JAIME
Castel Granito era un’immensa costruzione che non passava di certo inosservata, nelle vaste terre dell’Ovest. Difficilmente sarebbe potuto esistere un qualche viaggiatore che si trovasse nelle terre dell’Ovest senza conoscere Castel Granito già di fama.
Il castello apparteneva alla nobile casata Lannister da lungo tempo, e questo fattore si riscontrava nelle grandezze visibili nella città. Tutte le terre di quella zona dei Sette Regni godevano di una certa benestanza grazie alle ricchezze e alla giustizia della nobile casa di Lord Tywin, che non faceva mai mancare nulla a nessuno dei suoi alfieri, e che faceva sempre valere un forte sistema di giustizia, rigido, forse, ma che non si poteva certo definire inefficace.
Tutte le terre dell’Ovest erano benestanti, ma se bisognava indicare la città più in salute di tutte, non si poteva che indicare Castel Granito, che era la sede stessa di Lord Tywin e dei suoi figli, e che mostrava tutto questo potere in modo strabiliante e senza alcuna falsa modestia. Tutti dovevano sapere che la casata più potente dei Sette Regni li albergava, in una città che si sentiva citata anche in numerose canzoni di menestrelli.
Le ricchezze dei Lannister erano addirittura divenute un detto popolare. Molto spesso Jaime aveva sentito dire frasi come
“ricco come un Lannister” divenire proverbiali, e la cosa lo faceva sogghignare.
Le parole ricchezza e magnificenza molto spesso corrispondevano a benessere. Castel Granito non faceva eccezione a quella regola. Molti mercanti avevano trovato dimora nei pressi del castello, come molti fabbri e molti armigeri che volevano lavorare per la casata che dominava quelle terre. Le locande erano sempre piene per un motivo o per un altro; di cavalieri con loro scudieri venuti per arruolarsi nella Guardia cittadina, per partecipare ad un qualche torneo o per mettere la propria spada al servizio dell’esercito Lannister.
Jaime osservava la vita di una città che si addormentava lentamente dalle mura del castello in cui era nato. Il sole, alla sua sinistra, era una palla di fuoco incandescente che calava sempre più rapidamente, e investiva la zona di un forte bagliore arancione. La prima, fresca e leggera brezza della sera gli scompigliò i biondi capelli lunghi, sporchi e intrisi di sudore.
Sentì quella frescura sul volto, e per un istante chiuse gli occhi verdi, lasciandosi trasportare dall’immaginazione e inspirando a pieni polmoni.
Dopo un intero pomeriggio passato nel cortile d’addestramento, un po’ di fresco era quanto ci voleva. La sua armatura, rivestita di lamine dorate, che però apparivano proprio come oro vero agli occhi degli stolti, scintillava sotto gli ultimi raggi di un sole morente.
Jaime Lannister aprì nuovamente gli occhi e guardò in basso, sotto le mura, le vie di Castel Granito. Qualche vicolo era già in ombra, e le prime torce cominciavano ad accendersi qua e la.
Quindi lasciò che il suo sguardo si alzasse, e da quelle piccole costruzioni sotto le mura del castello guardò più lontano, fino a dove i confini di Castel Granito finivano.
Tutto quello, una volta, sarebbe stato suo.
O quanto meno avrebbe potuto esserlo, se da giovane Aerys Targaryen, il re folle, non avesse acconsentito di prenderlo nella Guardia reale, alimentando le sue fantasie giovanili ma togliendogli ogni diritto d’eredità su quel castello che gli sarebbe spettato come diritto di nascita, in qualità di figlio primogenito di Lord Tywin Lannister.
Successivamente si era reso conto che Aerys non lo aveva investito della cappa bianca per suoi effettivi pregi e valori di cavaliere, ma soltanto per avere un ostaggio con cui ricattare e tenere sempre sotto controllo lord Tywin Lannister, suo vecchio Primo Cavaliere.
Se quel pensiero prima feriva Jaime, ora lo faceva sorridere.
Aerys Targaryen era stato senz’altro ben ripagato.
A detta di molti, era il più disonorevole cavaliere che avesse mai indossato il Mantello bianco, dai tempi della fondazione della Guardia reale di Aegon Targaryen il Conquistatore. Ma la sua lama aveva posto fine ad orrori che altrimenti sarebbero potuti andare ancora avanti.
