The Iron Throne Il Forum per gli appassionati della mitica saga, "Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", di George R. R. Martin

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    AXL BARATHEON
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    Signore della Guerra
    Lord Primo Cavaliere del Re
    00 27/02/2007 17:54
    PROLOGO

    Un bussare alla porta lo risvegliò da un sonno turbolento, privo di sogni ma allo stesso tempo uno sonno che gli lasciava molta inquietudine e, sì, molta paura. Un’inspiegabile paura. A stento riuscì a rispondere ai timidi colpi di poco prima, permettendo al misterioso disturbatore di poter entrare.
    “Mio lord, signore, mi duole svegliarla ma è stato lei a dirlo. L’abbiamo avvistata…la Torre. Tra poche ore sbarcheremo”. Un ragazzo dall’aria di uno scoiattolo bagnato era entrato nella sua cabina. Un ragazzo più timido della bussata che l’aveva svegliato.
    “Ah Rick, ragazzo mio. Quante volte devo ripeterti che non sono né un lord né un signore. Sono solo un vecchio e stanco Maestro della Cittadella. E’ così devi chiamarmi. Maestro! Capito?”
    “Sì Maestro, chiedo venia Maestro. Non era mia intenzione Maestro”.
    “Beh…almeno pare che il concetto sia stato afferrato.”
    Maestro Zed si alzò con fatica dal letto. La pesante catena di minerali diversi tintinnava al collo. Una rapida lavata di faccia dalla tinozza accanto al suo scomodo giaciglio, in un’altrettanto scomoda e angusta cabina di una nave che per settimane aveva vagato per il mare occidentale, ora in preda alle tempeste, ora in preda alla bonaccia. Ma ora il viaggio era terminato. Se come aveva detto Rick era davvero stata avvistata la Torre del Boato, sarebbe giunto alla sua meta finalmente. O meglio…alla prima tappa di una meta ancora lontana.
    “Nessuno è mai riuscito a trovare la Torre delle Acque Grigie, Arcimaestro Walgrawe. Perché mai dovrei riuscirci proprio io? La Torre dei Reed dicono che si muova tra le paludi”.
    “Perché sei stato tu Zed a sognarla. Se la Torre si muove come dicono ti verrà incontro. Partirai domani all’alba. La Spugna del Mare salpa a quell’ora per Seagard”
    Era inutile discutere con l’Arcimaestro Walgrawe quando si metteva in testa una cosa. Soprattutto nei momenti di lucidità e ancor peggio dopo le sue crisi isteriche.
    Alcuni mesi prima della sua partenza erano stati inviati centinaia di corvi bianchi. Il consiglio degli Arcimaestri era sicurissimo. Il Siniscalco Theobald ancora di più. L’autunno era ormai alle porte, e dopo l’autunno l’inverno. E siccome l’estate era durata più di venti anni, questo inverno sarebbe stato sicuramente più lungo. E più rigido. Tutti i corvi erano tornati indietro, con le risposte dei rispettivi Maestri a cui erano destinati. Da Dorne, dall’Altopiano, dalla Valle di Arryn, perfino dalle Isole di Ferro e dal remoto Castello Nero era giunta risposta. Da tutti gli angoli dei Sette Regni, da ogni castello possibile. Tutti tranne uno.
    “La Torre delle Acque Grigie si sposta. Impossibile anche per un corvo trovarla” questo fu il commento di Theobald. E la questione fu accantonata. Almeno inizialmente.
    Mentre pensava a queste cose Maestro Zed e il suo giovane apprendista erano giunti sul ponte della nave. Ad attenderli il capitano Yikild, un uomo tanto robusto quanto antipatico e ubriacone, e un paio dei suoi uomini.
    ”Ce l’abbiamo fatta vecchio hai visto?” esordì “E tu che non ci speravi più ahahah. Quella di fronte è Seagard. Ti consiglio di prepararti. Tra un paio d’ore al massimo saremo al porto”.
    La Torre del Boato si stagliava alta e minacciosa sull’orizzonte. Non era alta quanto quella degli Hightower a Vecchia Città, ma sicuramente era più sinistra e imponente.
    “Maestro, perché la chiamano in quel modo?” chiese Rick.
    “La Torre del Boato è stata costruita per vigilare sulla costa. Se la sua enorme campana fa sentire il suo urlo vuol dire che i pirati delle Isole di Ferro stanno per attaccare. Fortunatamente ha dato l’allarme solo una volta in tanti anni. O sfortunatamente, dipende dai punti di vista”.
    Più o meno dieci anni fa la Torre fece sentire la sua possente voce all’alba di un giorno d’estate per avvisare gli abitanti di Seagard e i lord di Mallister dell’attacco degli Uomini di Ferro. Fu una battaglia dura e cruenta, senza vincitori né vinti. Certo i Mallister e i loro uomini avevano respinto l’attacco, ma a carissimo prezzo. Di certo non allo stesso prezzo pagato dai Greyjoy, però. In duello contro lord Jason Mallister in persona era caduto il primo figlio ed erede di Lord Balon. La ribellione delle Isole di Ferro si concluse tanto rapidamente come era iniziata. Da allora Balon Greyjoy aveva sì ottenuto il perdono di Re Robert Baratheon, ma si diceva rimuginasse ancora i torti subiti e ricordasse ancora i figli perduti. Anche il secondogenito perì, nel crollo delle mura di Pyke durante l’assalto delle truppe congiunte Baratheon, Stark e Lannister. Mentre il terzogenito, un bambino di circa dieci anni, era stato condotto a Grande Inverno da lord Stark. Come protetto, era la versione ufficiale. Come ostaggio a garanzia della buona condotta di Lord Balon era la cruda verità.
    L’arrivo al porto fu più lento del previsto. Tra l’approdo, lo sbarco, il cercare un paio di muli che conducessero Maestro Zeb e il suo apprendista al castello dei Mallister era passato oltre mezzogiorno.
    Impiegarono un'altra oretta per arrivare a destinazione. Furono accolti bene, per quanto in maniera fredda. Lord Jason non c’era, impegnato in una battuta di caccia. Suo figlio Patrek si scusò personalmente.
    “E’ vero nobile Maestro. La vostra visita ci era stata annunciata. Ma è passato oltre un mese dall’arrivo del corvo messaggero. Mio padre aveva impegni inderogabili per questi giorni. Niente di meno che una battuta di caccia al cinghiale con lord Blackwood e lord Bracken presenti entrambi. Ahahah scommetto che mio padre tornerà con le pelli di quei due vecchi scimuniti anziché col cinghiale, tanto si sarà stufato dei loro continui battibecchi. Dipendesse da me avrei già concluso questa situazione con le armi. Ma lord Hoster Tully non ne vuole sapere, figuriamoci mio padre. Ma la sto intrattenendo troppo. Sarà stanco e vorrà riposarsi. Vi faccio subito scortare ai vostri alloggi. Stasera spero che lei e il suo giovane apprendista mi facciate onore di essere ospiti alla mia tavola”.
    “La ringrazio mio lord. L’onore è solo nostro”.
    Nella cella sia Maestro Zed che Rick poterono rinfrescarsi, mangiare un po’ di pane, noci, olive, datteri e alcuni grappoli d’uva. Il tutto accompagnato da una piccola brocca di vino. Nel tempo che li separava dalla cena col giovane Mallister poterono anche dormire un po’.
    La cena fu abbastanza buona per quanto non lo fosse la compagnia.
    Oltre al giovane Patrek, a Maestro Zeb e Rick, erano presenti anche un giovane scudiero, probabilmente di Patrek, un anziano Maestro, e un paio di ragazze. Prostitute. Erano sedute alla destra e alla sinistra di Patrek che occupava il posto a capotavola che era del padre. Per fortuna di Zeb il giovane gaudente prestava attenzione più alle sue gentili accompagnatrici che a lui. Solo per la durata della cena però. Verso la fine fu per forza di cose affrontato il problema che aveva portato lui e Rick fino a Seagard.
    “Mi servono quattro muli, provviste, cibo e acqua, e una scorta armata per condurre me e il mio apprendista alla Torre delle Acque Grigie” esordì Zeb.
    Patrek Mallister a quelle parole sputò tutta la sua coppa di vino sulla tavola, e ce ne vollero quasi altre due più l’intervento del suo vecchio maestro per riprenderlo dagli accessi di tosse che lo avevano colpito.
    “Mi state prendendo in giro vecchio?” disse una volta rimessosi a sedere.
    “Sono serissimo mio lord” rispose Zeb.
    “Ma è una pazzia, l’Acque Grigie è lontana da qui, nessuno saprebbe trovarla qui a Seagard. Perché non siete andato a Porto Bianco o alle Dita di Flint?”
    “Le ricordo mio lord che Porto Bianco è sulla costa Est, ci sarebbero voluti mesi per arrivarci. Inoltre nessuna nave da Vecchia Città faceva scali più a Nord di Seagard data la stagione. La scelta era obbligata mi spiace”.
    “Ma è assurdo- proseguì Patrek – anche volendo io non posso prendermi simili responsabilità in assenza di mio padre. Perché non avete spiegato nel messaggio inviato via corvo il motivo della vostra missione?”.
    “La missione era di importanza vitale, ha decretato il Consiglio degli Arcimaestri. E non sempre i corvi arrivano a destinazione o nelle mani giuste”.
    “Mio lord – intervenne il vecchio Maestro di Seagard – forse dovemmo aiutare Maestro Zeb. E’ pur sempre un inviato del Consiglio degli Arcimaestri della Cittadella. Avranno i loro motivi per cercare di raggiungere la Torre dei Reed”.
    “Sentiamoli allora” ordinò Mallister “altrimenti il mio aiuto se lo possono scordare”.
    “Come volete mio lord”. Zeb non provò nemmeno a protestare e iniziò, se pur a malavoglia il suo racconto.
    Nonostante di tutti i corvi inviati dalla Cittadella a non fare ritorno era stato proprio quello dei Reed la questione era stata dimenticata per un po’. Fino a quando una notte proprio Maestro Zeb fece uno stranissimo sogno.
    “Mi trovavo in una palude, immerso nel fango fino alle ginocchia, perso nel buio più nero della notte e quasi vinto dal freddo, quando scorgo dalla cima di un colle un bagliore”. Il racconto che Zeb stava facendo a Patrek Mallister era lo stesso che aveva fatto a Walgrawe prima, e all’intero Consiglio presieduto dal Siniscalco poi. “Spinto da uno spirito di curiosità misto alla voglia di trovare salvezza da quel pantano riuscii a guadagnare la collina, quel tanto che bastava per poter capire le origini di quell’incendio almeno. Una torre, una torre altissima era invasa dal fuoco. Ma non un fuoco normale come quello che colpiscono a volte le nostre foreste nell’estati torridi o quello dei fuochi di bivacco. Da una finestra usciva un fuoco rosso. Di un rosso acceso, vivo, quasi del colore del sangue. Da un’altra finestra invece fuoriusciva un fuoco mai visto prima, di un azzurro splendente. E nonostante fossi ancora molto distante dalla torre percepivo che quel fuoco così strano e unico emanava non calore, ma freddo. Un freddo gelido! Infine sulla sommità della struttura ardeva un fuoco verde, forse il meno devastante dei tre, ma comunque violento e ardente. La torre era sul punto di crollare quando dalla finestra più alta ho potuto vedere un corvo spiccare il volo e scomparire man mano, confondendosi col nero della notte. Mi svegliai di colpo in preda al terrore più cupo. Buttavo sudore come una fontana butta acqua, ma nonostante questo sentivo un freddo innaturale, mai provato prima in vita mia”.
    Nella Sala del Consiglio cadde il silenzio per alcuni lunghi, interminabili secondi.
    ”E’ stato solo un sogno” disse una voce alla fine.
    “No Maestro Pyt, non è stato solo un sogno” intervenne Walgrawe “Zeb, mio caro, ricorda a tutti qual è il tuo nome di provenienza”.
    “Ma Maestro, noi tutti abbandoniamo le nostre origini quando prendiamo i voti. E per primi noi stessi dimentichiamo il nome della nostra famiglia, non dovrei…”
    ”Dillo Zeb” ordinò il Siniscalco dall’alto del suo scranno.
    “Snow…Zeb Snow. Sono nato in un piccolo villaggio dimenticato dagli dei e dagli uomini nel territorio delle Rills”.
    “Zeb, dì ai presenti chi era tuo nonno” disse Walgrawe.
    “Mio nonno?” chiese stupito, ma poi capì “Mio Nonno era Axell. Arcimaestro Axell”.
    Il nome suscitò un forte effetto in tutti i Maestri del Consiglio, e tutti capirono. La decisione di mandare Zeb in persona in cerca delle Acque Grigie fu quindi unanime.
    “Ma chi era questo Axell, per gli dei?” chiese indispettito Patrek Mallister.
    “Posso risponderti io mio lord” intervenne il suo vecchio Maestro “Axell era uno degli Arcimaestri più famosi della Cittadella. Prese i voti già adulto, quando aveva già avuto un figlio che aveva lasciato alle Rills. Si diceva che avesse il potere…sì insomma…faceva sogni dell’Oltre”.
    A quel punto anche Patrek rimase senza parole, forse realizzando finalmente il quadro generale, ma poi scoppiò in una sonora risata.
    “Ma andiamo, sono solo sciocchezze. Superstizioni da vecchi rimbambiti che solo alla Cittadella possono trovare ritrovo”
    “Io ero molto giovane quando mio nonno mi portò con sé alla Cittadella” intervenne Zeb incurante del commento di Patrek. “Ero il più piccolo di quattro figli e mio padre acconsentì volentieri. Non ricordo bene i particolari ma Walgrawe mi ha accennato che mio nonno aveva predetto la guerra dei Blackfire, della ribellione di Duskendale, e per finire della caduta della dinastia Targaryen sotto Re Aerys. E solo per citare gli eventi più conosciuti. E’ stato bandito dai Sette Regni per ordine di Aerys il Folle in persona, per una storia di prostitute ufficialmente” si interruppe un po’ imbarazzato per la presenza delle due giovani donne al fianco di Patrek “ma – continuò – nel chiuso della Cittadella dicono che sia ancora in questo continente. Nelle celle oscure di Approdo del Re, dove carcerieri fanno a turno affinché non dorma mai. Quando Aerys il Folle venne a sapere del sogno che lo riguardava ordinò immediatamente la carcerazione di questo Arcimaestro, accusandolo di tramare contro il Re e di fomentare la ribellione. Non so se sia vero tutto questo, ma conoscendo la fama di Re Aerys credo sia possibile. Comunque se anche fosse vero a quest’ora mio nonno è sicuramente morto”.
    Anche nella sala grande del lord di Seagard, come mesi prima alla Cittadella, scese il silenzio improvviso per lungo tempo.
    ”E va bene vecchio. Trovo tutto questo assurdo, ma non sia mai detto che la Casa Mallister non aiuti la Cittadella. Avrai i muli e i viveri che ti occorrono. E avrai anche quattro uomini che ti scorteranno. Ma dovrai lasciare questo castello domani stesso. Propongo quindi che tu e il tuo servo andiate subito a dormire. Dovrete risparmiare le forze per il lungo viaggio che vi attende.”
    Detto questo si alzò dal suo posto e si allontanò in compagnia delle due prostitute.
    “Sogni dell’Oltre…puah! Stupidaggini! Mio padre mi riderà in faccia quando glielo racconterò” lo sentì dire Maestro Zeb mentre lasciava la sala.
    La mattina dopo all’alba, nonostante Zeb avesse temuto il contrario, Patrek fu di parola. Anche se non venne a salutare i suoi ospiti di persona fece loro trovare quanto chiesto. Muli, viveri e la scorta. Quattro uomini della guardia cittadina di Seagard. Zeb rimase un po’ deluso. Si aspettava uomini in forze e in giovane età. Ma quegli uomini in quattro superavano sicuramente il doppio secolo di età.
    Il viaggio proseguì senza problemi per i primi quattro giorni fino a che non arrivarono in vista della Forca Verde all’altezza delle prime paludi.
    Trovare un guado sembrava impossibile tanto che Zeb aveva proposto di proseguire verso Nord fino ad aggirare il fiume e inoltrarsi così nelle paludi proprio dal territorio delle Rills.
    Ma la fortuna per una volta gli sorrise. Trovarono un guado abbastanza praticabile proprio il mattino seguente e verso sera erano già in pieno territorio paludoso.
    Per altri cinque giorni vagarono senza meta, tra zanzare, serpenti e mosconi. L’aria era quasi irrespirabile e tutti e sei i componenti la spedizione avevano accessi di tosse molto bruschi e preoccupanti.
    La sera del quinto giorno il capo della scorta gli puntò all’improvviso un coltello alla gola durante il bivacco.
    “Ascoltami bene vecchio. Domani all’alba facciamo retromarcia e torniamo a Seagard. E se tu provi ad impedircelo prima uccidiamo il ragazzo e poi ti lasciamo qui, legato ad uno di questi schifosissimi alberi. Servirai da pranzo e cena a questi maledetti insetti e ai serpenti finchè non ti avranno spolpato pure le ossa. Sono stato chiaro?”
    “Non potete…la mia missione…avete dato la vostra parola a lord Patrek…” Zeb riuscì solo a balbettare poche parole.
    “Al nostro ritorno a Seagard dirai che non siamo riusciti a trovare la Torre delle Acque Grigie. Il che dopotutto è la verità. E se dirai a Mallister che ti abbiamo costretto a tornare indietro giuro che ti ammazzerò”.
    “Ank!” uno dei suoi compagni chiamò il capo-scorta.
    ”E tu che cazzo vuoi ora?”
    “Ho visto muoversi qualcosa laggiù, dietro quella macchia di cespugli” disse l’uomo.
    “Ma dove? Io non vedo niente. Sei ubriaco forse?”
    ”Ti dico che l’ho visto”.
    “Voi due” disse Ank agli altri compagni “sorvegliate il vecchio e il ragazzo. Io e Nyk andiamo a dare un’occhiata laggiù”.
    Passarono alcuni minuti da quando i due si erano allontanati. Sembrava tutto tranquillo e silenzioso quando dalla macchia in cui si erano addentrate le due guardie giunsero urla disumane.
    “Mano alle armi!” gridò uno dei due uomini rimasti di scorta.
    Ma entrambi non riuscirono neanche ad afferrare le lance e gli scudi che dalla macchia di cespugli uscirono quattro lucertole-leone.
    Zeb non ne aveva mai vista una, ma le riconobbe dalle illustrazioni che aveva ammirato nei tanti trattati sugli animali nella Biblioteca della Cittadella. Ora però non provava ammirazione ma solo una terribile paura.
    Due delle lucertole-leone furono subito addosso alle due guardie. Le urla dei due soldati di Seagard erano del tutto simili a quelle dei loro due compagni scomparsi dietro i cespugli.
    Una terza lucertola-leone fu addosso a Zeb, che provò a scappare ma un terribile morso della bestia gli troncò di nettò la gamba sinistra.
    Zeb urlò di terrore e di dolore, ma riuscì comunque a girarsi sul fianco. Nel vedere il terribile animale a circa un passo dal suo volto alzò di istinto il braccio destro. Un attimo dopo anche quello gli fu staccato da un unico morso.
    Nel cadere a terra ormai vinto dal dolore Zeb potè notare che la quarta lucertola-leone aveva puntato il giovane Rick. Zeb voleva urlargli di fuggire, di salvarsi, ma riuscì solo ad emettere un rantolo sommesso ed inquietante alle sue stesse orecchie.
    Era sul punto di svenire. Almeno sarebbe stato divorato vivo senza accorgersene. Ad un tratto però sentì dei sibili provenire dalla palude. Sibili a centinaia. Ormai quasi incosciente udì le urla quasi demoniache delle bestie, i passi di decine di uomini, il pianto di un ragazzo. Riuscì a vedere una bambina calarsi su di lui, poi fu tutto buio.

