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LA FEDE DI PERSONAGGI DELLO SPETTACOLO

Ultimo Aggiornamento: 10/05/2023 08:43
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15/02/2018 22:28
 
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Bono: “L’unico problema che Dio non può risolvere
è quello che proviamo a nascondere”

 
 

Il cantante irlandese riflette sui Salmi e sulla vita cristiana.
E ricorda il suo viaggio in Terra Santa: "Qui la morte è morta"

“Ero a Gerusalemme in pellegrinaggio con la mia famiglia, e andai sul Golgota. Trascorsi lì un po’ di tempo, da solo, dove la morte è morta. Pensavo proprio questo: ‘Qui la morte è morta’ “, ha ricordato Bono, il cantante degli U2, in una serie di interviste che ha rilasciato parlando dei salmi e della fede cristiana.

L’artista irlandese riconosce che “la morte non ha più potere su di me come ne ha avuta a 14 anni, quando è morta mia madre. Una parte della nostra psicologia si basa sulla paura della morte. La Scrittura dice che ora vediamo come in uno specchio, ma allora vedremo faccia a faccia. Sapendo ciò, la vita è più facile. Io non vedo l’ora di vederci chiaro, su tutto!”

Bono ha partecipato alla videoserie “Bono & David Taylor: Beyond the Psalms“, prodotta dalla Fuller Theological Seminary, un’istituzione evangelica con sede in California.

Bono ammette che “la cosa più difficile che richiedono i salmi è l’onestà. Leggo la Sacra Scrittura e vi trovo adulteri, assassini, egomaniaci… come molti dei miei amici! [Ride]. Quella che David fa al marito di Betsabea è incredibile… È un passaggio così buio. Ma nei salmi successivi si riflette tutta la grazia e la redenzione. È l’onestà a caratterizzare questi versi. Non possiamo piacere a Dio se non essendo brutalmente onesti. Questa è la radice del nostro rapporto con Dio.L’unico problema che Dio non può risolvere è quello che proviamo a nascondere“.

Rene Romero Schuler/Reneschuler -cc

Bono dice anche che se c’è qualcosa che gli hanno insegnato i salmi, è che “Dio ascolta“. E a coloro che non hanno esperienza, raccomanda ilSalmo 81: “È un buon inizio. Dice: ‘Difendete il debole e l’orfano, al misero e al povero fate giustizia. Salvate il debole e l’indigente‘. Questa non è carità, questa è giustizia”.

A tal riguardo afferma che “è incredibile che quando Gesù inizia la sua missione, quando inaugura il tempo della grazia del Signore, quando dice che è venuto a dare la vista ai ciechi, ecc… in realtà tutto ciò è giustizia. Non è carità. Mi piace ricordare il Salmo 9: ‘Il Signore sarà un riparo per l’oppresso, in tempo di angoscia un rifugio sicuro’, o il Salmo 11: ‘Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, io sorgerò’. Questo è Cristo. Questa è la ragione di Cristo. È il suo manifesto. E dovrebbe essere anche il nostro manifesto”.


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26/04/2018 10:16
 
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Luciano Ligabue:
vi racconto il mio dialogo con Dio

LIGABUE
 
 
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"Non me lo immagino con la barba bianca". La fede del cantautore è una continua ricerca tra domande e qualche delusione

La ricerca e la voglia di dialogare con Dio continua. Non si è fermata neppure dopo quasi quarant’anni di attività discografica. La “prognosi” Luciano Ligabue non l’ha ancora sciolta: non si è ancora espresso definitivamente sulla sua fede, sul rapporto con il Signore, su cosa sia Dio per lui.

Lorenzo Galliani in Hai un momento, Dio? Ligabue tra rock e cielo” (Ancora editrice) racconta questa sorta di cammino iniziatico, ancora in itinere, che la rockstar italiana sta compiendo.

“Credo in Dio senza barba bianca”

Durante un’intervista al programma Le Iene, Ligabue si era espresso così:

D: Credi in Dio? Ligabue: Credo in un Dio che non ha la barba bianca.

Un Dio che non ha la barba bianca, ma che sarà pur qualcosa o qualcuno. C’è il desiderio di comunicare con un «oltre»

D: Dici mai le preghiere? Ligabue: Qualche volta sì. […]

D: Per che cosa preghi? Ligabue: In genere per la salute della mia famiglia.

“Forse assomiglia molto a Gesù”

Nella canzone Almeno credo, Ligabue dice: «Credo che ci voglia un dio/ ed anche un bar…».

«Credo in una forma personale di buon senso – risponde il cantautore a G. Mattei in “Anima mia. Rock, pop & Dio”  che mi piacerebbe fosse utilizzata da tutti: capire cioè i valori che davvero contano. Mi dà fastidio l’indifferenza, la rassegnazione. In maniera personale, non proprio cattolica, credo nel Padre Eterno. Sento forte il bisogno di un confidente al di là di questo mondo mortale. Forse assomiglia molto a Gesù Cristo, del resto non riuscirei a dargli un’altra faccia. Spero solo che trovi un momento anche per me».


«Credo», «sento», «spero». Tanta ricerca, poche certezze. Ma d’altra parte – sottolinea sempre Galliani in “Hai un momento, Dio?”   come ricorda sempre la canzone Almeno credo, in questa vita «nessuno c’ha il libretto d’istruzioni».

 

“Vivere è un atto di fede”

Se questo dio – o chi per lui – sembra nascosto nei cieli, in realtà anche la vita stessa, che pure abbiamo sotto gli occhi, è densa di mistero. O, per usare le parole del rocker emiliano, «vivere è un atto di fede, mica un complimento» (così recita la canzone “Atto di fede” del 2010). Versi nei quali è proposto uno sguardo positivo nei confronti dell’esistenza umana.

«Lo so – affermava Ligabue nel libro “La vita non è in rima” (a cura di Antonelli) perché l’ho verificato: avere fiducia nella vita permette alla vita stessa di essere più degna di essere vissuta. Anche se quell’atto di fede nei confronti dell’universo non è così facile. Fra le convinzioni che ho c’è ancora quella per cui si raccoglie ciò che si semina. Ho una forte componente spirituale e credo moltissimo nel bisogno di credere. Ho bisogno anche di pensare che il credere nobiliti la vita. Mi relaziono con un’entità a cui non do per forza una faccia».

“Hai un momento, Dio?”

La voglia, la richiesta di avviare un dialogo con Dio è “celebrata” in una canzone in particolare. “Hai un momento, Dio“.

La canzone, contenuta nell’album Buon compleanno Elvis del 1995, immagina la possibilità di un dialogo a tu per tu con Dio, in un clima molto informale. Al punto che la prima domanda che Ligabue gli rivolge non è proprio sui massimi sistemi: «Chi prende l’Inter?». C’è l’urgenza di una relazione («Hai un momento Dio?/ No, perché sono qua/ Insomma ci sarei anche io»), urgenza comune a tanti uomini («Lo so che fila c’è/ ma tu hai un attimo per me?») che si trovano a non avere risposta («Perché ho qualche cosa in cui credere/ perché non riesco mica a ricordare bene che cos’è»).

 

Una condizione di disagio

Liga mostra una condizione di disagio, anche se tradotta in rime quasi gioiose, perchè un dialogo con Dio non ce l’ha. Perché un dialogo presuppone che siano entrambi i soggetti a parlare, non uno soltanto. Nel suo romanzo, “La neve se ne frega”, scrive:

Ho l’impressione che noi quando preghiamo ci rivolgiamo come a un muro, non abbiamo risposte. È anche possibile che la colpa sia mia, che cioè le risposte ci siano, ma io non riesco a comprenderle. Non smetto mai di ricercare.

In “Hai un momento, Dio?”, invece Ligabue fa un passo ulteriore, offrendo l’immagine di un Dio che indossa un gilet, a rendere la sua presenza ancora più «terrena».

In “Hai un momento, Dio?” volevo dire quanto fosse necessario per me poter avere un dialogo con un Dio di cui non dover avere per forza timore. Quindi raffigurarselo addirittura all’interno di un bar, con addosso un bel gilet. Ovviamente voleva essere una cosa paradossale e leggera, non dico provocatoria: in qualche modo l’idea di umanizzarlo così tanto secondo me gli portava dei punti(Luciano Ligabue, “La vita non è in rima”)

Un Dio che si diverte

In Quando canterai la tua canzone, emerge il desiderio di «avere almeno due o tre cose certe/ e avere un Dio che si diverte».

Beh, visto cosa succede quaggiù, nel teatrino delle umane sorti, è bello pensare che, almeno, Dio si possa divertire. Capisco che quando si gioca un po’ su certi concetti si rischia di offendere qualche sensibilità. Però, se è davvero vero che siamo fatti a sua immagine e somiglianza, mi piace pensare che lui abbia parecchie delle doti cosiddette «umane» (Luciano Ligabue, “La vita non è in rima”).

 

“E’ un dialogo interiore”

In una intervista a Galliani, l’autore di “Hai un momento, Dio?“, la rockstar evidenzia: «Il dialogo con Dio è un dialogo interiore, mi viene da dire che vada di pari passo con i cambiamenti interni prodotti inevitabilmente dall’esperienza esistenziale di ognuno di noi».

Se Dio è centrale nella vita e nella ricerca musicale di Ligabue, in più di un’occasione non ha nascoste critiche alla Chiesa.

Critiche verso una Chiesa “punitiva”

La principale riguarda l’atteggiamento a suo avviso “punitivo” nei confronti dei fedeli.

«Sono stato sia cattolico sia comunista, oggi non saprei come definirmi,ma queste dottrine sono legate al senso di colpa e al senso del dovere. Per evitare guasti sociali, producono molti guasti nelle vite individuali», diceva in un articolo su Panorama (2002).

I sacramenti

Troviamo in Liga affermazioni molto dure anche sui sacramenti:

C’è qualcosa che mi allontana dall’idea di un dio ed è la religione praticata dagli uomini. È difficile avere a che fare con una religione punitiva che ti obbliga a confessarti, a mangiare il corpo di Cristo e a berne il sangue. Non è questo il modo per me di avvicinarmi a Dio e di soddisfare la voglia che io ho di avere un contatto con un essere superiore (Ansa, 23 aprile 2002).

Ognuno la vive a modo suo. Di certo, per i cattolici l’Eucarestia non assomiglia certo a un atto di cannibalismo e la religione abbracciata non viene percepita come punitiva. Altrimenti sarebbero i primi a levare le tende.

 

Le 5 parole “cristiane” di Ligabue

 

D’altro sul piano valoriale sono diversi i principi che accomunano la dottrina cattolica al cantautore di Correggio. Galliani ne ha raccolto cinque.

 

Per primo la gratitudine. «Mi dichiaro fortunato, senza pudore. Ho conosciuto anche dolori profondi, ma sono cose della vita che toccano tutti. Non posso pretendere di esserne indenne. Il sentimento della gratitudine è poco frequentato, dovrebbe essere più esteso. Ringraziare fa star bene chi riceve ma anche chi è grato. Scalda il cuore», (Massimo Cotto, Luciano Ligabue. “Urlando contro il cielo”)

 

La seconda parola chiave è responsabilità. Un concetto che, ad esempio, viene espresso in Vita da mediano.

 

 

 

«La vita è un piacere ma anche qualcosa che un po’ ci si deve guadagnare con il sudore e con la volontà. Io credo che la gente consapevole difficilmente pensa di essere benedetta da genio o talento e che, se vuole produrre qualcosa, deve farlo faticando» (Riccardo Bertoncelli, Vivere a orecchio).

 

La terza parola è equilibrio. Perché, dice il Liga, il successo può far sentire bene, ma non è il fine ultimo della felicità.

 

Ligabue non si mette mai al centro. Essere famoso e acclamato non autorizza nessuno a sentirsi più importante degli altri. «Non dovete badare al cantante», afferma nell’omonima canzone, «tutta gente che viene e che va». E ancora: «Non dovete badare al cantante/ quello lì che si crede una star/ Quello lì che si crede uno che lasci il segno/ e invece una volta passato chi si volterà?».