Questo però non sembra importare a nessuno.
La scena della morte di Rickard e Brandon Stark appariva ancora vivida davanti ai suoi occhi. Rivedeva spesso, nei sogni, quelle fiamme danzare, e quei corpi agitarsi. Ma ormai non gli facevano più alcun effetto.
E Aerys Targaryen non veniva certo chiamato
“il re folle” solamente per qualche semplice fatto isolato, Jaime Lannister lo sapeva meglio di molti altri che si azzardavano a sputare sul suo onore... alle sue spalle.
Il sole era ormai tramontato quasi per intero, e i primi brividi di freddo che passarono attraverso la sua armatura dorata lo risvegliarono dai suoi pensieri. Lord Tywin aveva chiesto di parlargli quella sera stessa, gli aveva fatto sapere Maestro Creylen, il guaritore personale della famiglia Lannister, che aveva dato aiutato a far nascere l’intera progenie di Lord Tywin, ma che non aveva potuto fare nulla per salvare sua moglie, Lady Joanna, dal parto. E per questa sua mancanza, Lord Tywin non l’aveva mai perdonato.
Jaime sapeva che non sarebbe stato consono presentarsi al lord suo padre così sporco e sudato, quindi andò rapidamente nei suoi appartamenti, dove, toltosi la splendida armatura, si lavò e rivestì di lino color rosso fuoco e oro, con al centro della maglia un leone rampante, simbolo della sua casata.
Prese una catena di leoni dorati e con essa si legò addosso il suo mantello bianco della Guardia reale.
Jaime era perfettamente a conoscenza del fatto che la sua vista disgustava lord Tywin, ma sentiva anche che in qualche modo per lui significava qualcosa.
Raggiunse gli appartamenti di Lord Tywin poco prima di cena, come suo padre gli aveva chiesto. Il signore di Castel Granito non faceva uso di attendenti. Era perfettamente in grado di gestire da solo i suoi affari, diceva. Non c’era nessuno che potesse introdurlo, per cui Jaime afferrò la pesante catena legata ad una testa d’oro di leone incastonata sulla porta dell’ufficio di lord Tywin, e dopo aver rivolto un cenno d’assenso alle due guardie con i mantelli porpora che a lui facevano la guardia, bussò.
La voce ferma di lord Tywin Lannister lo pregò di venire avanti.
Jaime spalancò la porta ed entrò.
Trovò Lord Tywin come sempre seduto alla sua scrivania, intento a consultare delle carte, quasi certamente resoconti delle miniere della Zanna Dorata, che di recente erano state particolarmente soddisfacenti per le casse di Castel Granito.
Jaime rimase sulla porta, dopo averla richiusa alle sue spalle, osservando suo padre. Una torcia illuminava tutta la scrivania, lasciando in penombra il resto della stanza.
Il signore di Castel Granito appariva elegantemente vestito, pronto per la cena che sarebbe stata servita di li a breve. Con una mano si massaggiava la guancia sinistra, sotto le sue volte basette, mentre con l’altra seguiva degli schemi riportati sul resoconto cartaceo.
Solo dopo qualche secondo parve accorgersi che c’era un’altra persona nella stanza, e alzò lo sguardo.
Gli occhi verdi che parevano addirittura venati d’oro di Lord Tywin facevano un certo effetto su tutti, persino su Jaime. E la luce della torcia accesa dava a quegli occhi un aspetto ancora più mistico e impressionante.
“Jaime.” lo salutò Lord Tywin.
“Padre.” rispose cordialmente Jaime, con tono tranquillo.
Lord Tywin cessò di guardare le sue carte, e con un gesto della mano lo accomodò a sedersi su di uno scranno di fronte alla sua scrivania. Jaime ringraziò ancora, e si mise a sedere.
”Vedo che indossi il mantello bianco della Guardia reale.” non mancò di osservare suo padre, come Jaime aveva immaginato.
“Vedi bene.” si limitò a rispondere.
Ma la mia armatura rimane dorata. “A quella appartengo, e pertanto devo indossarlo, che io mi trovi nella mia stessa casa o ad Approdo del Re, sotto il Trono di Spade.”
Lord Tywin sospirò. “Suppongo che non ci sia nulla da fare, con te, per questa faccenda.” il tono della sua voce era freddo e distante, ma Jaime sapeva che quella questione bruciava ancora nelle vene del signore di Castel Granito.