    Si risvegliò all’interno di una stanza verde, fatta di tronchi di quercia soprattutto, ma di ogni genere di legname. Il muschio era dappertutto. Sulle pareti, sul tetto, sul pavimento, persino sulla spalliera del suo letto.
    “Ben svegliato Maestro” disse una voce al suo fianco. “Perché tu sei un Maestro vero? Di quelli che vivono a Sud. Devo dire purtroppo che per te sarebbe stato meglio morire nel sonno. Le tue ferite sono terribili. Il morso di una lucertola-leone non perdona, figuriamoci due”.
    Zeb vide finalmente l’uomo. Era di statura bassa, ma dal viso dimostrava almeno una cinquantina d’anni. Tunica verde, mantello verde scuro, occhi verdi. Sul pettorale aveva raffigurato una lucertola-leone.
    “Tu sei…” rantolò Zeb.
    “Sì, io sono” rispose Howland Reed.
    “Rick…dov’è Rick?” chiese Zeb.
    “Il ragazzo sta bene. E’in un’altra stanza che dorme. Lasciamolo riposare. Tu piuttosto, cosa ti porta in questa palude? Cosa cercavi?”
    “Acque Grigie…la Torre. Il corvo bianco non ha fatto ritorno. La Cittadella pensava...credeva...”
    “Nessuno trova le Acque Grigie se noi non lo permettiamo. Nemmeno i corvi. Anche quelli bianchi. Che cosa credevano alla Cittadella? Che non sapessimo leggere i segni del cielo? Mio figlio ha visto tutto”
    ”Tuo…tuo figlio?” chiese Zeb, che sentiva le forze farsi sempre più lievi.
    “Sì! Suo figlio!” rispose un’altra voce, dal lato opposto del letto.
    Zeb riuscì a stento a girarsi e potè vedere due giovani crannogmen. Uno era una donna. Era quella che Zeb aveva scambiato per una bambina nella palude. L’altro era un ragazzo. Più giovane e più basso. Ma dall’aria più solenne, più vecchia.
    “I miei figli, Maestro. La ragazza è Meera. E' lei che ti ha salvato dalla palude. O meglio…che ha aumentato la tua agonia il tempo sufficiente perché tu potessi portare a termine la tua missione almeno. Lasciarti alla lucertola-leone sarebbe stato più misericordioso. Quando il latte di papavero perderà effetto morirai fra atroci tormenti, vecchio.”
    “Padre, io non sapevo…dovevo salvarlo.” Disse la ragazza.
    “Hai salvato il giovane che era con lui almeno. Il ragazzo a fianco di Meera – continuò Howland Reed – è mio figlio Jojen. Ha un grande potere, per quanto spesso non lo voglia. E non lo vogliamo nemmeno noi a volte. Jojen fa sogni dell’Oltre”.
    A quell’affermazione Zeb trasalì e sentì il battito del cuore aumentare all’impazzata.
    ”Jojen, figlio mio. Dì al Maestro della Cittadella cosa hai sognato mesi fa”.
    “Mi trovavo in una palude, immerso nel fango fino alle ginocchia” disse Jojen “perso nel buio più nero della notte e quasi vinto dal freddo, quando scorgo dalla cima di un colle un bagliore. Spinto da uno spirito di curiosità misto alla voglia di trovare salvezza da quel pantano riuscii a guadagnare la collina, quel tanto che bastava per poter capire le origini di quell’incendio almeno. Una torre, una torre altissima era invasa dal fuoco. Ma non un fuoco normale come quello che colpiscono a volte le nostre foreste nell’estati torridi o quello dei fuochi di bivacco. Da una finestra usciva un fuoco rosso. Di un rosso acceso, vivo, quasi del colore del sangue. Da un’altra finestra invece fuoriusciva un fuoco mai visto prima, di un azzurro splendente. E nonostante fossi ancora molto distante dalla torre percepivo che quel fuoco così strano e unico emanava non calore, ma freddo. Un freddo gelido! Infine sulla sommità della struttura ardeva un fuoco verde, forse il meno devastante dei tre, ma comunque violento e ardente. La torre era sul punto di crollare quando dalla finestra più alta ho potuto vedere un corvo spiccare il volo e scomparire man mano, confondendosi col nero della notte. Mi svegliai di colpo in preda al terrore più cupo. Buttavo sudore come una fontana butta acqua, ma nonostante questo sentivo un freddo innaturale, mai provato prima in vita mia”
    “Il mio…mio…stesso sogno” balbettò incredulo il Maestro
    Zeb iniziò a tossire all’impazzata. Era il suo stesso sogno, identico. Ma la cosa che più gli faceva paura era che le parole usate da Jojen per descriverlo erano state del tutto uguali alle sue, usate prima di fronte al Consiglio degli Arcimaestri riunito, poi nella Sala Grande di Seagard a cena con Patrek Mallister.
    La tosse lo soffocava, sentiva un forte dolore alla gamba sinistra e al braccio destro. Ma quando capì che non aveva più né l’una né l’altro sentì il cuore quasi esplodergli dal petto. L’acido saliva dallo stomaco. Vomitò bile e sangue.
    “Questo vuol dire…”provò a dire tra un colpo di tosse e un conato di vomito “vuol dire…l’inverno. L’inverno”.
    “Sì vecchio Maestro” disse Howland Reed. “Alla Cittadella forse l’hanno capito e forse no. Quella che tu e mio figlio avete visto in sogno non era la Torre delle Acque Grigie. Anche noi lo credevamo fino a pochi minuti fa. Ma ora abbiamo capito. Sono i Sette Regni. Che bruciano o bruceranno tra poco, colpiti dalla brama di potere dell’uomo, dal fuoco dei Draghi e dal fuoco gelido delle forze oscure che vivono solo negli incubi peggiori, quegli incubi da cui non ci si sveglia se non morti o impazziti. Non si tratta di una semplice stagione che cambia il suo corso cedendo il passo ad un’altra, no! Qui si tratta di qualcosa di diverso, di gelido, di tenebroso. Sì l’inverno. Ma non un inverno qualunque che cantano i menestrelli, fra ballate, dame, cavalieri e tornei sotto la neve, no! L’inverno, quello vero”
    “L’inverno…”provò di nuovo a dire Maestro Zeb “…sta…sta…”
    “Sì Maestro” questa volta fu Jojen a parlare “L’Inverno sta arrivando!”
    Un altro forte colpo di tosse, altro sangue che fuoriusciva dallo stomaco, gli arti vivi e quelli fantasma che bruciavano come altofuoco. E poi il cuore fermò il suo battito. Zeb chiuse gli occhi. Ma questa volta per sempre.



    Walder Frey, Lord delle Twins

    "Se un uomo non ha sogni da inseguire, o i suoi sogni non valgono nulla o non vale nulla lui"

    "O al problema c'è soluzione e allora è inutile preoccuparsi, o al problema non c'è soluzione e allora è inutile preoccuparsi"

    "Meglio tenere la bocca chiusa e sembrare stupidi, che aprirla e togliere ogni dubbio"
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    Lord Renly Baratheon
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    00 01/03/2007 16:36
    JAIME

    Castel Granito era un’immensa costruzione che non passava di certo inosservata, nelle vaste terre dell’Ovest. Difficilmente sarebbe potuto esistere un qualche viaggiatore che si trovasse nelle terre dell’Ovest senza conoscere Castel Granito già di fama.
    Il castello apparteneva alla nobile casata Lannister da lungo tempo, e questo fattore si riscontrava nelle grandezze visibili nella città. Tutte le terre di quella zona dei Sette Regni godevano di una certa benestanza grazie alle ricchezze e alla giustizia della nobile casa di Lord Tywin, che non faceva mai mancare nulla a nessuno dei suoi alfieri, e che faceva sempre valere un forte sistema di giustizia, rigido, forse, ma che non si poteva certo definire inefficace.

    Tutte le terre dell’Ovest erano benestanti, ma se bisognava indicare la città più in salute di tutte, non si poteva che indicare Castel Granito, che era la sede stessa di Lord Tywin e dei suoi figli, e che mostrava tutto questo potere in modo strabiliante e senza alcuna falsa modestia. Tutti dovevano sapere che la casata più potente dei Sette Regni li albergava, in una città che si sentiva citata anche in numerose canzoni di menestrelli.
    Le ricchezze dei Lannister erano addirittura divenute un detto popolare. Molto spesso Jaime aveva sentito dire frasi come “ricco come un Lannister” divenire proverbiali, e la cosa lo faceva sogghignare.
    Le parole ricchezza e magnificenza molto spesso corrispondevano a benessere. Castel Granito non faceva eccezione a quella regola. Molti mercanti avevano trovato dimora nei pressi del castello, come molti fabbri e molti armigeri che volevano lavorare per la casata che dominava quelle terre. Le locande erano sempre piene per un motivo o per un altro; di cavalieri con loro scudieri venuti per arruolarsi nella Guardia cittadina, per partecipare ad un qualche torneo o per mettere la propria spada al servizio dell’esercito Lannister.

    Jaime osservava la vita di una città che si addormentava lentamente dalle mura del castello in cui era nato. Il sole, alla sua sinistra, era una palla di fuoco incandescente che calava sempre più rapidamente, e investiva la zona di un forte bagliore arancione. La prima, fresca e leggera brezza della sera gli scompigliò i biondi capelli lunghi, sporchi e intrisi di sudore.
    Sentì quella frescura sul volto, e per un istante chiuse gli occhi verdi, lasciandosi trasportare dall’immaginazione e inspirando a pieni polmoni.
    Dopo un intero pomeriggio passato nel cortile d’addestramento, un po’ di fresco era quanto ci voleva. La sua armatura, rivestita di lamine dorate, che però apparivano proprio come oro vero agli occhi degli stolti, scintillava sotto gli ultimi raggi di un sole morente.
    Jaime Lannister aprì nuovamente gli occhi e guardò in basso, sotto le mura, le vie di Castel Granito. Qualche vicolo era già in ombra, e le prime torce cominciavano ad accendersi qua e la.
    Quindi lasciò che il suo sguardo si alzasse, e da quelle piccole costruzioni sotto le mura del castello guardò più lontano, fino a dove i confini di Castel Granito finivano.
    Tutto quello, una volta, sarebbe stato suo.

    O quanto meno avrebbe potuto esserlo, se da giovane Aerys Targaryen, il re folle, non avesse acconsentito di prenderlo nella Guardia reale, alimentando le sue fantasie giovanili ma togliendogli ogni diritto d’eredità su quel castello che gli sarebbe spettato come diritto di nascita, in qualità di figlio primogenito di Lord Tywin Lannister.
    Successivamente si era reso conto che Aerys non lo aveva investito della cappa bianca per suoi effettivi pregi e valori di cavaliere, ma soltanto per avere un ostaggio con cui ricattare e tenere sempre sotto controllo lord Tywin Lannister, suo vecchio Primo Cavaliere.
    Se quel pensiero prima feriva Jaime, ora lo faceva sorridere.
    Aerys Targaryen era stato senz’altro ben ripagato.
    A detta di molti, era il più disonorevole cavaliere che avesse mai indossato il Mantello bianco, dai tempi della fondazione della Guardia reale di Aegon Targaryen il Conquistatore. Ma la sua lama aveva posto fine ad orrori che altrimenti sarebbero potuti andare ancora avanti. Questo però non sembra importare a nessuno.
    La scena della morte di Rickard e Brandon Stark appariva ancora vivida davanti ai suoi occhi. Rivedeva spesso, nei sogni, quelle fiamme danzare, e quei corpi agitarsi. Ma ormai non gli facevano più alcun effetto.
    E Aerys Targaryen non veniva certo chiamato “il re folle” solamente per qualche semplice fatto isolato, Jaime Lannister lo sapeva meglio di molti altri che si azzardavano a sputare sul suo onore... alle sue spalle.

    Il sole era ormai tramontato quasi per intero, e i primi brividi di freddo che passarono attraverso la sua armatura dorata lo risvegliarono dai suoi pensieri. Lord Tywin aveva chiesto di parlargli quella sera stessa, gli aveva fatto sapere Maestro Creylen, il guaritore personale della famiglia Lannister, che aveva dato aiutato a far nascere l’intera progenie di Lord Tywin, ma che non aveva potuto fare nulla per salvare sua moglie, Lady Joanna, dal parto. E per questa sua mancanza, Lord Tywin non l’aveva mai perdonato.
    Jaime sapeva che non sarebbe stato consono presentarsi al lord suo padre così sporco e sudato, quindi andò rapidamente nei suoi appartamenti, dove, toltosi la splendida armatura, si lavò e rivestì di lino color rosso fuoco e oro, con al centro della maglia un leone rampante, simbolo della sua casata.
    Prese una catena di leoni dorati e con essa si legò addosso il suo mantello bianco della Guardia reale.
    Jaime era perfettamente a conoscenza del fatto che la sua vista disgustava lord Tywin, ma sentiva anche che in qualche modo per lui significava qualcosa.

    Raggiunse gli appartamenti di Lord Tywin poco prima di cena, come suo padre gli aveva chiesto. Il signore di Castel Granito non faceva uso di attendenti. Era perfettamente in grado di gestire da solo i suoi affari, diceva. Non c’era nessuno che potesse introdurlo, per cui Jaime afferrò la pesante catena legata ad una testa d’oro di leone incastonata sulla porta dell’ufficio di lord Tywin, e dopo aver rivolto un cenno d’assenso alle due guardie con i mantelli porpora che a lui facevano la guardia, bussò.

    La voce ferma di lord Tywin Lannister lo pregò di venire avanti.
    Jaime spalancò la porta ed entrò.

    Trovò Lord Tywin come sempre seduto alla sua scrivania, intento a consultare delle carte, quasi certamente resoconti delle miniere della Zanna Dorata, che di recente erano state particolarmente soddisfacenti per le casse di Castel Granito.
    Jaime rimase sulla porta, dopo averla richiusa alle sue spalle, osservando suo padre. Una torcia illuminava tutta la scrivania, lasciando in penombra il resto della stanza.
    Il signore di Castel Granito appariva elegantemente vestito, pronto per la cena che sarebbe stata servita di li a breve. Con una mano si massaggiava la guancia sinistra, sotto le sue volte basette, mentre con l’altra seguiva degli schemi riportati sul resoconto cartaceo.
    Solo dopo qualche secondo parve accorgersi che c’era un’altra persona nella stanza, e alzò lo sguardo.
    Gli occhi verdi che parevano addirittura venati d’oro di Lord Tywin facevano un certo effetto su tutti, persino su Jaime. E la luce della torcia accesa dava a quegli occhi un aspetto ancora più mistico e impressionante.

    “Jaime.” lo salutò Lord Tywin.
    “Padre.” rispose cordialmente Jaime, con tono tranquillo.
    Lord Tywin cessò di guardare le sue carte, e con un gesto della mano lo accomodò a sedersi su di uno scranno di fronte alla sua scrivania. Jaime ringraziò ancora, e si mise a sedere.

    ”Vedo che indossi il mantello bianco della Guardia reale.” non mancò di osservare suo padre, come Jaime aveva immaginato.
    “Vedi bene.” si limitò a rispondere. Ma la mia armatura rimane dorata. “A quella appartengo, e pertanto devo indossarlo, che io mi trovi nella mia stessa casa o ad Approdo del Re, sotto il Trono di Spade.”
    Lord Tywin sospirò. “Suppongo che non ci sia nulla da fare, con te, per questa faccenda.” il tono della sua voce era freddo e distante, ma Jaime sapeva che quella questione bruciava ancora nelle vene del signore di Castel Granito.
    Senza di lui, in linea di successione l’eredità spettava a suo fratello Tyrion, che però era affetto da gravi deformazioni fisiche che gli avevano portato il soprannome di “Folletto”, e non era ben visto dallo stesso Lord Tywin, che sembrava attribuirgli qualche insensata colpa sulla tragica morte di sua moglie e madre di Jaime, lady Joanna.
    Jaime Lannister gli rivolse un sorriso. “Non per ora.” rispose.
    Lord Tywin abbassò lo sguardo per dare un’altra occhiata alle sue carte. Quindi, senza alzare di nuovo gli occhi, esordì: “Dovremo preparare i nostri bagagli.”
    Il tono della voce di lord Tywin era incolore, ma Jaime aveva imparato a capire quando suo padre era realmente indifferente e quando non lo era. Cosa è successo?
    ”I nostri bagagli?” chiese.
    Lord Tywin mandò un suono gutturale. “Sì, i nostri bagagli. So che sei tornato a Castel Granito da poco, Jaime, ma stiamo tornando ad Approdo del Re. Ci sono state alcune complicazioni, e il re desidera la nostra presenza accanto a lui.” spiegò.
    Se Robert Baratheon richiama lord Tywin Lannister ad Approdo del Re, significa che è successo qualcosa di grave.
    Una volta, Robert Baratheon era stato un guerriero incredibilmente forte. Jaime non aveva potuto ignorare le straordinarie gesta che il lord ribelle di Capo Tempesta aveva compiuto contro Aerys Targaryen. Certo, è molto più difficile ammirare chi è oggetto di sghignazzate da taverna. Robert Baratheon era diventato re, e ora il suo antico coraggio era paragonabile solo alla flaccidità della sua pancia, non indifferente.
    Il re, con gli anni, si era decisamente rammollito, abbandonatosi agli agi delle ricchezze e ai piaceri che non potevano essergli negati in quanto maestà. I muscoli che una volta ricoprivano il suo corpo avevano ceduto il passo a larghi strati di grasso, ma una mente di guerriero non può svanire nel nulla, solo assopirsi. Il re aveva dato ancora prova di grande forza durante la ribellione di Balon Greyjoy, ma ancora altri anni erano passati, e lui era andato sempre peggiorando.
    Aveva molti servitori pronti a soddisfarlo, ma se era Tywin Lannister che voleva, allora era una fredda astuzia che nessun altro nei Sette Regni possedeva, a doverlo soddisfare.
    Jaime Lannister si massaggiò il mento con la mano destra, sporgendosi in avanti sulla sedia. “E per quale genere di complicazioni il re richiamerebbe lord Tywin ad Approdo del Re?”
    Ci volle del tempo perché lord Tywin rispondesse. Cosa che a Jaime non sfuggì. Gli occhi verdi con venature dorate di suo padre rimasero immobili a fissarlo. La luce delle candele che illuminavano la stanza diedero l’illusione che fosse altofuoco a bruciare negli occhi del signore di Castel Granito.
    Quindi, parlò. “Gravi incidenti si sono verificati nel nord. La notizia è molto recente, e stiamo cercando di tenerla il più segreto possibile. Ma non ci illudiamo, qualcosa di questo livello non può essere nascosto a lungo.”
    Con la mano destra, Jaime smise di massaggiarsi il mento. Quei discorsi preliminari non gli piacevano affatto. Cercò la sua spada, in un fodero al suo fianco sinistro, ma non la trovò. Se c’era qualcosa che gli dava sicurezza, quella era avere una spada al fianco.
    Lord Tywin non appariva spaventato. Non lo era mai. Ma era chiaro che quello che si portava dentro era un grande fardello.
    ”Jaime, il Popolo Libero ha attaccato la Barriera.” disse, non distogliendo lo sguardo dai suoi occhi. E per un attimo, il mondo attorno a Jaime parve ruotare. “Bestie. Giganti. Mammuth,” proseguì suo padre, “in abbondanza. E non si tratta di leggende. Sono migliaia. Il Castello Nero è sotto attacco e non reggerà ancora a lungo.”
    La notizia aveva colto Jaime assolutamente impreparato. I Bruti... il Popolo Libero, erano sempre stati solo oggetti di storie per bambini, e anche quando erano stati una minaccia, si erano sempre abbattuti sulla Barriera. Anche nei rari casi in cui potevano aver superato la Barriera, gli Stark di Grande Inverno li avevano sempre respinti. E ora era addirittura il re e protettore dei Sette Regni a richiamare il più abile stratega del reame per rispondere a questa offensiva.
    Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non uscì nessun suono.
    Quel breve momento di sorpresa fu sostituito dall’eccitazione. “Immagino serva qualcuno che li respinga, dunque.” disse. Ricambiò lo sguardo di lord Tywin con determinazione. Sarebbe andato lui stesso a fronteggiare l’invasione, e subito. Si sentiva veramente vivo solo in battaglia. In battaglia, e con Cersei.
    Ma sapeva che se i Bruti stavano addirittura superando la Barriera, non era una forza qualunque che dovevano possedere. Suo padre aveva parlato di bestie, giganti e mammuth. Bisognava pianificare attentamente la situazione.
    Lord Tywin abbassò lo sguardo sulle carte della Zanna Dorata. “Mance Rayder, così si chiama questo re oltre la Barriera. Barriera che però ora vorrebbe superare.”
    Jaime non aveva mai visto la Barriera, ma si era sempre immaginato l’ultimo confine del mondo come una muraglia enorme, gelida, crudele e impenetrabile.
    “Re Robert desidera avere attorno a sè tutti gli esponenti delle più grandi casate del Regno. Immagino voglia allestire un nuovo Concilio Ristretto.” proseguì lord Tywin. “Noi non mancheremo all’appello. Tu verrai con me, non solo in quanto membro della Guardia reale, ma quale possibile comandante delle forze Lannister in questa guerra che verrà. Sono stato chiaro, Jaime?”
    Lui annuì. “Limpido.” disse, ma il sorriso era svanito dal suo volto.

    E fu il silenzio tra i due. Si udiva solo lo sfogliare di altre carte che il signore di Castel Granito esaminava davanti a sè e lo sfrigolìo di candele che bruciavano.

    Dopo del tempo in cui Jaime aveva pensato molto, Tywin Lannister aveva parlato ancora. “Desidero anche parlare con Sua Maestà e Lord Baelish per quanto riguarda le faccende economiche del regno. E spero di potermi intrattenere anche con qualche altro Lord.” Non perdi un’occasione, caro padre.
    “Con noi, verrà anche tua sorella Cersei.” aggiunse lord Tywin.
    Dopo la notizia dei Bruti, Jaime credeva di aver avuto abbastanza sorprese, per quella sera. Ma quelle parole lo colpirono molto profondamente. Aveva imparato a rimanere impassibile quando suo padre nominava sua sorella, ma ogni volta che lo faceva, aveva sempre il timore che potesse aver scoperto qualcosa su loro due. “Cersei? Ad Approdo del Re?” chiese. “Per quale motivo?” Resistette all’impulso di deglutire, un impulso che fu difficile sopprimere.
    Quella non era una buona notizia.
    “Ormai è il momento che trovi marito. Avevo intenzione di portarla con me ad Approdo del Re alla prossima visita comunque, ma questa riunione di grandi signori è un’occasione più buona di qualunque altra. Sono sicuro che più di un lord la noterà, e confido che lei sarà particolarmente attraente.” Decisamente, lord Tywin Lannister non perdeva un colpo. Abile, padre, molto abile. Le guerre si rivelavano sempre utili per scopi matrimoniali.
    “Lascia che sia io a dirglielo.” ci volle qualche secondo a Jaime per capire che era stato lui stesso a parlare.
    “Precisamente.” precisò Lord Tywin. “Voglio risparmiarmi tutte le lagne che potrebbe fare Cersei, e lascio a te il compito di gestire la tua gemella.”
    Jaime Lannister riuscì ad esibire un mezzo sorriso. In effetti, a lui piaceva gestire sua sorella.

