Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

Il Paradiso della Poesia Solo poesia

Gabriele D'Annunzio

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    00 20/08/2005 13:11
    O falce di luna calante
    O falce di luna calante
    che brilli su l’acque deserte,
    o falce d’argento, qual mèsse di sogni
    ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

    Aneliti brevi di foglie,
    sospiri di fiori dal bosco
    esalano al mare: non canto non grido
    non suono pe ’l vasto silenzio va.

    Oppresso d’amor, di piacere,
    il popol de’ vivi s’addorme...
    O falce calante, qual mèsse di sogni
    ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
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    Boypoe
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    00 20/08/2005 13:13
    La pioggia nel pineto
    Taci. Su le soglie
    del bosco non odo
    parole che dici
    umane; ma odo
    parole più nuove
    che parlano gocciole e foglie
    lontane.
    Ascolta. Piove
    dalle nuvole sparse.
    Piove su le tamerici
    salmastre ed arse,
    piove sui pini
    scagliosi ed irti,
    piove su i mirti
    divini,
    su le ginestre fulgenti
    di fiori accolti,
    su i ginepri folti
    di coccole aulenti,
    piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l'anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    t'illuse, che oggi m'illude,
    o Ermione.

    Odi? La pioggia cade
    su la solitaria
    verdura
    con un crepitio che dura
    e varia nell'aria secondo le fronde
    più rade, men rade.
    Ascolta. Risponde
    al pianto il canto
    delle cicale
    che il pianto australe
    non impaura,
    né il ciel cinerino.
    E il pino
    ha un suono, e il mirto
    altro suono, e il ginepro
    altro ancora, stromenti
    diversi
    sotto innumerevoli dita.
    E immensi
    noi siam nello spirito
    silvestre,
    d'arborea vita viventi;
    e il tuo volto ebro
    è molle di pioggia
    come una foglia,
    e le tue chiome
    auliscono come
    le chiare ginestre,
    o creatura terrestre
    che hai nome
    Ermione.

    Ascolta, Ascolta. L'accordo
    delle aeree cicale
    a poco a poco
    più sordo
    si fa sotto il pianto
    che cresce;
    ma un canto vi si mesce
    più roco
    che di laggiù sale,
    dall'umida ombra remota.
    Più sordo e più fioco
    s'allenta, si spegne.
    Sola una nota
    ancor trema, si spegne,
    risorge, trema, si spegne.
    Non s'ode su tutta la fronda
    crosciare
    l'argentea pioggia
    che monda,
    il croscio che varia
    secondo la fronda
    più folta, men folta.
    Ascolta.
    La figlia dell'aria
    è muta: ma la figlia
    del limo lontana,
    la rana,
    canta nell'ombra più fonda,
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su le tue ciglia,
    Ermione.

    Piove su le tue ciglia nere
    sì che par tu pianga
    ma di piacere; non bianca
    ma quasi fatta virente,
    par da scorza tu esca.
    E tutta la vita è in noi fresca
    aulente,
    il cuor nel petto è come pesca
    intatta,
    tra le palpebre gli occhi
    son come polle tra l'erbe,
    i denti negli alveoli
    son come mandorle acerbe.
    E andiam di fratta in fratta,
    or congiunti or disciolti
    (e il verde vigor rude
    ci allaccia i malleoli
    c'intrica i ginocchi)
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l'anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    m'illuse, che oggi t'illude,
    o Ermione.
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    Boypoe
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    00 20/08/2005 13:17
    Guarda il cielo di settembre,
    nell'aria lontana
    il viso della creatura
    celeste che ha nome
    luna,con una collana
    sotto il mento sì chiara
    che l'oscura,
    pallido s'inclina e muore...
    Ma dice Ermione,
    non lieta ma triste;
    "T'inganni. Quella ch'è si chiara
    è la falce
    dell'Estate, è la falce
    che l'Estate abbandona
    morendo, è la falce
    che falciò le ariste
    e il papavero e il cìano
    quando fiorìano
    per la mia corona
    vincendo in lume il cielo e il sangue;
    ed è la faccia dell'Estate
    quella che langue
    nell'aria lontana, che muore
    nella sua chiaritate
    sopra le acque
    tra il giorno senza fiamme
    e la notte senza ombre,
    dopo che tanto l'amammo,
    dopo che tanto ci piacque;
    e la sua canzone
    di foglie di ali di aure di ombre
    di aromi di silenzii e di acque
    si tace per sempre;
    e la melodia di settembre....
    (Gabriele D'Annunzio, Il Novilunio, 133 - 166, Alcyone)
    - Poesia consigliata da Tiziana Cocolo -
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    Il Verro.
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    Penna di legno
    00 18/11/2006 15:48
    per me il numero uno assoluto,il trasformista,il provocatore,l'eccessivo..che stile!