Senza di lui, in linea di successione l’eredità spettava a suo fratello Tyrion, che però era affetto da gravi deformazioni fisiche che gli avevano portato il soprannome di
“Folletto”, e non era ben visto dallo stesso Lord Tywin, che sembrava attribuirgli qualche insensata colpa sulla tragica morte di sua moglie e madre di Jaime, lady Joanna.
Jaime Lannister gli rivolse un sorriso. “Non per ora.” rispose.
Lord Tywin abbassò lo sguardo per dare un’altra occhiata alle sue carte. Quindi, senza alzare di nuovo gli occhi, esordì: “Dovremo preparare i nostri bagagli.”
Il tono della voce di lord Tywin era incolore, ma Jaime aveva imparato a capire quando suo padre era realmente indifferente e quando non lo era.
Cosa è successo?
”I nostri bagagli?” chiese.
Lord Tywin mandò un suono gutturale. “Sì, i nostri bagagli. So che sei tornato a Castel Granito da poco, Jaime, ma stiamo tornando ad Approdo del Re. Ci sono state alcune complicazioni, e il re desidera la nostra presenza accanto a lui.” spiegò.
Se Robert Baratheon richiama lord Tywin Lannister ad Approdo del Re, significa che è successo qualcosa di grave.
Una volta, Robert Baratheon era stato un guerriero incredibilmente forte. Jaime non aveva potuto ignorare le straordinarie gesta che il lord ribelle di Capo Tempesta aveva compiuto contro Aerys Targaryen.
Certo, è molto più difficile ammirare chi è oggetto di sghignazzate da taverna. Robert Baratheon era diventato re, e ora il suo antico coraggio era paragonabile solo alla flaccidità della sua pancia, non indifferente.
Il re, con gli anni, si era decisamente rammollito, abbandonatosi agli agi delle ricchezze e ai piaceri che non potevano essergli negati in quanto maestà. I muscoli che una volta ricoprivano il suo corpo avevano ceduto il passo a larghi strati di grasso, ma una mente di guerriero non può svanire nel nulla, solo assopirsi. Il re aveva dato ancora prova di grande forza durante la ribellione di Balon Greyjoy, ma ancora altri anni erano passati, e lui era andato sempre peggiorando.
Aveva molti servitori pronti a soddisfarlo, ma se era Tywin Lannister che voleva, allora era una fredda astuzia che nessun altro nei Sette Regni possedeva, a doverlo soddisfare.
Jaime Lannister si massaggiò il mento con la mano destra, sporgendosi in avanti sulla sedia. “E per quale genere di complicazioni il re richiamerebbe lord Tywin ad Approdo del Re?”
Ci volle del tempo perché lord Tywin rispondesse. Cosa che a Jaime non sfuggì. Gli occhi verdi con venature dorate di suo padre rimasero immobili a fissarlo. La luce delle candele che illuminavano la stanza diedero l’illusione che fosse altofuoco a bruciare negli occhi del signore di Castel Granito.
Quindi, parlò. “Gravi incidenti si sono verificati nel nord. La notizia è molto recente, e stiamo cercando di tenerla il più segreto possibile. Ma non ci illudiamo, qualcosa di questo livello non può essere nascosto a lungo.”
Con la mano destra, Jaime smise di massaggiarsi il mento. Quei discorsi preliminari non gli piacevano affatto. Cercò la sua spada, in un fodero al suo fianco sinistro, ma non la trovò. Se c’era qualcosa che gli dava sicurezza, quella era avere una spada al fianco.
Lord Tywin non appariva spaventato. Non lo era mai. Ma era chiaro che quello che si portava dentro era un grande fardello.
”Jaime, il Popolo Libero ha attaccato la Barriera.” disse, non distogliendo lo sguardo dai suoi occhi. E per un attimo, il mondo attorno a Jaime parve ruotare. “Bestie. Giganti. Mammuth,” proseguì suo padre, “in abbondanza. E non si tratta di leggende. Sono migliaia. Il Castello Nero è sotto attacco e non reggerà ancora a lungo.”