    Poi un’altra idea affiorò nella mente di Jaime. Tossì, come per schiarirsi la voce.
    Suo padre alzò lo sguardo dalle carte. “Sì?” chiese, avendo intuito che Jaime richiedeva la sua attenzione.
    “Mi stavo chiedendo,” esordì Jaime, “visto che partiamo noi tre, non potrebbe venire con noi anche Tyrion?”
    Tyrion non c’entrava assolutamente nulla con quel Concilio di Guerra che si sarebbe tenuto, né era maritabile, ma Jaime soffriva nel vederlo sempre chiuso a Castel Granito.
    Il silenzio che calò nell’ufficio non era nulla di insolito. Durò qualche secondo, prima di essere spezzato dalla voce apparentemente sempre fredda e distaccata di Lord Tywin.
    “Tuo fratello.” altra pausa, senz’altro voluta. “Tyrion.”
    Quando erano da soli, Ser Jaime e lord Tywin avevano sempre i loro argomenti di cui non parlare. Tyrion rientrava fra questi. Jaime voleva bene al suo fratello deforme, mentre Lord Tywin non poteva soffrirlo.
    Jaime non volle lasciare altri buchi nella conversazione.
    “Proprio lui. So per certo che si annoia a rimanere sempre qui, chiuso a Castel Granito. Non si è mai neanche allontanato dai nostri confini, di recente. Mi farebbe piacere se tu gli permettessi di venire con noi ad Approdo del Re. Sono certo che troverebbe molte persone con cui parlare, molte cose di cui divertirsi, molte...”
    “Molte puttane con cui giocare.” lo interruppe Lord Tywin, gelido. Quello era solo uno dei numerosi aspetti che non sopportava di Tyrion.
    Jaime si trovò a deglutire. A questo punto, se fosse stato Tyrion, avrebbe senza ombra di dubbio trovato qualcosa di arguto da dire, che avrebbe convinto suo padre.
    Ma Jaime non era Tyrion. Per lui era più facile tagliare un nodo, invece che scioglierlo. Si scostò alcuni riccioli biondi dalla fronte. Quindi riprese: “A ventitre anni dovrebbe poter essere padrone della sua vita.” Avanti, padre, fai solo uno sforzo...
    Lord Tywin sospirò. “Fai ciò che ritieni più opportuno, Jaime.” disse solo. Per il primogenito Lannister, quelle parole furono una grande vittoria. “Ma non voglio sapere nulla di ciò che fa, a meno che non sia strettamente necessario.”
    Quella era veramente una grande notizia. Jaime sentì una piacevole sensazione attraversargli il corpo. “Sarà così, padre. Ti assicuro che non avrai di che pentirti della scelta.” si umettò le labbra, mentre si alzava in piedi. “Chissà, forse Tyrion ti stupirà.” osò aggiungere.
    Lord Tywin mosse la mano, facendo capire a Jaime che poteva andarsene. “A meno che non sappia covare un uovo di drago per sterminare i bruti, non credo possa stupirmi. A presto, Jaime.” lo congedò.
    Jaime si inchinò rapidamente, ricambiò il saluto, quindi uscì.

    Dopo essersi liquidato da Lord Tywin, Jaime Lannister si recò nella Sala Grande per cenare. La cena fu elegante e raffinata come sempre, tuttavia nessuno dei suoi due fratelli, né Cersei, né Tyrion, si presentò, con disappunto di Lord Tywin, che era seduto alla sinistra di Jaime. Nessun altro trovò comunque sconveniente la cosa, e la cena proseguì tranquillamente per il resto della serata.

    Quando il banchetto fu terminato, Jaime pensò di andare immediatamente da Cersei per comunicarle le notizie. I suoi appartamenti erano i più vicini alla Sala Grande, e dopo averle fatto visita sarebbe andato da Tyrion, a riferirgli la per lui gradita sorpresa che sarebbe potuto venire con loro ad Approdo del Re. In effetti Jaime non sapeva se Cersei si sarebbe lagnata come e quanto aveva detto il lord suo padre, ma di certo non sarebbe stata contenta.

    Entrò negli appartamenti di Cersei anche qui semplicemente salutando le guardie, che però ricambiarono con uno sguardo quasi esasperato, e sul momento Jaime non prestò troppa attenzione a quel particolare. Superò quei corridoi che lo separavano dalla stanza della sorella, ma fu sorpreso di non trovare neppure un’altra guardia, da quelle parti. E quando si trovò davanti alle porte della sua stanza, gli venne in mente che forse Cersei poteva essere altrove, in quanto non si era presentata alla cena per chissà quale motivo.
    Invece bussò, e dopo poco, sua sorella in persona gli aprì la porta.
    Jaime si stupì di vederla con il viso arrossato.
    Entrò nella stanza, e la salutò.
    “Cersei, ma cosa...” cominciò a chiedere.
    Cersei gli voltò le spalle.
    Era vestita di un magnifico corsetto rosso scuro, che s’intonava con le sue labbra e faceva risaltare i suoi splendidi capelli dorati e i suoi occhi verde smeraldo.
    “Jaime... come faremo adesso?” disse solo lei, con quella voce alta che amava, di cui faceva uso solo in due situazioni. Quando era furiosa e quando si trovava da sola con lui.
    Evidentemente aveva già avuto modo di sapere del momentaneo trasferimento.
    Cersei era maledettamente scaltra, molto più di lui. Aveva imparato a vivere a Castel Granito, di intrighi e inganni.
    Jaime provò a rivolgerle il sorriso più rassicurante che potesse fare. “Non dobbiamo preoccuparci troppo. Stiamo andando ad Approdo del Re solo per poco tempo, poi tornerai a Castel Granito...”
    “E’ proprio questo che mi fa infuriare, Jaime!” sbottò a interromperlo Cersei. “Eri appena tornato. Potevamo passare finalmente del tempo insieme. E ora... mio padre vuole trovarmi un marito.” si coprì le mani con il volto. “Un marito!”
    Cersei si girò verso di lui, il volto paonazzo. Era ancora più bella, quando si arrabbiava.
    Ora Jaime capì il perché degli sguardi esasperati delle guardie fuori dai suoi appartamenti, e perché tutte le sue guardie erano state allontanate. Cersei Lannister non era decisamente di buon umore. Sembrava che trovare un marito fosse per lei una minaccia ben più terribile dei Bruti, però.
    Jaime sospirò. “Purtroppo è qualcosa che prima o poi sarebbe dovuto accadere, e lo sapevamo, Cersei.” disse. “Sono dispiaciuto anch’io, ma...”
    “Dispiaciuto?” lo interruppe ancora. “E’ un disastro! E’...”
    Jaime la afferrò per l’anca con la mano destra, la tirò a sé e la baciò.
    Dopo aver opposto una piccola resistenza, Cersei si lasciò andare al bacio. Jaime assaggiò con gusto quelle labbra morbide e carnose. Sentì i morbidi seni di lei sul suo petto. Portò la mano sinistra alla nuca di lei. Le carezzò i morbidi capelli e continuò ancora a baciarla. Lei gli cinse il collo con le braccia, lasciandosi trasportare.
    Quindi finalmente si separarono.
    Cersei si leccò le labbra. “Speravo che l’avresti fatto.” disse, compiaciuta.
    Jaime sorrise. “Nulla ci separerà, Cersei.” stavolta il suo tono suonava molto più deciso. “E quando verrà il momento... ci penseremo. Non serve rovinarci gli ultimi momenti insieme.”
    Sua sorella sembrò essersi calmata. Fece cenno di sì con la testa, quindi tornò ad abbracciare Jaime e a baciargli il collo. “Direi di passare insieme quanto più tempo possiamo. Stanotte, per esempio.” sussurrò al suo orecchio.
    Cara, dolce sorella. “Aspetta, Cersei,” disse Jaime, per quanto tentato. “Devo andare a dire una cosa a Tyrion, prima. Poi sarò di ritorno.”
    Cersei strinse le labbra. Neanche lei provava molto affetto per il loro fratello minore. Quindi, con una mano prese quella di Jaime che le cingeva l’anca e se la portò ad un seno. “Io non posso aspettare.” sussurrò solo.
    Del resto, Tyrion avrebbe anche potuto saperlo la mattina seguente, si trovò a pensare Jaime, mentre i due si lasciavano cadere sul letto.

    Quando Jaime Lannister si risvegliò, felice, soddisfatto e riposato, Cersei ancora dormiva, accanto a lui, avvolta nelle morbide coperte, bellissima. Ora potè ringraziare quel suo gesto di aver allontanato le guardie.
    Cercò di rivestirsi più silenziosamente che potè, ma nel farlo Cersei mugolò qualcosa e si svegliò. Vide Jaime davanti al letto, con i suoi occhi meravigliosi ancora socchiusi.
    Jaime la raggiunse, le posò un leggero bacio sulle labbra, quindi la salutò, e uscì.

    Si chiese che ora potesse essere. Voleva assolutamente trovare Tyrion, anche prima di colazione. Si sentiva in colpa per non averlo cercato la sera prima, ma Cersei sapeva essere molto perentoria, quando voleva.
    Avrebbe potuto fare colazione anche più tardi, si disse, mentre il suo stomaco gorgogliava. Non aveva idea di dove suo fratello potesse essere. Tyrion, essendo spesso costretto a rimanere a Castel Granito, cercava di ammazzare la noia vagando per i posti più strani.
    Quella mattina, però, Jaime fu fortunato.
    Lo trovò nella Sala Grande che giocava ad uno strano gioco da tavolo con lord Andros Brax. I due fissavano la stessa tavola da gioco, ma con espressioni molto diverse.
    Lord Brax, un leale ma poco sagace alleato di Lord Tywin, con una mano si massaggiava freneticamente il mento, e con l’altra passava in rassegna i pezzi che ancora gli rimanevano sulla scacchiera.
    Tyrion invece sembrava quasi insonnolito, nel guardare tutti i pezzi, appoggiato con i gomiti al tavolo e reggendosi la sproporzionata testa con entrambe le mani sotto il mento.
    Cyvasse, gli sembrava che si chiamasse quel gioco. Era un passatempo Dorniano, recentemente divenuto popolare anche nel resto dei Sette Regni, ma Tyrion ne era giocatore già da prima che questa moda dilagasse.
    Jaime raggiunse i due contendenti. Tyrion lo salutò allegramente, come risvegliandosi da un certo torpore, ma lord Andros non sembrò neppure notarlo, tanto era concentrato sui suoi pezzi. Tyrion lo capì, e rise.
    “Lord Andros.” lo apostrofò.
    “Non ora, mio lord, penso di aver capito...”
    “Lord Andros, forse già conosci il mio nobile fratello, Jaime?” lo richiamò ancora, ridendo.
    Lord Andros Brax inizialmente parve non capire, quindi si guardò attorno, vide Jaime, e balzò in piedi. “Ah! Chiedo venia, ser Jaime. Questo gioco è davvero appassionante.” disse, diventando paonazzo in volto, indicando la tastiera del Cyvasse. “Temo di non esservi molto portato, però...” ebbe comunque l’onestà di ammettere.
    Tyrion era rimasto seduto. “Se tutti gli uomini fossero così bravi a comprendere la realtà, vivremmo senz’altro in un mondo migliore, lord Andros.” disse, annuendo con fare convinto col capo. Jaime sorrise. Il volto di lord Brax si arrossò ancora di più.
    “A ogni modo,” disse l’alfiere, “ero venuto qui a cercare vostro padre. Credo sia il caso che io vada a parlargli e vi lasci soli.”
    “Naturalmente, lord Andros. Nessuno di noi vuole far attendere il nostro ricco padre.” rispose Tyrion, e lo congedò, canticchiando un ritornello che non era cantato sempre con leggerezza a Castel Granito, quello della nota canzone dei menestrelli Le Piogge di Castamere. Lord Andros non ebbe troppa premura di allontanarsi un po’ più dignitosamente, e lasciò il campo di gioco in una alquanto disonorevole fase di sconfitta totale.
    I due fratelli Lannister rimasero a guardarlo andare via, e quando fu ormai lontano, scoppiarono a ridere, contemporaneamente.
    “Ah, Jaime, Jaime!” esclamò Tyrion, dandogli una pacca sulla schiena robusta. “Come stai, vecchio Sterminatore di re?”
    Jaime si sedette accanto a lui. “Non me la passo male, Folletto. E tu come stai? Dov’eri invece che alla cena, ieri?” chiese.
    L’espressione di Tyrion si rabbuiò. “Ho paura di doverti dire qualcosa che non piacerà al lord nostro padre.”
    Jaime, conoscendo fin troppo bene suo fratello, non lasciò che il sorriso svanisse dal suo volto. “Sentiamo.”
    Tyrion abbassò lo sguardo. “Ecco... diciamo che mi trovavo in una taverna dove si giocava d’azzardo, e mi sono fatto prendere un po’ la mano...”
    “Capisco.” disse Jaime. “Con i soldi delle casse di Castel Granito, per caso?”
    Tyrion apparve scandalizzato. “Mi credi capace di una tale azione, fratello?” quindi dopo un momento in cui ebbe osservato il volto divertito di Jaime, esclamò: “Sono molto deluso! Non credevo di essere così prevedibile.”
    E poi scoppiarono ancora a ridere contemporaneamente, entrambi.
    Accanto al Cyvasse, sul tavolo, c’era una bottiglia di vino rosso di Dorne. Tyrion la afferrò e si riempì un boccale. “Ne gradisci un po’, Jaime?” chiese, fra le risa.
    Jaime fece segno di no con le mani. “Devo ancora fare colazione, grazie.”
    ”A cosa devo questa tua visita?” chiese allora Tyrion, mandando giù un sorso non da poco, gli occhi di colore diverso su di lui. Tyrion Lannister aveva un occhio verde tipico dei Lannister, ma l’altro era invece nero e scuro come la notte. E quel suo strano sguardo metteva in imbarazzo più di qualcuno.
    Jaime non dovette sforzarsi per tornare serio. “Immagino avrai saputo di quanto sta accadendo al nord.” a queste parole, l’espressione di Tyrion arrivò a rabbuiarsi, e stavolta non scherzosamente.
    “Sì, si è sparsa la voce.” confermò il Folletto. Anche Tyrion doveva avere i suoi informatori, Jaime ne era convinto.
    “Re Robert ha convocato un Concilio. Io devo tornare ad Approdo del Re.” aggiunse Jaime.
    Il volto già sconsolato di Tyrion parve diventare ancora più triste. “Eri appena arrivato, e già riparti.” mandò giù un altro sorso di rosso di Dorne. “Cosa ci troverai, in quella città puzzolente e nella panza del nostro reale sovrano.” borbottò.
    Jaime rise, e Tyrion abbozzò un sorriso.

    Tyrion Lannister aveva tante defezioni. Era piccolo, era brutto e deforme, non era stabile sulle sue gambette storte, era malvoluto da suo padre e da sua sorella, ma aveva una grande intelligenza. Una grande intelligenza che Jaime sapeva non avrebbe mai avuto. E soprattutto, aveva qualcosa che nessun altro aveva. Aveva la possibilità di insultare lo Sterminatore di re senza dover avere il timore di subirne chissà quali conseguenze.

    “E dire che il bianco neanche mi dona.” commentò Jaime. “Ma non è tutto.”
    “No, infatti.” disse Tyrion, stiracchiandosi, allungando le sue braccia un po’ troppo grosse e le sue gambette deformi. “Verranno con te anche nostro padre e nostra sorella. Così avrò tutto Castel Granito per me.”
    Jaime incrociò le braccia. “Per farne cosa, mi chiedo? Credevo tu avessi più fiducia nella tua famiglia.”
    Tyrion parve non capire, e aprendo e chiudendo i suoi due occhi di colore diverso, uno verde e uno nero, chiese: “Fiducia?”
    Lo Sterminatore di re assunse quell’aria feroce che di solito usava nel cortile degli addestramenti. “Naturalmente.” frustò. “Ma se non vuoi venire ad Approdo del Re con noi, nonostante abbia già convinto nostro padre, fai pure...”
    ”Come, come?” lo interruppe Tyrion, incredulo. “Tu hai fatto cosa?”
    Alla sua espressione, Jaime provò ancora l’impulso di ridere.
    “Jaime, tu non sei uno Sterminatore di re, sei un mago. O uno stregone. Dì, ti ha insegnato qualcuno di Asshai delle Ombre o...” cominciò Tyrion.
    “Nessun sortilegio.” disse Jaime. “Solo quelle parole di cui tu stesso vai tanto fiero.”
    Tyrion Lannister era l’immagine riflessa della contentezza. Si mise a saltellare sulla panca. “Questa... è una splendida notizia, Jaime. Non so come ringraziarti.” ci pensò su. “Forse con una partita a Cyvasse?” disse poi, indicando il tavolo da gioco che lord Andros Brax aveva appena abbandonato.
    Jaime osservò la scacchiera, poi Tyrion, quindi ancora la scacchiera.
    “Penso di essere di gran lunga più portato a farmi sbattere questo mio culo dorato nella polvere da altri nobili cavalieri ai tornei, piuttosto che cercare di batterti in questo gioco.”
    Tyrion sorrise.
    Jaime si sedette sulla panca opposta al fratello minore, dove prima si trovava lord Andros. “Va bene, ma dovrai rispiegarmi le regole...”

    ---
    Gerion Lannister, di Castel Granito.

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    Mance
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    The White Walker
    00 03/03/2007 14:18
    Eddard Stark. Ali oscure, oscure parole.

    "Lord Eddard, le truppe sono appena salpate e la vostra imbarcazione è pronta", avvertì ossequioso il castellano dei Marderly. Ed in effetti la Vento del Nord, l'ammiraglia dell'ultima flotta di navi lunghe commissionata da lord Eddard in persona, appariva splendida e possente con il metalupo grigio tessuto sulla vela grande.
    "Vi ringrazio ma devo risolvere una questione prima di imbarcarmi, dite pure a ser Wylis che ha fatto un ottimo lavoro". Il castellano se ne andò lasciando soli nella sala Lui, Jon, Arya e lord Wyman, che fu il primo a rompere il silenzio.
    "Posso mobilitare le mie truppe e mandarle su quella stramaledetta barriera in un ciclo di luna se volete...".
    "No Wyman non dovrebbe essere necessario, praticamente i due terzi dei guardiani sono diretti a Porta della brina e li sconfiggeranno senza troppa difficoltà, inoltre ho già mobilitato le forze degli Umber che ormai dovrebbero essersi già unite a loro. Quello che mi preoccupa è il fatto che siano così vicini alla barriera e siano così tanti. Erano secoli che non si sentiva parlare di un estraneo, figuriamoci assistere un vero e proprio assalto alla barriera di quegli esseri. Sono stato costretto a reclutare truppe fresche sia a Last Heart che a Karhold, la cosa non mi piace e voglio proteggere i territori settentrionali. Proprio ora che dalle Acque grigie è arrivato questo messaggio dei Reed che è solo uno sconfusionato monito su non so cosa...".
    Erano due giorni che era arrivato quel corvo gracchiante. Eddard e Jon stavano dando ordine alle truppe su cosa imbarcare quando il maestro dei Manderly era giunto con quel messaggio:"Eddard Stark, mio signore e mio amico, l'inverno è alle porte, ma non sono i corvi ad annunciarlo, bensì tristi rivoli di sangue nelle notti di mio figlio. Fra poco arriverò a Winterfell per spiegarti di persona"
    Eddard aveva mandato un corvo in risposta chiedendo chiarimenti e spiegando a Howland Reed che non era il caso di partire, perchè Lui e il suo figlio bastardo stavano salpando per Approdo con una scorta personale, sotto l'ordine di Re Robert Baratheon.
    "Bene, bene. Vorrà dire che le mie truppe staranno qui al sicuro a poltrire e ingrassare", rise lord Wyman distogliendo Ned dai suoi pensieri. "A proposito, se mi è concesso, direi che è meglio che vi portate il vostro migliore farsetto mio Lord... e anche voi Jon" ammiccò simpaticamente.
    "Perchè scusate?". Jon non aveva capito perchè il Re volesse proprio lui accanto a suo padre ad Approdo e nemmeno coglieva le insinuazioni del lord di White Arbour.
    "Jon, non si sa perchè, ma Robert vuole riassegnare tutte le cariche del suo concilio comprese le nomine dei membri delle cappe bianche. Ora, non credo che Sua Maestà ti convochi per avere un coppiere in più, anche se ne potrebbe davvero aver bisogno e nemmeno perchè necessita delle tue esperte opinioni nel suo concilio, quindi..."."Io nelle cappe bianche?" sussurrò incredulo il ragazzo. "Ma io sono un... ecco, io sono...".
    "Tu sei mio figlio! ...si mio figlio!"
    lo interruppe nervosamente mentre Wyman sgolava una coppa di vino facendo finta di non sentire. "Cerca di essere tu il primo a tenerlo in mente, altrimenti non se lo ricorderà nessuno!".
    "Si... io non volevo... ecco... scusatemi.".
    Dopo qualche secondo di silenzio, Wyman Manderly aggiunse dubbioso:"Quello che invece non si sa con precisione sarà il ruolo di vostro padre nel concilio, ma mio giovane Jon, come voi non siete stato certamente scomodato per fare il coppiere anche vostro padre non sarebbe convocato per assistere ai lamenti di Petyr sulle casse della corona o sopportare le fragranze di quel ragno senza virtù!".
    "Ahhh lasciamo perdere Wyman, il Re mi chiama ed io andrò! Solo che questo non era il momento. Io e Jon a fare le statuine e ad assistere ad un torneo mentre i Guardiani della notte versano il loro sangue e il Nord è minacciato dagli Estranei. Forse l'inverno sta davvero arrivando per gli Stark, come sostiene Howland.".
    Arya che fino a quel momento era stata seduta compiendo uno sforzo per lei immane intervenne orgogliosa: "Non preoccuparti papà, qui ci siamo sempre io, la mamma, Robb e Bran".I tre uomini, a dispetto del broncio sul viso di Arya che ne seguì, scoppiarono in una prorompente risata e Jon più di tutti. "Tieniti stretta Nymeria almeno se verranno gli estranei li farà scappare!" e ricominciò a ridere in maniera fin troppo insolente per Arya.
    "Zitto tu! Ti ci voglio proprio vedere vestito di bianco che fai inchini e stai lì impalato tutto il giorno come una picca!".
    Quell'idea fece calmare le risate di Jon che comunque sorridendo spazzolò con una mano i capelli della sorellina.
    "Su su piccola mia, sono sicuro che ve la caverete anche senza di noi. Tu però pensa a dare ascolto alla mamma e a Septa mordaine...". Questo particolare aggiunto dal padre fece venire ancora di più il broncio ad Arya che non le derisioni del fratellastro sul suo valore in battaglia.