 

 

 

Le “periferie”

 

La quarta parola è sguardo. Le storie raccontate dalla rockstar sono spesso sguardi di provincia, periferie nascoste da portare alla luce. Ad esempio, la sua prima canzone composta (e mai incisa), a fine anni Settanta, si chiamava Cento lampioni e parlava di una prostituta che voleva smettere. Sembra quasi che questo scenario faccia eco alle “periferie esistenziali” richiamate spesso da Papa Francesco.

 

La quinta ed ultima parola è realismo. Ligabue non ha costruito su di sé alcun personaggio, né tanto meno quello del cocker maledetto.

 

Trovo sempre più noiosa l’idea di questo ribellismo trasgressore ad ogni costo, questo cliché del rocker che ha schifo del mondo che lo circonda, che vuole distruggere e distruggersi, che vive di risse, grandi gesta sessuali, grandi approcci con la droga, fino al gesto estremo, quello che ti mette nell’Olimpo dei più grandi per sempre (Riccardo Bertoncelli, Vivere a orecchio).

 

Il Liga non ha mai inneggiato allo sballo. Più di tanti altri artisti, però, si è soffermato sugli effetti devastanti delle droghe pesanti. Senza sparare sentenze, ma neppure senza nascondersi dietro un dito.

 


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27/04/2018 18:19
 
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28/05/2018 16:46
 
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11/10/2018 09:48
 
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Avril Lavigne passa alla musica cristiana



AVRIL LAVIGNE



 




Ha scritto il testo di questa canzone su quello che credeva fosse il suo letto di morte


Dio, tienimi la testa fuori dall’acqua,
non lasciare che anneghi, diventa più difficile.
Ti troverò lì sull’altare
mentre cado in ginocchio.

La cantante e compositrice canadese Avril Lavigne ha appena pubblicato il suo primo singolo in cinque anni ed è già alla quinta posizione della classifica delle canzoni cristiane Christian Billboard.

Avete letto bene, la famosa icona del pop-punk si è introdotta nel genere della musica cristiana con il suo ultimo lavoro, Head Above Water.

Negli ultimi cinque anni, la Lavigne ha messo in sospeso la sua carriera mentre lottava per la vita contro la debilitante malattia di Lyme. La sua lotta è stata ancor più drammatica per l’incapacità del suo medico di identificare la malattia. Per quache tempo la cantante è rimasta in una sorta di limbo, sentendosi terribilmente malata mentre le dicevano che forse tutto dipendeva dalla sua testa.

 

Ci son voluti quasi due mesi prima che le venisse diagnosticata la malattia di Lyme, ma come sa chiunque conosca questa malattia più si ritarda il trattamento peggiore sarà lo sviluppo del disturbo.

La cantante ha confidato la sua esperienza durante un’intervista rilasciata ad ABC News in cui ha ringraziato i suoi fans per averle inviato tanti video di sostegno:

“Mi sono seduta sul letto e ho guardato quei video, e ho fatto esattamente quello che sto facendo in questo momento. Ho pianto in modo irrefrenabile. Mi sono sentita molto amata. Sembra sciocco dirlo, ma ho davvero sentito la vicinanza dei miei fans durante tutto questo processo”.

Il testo di Head Above Water paragona la malattia al fatto di annegare. Ogni versetto rivela l’orrore che Avril ha provato non sapendo se avrebbe vinto o meno la malattia di Lyme. Ciascun ritornello arriva allora come una preghiera disperata perché Dio la aiuti a tenere la testa fuori dall’acqua e le permetta di resistere un altro giorno.

A livello musicale, Avril non ha perso nulla in questa pausa quinquennale. Anche se la melodia non fa lo stesso uso della distorsione acustica delle opere precedenti, mantiene la personalità di pop-punk rocker per cui è nota. Il brano Head Above Water si concentra sulla voce della Lavigne, che è maturata e si è rafforzata notevolmente dal suo primo lavoro, Sk8er Boi.

Anche l’arrangiamento del tema è decisamente appropriato, con un crescendo a livello di intensità. Ci è piaciuto soprattutto l’uso dell’accompagnamento orchestrale per creare una vibrazione fragorosa mentre lei canta sopra la tempesta. Il suo melisma nell’ultima metà del ritornello ce l’ha anche fatta immaginare come cantante di musica country.

In una dichiarazione pubblicata insieme alla canzone, Avril ha descritto il momento in cui ha iniziato a scrivere il testo, quando credeva di essere in punto di morte.

“Pensavo di stare per morire e avevo accettato la cosa. Mia madre si è stesa a letto con me e mi ha abbracciata. Ho sentito che stavo annegando. A voce bassa ho pregato: ‘Dio, per favore, aiutami a tenere la testa fuori dall’acqua’. In quel momento è iniziata la composizione dell’album. È stato come si fosse aperto qualcosa. Si è trattato di un’esperienza molto spirituale. Da quel momento i testi delle canzoni sono fluiti attraverso di me”.

 

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14/10/2018 21:29
 
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Blaise Matuidi sorprende i giovani cattolici: «mostriamo la gioia dell’essere cristiani!»




Calciatori cattolici. Il centrocampista della Juventus, Blaise Matuidi, ha registrato a sorpresa un video per un centinaio di giovani radunati nella chiesa di Saint-Pierre de Neuilly-sur-Seine, esortandoli a lodare Dio e a vivere la gioia del cristianesimo.


 


Il calciatore francese Blaise Matuidi sta vivendo un ottimo momento a livello calcistico, insostituibile nel centrocampo della Juventus e da poco campione del mondo con la nazionale francese.


Ma, oltre al calcio, Blaise ha una vita privata lontana dai riflettori e dal discutibile modello di molti suoi colleghi. Di origini angolane, è sposato con Isabelle, la sua fidanzata dall’età di 16 anni, con cui ha avuto tre figli. Il noto calciatore è anche un cattolico praticante e condivide la fede con la sua famiglia.


Il 22 settembre scorso, in occasione di un concerto del gruppo musicale cattolico Glorious -fondato da tre fratelli dopo la Giornata Mondiale della Gioventù del 2000-, nella chiesa di Saint-Pierre de Neuilly-sur-Seine, il calciatore ha sorpreso i giovani presenti. Essendo la parrocchia in cui Matuidi e Isabelle si sono sposati ed essendo un fan del gruppo musicale, ha registrato un video con un messaggio: «Cari giovani, vorrei augurarvi un ottimo concerto con i Glorious, per cantare, lodare e pregare Dio in questa bellissima chiesa, dove Dio ha benedetto il mio matrimonio. Ogni giorno apprezzo questo regalo». Ha quindi aggiunto: «Vorrei cogliere l’occasione per incoraggiarvi a vivere la vostra fede, a mostrare la gioia dell’essere cristiani, a seguire i vostri sogni e a rendere il mondo un posto migliore».


 Matuidi è l’unico tra i suoi cinque fratelli ad essere nato in Europa, dopo che i suoi genitori nel 1983 fuggirono dalla guerra civile che devastò l’Angola e cercarono rifugio in Europa. Prima in Belgio, poi si trasferirono nella parte meridionale della Francia, a Tolosa. In un’intervista al quotidiano L’Equipe, Faria Rivelino Matuidi, padre del calciatore, ha confessato che sopraffatti dalle difficoltà economiche, poco prima della nascita di Blaise prese contatto con un medico abortista. E’ stata la moglie, la mamma del calciatore, a rinunciare ad interrompere la gravidanza: «Mia moglie è una persona molto religiosa. Mi disse: “ciò che ci è stato dato da Dio, lo terremo”».


Una parola, infine, sul gruppo musicale Glorious. Come già detto è formato da tre fratelli e ha registrato molti album, vantando una buona diffusione in Francia. Ha partecipato anche alla Giornata mondiale della Gioventù di Madrid e a diversi eventi in Vaticano. Oltre a fare tournée in tutto il paese, assieme all’arcivescovo di Lione hanno avviato il progetto Lyon Centre, dove accompagnano musicalmente le veglie dei giovani e alcune celebrazioni. Ogni settimana circa 1.000 ragazzi partecipano a queste serate, formate da musica, preghiera e catechesi.



[Modificato da Credente 14/10/2018 21:30]
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20/11/2018 19:16
 
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Francesca Fialdini: mi sento sempre più amata dalla Madonna



FRANCESCA FIALDINI
 




La conduttrice pellegrina a Lourdes con l'Unitalsi: "tornare a farsi piccoli è il segreto della vita"


Francesca Fialdini, presentatrice, scrittrice, oggi su Rai1 al timone della nuova stagione de La vita in diretta insieme a Tiberio Timperi, ha raccontato il suo pellegrinaggio a Lourdes con l’Unitalsi alla rivista Maria con te  (n. 26, 4 Novembre 2018). La conduttrice – in una intervista esclusiva a Ugo Bogotto e Diletta D’Agostini – anche in questa occasione ha parlato della sua fede e della sua devozione alla Madonna con grande semplicità e trasporto.



Tempo fa aveva confidato a Credere l’esempio prezioso delle sue nonne“due donne toste, semplici e di preghiera” e gli anni dell’adolescenza trascorsi prima con gli amici della parrocchia di San Pio X, a Massa, e poi con il gruppo giovani di Assisi “ne combinavamo di ogni! Recite, gite, volontariato… eravamo sempre in pista. Sotto le feste di Natale e Pasqua praticamente sparivo da casa!” (Credere)

Farsi piccoli (come Bernadette) è il segreto della vita

Francesca si reca a Lourdes per la prima volta all’età di 16 anni, un’esperienza che lascia il segno nel cuore assetato di vita e di senso della giovane, che ancora crede che la chiave per essere felici nella vita sia solo una, farsi piccoli:

“Sono venuta a 16 anni con la mia parrocchia: abbiamo fatto i passi di Bernadette, una proposta pastorale molto efficace anche per i giovani. Da quella volta ho legato un po’ il mio cuore a questo posto e ci torno sempre tanto volentieri. (…) questo posto è diventato (…) un luogo grande di spiritualità  (…) perché Maria ha scelto una persona piccola come Bernadette e dunque il tornare a farsi piccoli è il segreto della vita.” (Maria con te)

 

 Maria mi fa sentire amata

Le parole più belle la conduttrice le spende per la Madonna, esprimendo la sua devozione filiale. A Lei affida tutto e si sente abbracciata dal suo amore che sana le ferite e accoglie ogni debolezza. La cosa che più mi ha colpito dell’intervista però è quanto sia importante per lei riscoprirsi figli di Dio, altrimenti, dice, tutto perde senso.

“(…) facendomi sentire amata, che è una cosa grandissima, perché poi non stiamo attenti a tutto, a volte ci ossessioniamo con il lavoro che facciamo, cerchiamo sempre di essere al meglio possibile, di fare il meglio possibile, ma se prima non ci si sente comunque nella mani di Dio, affidati e figli, rischiamo di fare una scommessa sul nulla. E allora è una forza interiore il rapporto con Lei, è come bere un bicchiere d’acqua pura, ogni mattina prima di andare al lavoro e sentirsi ricaricati da questo amore, da questa bellezza. Allora ci si sente comunque in pace, non invincibili, ma in pace, che è già un grandissimo risultato”. (Ibidem)

La Vergine è sempre lì per me ed io la prego con le parole di San Francesco

Maria, afferma la conduttrice, è una madre sempre presente che nel segreto, nel silenzio, ama i suoi figli e li guida:

“(…) è una madre che non vedi, ma che sai che c’è, che è sempre lì per te, una madre cui puoi chiedere tutto, affidare tutto. E’ una risorsa, una forza quotidiana, silenziosa, ed è bello anche che sia così, perché nel segreto, nel silenzio crescono i fiori più belli” (Maria con te).


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30/11/2018 15:38
 
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La devozione degli astronauti e il Salmo 8






In tanti hanno già parlato delle immagini della Stazione spaziale internazionale che ritraggono la “nostra” Samantha Cristoforetti, impegnata nella sua nuova missione. Alle sue spalle, appese alle pareti della navicella, c'erano alcune icone cristiane e un crocifisso.

In molti hanno paragonato la notizia -emersa in contemporanea- con quella di Davide Zotti, responsabile scuola dell’Arcigay, che ha rimosso il crocefisso dall’aula della scuola in cui insegna per fare un dispetto alla Chiesa e a Papa Francesco i quali ribadiscono un punto di vista sull’omosessualità differente dal suo. E’ stata aperta una procedura presso l’Ufficio Scolastico Regionale del Friuli Venezia Giulia e il militante Arcigay rischia un procedimento disciplinare. La Corte Europea legittima il crocifisso nelle aree pubbliche, i militanti laicisti lo rimuovono insofferenti e gli astronauti lo portano in cielo con loro.