La notizia aveva colto Jaime assolutamente impreparato. I Bruti... il Popolo Libero, erano sempre stati solo oggetti di storie per bambini, e anche quando erano stati una minaccia, si erano sempre abbattuti sulla Barriera. Anche nei rari casi in cui potevano aver superato la Barriera, gli Stark di Grande Inverno li avevano sempre respinti. E ora era addirittura il re e protettore dei Sette Regni a richiamare il più abile stratega del reame per rispondere a questa offensiva.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non uscì nessun suono.
Quel breve momento di sorpresa fu sostituito dall’eccitazione. “Immagino serva qualcuno che li respinga, dunque.” disse. Ricambiò lo sguardo di lord Tywin con determinazione. Sarebbe andato lui stesso a fronteggiare l’invasione, e subito. Si sentiva veramente vivo solo in battaglia. In battaglia, e con Cersei.
Ma sapeva che se i Bruti stavano addirittura superando la Barriera, non era una forza qualunque che dovevano possedere. Suo padre aveva parlato di bestie, giganti e mammuth. Bisognava pianificare attentamente la situazione.
Lord Tywin abbassò lo sguardo sulle carte della Zanna Dorata. “Mance Rayder, così si chiama questo re oltre la Barriera. Barriera che però ora vorrebbe superare.”
Jaime non aveva mai visto la Barriera, ma si era sempre immaginato l’ultimo confine del mondo come una muraglia enorme, gelida, crudele e impenetrabile.
“Re Robert desidera avere attorno a sè tutti gli esponenti delle più grandi casate del Regno. Immagino voglia allestire un nuovo Concilio Ristretto.” proseguì lord Tywin. “Noi non mancheremo all’appello. Tu verrai con me, non solo in quanto membro della Guardia reale, ma quale possibile comandante delle forze Lannister in questa guerra che verrà. Sono stato chiaro, Jaime?”
Lui annuì. “Limpido.” disse, ma il sorriso era svanito dal suo volto.
E fu il silenzio tra i due. Si udiva solo lo sfogliare di altre carte che il signore di Castel Granito esaminava davanti a sè e lo sfrigolìo di candele che bruciavano.
Dopo del tempo in cui Jaime aveva pensato molto, Tywin Lannister aveva parlato ancora. “Desidero anche parlare con Sua Maestà e Lord Baelish per quanto riguarda le faccende economiche del regno. E spero di potermi intrattenere anche con qualche altro Lord.”
Non perdi un’occasione, caro padre.
“Con noi, verrà anche tua sorella Cersei.” aggiunse lord Tywin.
Dopo la notizia dei Bruti, Jaime credeva di aver avuto abbastanza sorprese, per quella sera. Ma quelle parole lo colpirono molto profondamente. Aveva imparato a rimanere impassibile quando suo padre nominava sua sorella, ma ogni volta che lo faceva, aveva sempre il timore che potesse aver scoperto qualcosa su loro due. “Cersei? Ad Approdo del Re?” chiese. “Per quale motivo?” Resistette all’impulso di deglutire, un impulso che fu difficile sopprimere.
Quella non era una buona notizia.
“Ormai è il momento che trovi marito. Avevo intenzione di portarla con me ad Approdo del Re alla prossima visita comunque, ma questa riunione di grandi signori è un’occasione più buona di qualunque altra. Sono sicuro che più di un lord la noterà, e confido che lei sarà particolarmente attraente.” Decisamente, lord Tywin Lannister non perdeva un colpo.
Abile, padre, molto abile. Le guerre si rivelavano sempre utili per scopi matrimoniali.
“Lascia che sia io a dirglielo.” ci volle qualche secondo a Jaime per capire che era stato lui stesso a parlare.
“Precisamente.” precisò Lord Tywin. “Voglio risparmiarmi tutte le lagne che potrebbe fare Cersei, e lascio a te il compito di gestire la tua gemella.”
Jaime Lannister riuscì ad esibire un mezzo sorriso. In effetti, a lui piaceva gestire sua sorella.
Poi un’altra idea affiorò nella mente di Jaime. Tossì, come per schiarirsi la voce.
Suo padre alzò lo sguardo dalle carte. “Sì?” chiese, avendo intuito che Jaime richiedeva la sua attenzione.
“Mi stavo chiedendo,” esordì Jaime, “visto che partiamo noi tre, non potrebbe venire con noi anche Tyrion?”