    Eddard aveva lasciato la sala di White Arbour da poco, in compagnia di Jon. Per il giovane non era stato facile separarsi della sorellina ma alla fine ci era riuscito. Ned era contento dei sentimenti di Arya nei confronti di Jon e viceversa,"...se non uno Stark di nomealmeno si sarebbe sentito uno della famiglia" pensava.
    Salutò l'efficentissimo e gentilissimo ser Wylis e si apprestò con Jon e Spettro a salire sulla Vento del Nord.
    "Mylord! Aspettate! Mylord!".
    Ned si voltò, era il maestro dei Manderly che si avvicinava correndo ma in maniera estremamente goffa.
    "Mylord! Un corvo dalla barriera... Una catastrofe... Lord Mormont... I bruti..." aggiunse ansimando una volta giunto al cospetto di Ned.
    "Calma maestro, ditemi..." ma un brivido gelido cominciò a percorrergli le vene.
    "I bruti... hanno assaltato il Castello nero. La grata sotto la barriera ha ceduto. Mormont e maestro Aemon hanno mandato il corvo poco prima che l'orda prorompesse nella torre del Lord Comandante.".
    "Quanti sono?" sussurrò Ned attonito.
    "Oltre duecentomila... a spanne, ma hanno anche carri, arieti e... giganti a cavallo di mammut!".
    Eddard pensò subito a Catelyn e ai suoi figli, a Winterfell e a tutta la sua gente mentre qualche imprecazione uscì dalla bocca di ser Wylis o forse da quella di Jon, seguita dal bisbiglio sempre più forte della scorta e dell'equipaggio della nave.
    Pensò nuovamente a Catelyn e ai suoi figli, a Winterfell e a tutta la sua gente infilzata da lunghe lance di legno, fatta a pezzi dalle mazze dei giganti o calpestata dai mammut, mentre il bisbiglio tutto attorno a lui era divenuto un caotico berciare fatto di lamenti, insulti, maledizioni o pianti.
    "Silenzio!" urlò categorico Eddard della casa Stark.
    "Ser Wylis, dite a vostro padre che quelle truppe andranno a dimagrire, ma non in un ciclo di luna. Gli do due settimane!" e ser Wylis annuì scomparendo in pochi istanti.
    Poi il lord di Winterfeel alzò il dito verso il maestro ansimante: "Voi, mandate corvi a Last Heart, a Karhold, a Draedfort, a Piazza, ai Flint, ai Reed... a tutti i miei alfieri e dite loro che voglio in massimo tre settimane i due terzi degli armati delle loro guarnigioni radunati a Winterfell e pronti a marciare a Nord sotto la guida degli Umber, dei Karstark e di Bolton. Mandate anche un corvo alla Lady mia moglie e ai miei figli di stare lontano dai guai e di tenere cavalli freschi e pronti per venire a Sud.
    Dopo Mandate corvi al Re, al Tully, alla Valle, ai Lannister... e si... anche ai Tyrell, al Dorne e ai Greyjoy. Dite loro che in due settimane è avvenuto quello che non era mai accaduto prima... bruti a sud della barriera con a poche leghe un esercito di estranei e non-morti".

    Detto ciò si voltò e salì la passatoia.
    "E noi che facciamo?" disse preoccupato Jon.
    Ned si arrestò senza voltarsi.
    "Noi facciamo quello che Robert comanda! ...e ora sali!"
    Diede un'occhiata al capitano che in un solo istante si riprese e cominciò a berciare ordini a tutto l'equipaggio.

    [Modificato da Mance 13/03/2007 21.01]

    [Modificato da Mance 13/03/2007 21.06]



    Sono stato Mance Ryder, capo dello spionaggio di Robert Baratheon...
    Sono stato Eddard Stark, Primo cavaliere di Viserys Targaryen...
    Sono stato Robert Baratheon, fatto a pezzi perchè... troppo bello e abile nello scappare di prigione...
    Sono stato Salladhor Saan, l'ultimo uomo senza Re...
    Sono stato The white walker, colui che cammina nella Notte.
    Sono stato Mace Tyrell, il BELLISSIMO!!!

    Ed ora sono.... Il Buon Padre





    Guardalo negli occhi, fino a che lui, ringhiando, entrerà nei tuoi col suo sguardo... solo allora ti angoscerai... non per paura, bensì per aver compreso il significato della parola fierezza.
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    Waymar Royce
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    00 03/03/2007 21:37
    Ser Garlan (I): l’investitura.

    Era una giornata come tante altre ad Altogiardino, il sole illuminava la città che appariva di un colore ambrato alla luce dei suoi raggi. I fiori dei numerosi giardini pensili sparsi ovunque dovevano ancora sbocciare, ma le piante erano un rigoglio di foglie verdeggianti, mentre nei campi tutt’intorno il grano cominciava appena ad ingiallire sugli steli già lunghi. Formalmente era sempre estate, una estate troppo lunga però per poter durare ancora molto, come ormai era noto da circa un mese. Le giornate si stavano facendo via via più brevi, e le notti sempre più fredde, anche nelle terre del Sud, dove tutti continuavano a credere che l’autunno non sarebbe mai giunto.
    Ser Garlan era seduto su una panchina di marmo nel giardino del suo appartamento personale all’interno dell’immenso palazzo dei Tyrell, intento a leggere svagatamente un libro di poesie che gli aveva consigliato sua sorella Margaery. In un periodo di pace come quello, il cavaliere riusciva a quasi a comprendere il senso del soprannome di Galante, che altri gli avevano cucito addosso. Tra feste, balli, giostre e gite lungo il Mander le sue giornate trascorrevano sempre nella più varia compagnia, spesso femminile, in mezzo alla quale doveva sempre dare il meglio di sé nelle nobili arti della declamazione, della scherma e della etichetta di palazzo, tutte condite con la solita dose di squisita cortesia che gli era connaturata.
    In quel momento, solo infine per lo spazio di qualche ora, aveva l’occasione di riposarsi brevemente in uno dei suoi passatempi preferiti. Margaery si era allontanata da poco, dopo avergli fatto una breve visita nella quale gli aveva portato il libro che aveva da poco finito di leggere e che tanto l’aveva appassionata. Radiosa come al solito, aveva destato in Garlan un moto di allegria, che raramente era stato spontaneo come in quel caso. Dopo aver discorso per qualche minuto, lei gli aveva chiesto il permesso di allontanarsi per andare a raggiungere le care cugine Elinor, Alla e Megga con le quali aveva intenzione di fare una lunga cavalcata lungo le rive del fiume. Garlan l’aveva salutata con un bacio delicato e si era finalmente dedicato alla lettura. Ora però si sentiva inquieto, ed il suo sguardo assente era rivolto verso le rade nuvole del cielo che velavano debolmente quell’immenso drappo turchese. Il mese prima aveva avuto notizia di uno strano uccello bianco che era stato inviato, si diceva, dalla Cittadella, molto simile ad un corvo, anche se, sul momento, maestro Lomys non aveva voluto rivelargli niente. In seguito aveva appreso trattarsi niente di meno che dell’annuncio dell’imminente inizio dell’autunno.
    Quella giorno, solo poche ore prima, erano arrivati altri messaggi, tramite corvi neri, come lui aveva potuto notare da quello stesso giardino.
    " Ali oscure, oscure parole - pensò abbozzando un vago sorriso- che anche questa volta si preparino tristi eventi?"
    Garlan decise di non soffermarsi oltre su quei pensieri e tornò a dedicarsi al suo libro. Eppure, nonostante il gusto di Margaery fosse stato ineccepibile come sempre in questi casi, continuava a fissare le stesse strofe, delle quali si sorprese a non ricordarne il senso. Evidentemente c’era qualcosa di inconscio che lo disturbava, quindi decise di rinunciare e, chiuso il volume con un movimento repentino e schioccante, si alzò per fare due passi. Si diresse verso la fontana istoriata che era al centro del giardino, splendida nei suoi allegri giochi d’acqua, quindi si sedette sul bordo e vi immerse la mano, facendola roteare e creando così dei piccoli vortici. Era così distratto dai suoi pensieri che non si accorse dell’arrivo del fratello Willas, il cui passo malfermo ed il ritmico rumore del bastone riuscirono infine a riscuotere Garlan dal suo torpore.
    “ Eccoti qui, fratello. Ho incontrato Margaery che mi ha detto dove trovarti. Stava scappando via con quelle scapestrate cugine. Che hai? Ti vedo strano…”
    “ Lasciamo che si divertano almeno loro, sono giovani e sono figlie dell’estate. Che non si debbano tormentare con inutili problemi e futili pensieri. Perché mi stavi cercando?”, disse Garlan di nuovo in piedi, mentre si asciugava la mano su un lembo del giustacuore verde e oro.
    “ Nostro padre ci ha fatto chiamare. Sembra che siano arrivate notizie preoccupanti, dal Nord e da Approdo. Vuole il nostro consiglio.” E detto questo, lo invitò a seguirlo con un gesto della mano e tornò barcollando sui suoi passi.
    Lui lo raggiunse, offrendogli un appoggio più sicuro ed aiutandolo a camminare. "Povero fratello…chissà come soffre nel dover sempre lottare per compiere i gesti che a noi sembrano i più semplici."
    Con lentezza i due raggiunsero la sala delle udienze di palazzo, discorrendo, con evidente disagio di entrambe, delle ultime imprese cavalleresche di Garlan e degli studi di Willas. Lì il padre stava attendendo, assiso sul suo seggio di Lord dell’Altopiano sulla piccola piattaforma rialzata, contornato dalla presenza della vecchia madre e dei suoi due attendenti, mentre lady Alerie sedeva al suo fianco con le mani in grembo e lo sguardo rispettosamente rivolto in basso. Gran parte della corte si era già radunata, mancavano solo Loras, che era chissà dove a giocare alla guerra od ai tornei, e Randyll Tarly, che era stato inviato ad Arbor per trattare con Lord Redwyne l’allestimento della nuova flotta. Tra tutti spiccava la presenza di maestro Lomys il cui volto terreo non lasciava presagire nulla di buono.
    “Ora che ci siamo tutti – esordì Lord Mace senza troppi preamboli – voglio sottoporvi alcune novità che sono da poco giunte alle nostre orecchie. Alcune si possono dire buone, altre pessime, ma altre ancora tremende, sarete voi a giudicare quali.” Dopo aver scrutato attentamente i volti dei presenti, soffermando il suo sguardo insolitamente duro e penetrante su Garlan, il signore di Altogiardino si rivolse al vecchio maestro. “Maestro Lomys mi ha fatto avere alcuni messaggi arrivati da Approdo – e mentre parlava invitò il dotto della Cittadella a farsi avanti – Vorrei quindi che fosse lui ad esporvi la situazione.”
    Accolto l’invito, maestro Lomys si schiarì la gola ed iniziò la breve esposizione. “Come già ormai tutti sappiamo da tempo, l’estate è agli sgoccioli e l’autunno si sta velocemente avvicinando, ma quelle che erano solo delle vaghe avvisaglie di sventura a venire ora si stanno tramutando in realtà, come sto per annunciarvi. Il primo messaggio infatti viene Lord Eddard Stark, il quale ci comunica che la Barriera è sotto attacco sia da parte degli Estranei sia da una immane orda di Bruti che sta cercando di superarla per riversarsi nei Sette Regni…l’estate è finita e con essa forse la pace nel Continente Occidentale”
    Bruscamente Mace Tyrell interruppe il maestro e riprese la parola. “Tutto ciò ci è stato comunicato da Grande Inverno, visto che i Guardiani della Notte non hanno ritenuto doveroso chiedere il nostro intervento. Ma tant’è…ora invece sono il Re in persona ed il suo Primo Cavaliere a farlo per loro…o meglio ad ordinarcelo. Sì, perché se non fosse giunto un secondo corvo non avremmo mai saputo che Stark è il Primo Cavaliere dei Sette Regni. Come se non bastasse ci viene imposto un vero e proprio salasso per poter far fronte alle spese militari necessarie a sventare tale minaccia. Per ora sarà proprio il Primo Cavaliere ad anticiparle, ma per volere di Re Robert, tutte le Casate devono partecipare, in diversa misura a seconda delle loro possibilità. Nella sua missiva, lui stesso mi invita a raggiungere Approdo per prendere il mio posto nel suo Concilio, in qualità di Protettore dell’Altopiano, per discutere il da farsi, ma con un così breve preavviso è impossibile che riesca a muovermi in tempo. La mia età e la mia stazza – e mentre lo diceva, rivolse un sorriso alla madre che lo squadrava con una espressione tutt’altro che bonaria – mi consigliano viaggi lenti e ricchi di ogni comodità, quindi dovrò trovare chi mi sostituisca.”
    Il suo volto si fece incredibilmente serio e si soffermò nuovamente su quello del secondogenito, che cominciava già a capire dove stava andando a parare tutta quella rappresentazione di corte.
    “Figlio mio, come ti sarà chiaro, benché questo compito tocchi di diritto a Willas in qualità di primogenito ed erede, sai benissimo che tuo fratello non è in grado di svolgerlo, al mio pari, date le sue condizioni di salute. Quindi sarai tu a rappresentare la Famiglia Tyrell e l’Altopiano tutto presso la Corte di Approdo. Sono sicuro di non doverti rammentare i tuoi doveri verso entrambi e cosa dovrai fare per essi. Sei saggio abbastanza per capirlo da solo e difendere il nostro nome e la nostra ricchezza di fronte ad una causa che non ci interessa personalmente e per la quale non siamo stati neanche interpellati.” Quindi si alzò dal suo scranno e si avvicinò al figlio, posandogli entrambe le mani sulle spalle.
    “Va’ e sappi che non solo io e tua madre, ma anche tutti i presenti in questa aula, crediamo nelle tue capacità. Sei un ottimo cavaliere, ma ancor di più un eccellente politico. Non deluderci.”
    Rimasto senza parole, Garlan osservò i genitori allontanarsi da una porta dietro il palco del padre, mentre maestro Lomys e Willas gli vennero incontro per fargli coraggio.
    “Fratello, vorrei davvero poter venire con te, ma è chiaro che non ce la farei mai. Se avrai bisogno del mio consiglio, scrivimi appena puoi.” - disse Willas e, dopo averlo abbracciato, si avviò anche lui verso l’uscita.
    “Mio lord – Garlan si dovette girare per rivolgersi a maestro Lomys che lo aveva apostrofato – eccoti una lettera da parte di Lord Mace da consegnare a Re Robert in persona. Contiene la tua investitura a Protettore dell’Altopiano e membro del Concilio, almeno finché lui non verrà a prenderne possesso di persona, firmata e sigillata di suo pugno. Buona fortuna.”
    Garlan si trovò allora solo, in una stanza deserta, dalla quale tutti gli astanti si erano velocemente eclissati. Fece scorrere le dita sulla pergamena finché non incontrarono il marchio di ceralacca sul quale si poteva riconoscere la rosa dei Tyrell impressa a caldo. I suoi timori latenti si erano avverati oltre ogni previsione ed ora tutta la responsabilità era caduta sulle sue spalle. Il tempo delle feste, delle giostre e delle cavalcate era finito, ora nelle mani aveva il potere sulla sua vita, sul destino dell’Altopiano e forse di tutti i Sette Regni.
    I suoi passi echeggiarono mentre faceva ritorno alle sue stanze per preparare in tutta fretta il minimo necessario al lungo viaggio lungo la Strada delle Rose.
    “Non ti deluderò, padre, non vi deluderò.”






