotte dal ministero dell'economia, causa di questo malanno. mia nonna implora-va attenzione, da viva. ma mio nonno la faceva sdraiare per terra al centro della stanza e le calpestava la testa passando. poi la asciugava e dandole un bacio la congedava. quando mio nonno morì, mia nonna si stese per terra al centro della stanza e rifiutò il cibo, poi disse: "mamma miiiia l'assoluta innecessità, l'apatica incertezza. ci sono bocche chiuse da sfamare, con mani piene e gesti tesi. e non servono rime, ammiccamenti e giochi sporchi. abbiamo abbondantemente superato il crocevia con la diritta via (smarrita a colpi di un-ghie rotte). come abbiamo fatto? mi chiederei. chiedilo ai panni sporchi sciorinati al sole, chedilo a quanti sono, chiedilo ai misfatti calabresi, chedilo a chi chiede e chiama e a chi ama (perchè no?). ma non pretendere risposta, che l'importante è solo il domandare a-sciutto, l'esclamare a occhi tesi: «h!»". poi iniziò a morire finchè non diventò ritratto, e so-lo allora si fermò. mi imponevo celerità nel consumare i miei giorni, dovevo ritrovare le rose, o sarei diventato torba - e dunque fuorilegge.

il 13 giugno (sant'antonio), le rose mi guardarono in viso (il mio viso, che nostalgia... coperto d'ingordigia, ogni movimento un aggettivo sonoro, un'attenzione, una falange. mi disgustavo, mi disgusto tuttora, di me. tappavo i miei pori con dei sottili steli di paglia, per evitare che il mio sudore sporcasse il mondo: una volta vidi una mia impronta digitale sulla copertina di un giornakkakkaqquuquuququarale e mi vergognai tanto da tagliarmi via la testa con un coccio. immaginate dunque che superba mammoletta io non possa fare a meno di essere, quale tenerezza si aggiri per le grigie tubature del mio cervello così come la mia merda schifosa e puzzolente si aggira per le volute del mio intestino crivellato or-mai da anni di studi umanistici). "allora", ebbi il coraggio di mormorare, e le rose rove-sciarono gli occhi all'indietro, e il bianco delle cornee urlò un urlo di doloroso dolore, di cordiale cordoglio. la rose d'argilla mi addento il polpaccio sinistro, da cui ancora penzola, ridotta ora una vana poltiglia. "baaaabaaaabaaaa", la incitavano le altre, e io persi i sensi.

in quel preciso istante il ritratto di mia nonna si sbiadì così tanto da non poterlo più ri-conoscere, e ben presto anch'io dimenticai il suo nome, come il mio, per colpa sua, e a-desso sono perduto e guasto.

diciottosettembre duemiladue



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