Tyrion non c’entrava assolutamente nulla con quel Concilio di Guerra che si sarebbe tenuto, né era maritabile, ma Jaime soffriva nel vederlo sempre chiuso a Castel Granito.
Il silenzio che calò nell’ufficio non era nulla di insolito. Durò qualche secondo, prima di essere spezzato dalla voce apparentemente sempre fredda e distaccata di Lord Tywin.
“Tuo fratello.” altra pausa, senz’altro voluta. “Tyrion.”
Quando erano da soli, Ser Jaime e lord Tywin avevano sempre i loro argomenti di cui non parlare. Tyrion rientrava fra questi. Jaime voleva bene al suo fratello deforme, mentre Lord Tywin non poteva soffrirlo.
Jaime non volle lasciare altri buchi nella conversazione.
“Proprio lui. So per certo che si annoia a rimanere sempre qui, chiuso a Castel Granito. Non si è mai neanche allontanato dai nostri confini, di recente. Mi farebbe piacere se tu gli permettessi di venire con noi ad Approdo del Re. Sono certo che troverebbe molte persone con cui parlare, molte cose di cui divertirsi, molte...”
“Molte puttane con cui giocare.” lo interruppe Lord Tywin, gelido. Quello era solo uno dei numerosi aspetti che non sopportava di Tyrion.
Jaime si trovò a deglutire. A questo punto, se fosse stato Tyrion, avrebbe senza ombra di dubbio trovato qualcosa di arguto da dire, che avrebbe convinto suo padre.
Ma Jaime non era Tyrion. Per lui era più facile tagliare un nodo, invece che scioglierlo. Si scostò alcuni riccioli biondi dalla fronte. Quindi riprese: “A ventitre anni dovrebbe poter essere padrone della sua vita.”
Avanti, padre, fai solo uno sforzo...
Lord Tywin sospirò. “Fai ciò che ritieni più opportuno, Jaime.” disse solo. Per il primogenito Lannister, quelle parole furono una grande vittoria. “Ma non voglio sapere nulla di ciò che fa, a meno che non sia strettamente necessario.”
Quella era veramente una grande notizia. Jaime sentì una piacevole sensazione attraversargli il corpo. “Sarà così, padre. Ti assicuro che non avrai di che pentirti della scelta.” si umettò le labbra, mentre si alzava in piedi. “Chissà, forse Tyrion ti stupirà.” osò aggiungere.
Lord Tywin mosse la mano, facendo capire a Jaime che poteva andarsene. “A meno che non sappia covare un uovo di drago per sterminare i bruti, non credo possa stupirmi. A presto, Jaime.” lo congedò.
Jaime si inchinò rapidamente, ricambiò il saluto, quindi uscì.
Dopo essersi liquidato da Lord Tywin, Jaime Lannister si recò nella Sala Grande per cenare. La cena fu elegante e raffinata come sempre, tuttavia nessuno dei suoi due fratelli, né Cersei, né Tyrion, si presentò, con disappunto di Lord Tywin, che era seduto alla sinistra di Jaime. Nessun altro trovò comunque sconveniente la cosa, e la cena proseguì tranquillamente per il resto della serata.
Quando il banchetto fu terminato, Jaime pensò di andare immediatamente da Cersei per comunicarle le notizie. I suoi appartamenti erano i più vicini alla Sala Grande, e dopo averle fatto visita sarebbe andato da Tyrion, a riferirgli la per lui gradita sorpresa che sarebbe potuto venire con loro ad Approdo del Re. In effetti Jaime non sapeva se Cersei si sarebbe lagnata come e quanto aveva detto il lord suo padre, ma di certo non sarebbe stata contenta.
Entrò negli appartamenti di Cersei anche qui semplicemente salutando le guardie, che però ricambiarono con uno sguardo quasi esasperato, e sul momento Jaime non prestò troppa attenzione a quel particolare. Superò quei corridoi che lo separavano dalla stanza della sorella, ma fu sorpreso di non trovare neppure un’altra guardia, da quelle parti. E quando si trovò davanti alle porte della sua stanza, gli venne in mente che forse Cersei poteva essere altrove, in quanto non si era presentata alla cena per chissà quale motivo.
Invece bussò, e dopo poco, sua sorella in persona gli aprì la porta.
Jaime si stupì di vederla con il viso arrossato.