    HOSTER TULLY Lord of RIVERRUN
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    Lord Yhon Royce
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    00 05/03/2007 00:02
    La Crisi Del Nord - Act. 1
    Finalmente l'agognato riposo... 'Sto prorpio diventando sensibile come una femmina' penso Robert Baratheon.
    Immerso fino al mento nella vasca di acqua bollente, ripensava all'ultimo anno passato in pace, a parte l'attentato, che era costato la vita della guardia reale, aveva nominato da poco infatti una nuova Guardia Reale.
    Varys insisteva sul fatto che fossero Thenn, i maledetti barbari del Nord oltre Barriera, ma a lui era parsi sicari, e dei migliori, se non fosse stato per la presenza di spirito di Ser Barristan, Il Valoroso, a quest'ora il regno avrebbe avuto un altro Re.
    Poco importava, Ser Barristan era rimasto gravemente ferito, e non aveva fatto ancora ritorno in servizio.
    Adesso chi lo proteggeva, aveva anche una fama più sinistra, "Lo sterminatore di Re", Jaime Lannister, aveva quasi letto negli occhi del giovane il disprezzo per il suo bere e gozzovigliare tutti i santi giorni. Per non parlare della sua smisurata pancia, molle e flaccida, era sicuramente il Re del Lardo per il giovane. Chissà cosa avrebbe detto se lo avesse visto adesso. Dopo l'attentato, il Re era sempre sobrio, mangiava il giusto, l'unico stravizio erano ancora il "solito" stuolo di puttane che gli riscaldava il letto. Aveva bisgono di una moglie per limitare questo ultimo eccesso. Ma per il resto aveva recuperato il suo antico splendore, c'era voluta tutta la sua forza di volontà, e ... le bastonate irriverenti di Aron Santagar. Duellavano per 3 ore al giorno, di nascosto, Petyr Baelish aveva ricavato una sala addestramento sotto uno dei suoi Bordelli, in modo che il Re potesse andare a puttane per il popolo e gli occhi indiscreti, ma nella realtà, era un duro addestramento che aveva fatto tornare alla mente la sua giovinezza passata al Nido dell'Aquila con il suo fratello di spada, Eddard Stark. Chissà come se la passava il vecchio lupo, ma presto lo avrebbe rivisto, il torneo era quasi pronto, e presto tutti i Lord avrebbero assistito alla riorganizzazione del regno. Robert aveva capito di aver sbagliato, dopo anni di gozzoviglie, il suo regno si era afflosciato, come la sua pancia, era ora di rimetterlo in tiro, governando con la forza e con l'astuzia dei migliori uomini di cui il regno disponeva.
    I Targaryen non erano ancora sconfitti, c'erano voci dall'est che parlavano del "Re Mendicante", e dei suoi barbari. Tutto doveva essere pronto, laddove intendessero tornare ad infiammare il Westeros.
    Pensò ancora un attimo a Jaime, nelle condizioni in cui era adesso il Re, gli avrebbe tenuto testa sicuramente, il suo ventre ora, non era più flaccido, ma perfettamente scolpito, oltre alle 3 ore di addestramento alla spada, mazza e lancia, con Santagar, ne seguivano altre 3 di duri esercizi per "bruciare la ciccia", così diceva Syro Forel.
    Il braavosiano, era stato assunto proprio con il compito di far perdere 60 chili al Re, nel minor tempo possibile. Ed ora il risultato era perfetto, sarebbe stato pronto per il giorno del torneo. Fino ad allora, che tutti vedessero ancora Robert "Lardo" Baratheon, il povero Re ubriaco di vita e di rosso di dorne, che sedeva sul trono, con la sua panza, adesso finta, e che faessero tutti i commenti che volevano, presto li avrebbe zittiti. Robert usci dalla vasca, si amirò un attimo nello specchio, "Stai invecchiando, e sei più vanitoso di una puttana Vecchio mio" mormorò tra se e se.
    Poi indosso tutti i suoi regali vestiti, tra cui anche la sua regale panza, cucita apposta da una delle sue puttane preferite, e si appresto verso la sala del concilio, doveva vedere Petyr, per il torneo. Petyr Baelish, pareve credere davvero in lui, adesso. Quando gli aveva parlato del problema della ciccia, lui era quello che si era prestato di più ai desideri del Re.Poco tempo prima di adesso, dopo un banchetto, dove gli unici ancora sobri alla fine, erano rimasti loro due, Petyr se ne era uscito con una frase del tipo, "Mi hai conqistato mio Re, adesso sei il Re che desideravo servire da tempo". Robert li per li non aveva prestato molta attenzione alla frase, ma nei mesi successivi, per ogni chilo che perdeva sembrava quasi che Petyr desse una festa, dal tanto che era contento. Adesso aveva in lui il consigliere più affidabile, anche più di Varys stesso. Strana la vita vero? Nel metre era arrivato alla sala del Concilio ristretto.
    Apri le porte e si affacciò sul caos che vi regnava, c'erano tutti i suoi fidi consiglieri rimasti, i generali ed i suoi fratelli.
    "Cosa diavolo sta succedendo da farvi strillare come pescivendoli?" chiese Robert divetito.
    Stannis era buffo quando si agitava, la pelata gli diventava tutta rossa, mentre la faccia era assolutamente pallida, sembra un capotribù dei barbari che infestavano le montagne della Luna nella valle di Arryn.
    "FATE SILENZIO PER TUTTI GLI DEI!!!!" strillo Robert, che con la sua voce tonante, sovrastò tutti.
    "Allora Maesto Pycelle, qual'è questo problema?" chiese Robert.
    "Ci sono grossi problemi a Nord, maestà. HO ricevuto un corvo da Maestro Aemon, dalla Barriera, sembra che gli incubi del passato siano tornati a tormentarci, gli Estranei hanno attaccato Porta della Brina, ed in forze anche e..."
    "Ma quel vecchio deve essere impazzito, gli Estranei sono estinti da un millennio almeno, scrive di fabole per bambini!!!" interruppe Lord Renly Baratheon, Lord di Capo Tempesta e fratello minore del Re.
    "Per la miseria Renly, fai silenzio e lascia finire il Maestro.
    Aemon è vecchio senza dubbio, ma tutt'altro che pazzo o rimbambito. Estranei? Com'è possibile maledizione!!!"
    "Mio Re" proseguì Pycelle" non sono gli unici ad attacare la Barriera, anche Mance Ryder, il Re oltre Barriera, ed i Bruti la stanno attaccando, precisamnte hanno una enorme aramata con tanto di Mammuth e Giganti che sta attaccando il Castello Nero, proprio in questo momento. La situazione è disperata. Ci richiedono un sostegno immediato, soldi o truppe per contrastare la doppia minaccia, altrimenti la Barriera cadrà"
    Robert assorbì lentamente le notizie, sembrava di essere dentro una favola per bambini, senza lieto fine, non avrebbe potuto essercene.
    "Notizie da Ned?"
    "Si mio Re"rispose il maestro" Ned sta venedo qua ad Approdo per il torneo, ma ha lasciato disposizioni al suo esercito di rinforzare Porta della Brina e preparasi a difendere Last Hearth fino all'ultimo uomo, ma il grosso del suo esercito dice che si sta radunando a Grande Inverno, per poi scendere verso l'Incollatura se le cose dovessero mettersi al peggio."
    "Maledizione, Petyr, annulla il torneo, maledetto Mance Ryder, che gli Estranei ti portino alla dannazione eterna, ti farò pentire di non essere rimasto a congelarti le tue misere palle al Castello di Craster!!!!" esclamò Robert, colpendo con un pugno massiccio il tavolo.
    "Petyr, quanto abbiamo nelle casse Reali?"chiese a Petyr Baelish, il maestro del conio.
    "Non abbastanza per mettere insieme una armata sufficientemente forte da fermare i Bruti. Lord Stannis e Lord Renly concordano sul fatto che tutti i grandi Lord dovrebbero contribuire alla causa, ed io personalmente sono d'accordo con loro. Avremo bisogno di almeno 300.000.000 di Dragoni d'oro per fare quello che va fatto" concluse Petyr.
    " Maestro Pycelle, manda a chiamare tutti i grandi Lord, hanno 48 ore per venire ad Approdo del Re. Petyr manda loro anche le cariche che avevamo designato, hai avuto risposta da Lord Balon Greyjoy?"chiese Robert.
    "Dai Greyjoy nulla, a parte il rinnovo del giuramento di servire in modo leale il Trono di Spade. Devo mandare loro una carica fatta su misura o aspettiamo il loro commento?"disse Petyr.
    "Spiega a Lord Balon che non c'è tmpo da perdere, una seggiola nel mio concilio, l'avrà. Basta che porti il suo culo di ferro salato ad Approdo il più velocemente possibile per affrontare questa crisi." rispose Robert
    "E se il Greyjoy dovesse approfittarne per fare scorrerie sualla costa pietrosa, cosa farai fratellone?"chiese Renly
    "Lord Balon ha due figli morti che gli ricordano che non deve farmele girare. Altrimenti divento nervoso, e gli "piallo" le isole di Ferrp e ci faccio bordelli in favore del Dio Abissale!!!!!"esclamò Robert.
    La cosa risultò divertente, ed ebbe il merito di allentare la tensione.Oltre alla risata sguaiata di Renly, fu il sorriso di Stannis.
    Vederlo sorridere, era una cosa rara, questo si mormorava negli angoli bui di Roccia del Drago, dove il Lord aveva il suo castello e dominio.
    "Che gli Estranei ti portino alla dannazzione Mance Ryder ancora, e se non lo faranno loro... ci penserà la mia mazza da guerra!!!!! Ti consegnerò all'oblio come il maledetto Raeghar Targaryen." Robert era furente, chissà come gli alti Lord avrebbero preso la sua richiesta, in questi tempi bui, erano solo 2 le certezze che Robert Baratheon aveva, la lealtà del Nord, degli Stark, e dei Lannister nell'Ovest.
    Ma serviva trovare il modo di legare a se tutte le grandi case, perchè i Bruti erano solo il male minore, l'oscurità si estendeva da Nord a Est, e presto o tardi avrebbe dovuto affrontare entrambe, in una sorta di dejavu, avrebbe ricacciato tutte le minaccie dall'antro oscuro da dove erano uscite, ma se l'oscurità avesse avuto radici anche nel Sud e nell'Ovest?
    Doveva assolutamente evitare questo pericolo, ma come?
    "Robert, ti senti bene?" chiese Stannis
    Le parole del fratello maggiore servirono per portare il Re di nuovo alla realtà.
    "Si Stan, sto bene, come mai prima d'ora. Avete i vostri ordini, eseguiteli. Stannis, prendi una scorta e vai incontro a Lord Tywin ed il suo seguito, idem fai tu Renly, vai incontro al Principe Doran ed i dorniani. Non voglio casini, tutti i lord devono essere sistemati nei loro alloggi senza intoppi.
    Petyr, Varys, voglio notizie più precise sulla situazione della Barriera, è aperta ufficialmente la Crisi del Nord, Maestro Pycelle, raccogli tutti dati in un fascicolo, aggiornato con tutti i dati della crisi, e voglio assoluto silenzio intorno a questa faccenda. Ci mancano solo i mistici ed i Septon che si mettano a berciare sulla fine del mondo ed altre stupidaggini del genere. Mandatemi achiamare Lady Melisandre, ho bisogno di qualcuno che tenga i mistici a freno.
    Lord Beric Dondarion, mettete in allarme le nostre risorse militari, non voglio che nessuno ne possa approfittare e prenderci alle spalle con le braghe calate.
    Davos allestite in fretta la flotta Baratheon, la voglio pronta a muovere entro 72 ore.Stavolta dovremo essere implacabili, se è il terrore che vuole questo pagliaccio vestito di stracci che vuole fare il Re, allora sarà il terrore che avrà.
    E adesso datevi da fare, per tutti i Sette Dei più il resto!!!!" così dicendo Robert si avviò verso l'uscita.
    Il tempo era volato via, in quella maledetta riunione... e Syrio Forel lo stava aspettando, almeno avrebbe pututo scaricare la tensione con gli esercizi del Braavosiano.
    Nella stanza invece, mentre Robert se ne andava, Petyr Baelish, stava distibuendo gli ordini per ciascuno dei membri di quel concilio ristretto improvvisato.
    Per tutti presenti, questo "nuovo" Robert, era quello che ci voleva per riabilitare un regno che era stato per 15 anni sulla via dei bagordi selvaggi.
    Di li a breve, il Re li avrebbe stupiti, con una mossa che aveva quasi dell'incredibile.

    Ma tutto questo quando la Crisi del Nord si sarebbe conclusa, e per allora, l'unica certezza erano i fiumi di sangue che sarebbero seguiti di li a poco...

    [Modificato da Lord Yhon Royce 10/03/2007 0.42]

    Lord Yohn Royce

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    Nella Prima Partita:Lord Yohn Royce
    Nella Seconda Partita: Re Robert Baratheon
    Nella Terza Partita: Lord Jeor Mormont
    Nella Quarta Partita: Lord Mace Tyrell
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    Falce di Luce
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    00 05/03/2007 13:55
    Jon Snow (I) – Porto Bianco

    Le spiegazioni del padre furono sufficienti, Jon non aveva altro da chiedere e nient’altro avrebbe chiesto fino all’arrivo ad Approdo del Re. A volte, guardando il suo metalupo ci si riconosceva. Le analogie erano troppe, esagerate: la nascita, l’essere silenzioso ed a volte freddo oltremisura.

    Da piccolo, cavalcando ed allenandosi con suo fratello aveva sognato di diventare Lord di Grande Inverno. Pensiero che fu presto cancellato dagli sguardi della sua matrigna e dalle dure parole di un Robb troppo piccolo per usare il tatto dovuto. Quelle parole non scalfirono l’amore che aveva per lui; Jon aveva l’età de primogenito… ma era un bastardo. Perché si sarebbe dovuto offendere? Grande Inverno non era sua e non lo sarebbe mai stata. Lo sguardo era fisso su Spettro, ed il selvatico ma silente animale sembrò cogliere e condividere il turbine di emozioni che assalivano il bastardo.

    Dall’ultima visita di suo zio Benjen aveva quasi desiderato di arruolarsi ai Guardiani della Notte, sapeva chi erano prima del giuramento, ma sapeva anche cosa in seguito sarebbero diventati. La gran parte di loro erano reietti, assassini, traditori… ma ora si ergevano a difesa del Regno. Quel giuramento però lo incantò, Benjen glielo recitò più di una volta e lui sempre aveva ascoltato.

    Ed ora... il Re, fratello di Spada di suo padre, sembrava volerlo a corte, forse per essere affiancato al padre o chissà per quale altro motivo.

    Lo sguardo passò lentamente sulla sua sorellina, Arya Stark era la. Troppo piccola per non disperarsi, troppo orgogliosa per piangere. Lei si morse il labbro inferiore, gli occhi erano lucidi… ma non una lacrima sarebbe scesa di fronte a lui ed al padre. La sua metalupa era qualche metro più indietro, gli uomini armati del Porto e di Lord Manderly ormai sapevano come gestire la situazione anche se le loro cavalcature avevano qualche problema in più. Il ragazzo prima carezzò la scalmanata sorella, poi le arruffò i capelli come al solito, si guardarono ancora un istante poi il saluto giunse simultaneo, come spesso accadeva loro "Ci rivediamo presto."
    Fu difficile scostarsi, Ned percepì quella difficoltà ma di li a breve suo figlio sarebbe diventato il Vice-Comandante della Guardia Reale, e lui il Primo Cavaliere.

    'Perchè Approdo del Re?' Non poteva pensarlo ora, non voleva pensarlo. La Capitale del Regno era lontana, avrebbe avuto modo e tempo di rimuginare su quella particolare ed improvvisa situazione. Suo padre gli aveva raccontato così tante cose riguardo il Re che gli sembrava quasi di conoscerlo da anni. E tutto quel che aveva appreso, non avrebbe potuto che aiutarlo nella sua missione. Dall'altra parte però si sarebbe potuto rivelare di grande aiuto per il Fratello, da sempre ogni cosa che facevano la facevano assieme... da quel giorno probabilmente non sarebbe più stato così.

    Jon Snow salutò il Lord di Porto Bianco, la sua guardia personale, Nymeria ed infine Arya, ancora una volta... indicandola con la mano e facendole un gesto di intesa.

    Poi tutto accadde in un attimo… non bastavano gli Estranei alla barriera. Ora i Bruti! Jon pensò allo Zio… ma fu un pensiero fugace. Erano troppi secondo il rapporto dei Guardiani della Notte. Attese la reazione del padre borbottando qualcosa.
    Il Lord di Grande Inverno, e protettore del Nord diramò i suoi ordini, uno dei quali era diretto proprio al figlio "Noi facciamo quello che Robert comanda! ...e ora sali!"

    Jon Snow salì sul ponte della nave, Spettro lo seguì da vicino. In seguito non scostò lo sguardo dalla terra finquando fu visibile pregando gli Antichi Dei affinchè la barriera contenesse l’avanzata dei Bruti.

    [Modificato da Falce di Luce 18/03/2007 23.34]



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    00 08/03/2007 14:50
    JEOR MORMONT

    “Aemon!”
    la possente voce del Lord Comandante spacca il silenzio del Castello Nero, un silenzio dovuto alla tragica situazione ed ai troppi morti che la confraternita in poche settimane aveva subito.
    Il Maestro con il solito passo lento e cadenzato si ferma di fronte all’arco della sala comune fissando con i ciechi occhi Mormont.
    “desiderate?”
    chiede a basso tono quasi a non voler disturbare il clima di morte che nella sala è da tempo sceso.
    “ Dobbiamo colpire i bruti, e dobbiamo farlo subito.”
    Le mani del possente Guardiano sono pesantemente appoggiate al tavolo di quercia.
    “ temo che con le forze che possediamo ora andremmo solamente al massacro accrescendo la loro morale con un’ennesima vittoria. A mio avviso sarebbe invece saggio approfittare di questa quiete per riprendere il controllo della Barriera. Inoltre abbiamo stipulato un patto con Mance…”
    “Aspettare?” ribatte il comandante con un accenno d’ira dipinto negli occhi
    “ Rispettare patti? Non sei tu, Vecchio, ad essere stato catturato con l’inganno e con il tradimento.”
    Il maestro non si scompone neanche per un istante limitandosi a rispondere con il solito imperturbabile tono:
    “senza questo patto voi sareste ancora nelle celle dei bruti”
    Al contrario il Lord Comandante non accetta con altrettanta indifferenza l’affronto volgendo gli occhi ora furenti in direzione dell’esile saggio.
    “Non possiamo prevedere i voltagabbana! Gli ho offerto alleanza e le uniche risposte che ho ricevuto sono stati 300 000 thenn di fronte al mio castello e più di 10 000 fratelli caduti. Mi state forse dicendo che sono colpevole di questo?” Aemon Targaryan si porta accanto a Mormont con pochi passi.
    “di certo il colpevole non siete voi” gli risponde “solo che perché la giustizia sia servita occorre ancora tempo…”
    Non fa in tempo a finire la frase che Jeor si alza dalla sedia violentemente gettandola lontano dietro di lui. “ Sono centinaia di anni che i Guardiani della Notte prendono tempo… o forse dovrei dire che PERDONO tempo, la maggior parte dei quali sotto il vostro consiglio! Ed ora? Basta un solo assalto di Mance Raider e siamo già in rotta? Le cose devono cambiare qui… e devono cambiare in fretta!”
    “la situazone attuale è ingestibile…” ancora una volte le parole dell’anziano vengono interrotte dalla forte voce del Lord: “ Non parlo della situazione attuale Aemon! Parlo di decenni e decenni di dimenticanze e polso debole! Debolezza che VOI, maestro, avete consigliato ed accettato…”
    “saremmo dovuti scendere nelle strade dei sette regni e prelevare ogni ragazzo in grado di impugnare la spada per portarlo a lottare sulla Barriera per ideali che ormai sono morti e sepolti nel cuore delle genti che difendiamo? gli unici uomini che riusciamo ad arruolare sono avanzi di galera che ci vedono come unica alternativa a una inevitabile morte.”
    Il lord comandante alza un dito puntandolo contro il maestro.
    “E questo è per colpa Vostra e delle vostre blande decisioni!” Il maestro sembra soffrire a queste ultime parole ma il Lord comandante prosegue imperterrito
    “ Avremmo dovuto ESIGERE non chiedere aiuto dalla corona,
    Avremmo dovuto esigere un posto nel concilio ristretto per discutere di uno dei più grandi scudi dei Sette Regni,
    Avremmo dovuto evitare di chiuderci come un impotente riccio.
    Avremmo dovuto evitare il silenzio quando invece era il momento di urlare.
    Avremmo dovuto evitare di dormire quando era tempo di agire.
    Forse in questo modo non saremmo diventati inutili, invisibili e lontani dal cuore degli uomini…”
    Aemon ascolta ogni singola parola con grande attenzione, immobile con gli occhi rivolti a terra come era solito nei momenti di concentrazione. Appena le parole di Mormont si concludono prende la parola:
    “Almeno tutto ciò che è successo ora è servito a far capire ai bruti cosa li attende oltre la barriera, a far capire al re la nostra importanza, a rimettere in luce la nostra precaria situazione!”
    Il comandante scuote la testa tornando a fissare negli occhi il vecchio.
    “E’ per mettere in luce la nostra situazione che sono morti migliaia di uomini fedeli ed innocenti?”
    “Uomini morti compiendo il loro dovere, assolvendo sino in fondo il loro giuramento” Non demorde l’anziano confratello sostenendo lo sguardo del Lord.
    “Uomini morti Aemon! L’avete detto” le mani appoggia di nuovo sul tavolo scostando lo sguardo dal maestro come se in un attimo avesse perso ogni interesse per quell’ uomo. “ora andate! andate nella vostra torre a parlare ai vostri re! intanto mandatemi qui il monco e Denys Mallister...la nostra discussione è terminata!”
    “Se mi è permesso Mio Lord…” cerca di dire Aemon a tono basso ma subito forti e possenti giungono le parole del Vecchio Orso. “Non vi è permesso… andate!”
    Senza indugiare oltre l’anziano confratello volge lentamente i propri passi in direzione della porta e scompare nelle tenebre.