«Dicono che non ci sono atei in trincea, ma probabilmente non ve ne sono nemmeno nelle navicelle spaziali», ha ironizzatol’astronauta statunitense Michael Timothy Good. Il suo collega Josu Feijoo ha confermato: «non si può essere un astronauta senza credere in Dio». Forse il più famoso è Neil Armstrong, il primo essere umano a camminare su un corpo celeste extra terrestre (sua la frase «questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l’umanità»), un uomo profondamente religioso, come abbiamo raccontato. Bella anche l’intervista a John Herschel Glenn, primo americano in orbita nello spazio.

Quando si parla di questo a molti viene in mente anche Yuri Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio. Come ha rivelato in un’intervista nel 2006 un amico di Gagarin, il colonnello Valentin Petrov, fu Nikita Kruscev durante il congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica ad affermare: “Gagarin è volato nello spazio, ma non ha trovato nessun Dio. Dopo il crollo della potenza sovietica, tuttavia, alcuni ex colleghi di Gagarin rivelarono che il cosmonauta era un cristiano ortodosso e che aveva fatto battezzare una delle due figlie proprio alla vigilia del famoso viaggio. Una devozione confermata dal colonnello Petrov.

La bellezza dell’Universo richiama inevitabilmente la grandezza di Dio, la sproporzione tra la piccolezza dell’uomo rispetto all’infinità vastità dello spazio amplificano la domanda estasiata del profeta: “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?” (Salmo 8). Lo ha confermatoanche Paolo Nespoli, in orbita nel 2011: «Non ho trovato segni, ma da lassù si capiscono molte cose sulla vita. E su Dio».


[Modificato da Credente 30/11/2018 15:38]
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10/12/2018 21:41
 
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Mango: «l’immenso è Dio, ed è bello cantarlo»




neri per caso blue note 2008 elio e le storie tese rolling stones 2008Come molti sanno già il noto cantante Giuseppe Mango è morto pochi giorni fa, stroncato da un infarto durante un concerto che stava tenendo al Pala Ercole di Policoro, in provincia di Matera. Autore di bellissime canzoni, come “La rondine”, “Bella d’estate”, “Lei verrà” e “Oro”.


Proprio “Oro” è stato l’ultimo brano cantato da Mango prima del tragico evento sul palco. Ricordiamo anche la morte del fratello Giovanni, anche lui colpito da infarto il giorno seguente durante la veglia in attesa dei funerali del fratello Giuseppe.


«L’artista ha un dovere», diceva, «far riscoprire la bellezza del mondo a quanta più gente possibile, tramite quanto sa esprimere». Sposato con Laura, ha lasciato i due figli Filippo e Angelina. Il primo vorrebbe seguire le orme del padre, ma lui era deciso: «Ai talent non lo manderò mai. Lì si creano inconsistenze artistiche e illusioni pericolose. Non si può fare della musi­ca un mestiere senza sacri­fici o gavetta. Anche negli anni Ottanta i discografici non sempre intuivano la qualità di un brano».


Nei suoi brani trattava temi che pochi avevano il coraggio di affrontare, come quello sul matrimonio e sulla fedeltà alla propria metà contenuto in “La sposa”: «Scrivendo quasi tutto io sono più diretto», disse. «In particolare nel far risaltare valori che il mondo di oggi non esalta quasi più. La sposa è un esempio: però non è solo il canto della fedeltà di una scelta d’amore. È anche una canzone sulla coerenza con noi stessi, sulla necessità di rispettare anzitutto la nostra stessa persona».


Nel suo ultimo album, “L’amore invisibile”, compare una personale riscrittura del brano “L’immenso” di Amedeo Minghi. Mango ha però voluto isolare e ripetere più volte nel finale il verso «L’immenso è Dio», spiegandone il motivo così: «Andava rimarcata quella riflessione, a mio avviso. Non è vero che oltre il mondo fisico non c’è nulla, ed è bello cantarlo». Ora Pino è faccia a faccia con l’Immenso a cui ha reso onore con la sua voce.

fonte UCCR


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22/12/2018 21:17
 
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Terence Hill: ecco chi mi ha ridato
l’entusiasmo di sentirmi cristiano

TERENCE HILL
Sebastian Kahnert I dpa-Zentralbild I dpa Picture-Alliance
dpatop - 20 August 2018, Germany, Dresden: The Italian actor Terence Hill comes to the German premiere of his film "Mein Name ist Somebody - Zwei F‰uste kekehren zur¸ck". Hill also directed and wrote the tragicomedy. Photo: Sebastian Kahnert/dpa-Zentralbild/dpa
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L'attore e regista: la svolta è arrivata grazie ai libri di fratel Carlo Carretto

In occasione dell’uscita di “Il mio nome è Thomas“, l’ultimo film diretto e interpretato da Terence Hill, l’attore e regista ha rilasciato a Famiglia Cristiana (5 dicembre) un clip in cui svela che un religioso italiano gli ha fatto cambiare il suo rapporto con la fede.

Siamo negli anni ’70 e Terence Hill (pseudonimo di Mario Girotti) è nel pieno del successo. Ha girato i primi “spaghetti western” insieme all’amico Bud Spencer, incassando un buon successo di pubblico e critica, e decide di trasferirsi per un periodo negli Stati Uniti, partecipando ad alcune produzioni hollywoodiane.

La scoperta di fratel Carlo

In America l’attore scopre i libri di un religioso, allora vivente, fratel Carlo Carretto (1919-1988), autore di “Lettere nel deserto” e di altri volumi in cui Terence rispecchia il suo pensiero. «Molti negli Usa lo conoscevano e lo apprezzavano. Giravano una ventina di libri di Carretto che in Italia neppure si trovavano. Io mi sono subito entusiasmato per il modo suo di rapportarsi con il mistero (di Cristo ndr). Le parole con cui si esprimeva erano semplici, dirette: non c’era tutta quella costruzione pesante che si ritrovava nei testi della chiesa americana del tempo».

“Ha anticipato il messaggio di Papa Francesco”

«A me – prosegue l’attore – Carretto ha dato l’entusiasmo di essere cristiano», nonostante in quel periodo, «se tu avevi delle cose dentro era meglio che non le dicevi, se no passavi per stupidello». E’ come se gli avesse mostrato il bello di manifestare la fede, senza remore. «Ha anticipato il messaggio di Papa Francesco», si spinge a dire Terence Hill.

La vita contemplativa

Religioso della congregazione cattolica dei Piccoli Fratelli del Vangelo, fratel Carlo a 44 anni abbracciò la vita contemplativa nel deserto del Sahara, in una fraternità nel cuore dell’Algeria. Fu la svolta della sua vita: Dio e la preghiera caratterizzavano le sue giornate, insieme alla passione per la scrittura.

 

“Vero impenetrabile mistero”

Ecco uno dei passi nei suoi scritti, che ha conquistato anche Terence Hill:

«Il mistero della Chiesa di Cristo, vero impenetrabile mistero, ha il potere di darmi la santità ed è fatta tutta quanta, dal primo all’ultimo, di soli peccatori, e che peccatori! Ha la fede onnipotente e invincibile di rinnovare il mistero eucaristico, ed è composta di uomini deboli che brancolano nel buio e che si battono ogni giorno contro la tentazione di perdere la fede. Porta un messaggio di pura trasparenza ed è incarnata in una pasta sporca, come è sporco il mondo. Parla della dolcezza del Maestro, della sua non-violenza, e nella storia ha mandato eserciti a sbudellare infedeli e torturare eresiarchi. Trasmette un messaggio di evangelica povertà, e non fa che cercare denaro e alleanze con i potenti».


fonte ALETEIA

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08/02/2019 10:33
 
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Simone Cristicchi.
Le radici della sua nuova spiritualità francescana, l'amicizia con un monaco e la promessa di Papa Francesco:
il cantautore si racconta alla vigilia di Sanremo

Una spiritualità vicina al mondo francescano attraversa il “nuovo” Simone Cristicchi. E la importerà al festival di Sanremo con il brano “Abbi cura di me“.

Il popolare cantautore, di recente, ha anche incontrato Papa Francesco a cui ha strappato una promessa. Simone sta, infatti, vivendo una nuova fase interiore e non è più critico come un tempo, nei confronti della Chiesa.

E’ come se all’orizzonte stesse ritrovando quel rapporto con Dio che sembrava smarrito.

L’amico monaco

«Un mio amico monaco – dice ad Avvenire (27 gennaio) mi ha detto che sono un cristiano inconsapevole. Credo che occorra ritornare alle priorità della vita. Siamo invasi ogni giorno da mille progetti, da mille informazioni, mille immagini, siamo continuamente collegati e connessi con la realtà virtuale».

Così, prosegue Cristicchi, «si perde interesse per le grandi domande dell’esistenza. Siamo noi stessi che ci dobbiamo risvegliare e capire l’importanza della vita. In realtà c’è tanta bellezza che ci circonda, la meraviglia di esserci e di partecipare».

Eremi e fraternità

La spiritualità, dice, «va toccata con mano. Parliamo di Vangelo, di zen, di darma, ma tu la spiritualità la devi toccare e farne esperienza. E l’esperienza più forte è vedere persone rapite da qualcosa di superiore, che hanno abbandonato la vita precedente per un desiderio di infinito che appartiene a tutti. In alcuni luoghi c’è un’energia intrinseca che riesce a cambiarti».

 

Poi rivela: «Ho molto frequentato il Monte Labro ad Arcidosso in Toscana, il luogo dove visse David Lazzaretti su cui ho scritto lo spettacolo “Il secondo figlio di Dio”, e poi l’eremo francescano diCampello sul Clitunno, l’eremo di Monte Giove a Fano e la Fraternità di Romena guidata da don Luigi Verdi con cui registrerò fra maggio e giugno il nuovo progamma per Tv2000».

La promessa di Francesco

Qualche giorno si è anche visto con Papa Francesco. «L’ho incontrato la settimana scorsa al termine dell’Udienza generale. È stato molto gentile e disponibile. Gli ho strappato la promessa di un’intervista per il documentario sulla felicità al momento che riterrà opportuno. Sto aspettando una risposta ufficiale».

Laude francescana

Intanto, all’orizzonte, c’è il festival di Sanremo dove sarà presente con “Abbi cura di me”, che sembra una laude francescana.

«Il brano nasce mentre lavoravo al mio ultimo spettacolo “Manuale di volo per l’uomo“, che tratta il tema del dolore e di come attraverso l’arte lo si possa sublimare e trasformarlo in qualcosa di bello. Nasce dalla voglia di mettere in musica quelle poche cose che ho imparato dalla vita. Nei versi della canzone ricorre il tema millenario dell’accettazione, della fiducia, dell’abbandonarsi all’altro da sé».

 

La suora di clausura

Soprattutto, evidenzia il cantautore, «è una dichiarazione di fragilità e debolezza, una richiesta d’aiuto, una preghiera all’Amore universale, che può essere verso un padre, una madre, un figlio. Anche verso Dio? Certo. Una suora clausura mi ha dato l’interpretazione più bella. È una preghiera di Dio all’uomo, perché anche Dio ha le sue fragilità».

L’allodola

Non è un caso che quell’interpretazione si venuta da una religiosa di clausura. «Le persone più gioiose e felici che ho incontrato, sono quelle appartate dal mondo, ma non per una questione di fuga o di snobismo. Nel silenzio – conclude Cristicchi – ci si connette a qualcosa. Ed è proprio soggiornando in un eremo quest’estate che ho scritto Lo chiederemo agli alberi, secondo inedito dell’album. Parlo dell’allodola, che è come le monache, l’uccellino prediletto da San Francesco e rappresenta l’umiltà, perchè si ciba delle piccole briciole, del poco che ha, e canta dall’alba alla notte».