Entrò nella stanza, e la salutò.
“Cersei, ma cosa...” cominciò a chiedere.
Cersei gli voltò le spalle.
Era vestita di un magnifico corsetto rosso scuro, che s’intonava con le sue labbra e faceva risaltare i suoi splendidi capelli dorati e i suoi occhi verde smeraldo.
“Jaime... come faremo adesso?” disse solo lei, con quella voce alta che amava, di cui faceva uso solo in due situazioni. Quando era furiosa e quando si trovava da sola con lui.
Evidentemente aveva già avuto modo di sapere del momentaneo trasferimento.
Cersei era maledettamente scaltra, molto più di lui. Aveva imparato a vivere a Castel Granito, di intrighi e inganni.
Jaime provò a rivolgerle il sorriso più rassicurante che potesse fare. “Non dobbiamo preoccuparci troppo. Stiamo andando ad Approdo del Re solo per poco tempo, poi tornerai a Castel Granito...”
“E’ proprio questo che mi fa infuriare, Jaime!” sbottò a interromperlo Cersei. “Eri appena tornato. Potevamo passare finalmente del tempo insieme. E ora... mio padre vuole trovarmi un marito.” si coprì le mani con il volto. “Un marito!”
Cersei si girò verso di lui, il volto paonazzo. Era ancora più bella, quando si arrabbiava.
Ora Jaime capì il perché degli sguardi esasperati delle guardie fuori dai suoi appartamenti, e perché tutte le sue guardie erano state allontanate. Cersei Lannister non era decisamente di buon umore. Sembrava che trovare un marito fosse per lei una minaccia ben più terribile dei Bruti, però.
Jaime sospirò. “Purtroppo è qualcosa che prima o poi sarebbe dovuto accadere, e lo sapevamo, Cersei.” disse. “Sono dispiaciuto anch’io, ma...”
“Dispiaciuto?” lo interruppe ancora. “E’ un disastro! E’...”
Jaime la afferrò per l’anca con la mano destra, la tirò a sé e la baciò.
Dopo aver opposto una piccola resistenza, Cersei si lasciò andare al bacio. Jaime assaggiò con gusto quelle labbra morbide e carnose. Sentì i morbidi seni di lei sul suo petto. Portò la mano sinistra alla nuca di lei. Le carezzò i morbidi capelli e continuò ancora a baciarla. Lei gli cinse il collo con le braccia, lasciandosi trasportare.
Quindi finalmente si separarono.
Cersei si leccò le labbra. “Speravo che l’avresti fatto.” disse, compiaciuta.
Jaime sorrise. “Nulla ci separerà, Cersei.” stavolta il suo tono suonava molto più deciso. “E quando verrà il momento... ci penseremo. Non serve rovinarci gli ultimi momenti insieme.”
Sua sorella sembrò essersi calmata. Fece cenno di sì con la testa, quindi tornò ad abbracciare Jaime e a baciargli il collo. “Direi di passare insieme quanto più tempo possiamo. Stanotte, per esempio.” sussurrò al suo orecchio.
Cara, dolce sorella. “Aspetta, Cersei,” disse Jaime, per quanto tentato. “Devo andare a dire una cosa a Tyrion, prima. Poi sarò di ritorno.”
Cersei strinse le labbra. Neanche lei provava molto affetto per il loro fratello minore. Quindi, con una mano prese quella di Jaime che le cingeva l’anca e se la portò ad un seno. “Io non posso aspettare.” sussurrò solo.
Del resto, Tyrion avrebbe anche potuto saperlo la mattina seguente, si trovò a pensare Jaime, mentre i due si lasciavano cadere sul letto.
Quando Jaime Lannister si risvegliò, felice, soddisfatto e riposato, Cersei ancora dormiva, accanto a lui, avvolta nelle morbide coperte, bellissima. Ora potè ringraziare quel suo gesto di aver allontanato le guardie.
Cercò di rivestirsi più silenziosamente che potè, ma nel farlo Cersei mugolò qualcosa e si svegliò. Vide Jaime davanti al letto, con i suoi occhi meravigliosi ancora socchiusi.
Jaime la raggiunse, le posò un leggero bacio sulle labbra, quindi la salutò, e uscì.