    Jeor Mormont

    Udite le mie parole, siate testimoni del mio giuramento
    Cala la notte, e la mia guardia ha inizio
    Non si concluderà fino alla mia morte
    Io non avrò moglie, non possiederò terra, non sarò padre di figli
    Non porterò corona e non vorrò gloria
    Vivrò al mio posto, e al mio posto morirò
    Sono la spada delle tenebre
    Il corno che risveglia i dormienti
    Lo scudo che veglia sui domini degli uomini
    Consacro la vita e l’onore ai Guardiani della Notte
    Per questa notte e per tutte le notti a venire
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    Lord Yhon Royce
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    Condottiero di Eserciti
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    00 10/03/2007 00:41
    La Crisi del Nord - Act 2
    Il sole stava tramontando su Approdo del Re.
    Era sta una giornata bella, calda, la classica giornata di fine estate, la popolazione della capitale, l’aveva trascorsa nel solito modo, tutti affaccendati nella loro routine quotidiana.
    Anche nella Fortezza Rossa c’era stato il solito movimento, la tranquilla routine di tutti i giorni.
    Ma nel solarium privato di Re Robert, stava per scatenarsi una scura e violenta tempesta.
    “CHIACCHIERE?” esclamo Robert in preda ad un eccesso di rabbia.
    “Mio Re non la vedrei così male, i Lord vogliono solo sapere…” Maestro Pycelle, cercava argomentazioni per calmare la furia del Re.
    “Pycelle maledetto te, STAI ZITTO!!!!”urlò Robert.
    “So leggere dannatamente bene!!!!! Io chiedo loro fondi per fermare i barbari e loro mi rispondono con delle chiacchiere, ecco cosa. Lord Balon non si rende conto, Jon Arryn, Garlan Tyrell, quel maledetto Pesce Nero, stanno tutti negoziando, neanche fossi io che ho voglia di scatenare una maledetta guerra!!!!!!!!!”
    “Ma Robert le missive che vi siete scambiati tu e Balon, erano tutto, tranne che un dialogo tra vecchi amici.” si intromise Renly Baratheon.
    “Lui ha esagerato, e tu gli sei andato dietro, con il risultato che adesso, chissà se farà quanto richiesto. Siamo in una situazione delicata Robert, devi essere prudente, non tutti credono quello che crediamo noi.” Intervenne cauto Stannis Baratheon.
    “Che credano quello che vogliano, alla malora loro ed i loro soldi!!!!
    Stolti miopi pidocchi, tutti intenti a contare i loro sciocchi denari, cosa faranno quando gli Estranei andranno a bussare alla loro porta?
    Verranno strisciando da me, per chiedere aiuto, ma io non ci sarò per allora, perché intendo stroncare questa cosa SUBITO!!!!!!”.
    Era da parecchio tempo che Robert Baratheon non si infuriava a quel modo.
    Dopo gli ordini impartiti appena appresa la notizia della caduta della Barriera, l’umore del Re era peggiorato, successivamente le risposte dei Lord, avevano fatto infuriare Robert fuori misura.
    Fatta eccezione di Lord Tywin e Lord Eddard, tutti gli altri lord, appena saputo della caduta della Barriera, e ricevuto la richiesta di denaro da parte della corona, avevano preferito rimandare la loro visita ad Approdo del Re, quasi che temessero che una volta la, avrebbero dovuto piegarsi a forza ai voleri di Robert.
    Le missive più impudenti erano arrivate dai Greyjoy, che alludevano a minacce, che il Re stesse tramando con gli Stark per indebolire le altre casate, alla esclusione dalle cariche del concilio, cosa che era avvenuta per una incomprensione. Ad ogni missiva velenosa di Lord Balon, ne seguiva una altrettanto velenosa di Robert. Le trattative con loro erano ad un punto morto.
    Le altre casate, bene o male stavano per accettare quanto richiesto da Robert, quando dal nulla arrivano due risposte che fecero perdere le staffe al Re in maniera inequivocabile.
    Prima i Tully che cavillavano sui capitali delle varie casate, ed avevano messo sulla loro missiva, finissimi calcoli percentuali, su chi e cosa avrebbero dovuto versare le varie casate, e ci sarebbero dovuti essere dei rimborsi sui caduti ed altre storie del genere. Praticamente si erano sostituiti al Re, dicendo loro che cosa andava fatto o meno, cosa alla quale Robert aveva spaccato a metà un tavolo colpendolo con uno dei suoi pugni possenti.
    “Conosco Brynden Tully da una vita, ma mai mi sarei aspettato di ricevere una missiva del genere da parte sua. Sembra che la pace lo abbia trasformato da valoroso ed impavido guerriero ad un pidocchioso burocrate da servizi di credito. Cosa cavolo vuol dire un rimborso del 40% sui caduti!!!! Che gli estranei ti portino alla dannazione Brynden Tully!!!”
    La cosa più offensiva di tutta la faccenda era che tutte le casate, a parte Arryn, Lannister e Stark, le avevano accettate.
    Inoltre il silenzio dal Nido dell’Aquila, era quasi imbarazzante. L’unica risposta per adesso scaturita dalla Valle, era Lord Yohn Royce, nella guardia reale.
    Per il resto silenzio.
    “Senti Robert, i Lord oramai sono tutti d’accordo con la missiva dei Tully, addirittura Lord Garlan, afferma di sentirsi come un limone spremuto. Non possiamo far altro che accettare le loro richieste, smettila di rispondere a Greyjoy, che vada alla malora lui e le sue maledette isole. Tu sei sicuro di voler spendere tutto il capitale indicato? Rimarremmo molto a corto in caso di emergenza” disse Renly, con il tacito assenso si Stannis.
    “CHE GLI DEI MI SIANO STESTIMONI, SE QUEI DEMONI DOVESSERO SPINGERSI FINO A DELTA DELLE ACQUE, ANDRO’ LAGGIU’ A RIDERE, MENTRE LORD BRYNDEN CERCHERA DI TRATTARE CON LORO!!!!” tuonò Robert.
    “ Se vogliono la maledetta firma su quel pezzo di carta, e sia, l’avranno, manda una missiva a Brynden, digli che lo incontrerò insieme a Garlan dove vorranno loro.
    Prenderemo quel che ci danno, non possiamo fare altro.
    Petyr, convoca Lord Tywin Lannister, esponi la cosa e chiedi la differenza di quello che manca a loro” disse Robert in uno dei pochi momenti di non collera assoluta.
    “Maestà, consideralo fatto, Lord Tywin si è anche permesso di mandare un paio di consigli tattici, ai quali io darei ascolto, o per lo meno li terrei presenti” rispose Petyr Baelish.
    “Petyr un’altra cosa, trovami Gareth, ha detto che sarebbe stato giù al porto, alla Locanda Bacco per Bacco, ho un compito per lui”disse Robert sorseggiando birra scura dal suo otre personale.
    “Gareth? Gareth Jax, il tuo vecchio amico maestro d’armi?” chiese incredulo Renly.
    “Certamente, se questo Re da operetta dei Bruti vuole la guerra, glie ne servirò una su misura. Nessuno meglio di Gareth conosce la Barriera e l’oltre Barriera, ha servito da giovane nei Guardiani, prima di annullare il suo giuramento. Era un Celtigar, prima di annullare il suo cognome ed indossare il Nero. Da giovane offese il Re folle, e suo padre riuscì a salvarlo dalle grinfie di Aerys, mandandolo alla Barriera, ma Aerys volle che per punizione perdesse il cognome e diventasse Storm, come i bastardi, ma suo padre gli diede un cognome delle isole dell’estate, Jax.
    Aerys andò in visibilio, senza sapere che chiamarsi ascia lucente, era molto meglio di Storm
    Eravamo come fratelli, e gli anni con addosso il mantello nero, lo hanno fatto diventare un maestro d’armi e comandante come pochi ne esistono.
    Adesso, serve me, da quando sono Re, come mio agente.
    Sarà lui ad andare a Nord per guidare le mie truppe, non quelle della “coalizione”, li serve qualcuno che sia pratico di guidare grandi eserciti, e che abbia più pazienza che polso. Manderemo Ser Patrek Velaryon, ha comandato per anni una delle più grosse compagnie di ventura oltre il mare stretto. Lui saprà cosa fare.”
    “Manda me e Stannis a comandare il tuo esercito maledizione” esclamò Renly”a che ti serviamo qua?”aggiunse.
    “Dobbiamo avere i Lord dalla nostra parte, fate preparare a Davos la flotta, voi partirete tra 2 settimane, ed andrete ad aiutare Gareth, così tutti Lord vedranno in Velaryon, un comandante neutrale, più incline alla calma e non un pazzo sanguinario.”
    “Mio Re, sapendo che avreste chiesto di Gareth, mi ero già preso il disturbo di farlo convocare, è qua fuori che aspetta, lo faccio entrare?”chiese Petyr affabilmente.
    Grazie agli Dei la collera di Robert era violente quanto breve, ed ora era sbollita quasi completamente, adesso doveva essere lucido, per affrontare i piani di battaglia.
    “Certamente, fallo entrare. Bravo Petyr, mi stupisci sempre più, ogni giorno che passa!!!” disse Robert.
    Le guardie aprirono la porta, ed il misterioso Gareth Jax face il suo ingresso. Sebbene non fosse più nei Guardiani della Notte, Gareth indossava il nero, una maglia di cotone nero, pantaloni di pelle neri, stivali rigorosamente neri e, sopra la maglia, indossava un corpetto di cuoio nero istoriato di rune. Alto, di bell’aspetto, aveva capelli corvini mossi, lunghi fin sotto le spalle, portati rigorosamente spettinati, gli occhi verdi come smeraldi, il viso affilato con labbra ne sottili ne carnose e l’espressione scanzonata, avrebbero fatto di lui un bellissimo uomo sulla trentina d’anni.
    Ma la cicatrice trasversale che aveva sul lato sinistro del volto, che partiva dalla tempia sinistra per arrivare all’angolo sinistro della bocca, rovinavano il viso di Gareth.
    Gareth avanzo con passo felpato, da animale predatore, fino al tavolo del Re.
    “Ho sentito voci su questa crisi Robert, e mi sono preparato, sapevo chi mi avresti fatto chiamare”disse abbracciando Robert come un fratello.
    “ Maledettamente vero Gareth, bevi con noi? Ragazzo porta un barilotto di vino del Dorne, quelli d’annata, nella mia riserva personale!!!” esclamò Robert in direzione del coppiere reale.
    “Bene, allora Gareth ti darò denaro sufficiente da armare un piccola compagnia, massimo 2.000 uomini, con qualche macchina da guerra. Il tuo compito sarà quello di attirare l’attenzione di Mance Ryder, in modo da farlo tornare oltre Barriera” disse Robert.
    “D’accordo, da dove partirò?” chiese Gareth.
    “Dalla Torre delle Ombre, colpirai La Gola ed il castello di Craster, sembra che ci sia un personaggio chiamato Harma testa di cane, quello è il tuo obiettivo”aggiunse Robert.
    “Ma Robert, chi ci dice che quel maledetto non abbia truppe sufficienti da farci la pelle subito?”chiese Renly.
    “Dalle informazioni fornite da Petyr, sembra che il pazzo furioso abbia concentrato tutto nel suo esercito che ha spezzato il Castello Nero. No dovrebbero esserci molti nemici, e nel caso ci fossero, Gareth saprà come intrattenerli da buon padrone di casa!!!!”esclamò Robert in una delle suo roboanti risate.
    “Quindi, ricapitolando, io devo colpire La Gola, il Castello di Craster, fare prigionieri, laddove ce ne siano e poi?” chiese Gareth
    “Ripiegherai sulla torre delle Ombre, e li sarai Raggiunto da Renly e Stannis, con nuovi ordini
    Ma per ora esegui queste tre mosse. Poi vedremo.
    Adesso tocca lui muovere, dobbiamo vedere come e dove attacca, e prepararci alla contro offensiva.
    Parti subito Gareth, Petyr ti dirà come fare e ti darà Dragoni d’oro”concluse Robert.
    Petyr e Gareth uscirono dalla stanza per effettuare i preparativi per la partenza.
    “Bene Robert il resto dell’attacco me si svolgerà?” chiese Stannis incuriosito.
    “Per quello ho bisogno Ned e di Jaime, servono anche Lannister e Stark” e così dicendo uscì dal solarium, per quel giorno di piani di battaglia ne erano già stati fatti in abbondanza.
    Ora c’erano gli esercizi con Forel, per oggi basa incazzature.

    Presto Mance Ryder avrebbe raggiunto la convinzione che restare al nord della barriera, avrebbe fatto molto, molto meglio.

    [Modificato da Lord Yhon Royce 10/03/2007 0.41]

    [Modificato da Lord Yhon Royce 10/03/2007 0.42]

    Lord Yohn Royce

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    Nella Prima Partita:Lord Yohn Royce
    Nella Seconda Partita: Re Robert Baratheon
    Nella Terza Partita: Lord Jeor Mormont
    Nella Quarta Partita: Lord Mace Tyrell
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    Tyrion
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    Tessitore d'Ombre
    00 10/03/2007 16:22
    TYRION I

    Il piccolo Tyrion, rappresentava quanto di più distante potesse esserci dal Lord suo padre: se Tywin sprigionava austerità, autorevolezza, il figlio, al massimo, riusciva a strappare risate di scherno e diffidenza. Se da una parte il lord di Castel Granito era temuto e rispettato da tutti, circondato da un alone di ossequioso timore, dall’altra il figlio deforme veniva visto da tutti come una falla, un errore, uno scherzo che il destino aveva giocato alla casata Lannister.
    Tyrion, naturalmente, all’età di 24 anni, sapeva tutto questo e molto altro ancora, aveva imparato a conviverci, ed, in molti casi, a sfruttare questa condizione a suo vantaggio. Non c’era persona in tutto l’Ovest che non lo conoscesse almeno di vista, non c’era mercato, osteria, bordello ove il nano non avesse mai messo piede. Le lunghe giornate sottratte all’addestramento militare, per il quale non era mai stato ritenuto degno, gli avevano permesso di dedicarsi con interesse e costanza agli studi, tanto che la sua cultura spaziava in ogni campo e la sua erudizione poteva competere con quella di un giovane maestro della Cittadella.
    Per suo padre non costituiva altro che una vergogna, ma un uomo della levatura di Tywin, non poteva fare a meno di osservare, se non apprezzare, le indubbie qualità anche di questo figlio.
    “Convocatemi mio figlio.” Lord Tywin impartì perentoriamente questo ordine ad un drappello di suoi servitori.
    “Ser Jaime intendete mio Lord?” Chiese timidamente qualcuno.
    “No, l’altro” Rispose secco Tywin.

    Pochi minuti più tardi Tyrion, con aria interrogativa varcava la soglia della sala ove il padre aveva ritenuto di riceverlo. Di per sé il fatto costituiva un avvenimento straordinario. Lord Tywin non aveva mai convocato il figlio deforme in udienza privata se non per redarguirlo per qualche sua mancanza, ma questa volta, pur cercando attentamente dentro di sé, il nano non riusciva proprio a trovare una motivazione plausibile, quanto meno in linea con le precedenti.
    “Come credo ormai saprai, il Re richiede la nostra presenza ad Approdo del Re, per discutere e risolvere alcune importanti questioni che riguardano il Nord” Esordì Tywin. “Chiaramente è mia intenzione rispondere al meglio alla chiamata del nostro sovrano e, ovviamente, utilizzare questa rara occasione per contribuire al benessere del Regno, ma anche della nostra Casata.”
    Tyrion ascoltava in silenzio, si sforzava di assumere una espressione quanto più evocativa di interesse e sacralità, come il momento, evidentemente, richiedeva.
    “A tale scopo – Continuò il Lord – al più presto io, tuo fratello Jaime e tua sorella Cersei partiremo al più presto”
    “Mmm, mio padre andrà a batter cassa, evidentemente vuole tornare a Castel Granito con qualche nomina in tasca e probabilmente anche con una figlia in meno” Pensò Tyrion, mentre suo padre continuava a parlare.
    “Tuo fratello Jaime, mi ha chiesto di lasciare venire anche te in questa missione diplomatica, ma io non ho la minima intenzione di lasciare che tu rovini tutto, come tuo solito e poi ho altri piani per te.”
    Tywin fece quindi una pausa dopo aver pronunciato queste parole e fissò dritto negli occhi il figlio deforme. Tyrion, pur protetto da una spessa corazza fatta di sarcasmo, distacco emotivo e imperturbabilità, non mentì a sé stesso, e accordò al padre una potenza indiscutibile, quanto meno, nell’uso del linguaggio non verbale. Con poche parole, con le espressioni del volto e con l’atteggiamento del corpo, il Lord di Castel Granito, aveva ottenuto che il figlio lo ascoltasse in silenzio, che non si permettesse di ribattere, quanto meno nell’immediato, e che non si sognasse minimamente di disubbidire agli ordini: “Cosa intendete per piani esattamente?” Fu tutto ciò che Tyrion riuscì a dire.
    “Tu non verrai con noi perché dovrai prepararti al tuo nuovo ruolo. Mentre Kevan, mio fratello si occuperà dell’ordinaria amministrazione delle terre dei Lannister durante la mia assenza. Tu, invece, inizierai a prendere confidenza con il ruolo di Portavoce della Casata o, se preferisci, di Sovrintendente per le relazioni diplomatiche.”
    Il piccolo nano era senza parole, per la prima volta nella sua vita, suo padre aveva ritenuto opportuno affidare a lui un incarico. Qualunque cosa ciò comportasse, costituiva sicuramente una novità assoluta: suo padre aveva in mente grandi cambiamenti, cambiamenti che avrebbero coinvolto l’Ovest, ma forse anche tutti i Sette Regni.
    “Per ora è tutto. Presto riceverai informazioni più dettagliate riguardo questo incarico. Per ora, ti basti sapere che non lascerai Castel Granito assieme a noi, ma dovrai essere fin da subito pronto a viaggiare molto e comunicare a mio nome con i Lord del regno. Ora sei libero.”
    Tywin non aggiunse altro e Tyrion non impiegò molto ad andarsene con un turbine di pensieri in testa.
    TRANSIRE SUUM CORPUS MUNDOQUE POTIRI

    Tyrion Lannister
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    Joachim Fargorn
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    00 13/03/2007 01:17
    PETYR I

    Quando giunse il corvo da Approdo del Re, Petyr Baelish si trovava seduto ad un modesto tavolo della sua modesta dimora delle modestissime Dita.

    Quel tavolo in legno di pino era talmente malandato che, ogni volta Petyr vi si appoggiava, emetteva uno scricchiolìo sinistro, come se stesse per cedere da un momento all’altro. Ma un elogio bisognava farglielo. Nonostante i rumori sinistri, mai aveva ceduto. Definire la sua dimora umile, forse, era farle un pregevole complimento. Non aveva neppure un nome, il luogo di cui Petyr Baelish era signore. Forse dovrei chiamarlo Forte Triste. Rende bene l’idea, aveva sempre pensato, sarcasticamente.
    Prima o poi avrebbe dovuto ricevere quel corvo, l’uomo lo sapeva. Ma dovrò aspettarlo un mese, due mesi, un anno o dieci anni? si chiedeva continuamente. Ci sarebbe stata parecchia differenza. Per il regno e per i suoi piani.
    Quello che sovente faceva, dunque, era rimanere rintanato in quella stanza, a pensare. Spesso a fargli compagnia c’era il buon vecchio Bryen, quasi ottantenne, ma ancora baldo e giovane nello spirito. Spesso i due giocavano a un gioco da tavolo dorniano, chiamato cyvasse, su una povera scacchiera di acero. Ma Petyr avrebbe volentieri evitato qualsiasi partita, se fosse stato possibile, visto che il gioco durava pochi turni. Sempre meno, a dire la verità, durante i quali il vecchio Bryen osservava, strabuzzando gli occhi, come le sue pedine venivano eliminate in fretta, una dopo l’altra, lasciando spazio alle pedine dell’avversario. Altre volte, per ammazzare il tempo, Petyr si era messo a controllare il lavoro di Kella, la donna dalla mente semplice che si occupava del suo vastissimo gregge di pecore, ammontante all’incirca a ventitrè striminzite unità.
    Sarebbe stato ben più divertente trascorrere quel tempo a Nido dell’Aquila.
    Con Jon Arryn, Primo Cavaliere del re, gravemente malato e deposto dal suo incarico reale, avrebbe potuto offrirsi come aiutante di Lysa Arryn come reggente della Valle, cosa che non avrebbe avuto difficoltà ad ottenere. Ma aveva sempre saputo che se lo avesse fatto, probabilmente il corvo da Approdo del Re avrebbe anche potuto tardare ulteriormente.
    E questo non sarebbe dovuto accadere.

    Ma il corvo era giunto. I gomiti appoggiati al tavolo, con una mano il lord delle Dita si teneva la fronte, con l’altra si carezzava il pizzetto. Dalla sua stanza, con le impolverate tende di lino tirate per non far filtrare la troppa luce che lo avrebbe infastidito, già da tempo Petyr Baelish aveva sentito diversi rumori non comuni da quelle parti. Chiacchiericcii eccitati, bisbigli, sospiri. Quelle erano cose da corte di Approdo del Re, o al massimo da Nido dell’Aquila, Grande Inverno, o Delta delle Acque. Cose da grandi castelli, non di un misero posto così piccolo, tetro e sinistro.
    Per un attimo, nell’oscurità dissipata appena da qualche raggio di sole che filtrava dalle tende, Petyr inarcò un sopracciglio. Poi sentì dei passi sulle scale che portavano alla sua stanza. Passi noti, certo, ma con una caratteristica diversa dal solito. Tanto per cominciare, erano passi affrettati. E in più, e questo era bastato a convincere il lord delle Dita che era successo qualcosa di davvero inconsueto, a salire le scale erano due persone. Un avvenimento eccezionale, da quelle parti.
    Petyr Baelish udì dei colpi alla porta. Prima insicuri, poi più decisi. La porta si trovava alla sua sinistra, rispetto al posto del tavolo di legno di pino al quale era seduto. Alle sue spalle, c’era l’ampio letto a baldacchino, vecchio e impolverato anch’esso, mentre di fronte a lui si trovava la grande finestra, celata dalle tende di lino.
    “Avanti,” disse con voce ferma, rimanendo seduto al tavolo e voltando la testa in direzione della porta.
    Il sole era nel punto più alto del cielo, a quell’ora, quindi quando la porta venne spalancata entrò un fastidioso fascio di luce. Petyr distolse lo sguardo e si coprì con la mano gli occhi grigioverdi. Stare troppo al buio poteva diventare pernicioso. Nella stanza entrarono, come aveva intuito, due persone.
    “Milord, buongiorno.” disse la voce di un vecchio, che Petyr riconobbe subito come quella di Umfred, il suo fidato castellano. Notò anche una nota di incertezza, nella sua voce.
    Umfred aveva appena finito di parlare, quando si aggiunse una voce femminile.
    “Mio piccolo Petyr, ti chiedo scusa, ma mi sono permessa di... e non ho potuto non venire con Umfred... è... è così...” la voce di Grisel, la vecchia, grassa donna che una volta era stata la sua balia, risuonava molto più eccitata di quella di Umfred.
    Ha letto la lettera? Impossibile. Grisel non ha mai saputo leggere.
    “Certo, naturalmente sarà così, miei buoni amici,” fece Petyr, con un leggero tono di irritazione nella voce che gli altri due non colsero, “ma prima di dirmi tutto, entrate pure e chiudete la porta dietro di voi, vi prego.” concluse.
    Umfred annuì, si girò e obbedì alla richiesta, con un movimento secco. La vecchia Grisel, dal canto suo, chinò la testa di lato, e guardando in direzione di Petyr, nell’oscurità che si era nuovamente formata. “Ma Petyr, perché ultimamente stai sempre chiuso qui dentro senza luce? C’è un così bel sole, fuori! Se sapevamo che eri messo così, ti portavamo senz’altro anche qualcos’altro, e...”
    “La vostra gentilezza è qualcosa che mi sorprende ogni volta, potete esserne certi.” l’interruppe gentilmente Petyr Baelish, sorridendo alla donna che era stata la sua balia. Si alzò dal tavolo e si stiracchiò.
    “Pare proprio tu abbia ragione, Grisel. Vediamo di fare un po’ più di luce, qui dentro.” Vedendo che Umfred stava quindi tornando ad aprire la porta, lo ammonì.
    “No, amico mio, la porta deve rimanere chiusa. Non sappiamo chi possa essere in ascolto.” Forse è qualcosa di esagerato, quassù, ma non sono certo sopravvissuto trascurando i particolari, pensò. Umfred si bloccò senza protestare, e tornò a fianco di Grisel. Petyr si avviò verso la tenda di lino, e con un movimento secco la scostò dalla finestra, con occhi chiusi. Venne immediatamente investito dalla luce del sole che filtrò dalle finestre, di un vetro puro e semplice, senza decorazioni, e in qualche modo si sentì più pronto ad affrontare quello che sarebbe venuto. Aprì gli occhi e godette del panorama di fronte a lui, quel bel panorama di mare e montagna a un tempo.
    Le Dita. Chissà quando le avrebbe riviste? No, non devo correre troppo. Una cosa alla volta, si disse lord Petyr Baelish. Quindi si voltò verso Umfred e Grisel. Ora la stanza era decisamente meglio illuminata.
    Petyr Baelish sorrise ai due vecchi compagni, facendoli sentire a loro agio. Non li fece accomodare al vecchio tavolo, in quanto sapeva che difficilmente avrebbe retto un peso maggiore del suo, se si fossero appoggiati a esso. E Grisel aveva un peso maggiore del suo.
    “Ebbene, ditemi, sono qui.” disse con voce allegra, allargando le braccia. Umfred annuì e si trasse dalla tasca una lettera. Proprio come aveva sperato. Grisel emise un gridolino di soddisfazione. “E’ arrivata poco fa questa lettera per te, milord,” cominciò il castellano, soppesando le parole, con tono molto più formale della grassa balia, “con un corvo proveniente da Approdo del Re.” Il lord delle Dita mantenne la stessa espressione allegra di prima, mentre Umfred parlava. Aveva imparato a dominare le sue espressioni facciali. Ma quando il vecchio finì, sul suo volto si dipinse un’aria interrogativa.
    “Approdo del Re? Cosa potrà mai volere Sua Maestà da un suo umile servo come me?” Le parole gli vennero fuori con tono perfettamente naturale. Poi tese la mano, e con espressione e voce nervosa chiese, “Dammi la lettera, Umfred, per favore.”
    Il castellano gliela porse subito. Quando Petyr la prese in mano, Grisel lanciò un altro gridolino di approvazione, stavolta sommato ad una pacca sulla spalla del vecchio Umfred, che barcollò visibilmente.
    Era evidente che la lettera era già stata aperta. Il che non era affatto una cosa positiva. La bolla di cera rossa usata per chiuderla era stata staccata, ma la lettera era stata richiusa nel migliore dei modi. Sotto il segno della cera rossa staccata, il cervo nero in campo oro dei Baratheon sfolgorava. Petyr Baelish, lord delle Dita e di Forte Triste, la aprì, tradendo un tremito.
    E la lesse.
    “Oh, sono così... così fiera di te, Petyr!” mugugnava Grisel, con un’espressione commossa sul volto. Petyr, in tutta risposta, dopo aver letto la lettera, le rivolse un sorriso smagliante. Ovviamente non ha letto la lettera. Ora capisco. Ha solo visto lo stemma dei Baratheon e ha intuito che dovesse essere qualcosa di importante. Povera donna...
    “Sì, devo ammettere di aver fatto un buon lavoro.” si concesse. La frase sarebbe suonata del tutto innocente alle loro orecchie.
    “E’... è vero, dunque?” chiese Umfred il castellano con espressione interrogativa. “Milord, voglio dire, io non ho letto la lettera, tu hai sempre ordinato di non leggere mai la tua corrispondeza e Grisel non faceva che balbettare cose quasi incomprensibili, e... ecco, volevo sapere se era vero.” Petyr lo lasciò finire di balbettare, pazientemente. “Ebbene sì, mio fedele castellano, pare proprio sia vero,” sorrise, studiando l’espressione dell’uomo di fronte a lui. Aveva letto la lettera o no? “Il nostro buon re Robert Baratheon mi convoca ad Approdo del Re, per ricoprire la carica di Maestro del Conio e per sedere con lui nel Concilio Ristretto.” concluse, con soddisfazione. E questo fu il colpo di grazia per Grisel, che si lasciò andare del tutto, corse verso di lui senza neanche lasciargli il tempo di reagire e gli si allacciò al collo in un formidabile abbraccio. “Oh, Petyr, Petyr, Petyr! Se tuo padre potesse vederti, come sarebbe orgoglioso di te!”
    Petyr sorrise, cercando di non soffocare tra i pesanti abbracci della donna. “Ne sono sicuro, Grisel.” In realtà non ne era sicuro affatto, ma questo non aveva importanza. Il vecchio Baelish era nella tomba da un pezzo, e il giovane Baelish aveva già il suo daffare a controllare i vivi. I morti li avrebbe lasciati ai Sette Inferi. Finalmente Grisel si staccò, e Umfred prese la parola. “Mio signore, cosa posso dire, sono onorato di servirvi come castellano. Dovrete andare ad Approdo del Re, immagino.”
    “Sì, è proprio così, Umfred.” gli rispose.
    “Sarò dunque fiero di svolgere il mio compito di castellano durante la vostra assenza, milord.” proseguì il vecchio. Petyr Baelish annuì e gli si avvicinò assieme a Grisel, stringendogli calorosamente la mano.
    “Le Dita mi mancheranno. Vedete bene di mantenere questo posto così com’è, amici miei” disse il nuovo membro del Concilio Ristretto.
    “No, Petyr, questo posto non rimarrà un porcile, ora che sei così importante...” intervenne Grisel, raggiante.
    “Grisel, hai sentito l’ordine del tuo lord. Obbedisci e basta.” la interruppe seccamente il vecchio Umfred.
    Ah, questo posto non mi mancherà per niente. riflettè Petyr Baelish. Si rivolse quindi ai due nella sala.
    “Provvedete affinché il pranzo sia leggero e pronto fra poco. Partirò per Nido dell’Aquila a breve. Informerò lord Jon e lady Lysa della mia assenza. Forse potrò essere d’aiuto. Se non può svolgere lui l’incarico da Primo Cavaliere, avrà forse dei suggerimenti per Robert.” Discorsi di politica già troppo complessi per Umfred e Grisel, ma non importava.
    “Andate, ora, lasciate che mi prepari per il viaggio che mi attende.”
    Umfred e Grisel si congedarono e uscirono dalla stanza.
    Petyr Baelish tornò a sedersi sul tavolo, che scricchiolò, la busta in una mano, la lettera nell’altra. Grisel non aveva letto la lettera, ne era certo. Ma la lettera era aperta, e se Umfred avesse approfittato della cosa, spinto anche solo dalla curiosità?
    C’era un motivo ben preciso per cui Petyr Baelish vietava ai suoi “cortigiani” di leggere la sua posta. E questa era la lettera che meno di tutte qualcun’altro avrebbe dovuto leggere. A ogni modo, non era importante se Umfred avesse effettivamente letto questa lettera o meno, ma in futuro non avrebbe dovuto mantenere questo vizio.
    Ma anche se ha letto, la cosa non mi riguarda. Posso anche evitare di verificare. Ormai me ne andrò da qui, e sicuramente il buon Umfred non avrà pensato a questo... riflettè.
    Aprì un cassetto del suo tavolo e vi trasse un limone. Posò la lettera sul lato opposto a lui del tavolo, ponendo invece la busta proprio davanti a sè. La aprì del tutto, mettendo l’interno della busta aperto sotto il suo sguardo attento, quindi cominciò a spremerci sopra il limone. Ci volle del tempo, ma alla fine le parole apparvero. Petyr Baelish sorrise. Lesse anche questa lettera segreta. Tutto andava come previsto. E quando arrivò alla fine della lettera, il suo sorriso si allargò. Effettivamente, gli avevano ricordato un soprannome che non sentiva da molto tempo, su alle Dita.
    Stavolta, fu Ditocorto a sorridere.
    I suoi occhi grigioverdi non tradirono alcuna emozione, quando finalmente accartocciò la lettera e se la mise in tasca, per gettarla nel successivo caminetto acceso che avrebbe incontrato. Decisamente era un soprannome che ora più che mai gli avrebbe fatto piacere risentire.
    E ora lo aspettava Nido dell’Aquila. Poi presto, molto presto… Approdo del Re.
    _________________________________

