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22/06/2003 21:00 | |
il manifesto - 21 Giugno 2003SOCIETÀpagina 07
Storie di donne violate dalla nascita
Ogni anno almeno due milioni di bambine africane e orientali subiscono la mutilazioni degli organi genitali
Pratiche arcaiche Si apre oggi al Cairo la «tre giorni» internazionale contro le mutilazioni legata alla campagna StopFgm lanciata l'anno scorso a Bruxelles
NOHA OMARI
IL CAIRO
In alcuni paesi donna non si nasce, lo si diventa con una violenza: ogni anno 2 milioni di bambine vengono iniziate alla loro femminilità con un rasoio, un coltello o un pezzo di vetro. Ogni strumento è buono per mutilare gli organi genitali. E restituire al mondo bambine con movenze sensuali frutto di vere e proprie torture - che lasciano cicatrici profonde - e da un ramo di acacia infilato tra le gambe per giorni. Prendono coscienza della loro diversità fin da piccole, quando escono di casa e la mamma urla: «Non giocare a palla, se no ti strappi». Imparano così che essere donna è un percorso aspro e tutto in salita, fatto di dolore e sottomissione all'uomo, l'unico essere autorizzato a fare loro raggiungere l'orgasmo. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità in almeno 28 paesi africani, in Medio Oriente, nell'estremo oriente e ormai, con le migrazioni, anche in occidente, almeno 130 mila donne sono colpite da 4 diverse forme di mutilazioni genitali: dalla clitoridectomia all'infibulazione (quasi totale cucitura), dalla cauterizzazione (sale e limone per impedire lo sviluppo), all'escissione. Ampie casistiche, pochi numeri certi e un unico risultato: disturbi psicologici, complicazioni sanitarie, sterilità, alto tasso di mortalità della madre e del bambino durante il parto. «Eppure ci sono dei ginecologi, all'università, che insegnano ai futuri dottori i (presunti) vantaggi della mutilazione», spiega Mona al Tobgui, che coordina, per l'Ong egiziana Società per la prevenzione di pratiche dannose, il convegno internazionale sulle mutilazioni, che si apre oggi (21-22-23 giugno) al Cairo e si collega alla campagna mondiale StopFgm lanciata nel dicembre scorso all'Unione europea da Emma Bonino. Fino a oggi hanno aderito più di 3000 persone e numerose associazioni tra le quali, in Italia, l'Unione donne italiane (Udi), Aidos e Fillea Cgil. «Abbiamo deciso di parlare e agire - è scritto nell'appello - consce che il silenzio è il migliore alleato di una pratica terribile che colpisce milioni di donne. Chiediamo a tutti di fare qualsiasi cosa sia in loro potere per abolire le mutilazioni genitali femminili».
Il convegno si propone di raggiungere una posizione comune sui punti principali per una legge che vieti le mutilazioni. In molti paesi la legge già esiste ma senza convinzione serve a poco. In Egitto, dove sono mutilate tra l'87 e il 97% delle donne, esiste un decreto del Ministero della Sanità, che condanna le mutilazioni senza tuttavia prevedere pene per chi le pratica. «È più importante convincere la gente, altrimenti si torna alle operazioni clandestine di trenta anni fa nei sottoscala», racconta Aziza. È un'attivista ultraottantenne che non si dà per vinta: quando andò in pensione, 25 anni fa, cominciò a girare l'Egitto in camper per spiegare alle donne che non dovevano mutilare le loro figlie, che era pericoloso e non serviva a nulla. Ride, quando le chiediamo di confermarci le statistiche sulle egiziane mutilate. «È ancora tabù. E varia da città a villaggio, da scuola pubblica a privata». Ma non da musulmani e cristiani. Anche l'Imam di al Azhar è intervenuto per spiegare che non è un obbligo islamico. Sono stati fatti importanti passi avanti, continua Aziza: «Adesso le donne recitano a memoria i danni permanenti che conseguono al taglio». I ricordi le si sovrappongono. «Iniziò tutto perché un egiziano tornò dall'Iraq (dove non si eseguono mutilazioni, ndr) con la prima moglie. Quando prese la seconda, egiziana, pensò fosse malata. Ci chiese di rimetterle i genitali tagliati». Nonostante la resistenza con cui Aziza veniva accolta, con i suoi volantini distribuiti davanti alle moschee del Cairo per aiutare le ragazze madri ed educare anche loro ai pericoli delle mutilazioni, quando riusciva a fare andare oltre insulse credenze leggendarie, la risposta era positiva. «Perché non ce l'avete detto prima?», le chiedevano, affamate di verità. «Bisogna continuare a educare. C'è gente dell'alta società egiziana che si veste all'occidentale, si tinge i capelli, porta lo smalto. E ha una mentalità più vecchia delle loro nonne», dice con uno scatto d'ira. «Continuare a educare», ripete.
Nessuno ammette che l'unico scopo delle mutilazioni genitali sia l'obbligo della donna di sottostare al volere dell'uomo. Anzi: si dice che le mutilazioni aiutino la fertilità (quando infezioni pelviche possono rendere sterili), siano una garanzia di verginità (ma a volte l'imene si rompe durante la traumatica operazione), migliorino le prestazioni sessuali dell'uomo (forse, se la passività della donna contribuisce al piacere sessuale), assicurino la fedeltà (come se la promiscuità fosse dovuta alla clitoride). Alcune comunità credono che se durante il parto la testa del neonato sfiora la clitoride, il bimbo morirà. Le mutilazioni genitali femminili sono una morsa terribile che unisce un mondo di donne, madri complici, ostetriche seviziatrici, chiuse in una stanza ad assalire una bambina inerme e un mondo di uomini che attende dietro la porta.
Nel 1996 l'Alto commissariato Onu per i rifugiati concesse il diritto di asilo a Hong Kong a Elizabeth Kuma, fuggita dal Kenya per salvare la figlia. Le mutilazioni genitali femminili, motivava la decisione, rappresentano una grave violazione di diritti umani fondamentali, quali il diritto alla propria sessualità, a non essere torturate, discriminate, perseguitate perché donne.
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