Si chiese che ora potesse essere. Voleva assolutamente trovare Tyrion, anche prima di colazione. Si sentiva in colpa per non averlo cercato la sera prima, ma Cersei sapeva essere molto perentoria, quando voleva.
Avrebbe potuto fare colazione anche più tardi, si disse, mentre il suo stomaco gorgogliava. Non aveva idea di dove suo fratello potesse essere. Tyrion, essendo spesso costretto a rimanere a Castel Granito, cercava di ammazzare la noia vagando per i posti più strani.
Quella mattina, però, Jaime fu fortunato.
Lo trovò nella Sala Grande che giocava ad uno strano gioco da tavolo con lord Andros Brax. I due fissavano la stessa tavola da gioco, ma con espressioni molto diverse.
Lord Brax, un leale ma poco sagace alleato di Lord Tywin, con una mano si massaggiava freneticamente il mento, e con l’altra passava in rassegna i pezzi che ancora gli rimanevano sulla scacchiera.
Tyrion invece sembrava quasi insonnolito, nel guardare tutti i pezzi, appoggiato con i gomiti al tavolo e reggendosi la sproporzionata testa con entrambe le mani sotto il mento.
Cyvasse, gli sembrava che si chiamasse quel gioco. Era un passatempo Dorniano, recentemente divenuto popolare anche nel resto dei Sette Regni, ma Tyrion ne era giocatore già da prima che questa moda dilagasse.
Jaime raggiunse i due contendenti. Tyrion lo salutò allegramente, come risvegliandosi da un certo torpore, ma lord Andros non sembrò neppure notarlo, tanto era concentrato sui suoi pezzi. Tyrion lo capì, e rise.
“Lord Andros.” lo apostrofò.
“Non ora, mio lord, penso di aver capito...”
“Lord Andros, forse già conosci il mio nobile fratello, Jaime?” lo richiamò ancora, ridendo.
Lord Andros Brax inizialmente parve non capire, quindi si guardò attorno, vide Jaime, e balzò in piedi. “Ah! Chiedo venia, ser Jaime. Questo gioco è davvero appassionante.” disse, diventando paonazzo in volto, indicando la tastiera del Cyvasse. “Temo di non esservi molto portato, però...” ebbe comunque l’onestà di ammettere.
Tyrion era rimasto seduto. “Se tutti gli uomini fossero così bravi a comprendere la realtà, vivremmo senz’altro in un mondo migliore, lord Andros.” disse, annuendo con fare convinto col capo. Jaime sorrise. Il volto di lord Brax si arrossò ancora di più.
“A ogni modo,” disse l’alfiere, “ero venuto qui a cercare vostro padre. Credo sia il caso che io vada a parlargli e vi lasci soli.”
“Naturalmente, lord Andros. Nessuno di noi vuole far attendere il nostro ricco padre.” rispose Tyrion, e lo congedò, canticchiando un ritornello che non era cantato sempre con leggerezza a Castel Granito, quello della nota canzone dei menestrelli Le Piogge di Castamere. Lord Andros non ebbe troppa premura di allontanarsi un po’ più dignitosamente, e lasciò il campo di gioco in una alquanto disonorevole fase di sconfitta totale.
I due fratelli Lannister rimasero a guardarlo andare via, e quando fu ormai lontano, scoppiarono a ridere, contemporaneamente.
“Ah, Jaime, Jaime!” esclamò Tyrion, dandogli una pacca sulla schiena robusta. “Come stai, vecchio Sterminatore di re?”
Jaime si sedette accanto a lui. “Non me la passo male, Folletto. E tu come stai? Dov’eri invece che alla cena, ieri?” chiese.
L’espressione di Tyrion si rabbuiò. “Ho paura di doverti dire qualcosa che non piacerà al lord nostro padre.”
Jaime, conoscendo fin troppo bene suo fratello, non lasciò che il sorriso svanisse dal suo volto. “Sentiamo.”
Tyrion abbassò lo sguardo. “Ecco... diciamo che mi trovavo in una taverna dove si giocava d’azzardo, e mi sono fatto prendere un po’ la mano...”
“Capisco.” disse Jaime. “Con i soldi delle casse di Castel Granito, per caso?”
Tyrion apparve scandalizzato. “Mi credi capace di una tale azione, fratello?” quindi dopo un momento in cui ebbe osservato il volto divertito di Jaime, esclamò: “Sono molto deluso! Non credevo di essere così prevedibile.”