08/02/2019 11:27
 
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Davvero molto interessante e curioso questo tema. Molte storie di personaggi famosi non le avevo mai sentite.
E' stato bello conoscerle grazie :)
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18/02/2019 22:02
 
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Ilary Blasi: ho un sogno, accompagnare i malati a Lourdes



 




La showgirl e moglie del calciatore Francesco Totti:
bello dedicarsi a chi ha bisogno. E prima di dormire prega sempre

Una pimpante showgirl che sugli schermi Mediaset è alla conduzione de Le Iene e il Grande Fratello Vip. Ma anche una ragazza che ama fare volontariato ed è fermamente credente.

Stiamo parlando di Ilary Blasi, che per il 2019, pare sia intenzionata a realizzare un suo sogno preciso.

Il viaggio con i malati

«Mi piacerebbe – dice la Blasi – un’esperienza a Lourdes. Accompagnare i malati, la gente che va in pellegrinaggio, che è una cosa che sogno di fare da anni», ha affermato. «Ho avuto tanto dalla vita, non lo dimentico», ha poi concluso la conduttrice Mediaset: «Penso che sia giusto e bello dedicarsi anche a chi ha bisogno» (Gente, 2 gennaio).

 

Madrina Lilt

Non è la prima iniziativa solidale in cui sarebbe impegnata. Due anni è fa è stata Madrina della Campagna “Nastro Rosa LILT 2017” .

«Purtroppo il tumore al seno – affermava la Blasi in occasione dell’evento organizzato dalla Lega Italiana Lotta ai Tumori – interessa tutte le donne, a tutte le età. E c’è solo un modo per combatterlo: fare Prevenzione».

Il tatuaggio

La conduttrice è anche una credente di lungo corso. Una fede che è stata tramandata dalla famiglia ed è ricordata da uno dei suoi sei tatuaggi. Precisamente quello che sul collo, dietro la nuca, sul lato sinistro. Si tratta di una piccolissima croce nera, omaggio alla fede cattolica. In questo modo, Ilary riesce a sentirsi più vicina alla religione (donna.fanpage.it, 2016).

 

D’altro canto già in un’intervista a Vanity Fair nel 2008, dichiarava che ogni sera amava ripetere un rito, cioè una «preghierina fissa tutte le sere prima di andare a dormire».


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23/02/2019 22:56
 
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Attore che ha rifiutato di girare scene intime per rispetto nei confronti della moglie è stato licenziato e ha perso un milione di dollari


Neal McDonough
“Non trovavo lavoro. Mi ritenevano un fanatico. 




Ma ho messo Dio e la famiglia al primo posto e me stesso al secondo.
È così che vivo”

Neal McDonough, attore che ha partecipato a note produzioni cinematografiche e televisive come Capitan AmericaMinority Report e Desperate Housewives, è sposato da 15 anni con la modella Ruvé Robertson, con la quale ha avuto cinque figli.

In un’intervista recente ha riferito al sito Closer Weekly che nel 2010 è stato licenziato perché, in segno di rispetto nei confronti della moglie e per via delle sue convinzioni religiose, ha rifiutato di girare scene di sesso con l’attrice Virginia Madsen durante le riprese della serie Scoundrels, prodotta dal canale ABC.

“Non bacerò un’altra donna, perché queste labbra sono già impegnate”, ha dichiarato.

McDonough è stato sostituito tre giorni dopo l’inizio delle riprese, e in base ad alcune stime del sito Deadline.com, ha perso circa un milione di dollari per via di questa decisione.

Il licenziamento lo ha sorpreso: “Non trovavo più lavoro perché tutti pensavano che fossi un fanatico religioso”.

I problemi momentanei non lo hanno però abbattuto, e alla fine sono stati ampiamente superati.

 

“Ho messo Dio e la famiglia al primo posto e me stesso al secondo. È così che vivo. È per questo che vado in chiesa tutti i giorni e ringrazio Dio per tutto ciò che mi ha dato. E lo ringrazio soprattutto per avermi dato Ruvé, perché senza di lei non starei sicuramente raccontando questa storia. Dopo quasi 20 anni, 5 figli e una vita meravigliosa, siamo partner in tutto e sono la persona più benedetta del mondo”.

È interessante osservare che questo tipo di testimonianze non appare nei titoli dei grandi portali di notizie, anche se questi riportano ogni giorno informazioni sul modo delle celebrità.

 

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11/08/2019 19:50
 
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Ilary e Francesco: 14 anni di matrimonio, 3 figli e…
un grande amore per Maria!

ILARY BLASI FRANCESCO TOTTI
 

La maglia della nazionale donata alla Madonna del Divino Amore per chiederle perdono, il pellegrinaggio di Ilary a Lourdes con l'Oftal per assistere i malati. Una vita insieme (oltre i lustrini) accompagnati dallo sguardo della Vergine.

Ilary Blasi e Francesco Totti, una delle coppie più amate dal pubblico italiano: belli, affiatati, divertenti ma soprattutto autoironici.La letterina e il calciatore: un cliché comune negli anni in cui è nata la loro relazione. “Dureranno una stagione”, avranno sussurrato i più scettici. E invece… altro che fuoco di paglia! 14 anni di matrimonio festeggiati lo scorso giugno, 3 figli (Christian, Chanel e Isabel) e… ancora tanta voglia di stare insieme!

Negli ultimi giorni i giornali hanno pubblicato nuovamente la notizia di una loro sitcom in arrivo, stile Casa Vianello, se fosse confermato… ci sarà da ridere!

Il settimanale Maria con te ha pubblicato un articolo interessante a firma di Giuseppe Cutrona che racconta il lato spirituale della coppia, in modo particolare la devozione mariana che unisce Ilary e Francesco.

Totti: da mamma Fiorella la devozione per la Madonna del Divino Amore

L’ex capitano ha ricevuto il dono della fede dalla famiglia, in particolare da mamma Fiorella la devozione per la Vergine Maria venerata al santuario romano della Madonna del Divino Amore, che lui a sua volta ha trasmesso alla moglie e ai figli. Cinque anni fa in un’intervista televisiva su Rai1 per il programma A sua Immagine il campione sottolineava che baciare ad ogni gol la fede nuziale e farsi il segno della croce erano gesti per “rendere grazie a Dio di tutte le cose belle che mi ha dato anche fuori dal campo”(Ibidem).

 

“Santissima Madonna ti chiedo perdono”

Nel 2004 dopo gli Europei in Portogallo e in seguito al triste episodio dello sputo al giocatore danese Poulsen, il campione ha donato la maglia numero 10 della nazionale – indossata il pomeriggio di quello spiacevole errore – alla Madonna del Divino Amore chiedendole perdono:

Santissima Madonna ti chiedo perdono e non abbandonarmi mai. Tuo Francesco. (Maria con te)

Parole semplici, piene di tenerezza e amore filiale!

 

“A Lei mi affido e mi sento in pace con Dio e con gli uomini”

Così Francesco ha commentato il suo gesto devozionale:

Il modo più bello di chiedere scusa è rivolgersi a chi solo può perdonare. Ed è per questo che ho sentito l’esigenza di far dono alla Madonna del Divino Amore della mia maglietta. A lei mi affido e mi sento in pace con Dio e con gli uomini. (Ibidem)

Il matrimonio nella basilica di Santa Maria in Aracoeli

Il 19 giugno 2005 Ilary e Francesco si sono promessi amore eterno in una delle basiliche più antiche della capitale: Santa Maria in Aracoeli.Lì, secondo la tradizione, l’imperatore Augusto avrebbe avuto la visione di una donna con un bambino in braccio e la voce di Maria che diceva: “Questa è l’ara del figlio di Dio”. E così i due sposi hanno scelto di pronunciare il loro “sì” di fronte l’icona millenaria della “Madonna Advocata” venerata dal popolo romano per aver arrestato l’epidemia di peste nel 1348 e aver protetto la città dalle bombe durante la seconda guerra mondiale.

 

Ilary e il pellegrinaggio a Lourdes come dama

La conduttrice romana quest’anno ha vissuto un’esperienza unica e speciale realizzando un desiderio, o forse rispondendo a una chiamata, che sentiva nel cuore da tempo. Come aveva dichiarato a Gente:

Mi piacerebbe un’esperienza a Lourdes. Accompagnare i malati, la gente che va in pellegrinaggio, che è una cosa che sogno di fare da anni. Ho avuto tanto dalla vita, non lo dimentico. Penso sia giusto e bello dedicarsi anche a chi ha bisogno.

Quest’anno, durante la settimana di Pasqua, Ilary è partita in pellegrinaggio con l’Oftal come dama, dopo mesi di incontri e catechesi di preparazione, prestando servizio agli ammalati. Il settimanale Chi ha rubato qualche scatto di quella che è stata un’esperienza molto profonda e personale di cui la showgirl non ha ancora parlato. Certe emozioni forse, si ha paura di sciuparle, soprattutto quando si fa parte del mondo dello spettacolo. O forse la Blasi ha bisogno di un po’ di tempo, per metabolizzare e comprendere fino in fondo ciò che ha vissuto nella Grotta di Massabielle, non solo servendo chi aveva bisogno, ma attraverso la preghiera, il bagno nelle piscine del santuario, la Via Crucis, la messa riservata ai volontari ogni mattina alle 6.15. Chissà se a Lourdes, lontana dai riflettori e dai tempi frenetici della TV, ha potuto trovare quel silenzio che permette di ascoltare la voce di Dio e di gustare così la parte migliore, l’unica che non ci verrà tolta, perché tutto il resto è vanità come diceva San Filippo Neri.

Fonte Aleteia


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01/11/2019 19:37
 
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10/12/2019 21:26
 
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Switchfoot, la rock band ispirata da Kierkegaard


e Sant’Agostino




rock band La rock band statunitense, gli Switchfoot, pubblica il nuovo album “Native Tongue”. Un gruppo che esprime in musica il senso religioso dell’uomo, con una profondità non comune. Ecco i loro brani più belli e intensi, quasi una preghiera.


 


Conoscete gli Switchfoot? No? Peccato, ne vale la pena. Il nuovo album intitolato Native Tongue porta la data del 16 gennaio, a produrlo la rock band di San Diego (California), chiamata appunto Switchfoot, guidata dal suo frontman Jon Foreman. Un gruppo affermato, vincitrice dei Grammy Award nel 2011.


«Abbiamo una spinta comune per il bene, per la grandezza, e per vedere gli ideali su cui è stato fondato il nostro paese», ha detto recentemente Foreman a The Christian Post. «Iniziamo da lì, iniziamo da questa comunanza tra gli uomini, con questa identità comune piuttosto che dalla rabbia, dalla paura: una volgare abitudine se penso a Twitter e Facebook».


Più volte nei loro brani, come d’altra parte ammettono, fa capolino l’inspirazione ricevuta dai brani di Soren Kierkegaard, profondo autore danese nonché padre della filosofia esistenziale. Da lui, percepiscono «una chiamata a puntare in alto, ad essere onesti. Lo vedo nei Salmi e lo vedo in tutte le Scritture», spiega Foreman, figlio di un pastore protestante. «E’ la stessa cosa che senti nel blues, è la stessa cosa che sentivo ascoltando alcune band punk locali, è quell’onestà. Questo è il modo in cui voglio cantare, il modo in cui voglio suonare, e sento che questo è il mio ruolo».


Più che il nuovo Native Tongue, preferiamo un album più datato chiamato New Way to Be Human (2002), che contribuì al loro successo negli Stati Uniti. I testi sono profondi e la musica -specialmente quando è in versione acustica- coinvolge l’ascoltatore nell’atmosfera di domanda, di richiesta di perdono, di bisogno di redenzione, di preghiera che caratterizza l’album.


