Comunque è una partita meravigliosa.
Ah, questa è la storia del vice allenatore di Juric, Corradi, oggi in panca. Pure questa è da inserire al già nutrito archivio di aneddoti assurdi riguardanti Juric.
La scuola. La politica. Lo sport. Tre vite, quelle di Alberto Corradi, vice di Ivan Juric sulla panchina del Genoa, che si intrecciano senza che una cancelli la precedente perché, chissà, potrebbe anche essere la prossima. «L’ho pensato tante volteo: in Italia erano rimasti due spazi di comunismo vissuto, l’ultima canzone cantata in coro ai concerti di Guccini e gli spogliatoi di una partita di calcio. Posti dove trovi un senso di comunità, una comunione d’intenti. Ora Guccini non canta più la Locomotiva, ma gli spogliatoi restano» sorride Corradi, 42 anni, di Arenzano, località del ponente genovese, che da insegnante nel 2012 diventò assessore all’Ambiente alla Provincia di Genova («eletto nel Partito dei Comunisti italiani, fu un piccolo boom con un 9 per cento, poi sono passato a SeL»).
A fine mandato, con il decreto Monti arriva lo scioglimento e l’ente provinciale diventa Città metropolitana. Corradi, allora, torna a scuola: «Insegno italiano e storia, mi ero laureato con una tesi in storia dei paesi slavi su come i giornali raccontavano la guerra nei Balcani. È un mestiere che amo profondamente. Mi candidano sindaco alle primarie per il comune di Arenzano, forse avrei vinto, ma scelgo di dire no». La scuola, tanti libri - per un periodo ha fatto anche il libraio - e comunque sempre la politica. «Sono cresciuto alle feste dell’Unità. E poi i miei genitori sono sempre stati militanti. Ho seguito l’esempio. La notte che mi sono sentito adulto è stata quando, con un compagno più grande di me, ho montato la guardia agli stand. Continuava a darmi caffé... Immaginate le mie condizione il mattino dopo. Avevo dieci anni». E ovviamente lo sport: «Giocavo da centravanti. Ad un certo punto mi chiedono “Vuoi fare anche l’ allenatore?“. Certo. E mi trovo in seconda categoria con il Libraccio Arenzano. Promossi. Smetto di giocare e passo al Varazze in Promozione».
E poi quella telefonata. «Partecipavo ad un collegio docenti quando mi chiama Ivan. “Mi fanno allenare il Mantova, vieni a farmi da vice?”. Il tempo di un respiro e rispondo sì». Ivan è Ivan Juric, che da giocatore abitava a Arenzano prima di allenare la Primavera del Genoa: un’amicizia collaudata, parlando di tutto e non solo di sport. «A Mantova conquistiamo la salvezza. Poi l’esperienza con il Crotone in B e la promozione: una cosa miracolosa che ti regala emozioni uniche, vissuta come una sorta di emancipazione sociale». E quindi il Genoa, la panchina da “secondo” e l’esordio titolare a Bologna per l’espulsione di Juric: «E abbiamo vinto...». E, domani, il derby, con Juric in castigo per un turno.
Che rapporto c’è, oggi, tra una squadra eletta alle urne e uno spogliatoio? «Diciamo che c’è unità d’intenti e poi le diversità fanno l’unione: come diceva Marx. Ognuno dà secondo le proprie capacità e prende in base ai bisogni. D’altronde i calciatori, a loro volta, rappresentano la società di oggi: la politica ha perso appeal su di loro. Come in classe o tra la gente. Quando però parli dei problemi concreti, un dialogo lo trovi. Nel Genoa ci sono anche calciatori come Burdisso, di notevole cultura e intelligenza. Ma anche ragazzi come Izzo, che arriva da Scampia. A lui solo il calcio poteva regalargli il percorso che ha fatto. Mostra un’evidente coscienza di classe».
Politica praticata, quindi, tra uno schema di gioco e l’altro: «Penso che anche Ivan mi abbia scelto oltre per le questioni tecniche, per come sono. Se è vera la frase che ha detto Mourinho che chi sa solo di calcio non sa niente di calcio…».
[Modificato da zimbabwe 22/10/2016 18:53]