    Alcyone capolavoro senza limiti veramente..Meriggio la perla secondo me
    _________________________________________
    Senza lei sono perso come il tempo custodito in un suono..

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    Boypoe
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    00 19/11/2006 04:54
    Gabriele D'Annunzio..un grande..eccola..
    Meriggio

    A mezzo il giorno
    sul Mare etrusco
    pallido verdicante
    come il dissepolto
    bronzo dagli ipogei, grava
    la bonaccia. Non bava
    di vento intorno
    alita. Non trema canna
    su la solitaria
    spiaggia aspra di rusco,
    di ginepri arsi. Non suona
    voce, se acolto.
    Riga di vele in panna
    verso Livorno
    biancica. Pel chiaro
    silenzio il Capo Corvo
    l'isola del Faro
    scorgo; e più lontane,
    forme d'aria nell'aria,
    l'isole del tuo sdegno,
    o padre Dante,
    la Capraia e la Gorgona.
    Marmorea corona
    di minaccevoli punte,
    le grandi Alpi Apuane
    regnano il regno amaro,
    dal loro orgoglio assunte.

    La foce è come salso
    stagno. Del marin colore,
    per mezzo alle capanne,
    per entro alle reti
    che pendono dalla croce
    degli staggi, si tace.
    Come il bronzo sepolcrale
    pallida verdica in pace
    quella che sorridea.
    Quasi letèa,
    obliviosa, eguale,
    segno non mostra
    di corrente, non ruga
    d'aura.La fuga
    delle due rive
    si chiude come in un cerchio
    di canne, che circonscrive
    l'oblío silente; e le canne
    non han susurri. Più foschi
    i boschi di San Rossore
    fan di sé cupa chiostra;
    ma i più lontani,
    verso il Gombo, verso il Serchio,
    son quasi azzurri.
    Dormono i Monti Pisani
    coperti da inerti
    cumuli di vapore.

    Bonaccia, calura,
    per ovunque silenzio.
    L'Estate si matura
    sul mio capo come un pomo
    che promesso mi sia,
    che cogliere io debba
    con la mia mano,
    che suggere io debba
    con le mie labbra solo.
    Perduta è ogni traccia
    dell'uomo. Voce non suona,
    se ascolto. Ogni duolo
    umano m'abbandona.
    Non ho più nome.
    E sento che il mio vólto
    s'indora dell'oro
    meridiano,
    e che la mia bionda
    barba riluce
    come la paglia marina;
    sento che il lido rigato
    con sì delicato
    lavoro dell'onda
    e dal vento è come
    il mio palato, è come
    il cavo della mia mano
    ove il tatto s'affina.

    E la mia forza supina
    si stampa nell'arena,
    diffondesi nel mare;
    e il fiume è la mia vena,
    il monte è la mia fronte,
    la selva è la mia pube,
    la nube è il mio sudore.
    E io sono nel fiore
    della stiancia, nella scaglia
    della pina, nella bacca,
    del ginepro: io son nel fuco,
    nella paglia marina,
    in ogni cosa esigua,
    in ogni cosa immane,
    nella sabbia contigua,
    nelle vette lontane.
    Ardo, riluco.
    E non ho più nome.
    E l'alpi e l'isole e i golfi
    e i capi e i fari e i boschi
    e le foci ch'io nomai
    non han più l'usato nome
    che suona in labbra umane.
    Non ho più nome nè sorte
    tra gli uomini; ma il mio nome
    è Meriggio. In tutto io vivo
    tacito come la Morte.

    E la mia vita è divina.