 


Il brano è una preghiera: “Nulla mi rende felice, lasciami conoscere il Tuo tocco”


Pensiamo ad esempio a Only Hope (“Soltanto speranza”), brano che è stato parte della colonna sonora del film A Walk to Remember (2002) ma, sopratutto, a Let That Be Enough. «Mi sento così sconfitto, così solo. Sembra tutto così impotente e non ho progetti. Sono un aereo al tramonto con nessun posto dove atterrare. E posso vedere tutto, ma nulla di questo mi rende felice e tutti i miei castelli di sabbia passano il tempo crollando». E’ una significativa auto-coscienza della posizione dell’uomo, desideroso di felicità ma impossibilitato a darsela e, quando ci prova, fallisce. «E’ il mio compleanno domani, nessuno qui sa che sono nato questo giovedì di 22 anni fa. E mi sento bloccato guardando la storia ripetendo: “Si, ma chi sono io?”. Solo un bambino che sa di essere bisognoso». E’ soltanto partendo dall’evidenza di questo bisogno che, di fronte all’impotenza umana, non ci si arrende al nichilismo disperato e neppure si reagisce con violenza verso il mondo. Ma, ed ecco l’opzione cristiana, ci si consegna alla domanda verso Colui senza il quale la realtà non ha senso. «Fammi sapere che Tu mi senti», dice la canzone, aprendosi alla preghiera. «Lasciami conoscere il tuo tocco, fammi sapere che mi ami e fai che sia abbastanza».


 


La canzone “New Way To Be Human” è l’annuncio cristiano al mondo.


Un altro brano che proponiamo è New Way To Be Human (Un nuovo modo di essere umani), da cui prende il nome l’album stesso. Ascoltando le parole, cantate su un ritmo incalzante, porta alla mente il discorso di San Paolo all’areopago di Atene, quando annunciò l’incarnazione di Dio in mezzo ai pagani e ai loro dei. «Ogni giorno è la stessa cosa, un’altra tendenza è iniziata. Ehi, ragazzi, potrebbe essere quello!», canta Jon Foreman con ironia, sottolineando come tanti ripongano negli idoli moderni -la moda, le tendenze- la loro speranza, ciò che finalmente renderà felici. Ed invece no, «con tutta la nostra moda, siamo ancora incompleti»: ecco l’amara verità. Ed ancora: «Perché nessuno è famoso, e nessuno sta bene. Abbiamo tutti bisogno del perdono». Così, come Paolo disse: “Colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio” (At 17,15.22-18), il brano annuncia la grande novità: «Il Dio della redenzione potrebbe rompere la nostra routine. C’è un nuovo modo di essere umano, niente di come siamo mai stati».


 


La conversione di Agostino: “Muoio dalla voglia di essere incontrato, oggi cerco la grazia di Dio”.


Ed infine suggeriamo un ultima canzone, ispirata esplicitamente alle Confessioni di Sant’Agostino. E, di fatti, si intitola: Something More (Augustine’s Confession). Il brano racconta l’uomo Agostino prima e durante la conversione, una metafora dell’uomo qualunque: «Si è appena svegliato con il cuore spezzato, in tutto questo tempo non è mai stato sveglio. A trentun anni il suo intero mondo è un punto interrogativo. Guarda i sogni che aveva, alimenta la fiamma nella sua testa. Nella silenziosa disperazione del vuoto dice: “Dev’esserci qualcosa di più di quello che sto vivendo, Ti sto implorando!“. Le sue paure, il tempo che scorre, i sogni che si infrangono: «Ma è arrabbiato di essere vivo e sta morendo dalla voglia di essere incontrato. Nella tranquilla disperazione del vuoto dice: “Hey, io mando all’aria tutto, niente mi è rimasto a trattenermi. Hey, io do via tutto, oggi cerco la grazia di Dio“».


Vale la pena conoscere i Switchfoot. Al contrario di tanti artisti moderni, hanno qualcosa di interessante da dire all’uomo. Qui sotto il brano Let That Be Enough.


 



fonte UCCR


 



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16/12/2019 15:07
 
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Renato Zero si “schiera” con Dio


e contro l’aborto 






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Da “La culla è vuota” a “Quanto ti amo”, nel nuovo album del cantautore c’è una piccola “rivoluzione”, intrisa di valori cristiani



Il nuovo album di Renato Zero, dal titolo Zero il folle, farà certamente discutere. Il cantautore esalta la dignità come parola cardine e reazione al degrado; rimarca l’ecologia e l’essere genitori; inveisce contro un web che ci violenta e ironizza sul diffuso pentirsi solo a posteriori; e finisce col trattare in musica della morte e di Dio. «È che sono cantautore per eccesso e mai per difetto, sin da quand’ero ragazzino al Piper» dice sornione ad Avvenire (2 novembre).



«Nel tempo le mie canzoni hanno sortito effetti diversi, ma nascono sempre dalla vita e dalla gente: e ancor oggi scrivo non per dare risposte ma per spingere a farsi domande, anzi per dare modo a chiunque di provare a capire le cose. Il mio miraggio resta scuotere le coscienze: come faceva Jannacci, come ha fatto Modugno».



RENATO ZERO
By D-VISIONS | Shutterstock

Un inno anti-aborto


In Zero il folle, tredici inediti dai testi smaglianti, ecco il singolo Mai più da soli, «rabbia dell’anima» contro una tecnologia che ci convince d’essere eterni.


Da ascoltare La culla è vuota, che, incita a far figli cantando contro l’aborto, seguendo però una lezione applicata già nel primo lp del ’73: «L’amore non deve solo rappresentare un rapporto a due ma pure dar continuità alla specie, condanno fortemente l’aborto anticoncezionale; poi se anche altri non preservano la vita il mio dovere è farlo, come quando in Sogni nel buio diedi voce a un embrione».



Ecologia e violenza sessista


Quattro passi nel blu invece sublima il morire in una dedica: «Ad amici come Dalla o Mango, che porto addosso e voglio rappresentare sempre; poi ormai io ho fatto un accordo con la morte, soprassiedo a sudditanza e terrore…». Un uomo è… osa valori forti con la maiuscola: «Non mi piacciono i troppi “maschi” che oggi spopolano, esser uomini è un’altra cosa. È farsi carico dei problemi collettivi e avere il coraggio di denunciare quel che non va, che sia la violenza sessista o la spazzatura».


A proposito di spazzatura, Renato in Zero il folle ne ha anche per come stiamo riducendo il mondo, e lo grida in maniera poco retorica e molto ficcante. «È incredibile com’è ridotta la mia Roma… Allora mi permetto di cantare che ecologia è respiro, nutrimento, affrontare il cielo senza paura che le nuvole portino tifoni…».


Dio, “quanto ti amo”


Il culmine della sua odierna, ribelle, coraggiosa, matura follia è Quanto ti amo: splendida canzone d’amore il cui soggetto, si svela nel finale, si chiama Dio. «Per me l’amore è protezione, comunicare agli altri la loro potenza: se non dici t’amo la gente sfiorisce, va speso. E perché non avrei dovuto nominare Dio? Quando trovi un amore così forte e poderoso come fai a non chiamarlo per nome?».


fonte ALETEIA





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22/12/2019 15:16
 
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Eminem,    cosa ha detto riguardo alla sua fede e all’aborto



«E’ stato divertente per un po’, ti avrei davvero voluto vedere sorridere. Non volevo farti abortire ma cos’è, un’altra bugia da dire ad un bambino mai nato?». Queste le parole che il famoso rapper americano Eminem ha messo in bocca ad un uomo, protagonista del brano River, contenuto nell’album “Revival” e pubblicato il 15 dicembre 2017.


Il ritornello ripete: «Sono stato un bugiardo, sono stato un ladro, sono stato un amante, sono stato un traditore, tutti i miei peccati hanno bisogno di acqua santa, sento che mi sta ripulendo. La verità delle mie bugie sta cadendo ora come pioggia, quindi lascia che l’acqua del fiume scorra». Raro e sorprendente che un testo così riflessivo e delicato possa essere prodotto da un artista tanto apparentemente indifferente da tematiche del genere.


Abortire significa uccidere, interrompere arbitrariamente una vita umana. Lo sanno tutti, ma solo alcuni hanno il coraggio e la libertà interiore per affermarlo. La profonda crisi post-aborto -acclarata scientificamente, come abbiamo dimostrato– di cui sono vittime tantissime donne (ma anche uomini) è la dura realtà che affiora: l’interruzione di gravidanza non è una normale operazione chirurgica.


Tornando ad Eminem, il più famoso rapper americano (nome d’arte di Marshall Bruce Mathers III) osannato da milioni di teenager (e non solo) in tutto il mondo, pochi sanno che nel 2009, in un’intervista per la rivista Vibe, ha affermato: «La spiritualità fa sicuramente parte del mio processo. Dio è il mio potere più alto e lo è sempre stato. Prego decisamente molto più di prima, anche se non non mi sento uno stravagante religioso che si reca in chiesa quattro giorni alla settimana o qualcosa del genere. Non sto dicendo che è una brutta cosa fare ciò, ma soltanto che io credo in Dio e prego» (citato in M.A. Dawkins, Eminem: The Real Slim Shady (Hip Hop in America), Praeger 2013, p. 79).


Dopo la dipendenza da droga e alcool e testi infarciti di volgarità, razzismo e misoginia, è una nota che consideriamo positiva per tale artista, per questo ci è piaciuto sottolinearla. Sempre che corrisponda alla realtà. La conversione, infatti, è un lavoro quotidiano, non una dichiarazione ad una rivista patinata. E’ un cambiamento di affezione, di giudizio, di mentalità, di valori, è l’inizio dell’appartenenza a Colui che solo vince l’effemerità della vita. «Tutti i miei peccati hanno bisogno di acqua santa», canta Eminem. Se è ciò che realmente pensa, il bisogno di perdono è il primo grande passo di questo cammino.


fonte UCCR



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08/02/2020 20:44
 
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La star di X-Factor: il cristianesimo è verità, così percepisco l’amore di Dio






La “confessione” di Eugenio Campagna è sorprendente: una testimonianza di fede mai banale!




«Il cristianesimo non è nient’ altro che la verità. Non a caso ci sono delle canzoni, scritte da atei, che sono profondamente cristiane. In famiglia sono sempre stato visto come quello “bravo” che va in Chiesa. Ma bravo in cosa? Conosco molte persone, lontane dalla religione, di gran lunga più cristiane di me. A volte penso che Dio si sia avvicinato a me solo perché mi doveva riprendere, altrimenti avrei fatto una brutta fine. Da giovane ero molto turbolento. La fede mi ha indirizzato. Non ho un innato senso di comunità, carità e solidarietà che trovo invece in altri».



Aparlare del suo rapporto con la fede è una giovane star di X-Factor. Eugenio Campagna, intervistato da Famiglia Cristiana (3 gennaio), rivela che sin da piccolo frequentava la chiesa.


Youtube

«Sono figlio di genitori divorziati – spiega Eugenio – non particolarmente credenti, ma fin da piccolo mi affascinava l’ idea che in Chiesa si suonasse. Ho iniziato così, unendomi al coro parrocchiale, per poi continuare. Tra l’ altro la mia catechista era bravissima: se a scuola facevo dei gran macelli, a catechismo ero diligente perché mi interessava quello che si diceva. Il “dopo Cresima” è stata un’esperienza altrettanto esaltante: ho vissuto esperienze bellissime nella mia parrocchia».



Il tumore di Chiara


Una di quelle che gli è rimasta impressa è la Giornata mondiale della gioventù di Madrid, nel 2011, con papa Benedetto XVI. «Però l’ esperienza che ha inciso maggiormente è stata la malattia di Chiara: una ragazza che era il collante del nostro gruppo parrocchiale. È morta di tumore, nel giro di pochissimo tempo. Quando succede una cosa così, c’ è chi si sente tradito da Dio. Lei no: era serena, fino alla fine. Tutto il nostro gruppo ha vissuto la malattia insieme a lei, pregando e tenendole compagnia».


«È impressionante – prosegue Eugenio – come la sua scomparsa ci abbia unito, riportandoci all’essenza delle cose. Dopo che è morta, eravamo tutti più attaccati alla vita: alcuni si sono sposati, io ho chiuso un rapporto sentimentale che non funzionava».


Padre spirituali


La star di X-Factor ammette che «negli ultimi anni si è un po’ persa la figura del prete o del padre spirituale, eppure all’interno della Chiesa ci sono persone, anche giovani, preparate e profonde, che sono pronti ad accogliere il dolore umano e a tradurlo con l’ amore di Dio».


Perché è attraverso quel dolore che «si può accettare la propria storia personale, che non sempre è chiara. Io mi confronto molto con un prete, si chiama padre Dominic».


 



“Dov’è il tuo cuore?”


Quindi, secondo Eugenio la fede non è un rifugio per le persone deboli che non riescono a reggere l’ urto della vita.