    Lord Petyr Baelish, Membro del Concilio Ristretto di Re Robert e Maestro del Conio



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    00 18/03/2007 17:46
    Ser Garlan (II): Approdo del Re

    Il sole era già spuntato da qualche ora quando la pur numerosa, ma veloce, compagnia di cavalieri sbucò dalle ultime propaggini della Foresta del Re e poté contemplare alla luce abbagliante del mattino la vasta insenatura della Baia delle Acque Nere. Poco distante dalla foce del fiume, Approdo del Re si dipanava lungo le pendici dei suoi colli, rossa e fremente di calore come un drago acciambellato. Garlan portò la mano guantata di metallo sugli occhi in sostituzione alla visiera della celata, troppo pesante per quel sole mattutino, che infatti portava sollevata del tutto, per osservare con maggiore attenzione la Fortezza Rossa, la testa di quel drago. Erano partiti da Altogiardino circa dieci giorni prima, lui ed un'altra dozzina di cavalieri armati alla leggera e con pochissime scorte o bagaglio, la cui cavalcata era avvenuta sì in fretta, ma anche con la giusta dose di riposo. La sera prima si erano accampati in una radura al limitare della Foresta, in modo da poter entrare in città con la piena luce del giorno ed inviare un messaggero che anticipasse al Re il loro arrivo. Garlan si era goduto quella ultima notte all’aperto, in compagnia di commilitoni e soldati semplici, a discutere di cavalli, armi e donne. Da quel momento in poi ci sarebbero stati solo pranzi ufficiali, incontri e discussioni politiche, molte belle parole, altre meno piacevoli, intrighi e menzogne. Si augurò che la sua permanenza in città potesse durare solo lo stretto necessario per poter così fare ritorno a casa e riferire al padre la reale situazione della crisi con le ultime notizie da tutto il regno. Ancora un po’ intontito per la levataccia necessaria a vestire l’armatura di gala ed essere presentabile a corte per una accoglienza ufficiale, Garlan spiccava alla testa del drappello. Come unico vezzo infatti, si era concesso quella più ricca ed elaborata, completamente smaltata di verde, con le due rose, che costituivano il suo stemma personale, intarsiate in oro sulla corazza pettorale. Il tutto guarnito con filigrane d’oro giallo e rosso che riproducevano lungo tutta l’armatura un intrico di rovi e di foglie d’edera. Lo stesso disegno si ripeteva sull’elsa dorata della spada e proseguiva al cesello lungo parte della lama. L’elmo invece era più sobrio, con arabeschi simili, ma solo finemente incisi nella smaltatura ed una cresta superiore modellata nella foggia di un cavaliere nell’atto di far impennare il cavallo prima della carica. I guanti a placche erano decorati con borchie a forma di spine, scomodi forse per una parata, ma molto utili in una mischia. Al cavallo era stata risparmiata la corazza, visto che non si trattava del corsiero da torneo, ma di un robusto puledro da corsa, che per l’occasione era stato vestito con una semplice gualdrappa verde con rose e spade intessute in oro. L’aria era ancora molto calda, per essere la fine di una estate, soprattutto all’interno di una simile bardatura, ma fortunatamente l’aria di mare con la sua brezza ne mitigava le pericolose vampate. Garlan si soffermò ancora qualche secondo a contemplare il fiume e la città, con i suoi moli e la massa di catapecchie tra il porto e la Porta del Fango.
    “ Dimenticatevi il profumo di un giardino fiorito, amici. Qui troveremo solo il marcio dei tuguri, il lezzo del popolino e al massimo l’odore dolciastro dell’adulazione” – disse rivolto ai suoi cavalieri, poi a Mathis Rowan che era al suo fianco – “Fate spiegare i vessilli: credo che il nostro comitato di benvenuto stia per raggiungerci.”
    Lungo il pendio della bassa collina dove infatti loro si trovavano stava risalendo una piccola schiera di cavalieri accompagnata dai noti stendardi reali recanti il cervo nero incoronato su sfondo giallo, seguiti da pochi altri che a quella distanza era impossibile riconoscere.
    “Sono curioso di sapere chi ha inviato il nostro amato Re per darci il benvenuto. Spero solo non sia quel noiosissimo fratello maggiore, altrimenti credo sarà una pessima accoglienza.”- disse poi ridendo, mentre dava di speroni per mettere il cavallo al passo. Ordinatamente i suoi compagni si accodarono a lui ed al portabandiera della Casa Tyrell.
    A metà del declivio finalmente i due gruppi si incontrarono e Garlan fu quasi sollevato nel riconoscere che alla testa del comitato di benvenuto non c’era il temuto Stannis Baratheon, ma il molto più affabile Maestro del Conio.
    ”Dovrei sentirmi offeso nel vedere che il Re manda ad accogliermi un pastore delle Dita invece che uno della sua famiglia?” – pensò il figlio di Mace Tyrell, ma subito calmò il disappunto rammentandosi dello scampato pericolo di una cavalcata con il tediosissimo fratello maggiore del Re – “Ditocorto sa essere amabile…almeno ha passioni umane e di sicuro la sua conversazione è più briosa.”Così i due rappresentati, ormai prossimi tra loro, si scambiarono come saluto un ampio sorriso, degno di vecchi amici che non si vedevano da anni.
    Fu quindi Petyr a prendere la parola per primo, come si addiceva ad una tale evenienza:
    “Il Re offre il suo benvenuto e tutta l’ospitalità che Approdo può riservare agli illustri rappresentanti della Casa Tyrell. Dai visi che riconosco, sono sicuro che saranno in molti ad apprezzarla. A cominciare da voi, caro amico.”
    Garlan mimò un gesto di ringraziamento con il capo e con la mano: “Hai la mia gratitudine, Lord Baelish, e nessuno di noi mancherà di fare altrettanto per la generosità con cui ci accogliete. Spero vorrete perdonare mio padre che, data l’età, non era in grado di affrontare un viaggio così rapido e disagevole. Vi porto i suoi migliori saluti, che sarò lieto di estendere al Re in persona. Come vedete siamo in pochi e non eccessivamente forniti di bagagli: senza sembrare scortesi, abbiamo la speranza di trattenerci poco, ma in quel breve periodo, faremo onore alla vostra ospitalità.”
    Dopo aver fatto le necessarie presentazioni tra le due compagnie, nelle quali da una parte spiccavano i due gemelli Redwyne, Arys oakheart,Dickon Tarly, Humfrey Hightower, Warryn Beesbury, Jon e Tanton Fossoway, dall’altra invece Jalabhar Xho, Balman Byrch, Lambert Turnberry e Bayard Norcross, tutti si avviarono finalmente verso il ponte che conduceva in città. Mentre attraversavano le strade e si arrampicavano lungo le pendici della Alta Collina di Aegon, Garlan ebbe modo di osservare gli edifici ed i suoi abitanti. Mentre in alcuni punti si potevano trovare perfino segni di lusso e ricchezza, spesso predominavano la sporcizia e il disordine, a cui dovevano rimediare i numerosi soldati della Guardia Cittadina che riconobbe facilmente dal numero e dalle minacciose cappe nere. Notò anche la notevole presenza di armigeri Lannister, che evidentemente erano già arrivati per incontrare il Re, ed anche qualcuno degli Stark, la cui situazione a Nord era tenuta necessariamente sotto osservazione a palazzo. Sembrava invece non ci fossero tracce dei Dorniani, né degli abitanti della Valle o delle Isole del Ferro, mentre in una locanda intravide lo scudo ad onde rosse e blu dei Tully. Evitò di porsi inutili domande e proseguì osservando ancora la folla che si ammassava per le strade e l’elevato numero di prostitute che cercavano di irretire maschi danarosi proponendo piaceri indicibili nelle proprie magioni. Garlan sorrise al pensiero che molte di loro forse erano alle dipendenze proprio del qui presente Maestro del Conio, i cui espedienti per procurare denaro alla corona erano leggendari. Probabilmente c’era già una tassa sul meretricio, o ci sarebbe stata a breve per coprire le spese di guerra contro i Bruti. Si voltò verso i suoi compagni e si chiese, più o meno scherzando, quanti dei dragoni che avrebbe rifiutato al Re gli sarebbero poi arrivati volontariamente per quella via inconsueta. Dopo una lunga e faticosa risalita, piena di ostacoli e di rallentamenti nonostante fossero una trentina di cavalieri armati, il corteo giunse finalmente alle porte della Fortezza Rossa, nel cui primo cortile tutti poterono smontare.
    “Eccoci giunti, ser Garlan” – si congedò Petyr – “Ora vi devo lasciare per tornare ai miei impegni. Gli scudieri del Re – e mentre parlava indicò due giovani dai lunghi capelli biondi - vi mostreranno i vostri appartamenti. Ci vedremo questa sera alla cena di benvenuto che il Re offrirà ai nuovi arrivati. Credo ci sarà tutta la famiglia Lannister, qualche Stark e Brynden Tully. Altri non sono ancora arrivati o non sono potuti venire. Fate pure quello che volete, ma vi consiglio di rifocillarvi e di riposare: sarà una notte lunga e faticosa…”
    Detto questo, si allontanò, lasciando gli ospiti nelle mani di scudieri e valletti.
    Garlan si fece accompagnare nelle sue stanze da uno dei due ragazzi, evidentemente della famiglia Lannister per via dei capelli, forse addirittura uno dei figli di Lord Kevan.
    “Questa sono le vostre stanze, ser. Spero vi troverete bene. Ora vi lascio, ma vi ricordo solamente della cena presso la sala del Trono di Spade, due ore dopo il tramonto. Se avete bisogno di qualcosa, chiamate pure un paggio. Ce ne sono due in questa ala solo per voi.”- si congedò il giovane.
    “Me ne ricorderò…Ti ringrazio ma credo che resterò qui fino a stasera.”- rispose Garlan chiudendo la porta dietro di sé dopo che l’altro se ne fu andato.
    Una volta da solo, si mise allo scrittoio e compilò un resoconto dettagliato del viaggio ed una descrizioni delle prime impressioni su Approdo del Re a favore del padre. Sigillata la lettera con la ceralacca, mandò a chiamare il suo attendente Dickon Tarly:
    “Fai in modo che questo messaggio parta immediatamente, ma non rivolgerti a Maestro Pycelle. Usa i nostri corvi. Quando sarai tornato, fammi preparare un bagno e qualche piatto caldo, infine provvedi a che i servi che ci hanno assegnato siano sostituiti da nostri uomini. Per me basta il tuo aiuto, ed altrettanto dovranno fare gli altri con i loro attendenti. Organizzate anche delle ronde di guardia nei nostri appartamenti: non voglio orecchie indiscrete dietro la mia porta.”
    Garlan si chiese quanto di vero di fosse nella sinistra fama del Ragno Tessitore e nei suoi “uccelletti”, quindi andò ad affacciarsi alla finestra per osservare ancora Approdo, in attesa che il suo bagno fosse pronto.
    Quella sera, Lancel Lannister, perché di lui si trattava, lo condusse nella Sala del Trono di Spade, dove dì lì a poco sarebbe cominciata la grande cena di gala. Garlan per l’occasione sfoggiava il suo giustacuore più prezioso in satin verde e arabeschi in fili d’oro che formavano complicati ricami sui polsi, al colletto e su tutte le bordure. Il suo posto, benché distante dal palco reale, nel quale riconobbe subito Cersei e Jaime Lannister,con il padre dal volto scuro vicino al più allegro fratello minore, gli riservò una piacevole serata in compagnia di Petyr Baelish e Ser Brynden Tully, che aveva appena finito una esercitazione militare con i suoi uomini.
    “Un giorno spero verrete a visitare l’Altopiano”- propose Garlan a Ditocorto, tra una risata e l’altra provocata dalle numerose arguzie che si erano scambiati; cosa che gli fece sempre di più modificare la sua prima impressione di quella mattina – “Vi farò personalmente da guida per le strade di Altogiardino che, sono sicuro, troverete più amene di quelle della capitale.”
    “Accetto con piacere, ma prima dovremo attendere che i miei compiti si facciano meno gravosi”- rispose quello, alzando una coppa per un brindisi – “Alla bellezza di Altogiardino!”
    La cena proseguì con le varie portate, mentre la conversazione lentamente virava sulla situazione politica dei Sette Regni e sulla crisi in atto al Nord.
    “Temo che l’ardire di quei selvaggi ci costerà una fortuna – disse Garlan rivolto a Brynden Tully – “Mi è stato accennato che la Corona vuole raccogliere fondi per una ingente spedizione militare che risolva il problema alla radice. Ma qui si sta parlando di milioni….”
    “Avete ragione, amico mio, ed ho una proposta per mitigare le richieste del Re in merito.Spero che sarà così ragionevole da accettare un minimo di discussione e non imporci la sua volontà di forza “- confidò Brynden, che a quel punto venne interrotto da Ditocorto.
    “Scusate se mi intrometto, ma i dragoni sono la mia specialità. Visto il pericolo, la Corona ha deciso di radunare tutti i vessilli di guerra del regno per marciare contro i Bruti…nessuno può opporsi al volere del Re, anche se ognuno ha diritto ad esprimere la propria opinione. Sono già stati consultati i Lannister, gli Stark e gli Arryn: questa sera, dopo la cena, toccherà a voi inoltrare le vostre proposte. Il Re ha già fissato un colloquio nelle sue stanze tra poche ore. Purtroppo io non sarò presente, ma sono sicuro che prenderete le decisioni giuste.”
    La cena era ormai agli sgoccioli e dopo che furono serviti i dolci era già notte fonda; molti dei convitati erano già andati via, i pochi rimasti erano per lo più ubriachi o stavano discutendo in maniera animata. Ad un certo punto, si fece avanti un cavaliere della guardia cittadina:
    “Buona sera, miei lord. Ho l’incarico da parte di Sua Maestà di farvi scortare fino ai suoi appartamenti per un colloquio privato. Vogliate seguirmi prego.”
    Lentamente, ancora un po’ storditi dal vino, dopo essersi congedati dal Maestro del Conio, i due cavalieri si alzarono per avviarsi nella scia del capitano delle guardie, mentre attorno a loro si disponevano gli altri membri della scorta. Fuori la luna piena illuminava i merli della Fortezza Rossa ed i camminamenti lungo i bastioni.
    ”Come ha suggerito Ditocorto, credo sarà una lunga notte per me…come molte altre a venire.”. Garlan si avviò lungo la scalinata che conduceva alle stanze del Re.

