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Silvia Bencivelli

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05/10/2011 17:50
 
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Dieci euro a pezzo: il mio pacato contributo alla discussione
Dal suo sito
silviabencivelli.it/2011/dieci-euro-a-pezzo-il-mio-pacato-contributo-alla-disc...


Dice che chi nasce tondo nun pò morì quadrato. Succede lo stesso agli scassacazzi: nun posson morì tranquilli. E io, modestamente, scassacazzo lo nacqui. Tondo tondo.
Per cui ecco il mio pensiero sul precariato dell’informazione e su noialtri che ci stiamo affogando dentro.

Per me, chi accetta di farsi pagare dieci euro ad articolo non è un poverino da compatire, ma un irresponsabile. Punto. (O, più banalmente, è uno che non ci ha mai pensato, uno di primo pelo, uno che non è abituato a riflettere sulla propria posizione nel mondo come a quella di un frammento di una collettività… ma proviamo a ragionarci, allora, prima di parlare).
Ricomincio: uno con una buona preparazione e una certa sicurezza di sé che accetta di lavorare per così poco è un irresponsabile perché un articolo è (o dovrebbe essere) una cosa preziosa così come la fiducia di chi lo legge.
Per scrivere un articolo si devono fare telefonate, si deve passare un po’ di tempo a leggere e a pensare, si devono verificare le fonti e confrontare le posizioni. Si deve scrivere, appunto. E poi ci si deve mettere la firma sotto. Tutto questo ha un costo, oggettivo, a cui si aggiunge il costo impalpabile del lavoro intellettuale, quello per cui non tutte le firme sono uguali ma ogni firma vale più di zero. Chi legge l’articolo, poi, lo fa (o lo dovrebbe fare) pensando di leggere il risultato di un certo impegno professionale. E anche questa fiducia ha un prezzo, che corrisponde più o meno alla monetina che ogni mattina passiamo all’edicolante.

Ora, lui, il collega mio che, poverino, ha accettato di essere pagato così poco, sono sicura che abbia avuto le sue buone ragioni per farlo e che, nonostante il compenso esiguo, si sia dedicato con la necessaria abnegazione alla redazione di un pezzo decente. Ma il mercato? Finché c’è gente che accetta di lavorare per così poco, il nostro lavoro varrà poco e ci sarà sempre qualcuno che accetterà di scrivere per un euro meno di noi, in un infinito gioco al ribasso. La qualità di quel che scriviamo ne risente. E la qualità di quel che leggiamo dove va a finire?

Cavolo, il nostro lavoro è importante in questo mondo. Siamo quelli che fanno circolare le notizie, che permettono il dibattito pubblico, che fanno emergere le situazioni che qualcuno vorrebbe nascondere.
Anzi, vi dico di più: tutti i lavori sono importanti a questo mondo. E comunque siamo in un libero mercato, accidenti. Tutti noi lavoratori abbiamo un ruolo e una responsabilità nei confronti della società e, ahimé, tutti noi abbiamo bisogno di soldi per vivere.
A chi piacerebbe sapere che il medico che lo sta operando di appendicite ha accettato di farlo per due lire, perché intanto impara, perché così tiene un piede dentro all’ospedale, perché non ha alternative e non c’è nessun ospedale che gli offre di più? Siamo tutti lavoratori e cittadini, e viviamo per la fiducia nella professionalità degli altri: dall’autista dell’autobus alla parrucchiera, dal portinaio al barista che ci sta dando il caffè. Di questa gente scegliamo di fidarci e perciò a questa gente corrispondiamo un po’ dei nostri soldi. E questo per rimanere solo alle prime ore della mattina.

Bene, proseguo. Il mio collega, poverino, che scrive per dieci euro a pezzo dovrebbe avere un’alzata di dignità per se stesso (del tipo: voglio diventare grande!) e smettere di ambire alla coccola del fratello maggiore (quello che lo chiama poverino, appunto). Dovrebbe cominciare a pensare a se stesso non solo come uno che avrebbe tanta passione per una cosa che non gli permettono di fare (uffi!). Ma come un sano professionista che vende il prodotto della sua penna per un prezzo non inferiore a quello che dà valore alla penna medesima. E questo per il bene dell’intera categoria e della società tutta.

Infine, per essere onesti: il collega poverino che lavora per dieci euro a pezzo è un irresponsabile ma fa bene a dirlo. Non a lamentarsi, non a cercare la pacca sulla spalla del pietoso fratellone. Ma a dirlo: lavoro per dieci euro a pezzo. Perché noi che facciamo informazione parliamo da anni del precariato degli altri: la scuola, la ricerca, l’industria… Tutti precari, ma guarda. Però nascondiamo, per paura o per omertà, quello che affligge noi. In questo, facciamo un danno ancora maggiore alla società che ci ospita: che ne sa il lettore di come è stato scritto quell’articolo lì? E allora bravi i colleghi che denunciano.
Il passo successivo, lo dico da tondo consapevole di essere nato irrimediabilmente e insopportabilmente tondo, sarebbe quello di guardarsi negli occhi e di dire… ragazzi, via: da domani mai più.
[Modificato da l'acero 05/10/2011 17:51]

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Silvia Andretti (La7) (3 messaggi, agg.: 02/12/2019 16:35)

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