«Esistono davvero persone forti nel mondo? Non penso. Una volta, ero andato a confessarmi da padre Antonio, un altro prete molto bravo e molto empatico, e ammisi che era da tempo che non pregavo. Mi ha chiesto: “Ah, e allora per cosa stai vivendo?”. È una domanda importante, che ora mi rifaccio spesso: per cosa stai vivendo? Dov’ è il tuo cuore? Se non è con Dio, se non guardi verso l’ alto, dove stai guardando? In basso? Ricordo ancora il confronto con don Antonio. Parlando con lui capii che il mio cuore era chiuso nelle cose, nell’ ambizione. Mi chiese: “Come stai?”. La mia risposta fu: “Male”. Non fu necessario aggiungere altro: come le dicevo, è tutto molto semplice per certi versi… Per me la fede è questo: farmi tornare con i piedi per terra, farmi tornare alle priorità vere».


 





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26/02/2020 16:13
 
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Ricordando Kobe Bryant, formato e salvato dalla sua fede cattolica



Ronald Cortes | Getty Images


Kobe Bryant

Il campione olimpico e dell'NBA, uno dei marcatori più importanti del basket, ha trovato la forza nella sua fede quando ha dovuto affrontare un'accusa di stupro. Quando ha spiegato la sua innocenza a un sacerdote, si è sentito dire: “Dio non ti darà nulla che tu non riesca a gestire, e ora è tutto nelle sue mani. È una cosa che non puoi controllare, quindi lascia perdere”. Bryant ha vissuto una svolta ed è riuscito ad affrontare le accuse e a ricostruire il suo matrimonio
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente nell’aprile 2016. Purtroppo Kobe Bryant, insieme alla figlia 13enne Gianna e ad altre 7 persone, è morto in un incidente di elicottero il 26 gennaio 2020. Possano riposare in pace.

Mercoledì 13 aprile 2016, Kobe Bryant, uno dei più grandi atleti di tutti i tempi, ha posto fine alla sua carriera ventennale nel basket segnando 60 punti nella sua ultima partita.

Se molti conoscono bene i suoi successi – cinque volte campione NBA, due volte campione olimpico, 18 volte All-Star e terzo per punteggio nella classifica NBA –, pochi sanno che la fede cattolica lo ha aiutato in uno dei suoi momenti più difficili.

Nato a Philadelphia, Kobe Bryant è cresciuto in una famiglia cattolica, e da piccolo ha anche vissuto in Italia. Entrato nell’NBA a 17 anni, ha sposato Vanessa Laine nella chiesa cattolica romana di St. Edward a Dana Point, in California. Due anni dopo sono diventati genitori per la prima volta. Bryant era al top, e tutto sembrava andare nella direzione che sognava. Ma poi ha commesso un grande errore.

Nel 2003, Bryant è stato accusato di aver stuprato una donna nella sua stanza d’albergo, mentre si trovava in Colorado per un intervento al ginocchio. Il cestista ha ammesso di aver avuto rapporti sessuali con la donna, ma ha negato lo stupro. Alla fine un giudice ha fatto cadere le accuse, ma la donna ha intentato una causa civile contro Bryant. In quella situazione, il giocatore si è scusato pubblicamente, dicendo di vergognarsi di quello che aveva fatto.

Durante uno dei periodi più bui della sua vita, Kobe Bryant si è rivolto alla sua fede cattolica.

In un’intervista a GQ del 2015 ha spiegato:

“L’unica cosa che mi ha aiutato davvero durante quel processo – sono cattolico, sono cresciuto come cattolico, i miei figli sono cattolici – è stato parlare con un sacerdote”.

“È stato quasi divertente. Mi ha guardato e mi ha detto: ‘L’hai fatto?’, e io ‘Ovviamente no’. Poi mi ha chiesto: ‘Hai un buon avvocato?’, ed io ‘Sì, è fenomenale’. Al che lui ha detto solamente questo: ‘Lascia stare, vai avanti. Dio non ti darà nulla che tu non possa affrontare, e ora è tutto nelle sue mani. È una cosa che non puoi controllare, quindi lascia stare’. E quello è stato il punto di svolta”.

Dopo alcuni anni difficili, Kobe Bryant si è riconciliato con la moglie, e sono ancora sposati. Hanno fondato la Kobe and Vanessa Bryant Family Foundation (KVBFF), che tra le altre cose si dedica ad aiutare i giovani in difficoltà, a incoraggiare lo sviluppo delle capacità fisiche e sociali attraverso lo sport e ad assistere i senzatetto.

Quando, nel 2013, gli è stato chiesto del suo impegno, la risposta avrebbe reso probabilmente molto felice Papa Francesco:

“La mia carriera sta rallentando. Alla fine della carriera, non voglio guardare indietro e dire solo ‘Beh, ho avuto una carriera di successo perché ho vinto tanti campionati e segnato tanti punti’. C’è qualcos’altro da fare”.

“La questione [dei senzatetto] è stata relegata in un angolo perché è facile dare la colpa ai senzatetto e dire ‘Avete preso voi questa decisione sbagliata. È colpa vostra’. Nella vita, tutti commettiamo degli errori, e rimanere indietro e permettere a qualcuno di vivere in quel modo lavandosene le mani non è giusto”.

In tutte le prove che ha affrontato, e forse anche in risposta ad esse, Bryant si è reso conto che la fama e la fortuna non erano niente rispetto all’importanza della fede e della famiglia. Quando tutti al mondo lo hanno abbandonato, la Chiesa cattolica è sempre stata lì.

È una All-Star e una leggenda dell’NBA, ma anche le superstar possono avvalersi del sostegno fondamentale di una formazione nella fede e di un buon sacerdote a cui rivolgersi.


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10/04/2020 16:09
 
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Carlo Verdone: quando sono avvilito, faccio una “telefonata” con Dio e mi sento meglio!



 


 




L’attore e il suo rapporto con la fede: il Cardinale Tonini mi consigliò di fare così in un momento molto brutto della mia vita



Carlo Verdone e il suo rapporto con la fede, animato dalle frequenti conversazioni che aveva con il cardinale Ersilio Tonini.


L’attore ne parla alla rivista “Credere“, svelando l’amicizia speciale che aveva con il porporato, e il suo modo di pregare.    


“Credente tra mille dubbi e problemi”


«Io sono credente, pur tra mille dubbi e problemi – afferma Verdone – Penso che il corpo serva a far crescere l’anima, a darle sensibilità e saggezza. Poi, a un certo punto, il corpo ci lascia e l’anima resta. Questa cosa l’avverto sempre di più. Così come sento più forte la forza della preghiera».


Però, prosegue Verdone, «per me pregare non significa recitare dieci ave maria e dieci padre nostro. E’ un colloquio, spesso mattutino o comunque in un momento in cui niente mi può disturbare. Lì posso fare dei lunghi discorsi. Il problema è che non senti la voce di Dio che ti risponde, ma sono convinto che quello che la tua anima ti sta comunicando arrivi a destinazione».


© Public Domain

“Dammi retta Carlo!”


Questo glielo aveva fatto capire, in modo particolare, un noto porporato suo amico. «Ho avuto più volte il piacere di parlare con il cardinale Ersilio Tonini. In un momento in cui non me la passavo bene per vari motivi, e mi sentivo profondamente avvilito, anche la mia fede era in profonda crisi – dice Verdone – lui mi disse: “Ogni tanto fai una telefonata a Dio. Ma devi stare da solo, tranquillo, e devi essere convinto che lui ti ascolta. Vedrai, troverai la forza per andare avanti. Dammi retta Carlo, dammi retta”. Ogni volta che ci rivedevamo, mi chiedeva: “Carlo, hai fatto quella telefonata“».


 

Papa Francesco? Un prete illuminato

Qualche tempo l’attore si espresse anche su Papa Francesco. Una persona che ama la «concretezza». «Il Pontefice esercita la sua missione pastorale con il buon senso di un prete illuminato – affermò Verdone – non certo con la distanza di un sovrano irraggiungibile».


Nel momento in cui tutti i leader del mondo «alzano i toni, urlano per eccitare i peggiori istinti della gente», Francesco «stimola pacatamente la riflessione sui temi cruciali della nostra epoca. Un’epoca difficile, che ha smarrito la dimensione spirituale ed etica» (Aleteia, 11 dicembre 2018).

fonte ALETEIA


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24/08/2020 14:52
 
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Mogol racconta la sua fede, in parole e musica





Autore formidabile nel sodalizio con Lucio Battisti (e non solo) .Fondatore per beneficenza, nel 1981, della Nazionale Italiana Cantanti e da settembre 2018 Presidente della Siae, ci accoglie in Umbria al CET, il Centro Europeo di Toscolano, dove si sono formati oltre 2.700 artisti. Giulio Rapetti, in arte Mogol racconta la sua malattia, il suo rapporto con la fede e lo sguardo sulla vita.










Il più grande autore della canzone italiana, da sempre associato all’indimenticato Lucio Battisti, si racconta a Famiglia Cristiana e dichiara senza timidezza la centralità della propria fede cattolica. E ai ragazzi che incontra dice di impegnarsi e studiare con gente seria. (E che quasi nessuno sa quanto grande sarebbe potuto diventare!)


Un uomo di 82 anni che fa progetti dalla mattina alla sera e ha investito tutti i proventi dei diritti d’autore in una scuola dedicata ai giovani che vogliano coltivare -sudando!- il proprio talento. Direste mai che una delle parole chiave della sua vita sia “rassegnazione”?

 


E invece è così. Ma è proprio grazie a questa sua posizione così integralmente e coraggiosamente umana che Giulio Rapetti, in arte Mogol, riesce a macinare progetti, costruire opere, tirare su giovani artisti pensando prima di farne degli uomini.


Nella ricca intervista rilasciata a Famiglia Cristiana racconta il suo impegno per la scuola fondata nel cuore dell’Umbria e costruita secondo un’idea di bellezza vera, seria, che tiene conto di come sia fatta davvero la creatura umana. Si capisce bene che nella sua lucida visionarietà Mogol scorge la statura gigantesca di ogni persona, spesso ridotta per ignoranza, pigrizia o contro-educazione a camminare gobba, a farsi piccola e meschina.



Mi pare di ritrovare insomma in questo rapido schizzo di una vita lunga che ne intreccia altre migliaia le tinte forti tipiche del paradosso cristiano che conosce i limiti e le altezze di quello strano ibrido che è l’uomo, corpo e anima, bassi appetiti e aneliti sublimi. E in esso trova anche la sola possibile composizione: accettati, lasciati conoscere, dialoga col Padre, curati, procedi entro gli argini che ti trovi attorno e scorri impetuoso fino al mare.


Missione pop: nei giovani che si misurano con la musica vede uomini capaci di servire il bene



Nel Cet – il Centro europeo di Toscolano – la cittadella che ha costruito tra i boschi umbri, in cui ha investito «tutti i diritti dei miei testi», l’autore più famoso della canzone italiana forma i giovani che hanno voglia di mettersi in gioco, come autori, compositori, interpreti: «Questa scuola è la mia missione». Il suo motto? «Formiamo l’uomo per formare l’artista». Ma quale idea di uomo ha in mente? «Sono cattolico e cerco Dio. La mia idea parte da ciò in cui credo: formare una persona responsabile, che capisca qual è il senso della vita e comunichi cose utili a tutti». (Famiglia Cristiana)



Non è questo il vero talent show di cui abbiamo bisogno? Non è così che si prendono sul serio desideri, speranze e alti ideali dei nostri giovani per aiutarli a metterli al servizio di un bene più grande? Più che aizzarli gli uni contro gli altri salvo poi vendersi come comprensivi pacieri in programmi dove tutto è filmato, proposto, montato allo scopo di suscitare curiosità e accendere tifoserie, qua si educano persone.


La scuola: oasi e palestra di umanità





Anche solo dando un’occhiata alle pagine social del Centro Europeo di Toscolano in Umbria non possiamo che arrenderci: qui regna la bellezza. La natura, gli spazi, gli edifici: tutto comunica bellezza, ma non selvaggia e primordiale; piuttosto una bellezza frutto di lavoro e armonia tra uomo e natura. Se leggete qualche recensione o commento è tutta un’esclamazione di gratitudine e piacere per la meraviglia dei luoghi, dell’atmosfera, delle relazioni.