E poi scoppiarono ancora a ridere contemporaneamente, entrambi.
Accanto al Cyvasse, sul tavolo, c’era una bottiglia di vino rosso di Dorne. Tyrion la afferrò e si riempì un boccale. “Ne gradisci un po’, Jaime?” chiese, fra le risa.
Jaime fece segno di no con le mani. “Devo ancora fare colazione, grazie.”
”A cosa devo questa tua visita?” chiese allora Tyrion, mandando giù un sorso non da poco, gli occhi di colore diverso su di lui. Tyrion Lannister aveva un occhio verde tipico dei Lannister, ma l’altro era invece nero e scuro come la notte. E quel suo strano sguardo metteva in imbarazzo più di qualcuno.
Jaime non dovette sforzarsi per tornare serio. “Immagino avrai saputo di quanto sta accadendo al nord.” a queste parole, l’espressione di Tyrion arrivò a rabbuiarsi, e stavolta non scherzosamente.
“Sì, si è sparsa la voce.” confermò il Folletto. Anche Tyrion doveva avere i suoi informatori, Jaime ne era convinto.
“Re Robert ha convocato un Concilio. Io devo tornare ad Approdo del Re.” aggiunse Jaime.
Il volto già sconsolato di Tyrion parve diventare ancora più triste. “Eri appena arrivato, e già riparti.” mandò giù un altro sorso di rosso di Dorne. “Cosa ci troverai, in quella città puzzolente e nella panza del nostro reale sovrano.” borbottò.
Jaime rise, e Tyrion abbozzò un sorriso.
Tyrion Lannister aveva tante defezioni. Era piccolo, era brutto e deforme, non era stabile sulle sue gambette storte, era malvoluto da suo padre e da sua sorella, ma aveva una grande intelligenza. Una grande intelligenza che Jaime sapeva non avrebbe mai avuto. E soprattutto, aveva qualcosa che nessun altro aveva. Aveva la possibilità di insultare lo Sterminatore di re senza dover avere il timore di subirne chissà quali conseguenze.
“E dire che il bianco neanche mi dona.” commentò Jaime. “Ma non è tutto.”
“No, infatti.” disse Tyrion, stiracchiandosi, allungando le sue braccia un po’ troppo grosse e le sue gambette deformi. “Verranno con te anche nostro padre e nostra sorella. Così avrò tutto Castel Granito per me.”
Jaime incrociò le braccia. “Per farne cosa, mi chiedo? Credevo tu avessi più fiducia nella tua famiglia.”
Tyrion parve non capire, e aprendo e chiudendo i suoi due occhi di colore diverso, uno verde e uno nero, chiese: “Fiducia?”
Lo Sterminatore di re assunse quell’aria feroce che di solito usava nel cortile degli addestramenti. “Naturalmente.” frustò. “Ma se non vuoi venire ad Approdo del Re con noi, nonostante abbia già convinto nostro padre, fai pure...”
”Come, come?” lo interruppe Tyrion, incredulo. “Tu hai fatto cosa?”
Alla sua espressione, Jaime provò ancora l’impulso di ridere.
“Jaime, tu non sei uno Sterminatore di re, sei un mago. O uno stregone. Dì, ti ha insegnato qualcuno di Asshai delle Ombre o...” cominciò Tyrion.
“Nessun sortilegio.” disse Jaime. “Solo quelle parole di cui tu stesso vai tanto fiero.”
Tyrion Lannister era l’immagine riflessa della contentezza. Si mise a saltellare sulla panca. “Questa... è una splendida notizia, Jaime. Non so come ringraziarti.” ci pensò su. “Forse con una partita a Cyvasse?” disse poi, indicando il tavolo da gioco che lord Andros Brax aveva appena abbandonato.
Jaime osservò la scacchiera, poi Tyrion, quindi ancora la scacchiera.
“Penso di essere di gran lunga più portato a farmi sbattere questo mio culo dorato nella polvere da altri nobili cavalieri ai tornei, piuttosto che cercare di batterti in questo gioco.”
Tyrion sorrise.
Jaime si sedette sulla panca opposta al fratello minore, dove prima si trovava lord Andros. “Va bene, ma dovrai rispiegarmi le regole...”
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Gerion Lannister, di Castel Granito.