Oltre ai locali dedicati alla scuola vera e propria al Cet si trovano un maneggio, più di una piscina, aule congresso e servizi per accogliere ospiti. Mogol, perennemente man at work, si affretta ad aggiornare la lista col progetto più recente e forse di imminente realizzazione:



Sto pensando di realizzare undici ambulatori medici per fare prevenzione, dove la gente impari soprattutto a non ammalarsi: viene qui, passeggia, nuota, pesca, va a cavallo e fa un check up generale. (Ibidem)



Un vero sollievo immaginare un luogo come questo, sebbene solo per i pochi che lo frequentano (non pochissimi in verità: sono diecimila le persone che a vario titolo frequentano il Cet!) che sembra ricomporre in unità l’uomo post moderno così crudelmente sbriciolato in tante piccole parti e mai guardato per intero. Non siamo solo corpo, non siamo solo anima. Non abbiamo solo fame, né solo bisogno di lavorare o riposare. Agli uomini di oggi manca il ritmo, ci manca l’ordine, siamo pieni di note ma strappate agli spartiti. Sembra quasi che qui si possa davvero tornare a far cantare la vita…


Per questo non è difficile immaginare a quale idea di uomo Mogol intenda riferirsi:



Sono cattolico e cerco Dio. La mia idea parte da ciò in cui credo: formare una persona responsabile, che capisca qual è il senso della vita e comunichi cose utili a tutti.



Non sembra anche a voi di sentire l’eco del quaerere Deum benedettino che, come allora, perseguito con tenacia ha permesso di trovare e ricomporre anche il volto dell’uomo?



La fede e il dialogo con il Signore al centro di tutto


Senza questa relazione saremmo al centro del nulla, dice Mogol riportando uno dei suoi aforismi preferiti. Invece il Signore è presente e misteriosamente accessibile.


Per questo, oltre alle tante strutture già elencate, Mogol ha voluto che nella tenuta fosse presente anche una cappella.  E per questo racconta senza smussare spigoli e cercare inutili accomodamenti che il sasso gettato nello stagno della sua vita che continua a generare cerchi su cerchi è il rapporto con Dio. Da dove gli verrà mai tutta questa energia infatti?



Da lui, il Signore che mi protegge, non ho un’altra risposta che sia onesta.



Quanto poco sa di posticcio, di manieroso una affermazione del genere fatta da un uomo del genere con tanti anni di vita già alle spalle. Eppure è tutto concentrato sul presente, proteso verso il futuro e sinceramente grato di ciò che ha già ricevuto.


La sua preghiera infatti dice sia soprattutto per dire grazie e ricordare quanto il Signore e la Madonna gli abbiano già donato. L’accento mariano nella lingua della fede lo ha imparato dalla seconda moglie, Daniela. Ed è a lei che deve la sempre maggiore serietà con la quale la vive.  Non ci stupisce, questo fatto. Dobbiamo ricordarci che, come donne, abbiamo una grande responsabilità nella trasmissione viva della fede ai figli e spesso anche ai mariti (come i supereroi: è perché abbiamo un grande potere!).


Anche nella preghiera serve metodo…



Prego ogni giorno almeno un quarto d’ora, adesso preferibilmente la mattina. È un dialogo fatto di Ave Maria e Padre nostro, con tutte le persone a me care. Prego per i miei morti, per i figli, i nipoti, per quelli che sono in pericolo. Molte sono preghiere di gratitudine, mi ricordo di quello che il Signore e la Madonna mi hanno donato, di quanto mi hanno aiutato, cerco di essere grato per tutto.



E probabilmente è proprio grazie all’abitudine della preghiera e della gratitudine continuamente rinnovata che Giulio ha imparato la lezione che ritiene tra le più importanti, alla quale accennavamo più sopra: la necessità della accettazione.


Ma come, non ha parlato fino ad ora di cantieri sempre aperti, energie continuamente rinnovate, voglia di fare, idee per aiutare i giovani, i bambini affetti da autismo, le popolazioni africane più svantaggiate? Sì, è così. E questa nuova scoperta, della necessità di accogliere, accettare possiamo dire rassegnarsi alla realtà, non è affatto in contraddizione:



dopo alcuni controlli mi hanno detto che dovevo mettere quattro bypass» – «ho capito che l’atteggiamento più importante che dobbiamo avere è l’accettazione del proprio destino, qualunque sia. Il Signore secondo me la gradisce più di una preghiera. L’accettazione ha dentro di sé la soluzione. (Ibidem)



Soluzione a che cosa? Al solo problema vero che ci sia nella vita di ognuno: compiere il proprio desiderio di Infinito, non vivere invano, sapere andare incontro alla morte.





Grazie a Mogol allora e alla sua generosa passione per i giovani, la musica, l’arte vissute al servizio del bene e per le quali, dice, non c’è miglior tecnica persuasiva che l’esempio personale. E la sua “presa” sulla vita e le sue sfide è sempre la stessa al punto che sollecitato dal giornalista circa l’avventura dell’esistenza ha dichiarato:



È sempre uguale. Faccio progetti dalla mattina alla sera. Non ho perso un goccio di entusiasmo. Se muoio non è colpa mia. Non ho nessuna intenzione di tirare i remi in barca. (Ibidem)






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15/02/2021 22:09
 
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Celebrità italiane credenti che pregano e vanno in chiesa (FOTO)




Andrea Raffin - DELBO ANDREA | Shutterstock






Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 09/02/21





Dalla Gregoraci a Flavio Insinna, da Gerry Scotti a Lorella Cuccarini: la fede silenziosa di personaggi famosi che si sono convertiti e hanno ricevuto grazie



 


Celebrità italiane credenti, che pregano e hanno un rapporto intimo e silenzioso con il Signore. Personaggi famosi che sono molti devoti alla Madonna e a Gesù, e vanno regolarmente a messa.


Di questo rapporto personale con la fede si parla poco. Perchè, nelle loro interviste, le star tendono ad emergere altri aspetti, come quelli scandalistici, familiari, caratteriali. Eppure tante di loro sono cattolici praticanti, che hanno storie di prodigi e conversioni che mai ci saremmo aspettati!




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13/05/2021 17:39
 
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Gesù e la lettura del Vangelo. Così Celentano “converte” Fabrizio Corona




By Denis Makarenko & DELBO ANDREA via Shutterstock






Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 06/05/21 - aggiornato il 06/05/21





Il “Molleggiato” e l’ex “Re dei paparazzi” dialogano sui social. "Porterò nel cuore le tue parole che mi accompagneranno ad ogni passo della mia vita. La tua è un’ottima idea"


Fa ancora discutere il botta e risposta social tra Adriano Celentano e Fabrizio Corona: il “Molleggiato” ha chiesto la conversione del cuore a Corona, affidandosi a Gesù. 


Celentano ha dedicato un video su Instagram a Fabrizio Corona sulle note del brano ‘L’uomo nasce nudo‘ (1969).


 

Il ritorno ai domiciliari


Com’è noto, l’ex re dei paparazzi è tornato agli arresti domiciliari dopo essere stato detenuto per alcune settimane presso il carcere di Monza. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha infatti accolto la richiesta dei difensori di sospendere l’esecuzione del provvedimento con cui a marzo era stato costretto a tornare in cella (Today.it). 


“E’ arrivato il momento di scegliere”


“Caro Fabrizio – scrive Celentano – è arrivato il momento di scegliere, il tempo stringe e dobbiamo decidere da che parte andare prima che sia tardi. E l’unica via non solo per te, per me, per chiunque, per tutti gli uomini del mondo, l’unica via è Gesù. Senza di Lui – esorta Celentano a Corona – siamo già morti, fin dalla nascita”.



 

“Fabrizio, ti svelo un piccolo segreto”


“Conosco i quattro Vangeli a memoria – prosegue il “Molleggiato” – li avrò letti almeno quattrocento volte e ogni volta che arrivo al punto in cui Lui viene schiaffeggiato e sputato in faccia, mi rattristo fortemente e allora vado indietro. Rileggo quelle righe, sperando di trovare parole di vendetta che Lui non ha. Ma ti svelo un piccolo segreto: forse l’avrò letto anche cinquecento di volte, eppure la sera quando già sono sotto le coperte, se non leggo un passo del Vangelo non mi addormento felice. E’ questa l’idea di cui ti parlavo“.



Il cuore nuovo


“Caro Fabrizio – aggiunge Celentano – la tua sofferenza è grande lo so, ma è proprio da questa sofferenza che devi risorgere. I giudici hanno fatto quello che la legge gli impone e tu devi accettarlo. Però non puoi vincere se non apri il tuo cuore al nuovo Fabrizio, quel Fabrizio che stupirà tutti, capace di accettare anche la durezza di chi, in questo momento, non vuole essere tenero (…)“.



Corona: “Ora è diverso, hai ragione tu…”


Corona ha risposto all’appello alla conversione e a guardare verso Gesù di Celentano sullo stesso social. Ed ha scritto:



“Caro Adriano, nel tuo video c’è tutto, ma veramente tutto. Credo che andrebbe visto e rivisto molte volte… Ogni volta stimola una riflessione diversa, sincera, profonda. Hai raggiunto una grande consapevolezza, la stessa saggezza e consapevolezza che molte volte ho ricercato e mai trovato. Ora è diverso, hai ragione tu… La vita è un soffio ed è tempo di fare qualcosa per il prossimo, perché è solo attraverso l’amore per gli altri che ritrovi te stesso. Il mio cammino è cominciato… Porterò nel cuore le tue parole che mi accompagneranno ad ogni passo della mia vita. La tua è un’ottima idea. Grazie, di cuore, grazie”, queste le sue parole (Il Fatto Quotidiano).



La risposta di mamma Gabriella 


A rispondere alla lettera di Celentano su Gesù e la conversione del cuore di Fabrizio Corona, è stata anche la madre Gabriella, che nelle ultime settimane si è battuta per la scarcerazione del figlio. 



“Caro Adriano, la tua idea è fantastica: la figura di Gesù, il suo accostamento a Fabrizio. L’invito alla conversione del cuore. Tu sei fantastico. Ed io posso solo dirti grazie per essere stato vicino a Fabrizio con la tua grande arte ispirata dalla tua profonda fede”






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20/02/2022 10:43
 
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Il calciatore che ha “coperto” tutta la schiena con un tatuaggio di Gesù



calciatore salernitana tatuaggio

 



“Qualcuno mi critica per quel tatuaggio, ma io sono un vero credente. Lo sono io, lo è la mia famiglia e anche mia moglie”, dice Pasquale Mazzocchi





Il calciatore con un mega tatuaggio di Gesù. Questa è la storia di Pasquale Mazzocchi, 26enne napoletano, ora in forza alla Salernitana. Un calciatore dal talento soprannaturale, che si è guadagnato la Serie A con sudore, sacrifici e volontà. 


Mazzocchi ama i tatuaggi. Identificano le cose a cui è più legato nella vita. E sulla schiena ha deciso di fare un mega tatuaggio: non ha scelto draghi o teschi, né frasi ad effetto, ma una splendida immagine di Gesù, con tanto di corona di spine a testimoniarne la sofferenza. Una sofferenza che il calciatore porta nel suo cuore per la perdita di un caro amico d’infanzia, scomparso troppo prematuramente, e che ha voluto affidare alla protezione celeste di Gesù.



Un sogno nato alla periferia di Napoli



Per questo calciatore la famiglia è tutto, a partire dalla moglie conosciuta da ragazzino nel quartiere e che non ha più lasciato. Mazzocchi è un ragazzo umile: è rimasto lo stesso e ogni volta che torna a Barra, nella periferia di Napoli, torna ad essere quel bambino che da lì è dovuto partire a 11 anni per inseguire un sogno. Il sogno lo ha realizzato, per la gioia di tutti: sua, della sua famiglia, dei suoi amici e di un intero quartiere, che oggi lo considera un esempio. 



La fede in famiglia



«Per me la fede è tutto – ha detto a Fan Page (ottobre 2021) -. Se non credi in Dio non credi in nulla. Qualcuno mi critica per quel tatuaggio, ma io sono un vero credente. Lo sono io, lo è la mia famiglia e anche mia moglie. Io rispetto tutti, ma mi aspetto che gli altri facciano lo stesso con me».





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Il tatuaggio del bimbo sul cuore



Non solo il tatuaggio di Gesù: il calciatore della Salernitana ne ha anche un altro molto importante. E’ un bimbo che tatuato sul cuore. «E’ l’amico a cui ho dedicato il gol contro l’Empoli – ha spiegato il calciatore della Salernitana -. E’ un ragazzino con il quale sono cresciuto nel quartiere, eravamo inseparabili. Purtroppo, a 9 anni una meningite se l’è portato via e da allora non c’è giorno che non lo ricordi. Oggi spesso i giovani si chiamano “Fratello”, ma lui per me lo era davvero. E, quando è morto, con lui se n’è andata anche una parte di me. Sembrano frasi fatte, ma posso assicurare che non lo sono. E se ho intrapreso questa carriera lo devo anche a lui, perché sono sicuro che, in qualche modo, da lassù, mi ha dato il coraggio di lasciare tutto e trasferirmi a Benevento (dove la sua carriera da calciatore è svoltata ndr)».





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20/02/2022 10:49
 
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Il “Padre Nostro” di Dajana: la musica cristiana va sul palco di Sanremo



festival canzone cristiana sanremo


 Dajana d'Ippolito







E’uno dei brani più attesi: si intitola “Padre Nostro”, della cantautrice Dajana, e sarà presentato al Festival della Canzone Cristiana di Sanremo.



24 artisti



Stessi giorni, la città ligure ospiterà infatti due kermesse musicali. Dal 3 al 5 febbraio a Sanremo non andranno in scena solo i cantanti sul palco dell’Ariston, ma anche quelli di un altro Festival: quello della canzone cristiana. Sul palco dell’Auditorium di Villa Santa Clotilde, Opera Don Orione di Sanremo, saliranno 24 artisti per cantare emozioni, immagini e parole rivolte a Dio.



Dove vedere il Festival



In una sorta di staffetta musicale, il Festival farà da apripista a quello dell’Ariston, perché si terrà nel pomeriggio, dalle 14.30 alle 19.30. La kermesse canora ha dietro le spalle la direzione artistica di Fabrizio Venturi, vede come media partner Radio Vaticana e Vatican news e i canali televisivi Tele Padre Pio e Canale Italia seguiranno in diretta la tre giorni.




Il video di Dajana sul Festival della Canzone Cristiana di Sanremo.



“Non c’è rivalità”



«Gli orari non si sovrappongono e da parte dell’organizzazione non c’è la volontà di offrire un controfestival. Non c’è rivalità”, spiega ad Agensir (1 febbraio) Dajana D’Ippolito, in arte Dajana, la cantante tarantina che insieme a Erminio Sinni, vincitore del talent show The voice senior del 2020, presenta il brano dal titolo importante: “Padre nostro”.



Una notte di novembre



“Padre nostro”, spiega la cantautrice,  è nato «in una notte di novembre in cui ero al piano. Lì è nato l’incipit. Poi con la collaborazione di Eugenio Valente e di Erminio, il brano ha preso forma ma da un po’ la musica era dentro di me. Di solito le canzoni mi vengono così: per un po’ canticchio la melodia, in seguito arrivano le parole».




“Preghiera universale”




Il ‘Padre nostro’, prosegue Dajana, «è una preghiera veramente universale, un punto in cui si riesce a comprendere il messaggio che io e Erminio vogliamo trasmettere: siamo tutti, uomini e donne, sotto la stessa croce, siamo uniti dal Padre nostro che non fa differenze».



“Esiste un solo Padre”



Il messaggio di Gesù è questo, fa notare la cantautrice: «lui ama tutti, anche chi può apparire ai nostri occhi più disgraziato. È una cosa che dovremmo comprendere. A volte rischiamo di essere dei cattolici poco credibili e poco dentro le regole mentre il significato della venuta di Cristo è stata quella di affermare che esiste un solo Padre». 







Una liberazione inspiegabile



L’idea del brano, conclude Dajana, «è venuta da una liberazione che quasi non so spiegare. In più c’è il tocco di colui che chiamo il ‘sarto della mia musica’, Eugenio Valente, capace di cucire addosso degli arrangiamenti meravigliosi, molto moderni. È da ascoltare, bisogna seguire il Festival della Canzone Cristiana».


Clicca qui per andare sul sito del Festival della Canzone Cristiana.





 



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06/05/2022 14:12
 
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Il documentarista ateo si converte studiando la Sindone



La storia sorprendente del noto documentarista inglese che da ateo ha iniziato a studiare la Sindone per cercare di dimostrarne l’inganno, concludendo esattamente l’opposto e ritrovandosi convertito. Lo testimonia lui stesso sull’Osservatore Romano.


 Sono numerose le ragioni di gratitudine che il famoso documentarista e regista David Rolfe dice di avere verso l’Uomo della Sindone.



 


 


Voleva dimostrare l’inganno della Sindone.


 


«Ateo convinto e consapevole dell’esistenza di numerose reliquie false», afferma, «ho prodotto il mio primo documentario sull’argomento, “The Silent Witness”, (Il testimone silenzioso) nel 1977, deciso di scoprire e mostrare come e da chi era stata contraffatta la Sindone. Non potevo pensare che ci fosse un’altra spiegazione».


I suoi viaggi lo misero in contatto con diversi studiosi e scienziati della Sindone e «nel corso dell’operazione le varie prove hanno cominciato a combaciare perfettamente».


Ad esempio, lo storico Ian Wilson, utilizzando la sua conoscenza delle raffigurazioni artistiche di Cristo, ha formulato idee sul collegamento con il Mandylion di Edessa, mentre Max Frei, botanico e perito giudiziario, ha completato la sua identificazione dei tipi di polline presenti sulla Sindone, molti dei quali appartenevano esclusivamente alla Palestina e alla regione di Edessa.


«Il mio documentario, lungi dal rivelare la contraffazione, è divenuto un argomento affascinante per la probabile autenticità della Sindone», sostiene Rolfe.


David Rolfe, il suo documentario vince numerosi premi.


Il suo progetto ha vinto il British Academy Award e molti altri premi internazionali. Il libro sulla produzione del documentario è divenuto un best seller nel Regno Unito.


Scrivendo su L’Osservatore Romano dice che la Sindone è entrata a far parte del corso di studi in molte scuole: storia, fisica, religione, chimica, biologia, anatomia, arte, tessitura. Nel 2008, ha prodotto un nuovo documentario per la BBC e per la Rai sulla tensione attuale fra i risultati del test del C14, risalente a vent’anni fa, e i nuovi studi sulla Sindone.


Afferma ancora: «La Sindone è un soggetto unico e adatto a essere ripresa in 3d perché contiene già in se elementi tridimensionali. Il nuovo documentario si pone la domanda legittima: è questa l’epoca per la quale è nata la Sindone? Il mio prossimo obiettivo sarà trovare un modo per portare la storia della Sindone a un pubblico più ampio in tutto il mondo».


«Difficile studiare a lungo la Sindone senza convertirsi»


 


Il documentarista affronta, infine, la sua conversione.


«Noterete da come mi esprimo che nel corso della produzione sono divenuto credente e cristiano», scrive.


Infatti, prosegue, «è difficile studiare la Sindone per tanto tempo senza diventarlo. Questo non riguarda tanto aspetti oggettivi, sebbene siano piuttosto impressionanti, quanto soggettivi. La sua sottile immagine monocromatica è un’opera di genio sublime nel comunicare l’essenza del momento storico in cui è nato il Cristianesimo, attraverso le azioni di Gesù di Nazaret».




[Modificato da Credente 06/05/2022 14:14]
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10/05/2023 08:43
 
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MAX LAUDADIO DI STRISCIA LA NOTIZIA SI CONVERTE: DA ATEO DI FERRO ALLA GIOIA DELLA FEDE
Da Emiliano Fumaneri
Storico inviato di Striscia la Notizia racconta come ha scoperto la fede e la sua conversione, avvenuta grazie a un incontro particolare.
Ecco come quello che era un ateo a prova di bomba si è trovato a un certo punto ad adorare il Santissimo Sacramento durante una veglia notturna. E a trovare il vero segreto della felicità.
I più lo conoscono per essere uno diventato degli inviati storici del tg satirico Striscia la Notizia, dopo gli esordi con le Iene. Ma Max Laudadio, oggi 51enne, ha anche altro da raccontare, oltre al curriculum televisivo.
Non è la prima volta l inviato di Striscia racconta la sua fede cattolica, di come un incontro abbia cambiato in profondità il suo modo di vedere la vita. È tornato a parlarne proprio in questi giorni, intervistato da Giulia Cazzaninga per La Verità .
Al giornale diretto da Maurizio Belpietro Laudadio racconta di essersi trovato a un bivio durante la sua carriera professionale: il momento in cui si capisce che l alternativa è quella tra una crescita interiore e la caduta nell «oblio del niente, del successo e della ricchezza».
Un rischio che dice aver corso personalmente quando, a un certo punto, poteva dire di avere tutto quello che aveva desiderato: il lavoro dei suoi sogni, un matrimonio felice, tre figli (una figlia biologica e due adottivi). «E però non ero felice», spiega alla giornalista.
UN ATEO DI FERRO SORPRESO DALLA GIOIA
Al tempo parlare di fede non era un opzione per lui, che si definiva un «ateo di ferro». Ma le cose sarebbero cambiate in fretta. «È successo racconta Max Laudadio che mia figlia frequentava l oratorio e il prete don Silvano Lucioni si era messo in testa che io dovevo entrare in Chiesa, ma non mi passava neanche dall anticamera del cervello. Non ero semplicemente ateo, ero proprio in rivolta, a tratti persino violenta».
Ma don Silvano non si è perso d animo e gli ha regalato Per una Chiesa scalza, un libro di Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino, grande opera missionaria. Un libro che una sera Max inizia a leggere soltanto «per rispetto per il prete». Ma che finirà per divorare, letteralmente rapito dalla lettura.
Così il mattino seguente, dopo aver chiamato la sua assistente per avvisare che non sarebbe andato al lavoro, «son partito per Torino da solo ricorda e arrivato all Arsenale della pace ho bussato e mi sono messo a piangere. Ho chiesto di vedere Olivero, mi han detto che era appena atterrato dalla Terra Santa e poco dopo mi ha accolto. La prima cosa che mi ha detto è ti voglio bene ».
LA LEVATACCIA NOTTURNA, POI IN GINOCCHIO DAVANTI AL SANTISSIMO
Non è ancora la conversione, che arriva la notte in cui don Silvano lo convince in maniera molto decisa, diciamo a «fare l adorazione eucaristica». L inviato di Striscia racconta di essere disceso in valle, dopo la sveglia alle 3 del mattino, nel pieno di una bufera di neve, anche piuttosto nero per essere stato praticamente buttato giù dal letto. «Ma poi entrato in Chiesa l illuminazione. Mi sono messo in ginocchio e non mi sono alzato fino al mattino. Da lì, giuro, è iniziata una serie impressionante di quelle che io chiamo dioincidenze ».
È la svolta che cambia tutto nel suo modo di vedere la vita. Da «megalomane, egocentrico ed esibizionista» arriva a chiedere il «dono dell umiltà». Poi c è la missione di tre mesi. Prima in un orfanotrofio ad Haiti, poi in Giordania in un centro disabili mussulmani gestito da tre suore, infine in Benin in un piccolissimo ospedale (che serve però quattro Stati).
LA STRADA VERSO LA FELICITÀ
È in missione che Max Laudadio scopre la vera strada della felicità: il servizio al prossimo, specialmente ai più poveri. «Ho scoperto lì che la felicità esiste solo nel dono agli altri, se una cosa la fai per gli altri». Così inizia un cammino di fede fatto, come accade per tutti, di alti e bassi, di difficoltà e scogli da superare. Una lotta della vita che Max affronta ricordandosi le tre parole da rispettare per diventare santi, seguendo un consiglio di San Giovanni Bosco («decisivo» lo definisce): «responsabilità, misericordia e allegria».
Quanto al lavoro, nell ambiente della televisione, «non è cambiato molto rispetto a prima, a esser diversa è stata la mia disponibilità verso gli altri, e questo ha regalato parecchi frutti».


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