    [Modificato da Waymar Royce 02/06/2007 17.52]





    HOSTER TULLY Lord of RIVERRUN
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    00 19/03/2007 20:06
    Viserys I: Il sogno

    “…Due eserciti…non riesco a distinguere i contendenti…ma gli stendardi raffigurano Lupi e... e Cervi e altri che sono troppo logori per poter essere distinti… che combatto fianco a fianco e contro di loro solo…Draghi, si, sono Draghi!
    La battaglia sembra al termine, lo scontro ormai brutale, non c’è distinzione tra i due schieramenti. Perfino le disciplinate e serrate formazioni delle cavallerie che fino a poco fa facevano tremare la terra all’unisono sono cessate, i ranghi si sono rotti dando vita a piccoli gruppi di cavalieri che attaccano a più riprese quello che rimane de i fianchi dell’esercito avversario . Le prime line sono ormai una unica indistinguibile massa di acciaio, cadaveri e guerrieri che combattono non più per la loro nobile casata, non più per l’onore, non più per la gloria, ma danno sfogo a tutta la loro forza, a tutta lo loro rabbia per salvare la loro vita. Non si distinguono gli amici dai nemici. Nessuno ha il coraggio di voltare le spalle, di scappare. Un passo indietro sarebbe morte sicura.
    Tutti combattono, Lord, cavalieri, fanti, arcieri. Sembra che il tempo trascorra più velocemente, il compagno che prima era al tuo fianco non c’è più, giace morto ai tuoi piedi, e ti accorgi di essere in mezzo a nemici, da solo… circondato!
    Gli ordini degli dei comandanti non si odono più, anche la voce più tonante viene sovrastata dal clangore delle armi, dagli urli dei moribondi e dal lamento dei morti.
    Il cielo sembra coperto da gigantesche nuvole, che non lasciano filtrare la luce del sole, nuvole che si muovono come per seguire anche loro lo svolgersi della battaglia, nuvole infuocate.
    Per tutti il tempo vola via come le foglie degli alberi che il vento porta via in autunno…tranne per due guerrieri, lontani dal frastuono della battaglia, lontano dalle grida di dolore…chi sono? Non riesco a distinguerli. Solo per loro il tempo sembra essersi fermato, quasi a voler vedere anche lui come si concluderà lo scontro.
    I loro colpi sembrano movimenti di una triste danza ipnotizzante, perfettamente armoniosi tra loro, ad ogni colpo corrisponde una parata, ad ogni fendente una schivata . Alla furia dei possenti colpi della del cavaliere con lo stemma del Cervo sullo scudo si contrappongono i movimenti leggeri, quasi a non toccare il terreno del cavaliere nero...L’emblema del cervo…Certo!...i capelli corvini, e gli occhi…quei occhi... azzurri, colmi di rabbia e di tristezza, non può che essere Robert! Robert Baratheon …è imponente, come mi hanno raccontato…l’altro cavaliere, chi è?...splendente nella sua armatura completamente nera, minacciosi i tre draghi raffigurati nel suo petto che sembrano sputare fiamme non solo dalle fauci ma anche dagli occhi che brillano di un cupo bagliore rosso, dall’ alto elmo scendono i capelli, grigi come il cielo in tempesta,…Fratello!... Rhaegar!... la Battaglia del Tridente!
    I colpi si susseguivano da tempo.
    Ormai il fato aveva scelto il suo campione.
    Lo scontro sta per finire.
    Gli scudi frantumati. Le tre teste di drago sullo scudo di Rhaegar non ci sono più, del cervo d’orato dei Baratheon ormai rimangono solo le corna. Le armature scheggiate e contorte.
    Manca poco alla tue fine fratello.
    La lama nera di Dark Sister sembra pesante nelle tue mani Rhaegar.
    Ecco!... La mazza di Robert colpisce la spalla di Rhaegar, ormai è senza più forze, crolla, l’elmo alato scivola via dalla sua testa…Rhaegar?!, non e’ lui ….e’…sono…Io! … il braccio e’ pesante non riesco a sollevare la spada, la mazza di Robert è sollevata sopra di me, oscura il sole alle sue spalle… No… come è possibile?…perchè mi trovo io davanti a lui?...non riesco a muovermi!...la sua mazza si avvicina…No… non può essere!...No!”


    Viserys Targaryen si sveglio. Lo stesso sogno, lo stesso incubo lo perseguitava ormai da quando erano giunti a Qarth.
    Un sogno strano, ambiguo, Viserys non capiva perché continuava a farlo, quale era il senso di tutto ciò. Vedere la Battaglia del Tridente, vedere lo strano duello tra Robert Baratheon e se stesso, per poi accorgersi che non era il passato, non era il Tridente quello che vedeva, ma qualche strano gioco del destino che non riusciva a capire.
    La prima volta del sogno credeva che fosse una qualche magia degli stregoni dalle labbra blu di Qarth. Da quando erano giunti in questa strana città, erano stati loro i più stupiti e incuriositi dalla vista dei piccoli draghi che i giovani Targaryen portavano con loro.
    Infatti erano stati loro ad aver concesso anche i lussuosi alloggi dove Viserys e Deanerys passavano la maggior parte del loro tempo ricevendo i personaggi più di spicco dell’intera Qarth e anche i più curiosi e pittoreschi.
    Più i giorni passavano più Viserys era convinto che il suo incubo non era legato ai presunti poteri o alla presenza degli stregoni.
    Grondante di sudore si alzo dal letto, i capelli grigi gli fluivano sulle spalle, come al solito gli raccolse all’indietro e si diresse verso la finestra del suo alloggio privato.
    La vista della città di notte riusciva quasi a rilassarlo. Era incredibile come la caotica e colorata Qarth di notte fosse cosi quieta, silenziosa, le voci che durante il giorno assordavo i numerosi mercanti svanivano come per magia al tramontare del sole, l’unico rumore che si sentiva era la voce del vento. Lo stesso vento che riusciva a rinfrescarlo ogni volta che si svegliava in preda all’incubo, il fresco tepore gli faceva quasi dimenticare il terrore che provava nel momento in cui non poteva più muoversi e la mazza dell’Usurpatore, dell’assassino di suo fratello, calava su di lui.
    Non aveva il coraggio di raccontare del sogno a nessuno, non poteva, non doveva, l’erede della dinastia dei Targaryen, dei signori dei Draghi, non ava paura di niente, il fuoco fluiva nel loro sangue.
    BUM, BUM…BUM,BUM…
    Viserys si girò di scatto, i rumori venivano dalla porta. Per un attimo il suo respiro si fermo, un attimo che parve un eternità.
    Da quando l’Usurpatore e i suoi cani avevano attentato alla sua vita e a quella si sua sorella, nessun luogo era completamente sicuro per loro. Chi poteva essere a quel ora, nel cuore della notte.
    “Principe sono Ser Mormont, vi porto notizie dai Sette Regni”. L’inconfondibile voce di Ser Jorah rilassò il principe.
    Con tutta tranquillità Viserys indossò la sua sopraveste color sangue. Per quanto curioso fosse di conoscere le notizie che portava Mormont, non accenno ad accelerare il suo passo per aprire la porta. Lui era un principe, che gli altri aspettassero pure.
    La faccia di Mormont era rossa per la corsa che doveva aver fatto per portare subito le notizie.
    “Spero che le tue notizie siano talmente interessanti da giustificare il mio brusco risveglio, mio buon cavaliere” disse Viserys, pensando tra se e se che per fortuna era arrivato Jorah con le sue notizie da distogliere i suoi pensieri dall’orribile incubo.
    “Se vi ho arrecato disturbo me ne scuso Principe, ma troverete veramente interessanti le notizie che vi porto”
    “Avanti dunque, parla, quali sarebbero queste notizie, e da chi le hai avute?”disse Viserys con un tono brusco. Il principe le attese non le aveva mai apprezzate, e trovava inutile questo scambio di battute.
    “Mio principe, porto notizie dai 7 Regni, ero al porto per cercare capitani e navi, e ho incontrato dei mercanti che venivano da Braavos”, La voce di Mormont era pacata ma si capiva l’impazienza che nutriva, voleva arrivare subito al sodo.
    “Vai avanti dunque”. L’aria di sufficienza nel tono di voce di Viserys avrebbe fatto imbestialire anche il septhon più devoto.
    Viserys usava spesso questo modo di parlare, cosi facendo metteva alla prova le persone con cui parlava, le persone che non tolleravano il modo in cui lui si rivolgeva a loro erano persone che sicuramente un giorno o l’altro lo avrebbero tradito, le persone invece che si piegavano nonostante tutto erano invece coloro che avrebbero servito lui e sua sorella il più fedelmente possibile.
    Tra le due categorie di persone che aveva incontrato tra il loro interminabile viaggio Viserys preferiva le seconde memore di quanto era successo al suo regale padre, anche se nel cuore del Principe non c’era spazio per la fiducia verso nessuno, tranne verso il proprio sangue.
    Mormont però era diverso, fin dal loro primo incontro Viserys aveva capito che poteva fidarsi ciecamente di lui, più volte il nobile cavaliere aveva messo in repentaglio la propria vita per impedire ai sicari dell’Usurpatore di assassinare lui e sua sorella.
    “I mercanti parlavano di attacchi alla Barriera, ma non di att…”, “Da quando ero bambino sento di attacchi alla Barriera Ser Jorah, gruppi di bruti che cercano di divertirsi nel Dono di Brandon, sono QUESTE le notizie che porti?!”.
    Rabbia stava crescendo dentro Viserys, forse perchè in cuor suo pensava e sperava che fossero notizie dal regno dell’Usurpatore, una guerra contro di lui, una ribellione, magari i Lord ancora fedeli alla sua nobile casata Targaryen erano insorti contro un Re illegittimo.
    Le notizie che portava Mormont erano inutili, completamente insignificanti per lui e la sua causa.
    “Principe intendevo dire che non si tratta dei soliti attacchi, delle solite scorrerie, ma di un attacco in grande stile, sembra che questo “Re oltre la Barriera” abbia adunato un enorme esercito e abbia attaccato i Guardiani della Notte”.
    Queste parole cambiarono di colpo l’atteggiamento di Viserys, infatti ora tutta la sua attenzione era rivolta verso le parole di Ser Jorah. Forse la guerra contro l’Usurpatore da lui tanto desiderata la stava facendo un bruto?! Di colpo nella mente di Viserys si accumularono tanti pensieri, tante idee, tante possibilità.
    “Continua cavaliere”. La voce del Principe era calma anche se dentro di lui stava bruciando un fuoco immenso, avrebbe dato qualunque cosa per sapere cosa stava accadendo a nord dei 7 Regni, ma non poteva permettersi di mostrare i suoi sentimenti, un re rimane impassibile davanti a tutto.
    “Dell’ attacco dei bruti i mercanti non sapevano di più, ma c’è dell’altro…”. La voce di Mormont sembro esitare per un attimo poi riprese a parlare.
    “sembra che i bruti non siano gli unici che abbiano portato un attacco alla fortezza di ghiaccio”, “Cosa sta cercando di dirmi Mormont? Sbrigati! Sai che la pazienza non e’ una delle mie doti!”. Viserys doveva conoscere, voleva sapere.
    “Estranei, Mio Signore, i mercanti avevano sentito di Estranei che attaccavano la barriera”.
    Viserys rimase immobile, muto.
    Gli Estranei erano leggende, mostri inventati per spaventare i ragazzini troppo vivaci, come poteva credere a una notizia del genere, non poteva.
    “Cavaliere! Siete ubriaco? Come potete pesare che io creda a queste storielle per bambini? Gli Estranei non sono altro che una leggenda, nulla di più, piuttosto cercate di raccogliere più notizie possibili riguardo i bruti”.
    “Principe, anche io ero scettico su questa informazione, ma da quando vostra sorella ha risvegliato le leggende non potevo non prendere in considerazione tale notizia”
    Viserys era ormai in preda a dubbi di ogni genere.
    “Cosa stava succedendo? Jorah aveva ragione, da quando Daenerys aveva dato vita ai tre draghi, nulla poteva essere lasciato senza essere considerato. Tutte queste leggende assopite per centinaia e centinai di anni, risvegliate insieme. Era forse il segno di qualcosa? Il sogno poteva in qualche modo essere collegato a questi avvenimenti?”
    In preda a tutti questi pensieri il Principe congedò Mormont e torno davanti alla finestra per veder le prime luci dell’alba che risvegliavano la vita in Qarth.






    Viserys Targaryen



    Never one for empty threats or vainglorious lies, you can only speak the truth. And the truth is "Fire and Blood."

    When playing the game of thrones, you play it to the death.

    FirE & BlooD
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    Emiliano Targaryen
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    00 22/03/2007 13:27
    Ser Jorah

    Ser Jorah

    La polvere della desolazione rossa non si era ancora del tutto tolta dagli abiti bagnati dal sudore dell’uomo che un tempo dominava l’isola dell’Orso, nell’estremo Nord, prima che il severo e austero Lord di Grande Inverno salpasse per andare a somministrare quella che soleva chiamare GIUSTIZIA DEL RE. L’armatura che ricopriva gran parte del suo corpo rendeva quel calore ancora più difficile da sopportare, nonostante gli eventi non stessero andando affatto male, tutt’altro.
    Gli ultimi sovrani Targaryen ai quali ser Jorah Mormont, questo era il nome dell’uomo che volgeva lo sguardo verso Occidente, aveva prestato solenne giuramento di fedeltà, stavano trattando da molte ore con i principi e i mercanti di Quarth allo scopo di ottenere le migliori condizioni per lasciare la città con tutto il loro seguito per dirigersi verso la Baia degli Schiavisti e le loro ricche e opulenti città piene di tesori.
    Il principe Viserys era impaziente di partire, voleva a tutti i costi tornare nei 7 Regni dove, almeno così diceva il magistro di Pentos Illyrio Mopatis, le donne tessevano immagini della famiglia del drago in attesa di salutare il ritorno del vero re; ma la diplomazia non era proprio caratteristica peculiare del giovane drago, e se non fosse stato per la principessa Daenerys nata-dalla-tempesta, madre dei draghi, le trattative sarebbero già state concluse da un bel pezzo e con condizioni tutt’altro che buone per i Targaryen. La giovane ragazza aveva capelli color argento ed occhi di un viola così intenso da confondersi con il cielo e con il mare. Quando il cavaliere in esilio la guardava il suo cuore e la sua mente tornavano a molti anni addietro quando l’ultimo re dei draghi, Aerys II detto il folle, sedeva sullo scranno forgiato da Aegon il conquistatore. Un volto gli appariva sempre: quello dell’erede al trono, Rhaegar Targaryen, principe della Roccia del Drago.
    “Il reame sarebbe stato davvero prospero se il destino avesse permesso a Rhaegar di regnare” pensò fra sé il cavaliere, “Ma l’amore per una donna è in grado di rovesciare gli eventi con una forza che nemmeno gli dei possono arrestare.” Lo sapeva bene Jorah Mormont cosa significasse perdere la faccia e l’onore a causa di una donna, lui che aveva dissipato tutto per compiacere la donna della sua vita, o almeno così lui aveva creduto.

    “Ser Jorah”, una voce risvegliò Mormont dai suoi pensieri e lo riportò bruscamente alla realtà. Girando lo sguardo verso il punto da dove era provenuto quel suono riconobbe la figura della principessa Daenerys che avanzava verso di lui con aria visibilmente soddisfatta. “ Mio buon cavaliere e fedele amico, i mercanti e i principi di Quarth hanno contrattato fino allo stremo, ma quando Drogon, il mio drago nero ha eruttato fuoco dalla sua bocca hanno compreso che qualsiasi prezzo è oltremodo modesto pur di allontanare la minaccia dei draghi dalla loro terra”, disse la giovane con espressione raggiante e continuò “Hanno acconsentito a tutte le nostre richieste, comprese quelle economiche che mio fratello Viserys ha preteso dai mercanti: ci forniranno tutto l’aiuto logistico che ci servirà per andare fino ad Astapor, in più Viserys ha ottenuto 1 milione di dragoni d’oro, ed inoltre…” continuò la principessa sempre più elettrizzata da tutti gli avvenimenti “ Moltissimi soldati della città hanno voluto unirsi a noi; finalmente abbiamo un vero esercito, ser Jorah, e quando i draghi saranno cresciuti, avremo anche il Trono di Spade” concluse Daenerys Targaryen.
    “Mia giovane regina” esordì colui che un tempo era lord dell’isola dell’Orso, “Sono soddisfatto di come sia stato il soggiorno a Quarth, ma sarei uno sciocco a lasciarmi trasportare da facili entusiasmi. Le città della Baia degli Schiavisti sono dotate di robuste fortezze e hanno al loro servizio uomini duri e temprati da molte battaglie, quello sarà il nostro banco di prova e se riusciremo ad imporci su quelle genti, forse avremo una possibilità di tornare in Occidente”. Terminate le sue parole il cavaliere si chiuse nuovamente nel suo silenzio e riprese a navigare con la mente: immaginò la Baia e le sue città popolose e ricche, il mare Dothraki che si estendeva dopo di esse ed infine le città libere della costa e delle isole. Lo sguardo andò oltre, all’isola di Skagos e alle terre del Nord, percorrendo l’Incollatura fino alle Torri Gemelli, oltrepassando Delta delle Acque e, deviando verso Duskendale, vide Approdo del Re, dove l’usurpatore Robert Baratheon, sedeva sul trono circondato da una corte di individui ruffiani e mentitori, adulatori senza il minimo senso di onore.
    Ma tutto sarebbe cambiato, e presto.
    Congedatosi con un lieve cenno del capo dalla principessa s’incamminò verso il porto per visionare nuovamente lo stato delle navi della flotta che i principi erano riusciti ad allestire, volendo sincerarsi di persona che tutto fosse pronto per la partenza. La sera prima aveva dovuto tenere a rapporto le truppe Dothraki in assenza di Khal Drogo, in quanto i barbari delle pianure non nutrivano il minimo affetto né per le navi, né tantomeno del mare, ritenuto infido e traditore. Era infatti credenza dei guerrieri delle pianure che tutto ciò che i cavalli non potessero bere o mangiare fosse velenoso e mortale.
    L’aria del porto era satura di odori delle spezie che i mercantili di Quarth caricavano in grande quantità per poi trasportarle ovunque ve ne fosse richiesta; non vi era porto dall’isola di Ibben fino ad Arbor che non vedesse giungere e porre gli ormeggi una delle navi di Quarth, nonostante le enormi distanze che le imbarcazioni dovessero percorrere. Bancarelle di venditori ambulanti proponevano ai frequentatori ogni sorta di mercanzia, dai cibi esotici alle grazie di deliziose fanciulle ed anche di numerosi ragazzi sui quali ancora non era comparso il primo filo di barba.
    Ser Jorah solitamente amava osservare le fasi delle contrattazioni di quel mercato così disorganizzato ma al tempo stesso ricco di attività. Ma non quel giorno. La sua mente stava vagando verso le nuove mete che attendevano gli ultimi due Targaryen rimasti in vita, ai quali aveva giurato fedeltà fino alla morte. Una nuova speranza crebbe dentro di sé: così come aveva disonorato il suo nome e quello della sua famiglia, allo stesso modo lo avrebbe riabilitato agli occhi di tutti, ma c’era un solo modo per farlo: Daenerys Targaryen avrebbe dovuto a tutti i costi riconquistare quel trono sul quale anche lui, quale vassallo di Eddard Stark, aveva contribuito a far sedere Robert Baratheon, l’usurpatore.
    Sguainò la sua spada e nel riflesso della lama scura di acciaio di Valyria capì finalmente quale sarebbe stato il suo ruolo negli eventi che sarebbero accaduti da lì a poco. Affrettò il passo ed arrivò dove erano radunate le navi della flotta che li avrebbe portati lontano, molto lontano. “Torniamo a casa” disse a voce forse un po’ troppo alta.
    Un uomo sulla quarantina, ben vestito e dagli occhi neri come ebano lo guardò profondamente mentre nel frattempo sistemava parte del sartiame dell’alberatura. “Sì mio signore, torniamo a casa, e questa volta nel bene o nel male sarà per sempre.”
    Quasi tutto il vettovagliamento era stato caricato, compreso il tesoro che la principessa aveva con sé: la generosità dei principi e dei mercanti era stata tale che i loro averi erano triplicati da quando erano entrati in città, inoltre anche le loro fila si erano di molto ingrossate e i draghi crescevano ogni giorno di più. Presto sarebbero stati così grandi da reggere il peso di un uomo così da condurlo in guerra scatenando una tempesta di fuoco. Presto. Allora tutti i conti sarebbero stati saldati, pensò tra sé il cavaliere, “Non solo i Lannister pagano sempre i propri debiti. Anche i draghi lo fanno, e i conti da saldare sono parecchi”.
    Uno schiamazzo richiamò la sua attenzione mentre verificava con i capitani la lista di tutto quello che andava imbarcato; si voltò di scatto e non potè non sorridere mentre vedeva il principe Viserys che si allenava sulla tolda della nave ammiraglia. Credeva di essere davvero il nuovo Aegon, ma a parte le caratteristiche fisiche non sembrava davvero che la genìa del drago gli appartenesse.
    Ritornò stancamente ad osservare gli inventari delle stive di tutta la flotta; era un impegno gravoso ma era l’unico che potesse farlo, in quanto era il solo ad avere una qualche familiarità con le navi. Dopotutto un tempo era signore di un isola e lo sarebbe stato ancora se Ned Stark non lo avesse costretto alla fuga, sebbene ripensando a quell’episodio fosse convinto di non meritare la punizione che il lord di Grande Inverno e Protettore del Nord gli aveva comminato. Erano solo dei bracconieri, ed erano sul suo suolo, ma lo Stark voleva che fossero mandati alla Barriera, a servire quali Guardiani della Notte.
    Il pensiero della Barriera fece rigare il suo volto da una lacrima. Suo padre era lì, Lord Jeor Mormont, comandante dei Guardiani della Notte. Le notizie che i mercanti di Braavos avevano portato quella mattina erano state un fulmine a ciel sereno per tutti. Il capitano della VELA AZZURRA era stato di recente a Porto Bianco ed aveva sentito voci secondo le quali una forza enorme di Bruti aveva attaccato il Castello Nero facendo letteralmente strage di Ranger, arrivando addirittura a catturare sia Benjen Stark, primo Ranger della confraternita in nero, sia addirittura il Lord comandante in persona. Suo padre. Un sospiro fece gonfiare il petto del cavaliere in esilio. Quella mattina quando aveva rivelato ai principi le notizie ricevute, Viserys era apparso quasi annoiato, pensava solo al Trono di Spade e ad Approdo del Re, la città fondata da Aegon il drago. Daenerys invece aveva chinato il capo ed aveva rivolto parole di sincera preoccupazione a ser Jorah, invitandolo a farsi forza, ma valutando anche quello che poteva accadere in seguito a questo evento. Dopo aver riflettuto a lungo ed essersi consultata sia con il fratello ma soprattutto con il marito, il potente khal Drogo, che gli aveva concesso migliaia di Dothraki per riconquistare il suo trono, la giovane Targaryen aveva dato ordine di partire il più presto possibile. E lui, ser Jorah Mormont, un tempo signore dell’isola dell’orso, aveva gravemente annuito. Sapeva cosa sarebbe successo, ma la cosa che lo stupì fu che lui desiderava ardentemente che accadesse.

    L’alba fu particolarmente radiosa quel giorno, come se partecipasse agli eventi in corso. Il porto era oltre modo gremito e sembrava scoppiare a causa di quella marea umana pronta ad imbarcarsi di lì a poco. Le vele erano pronte per essere alzate ed i vessilli garrivano al vento, generoso, che si era alzata appena sorto il sole. Il calore era sopportabile, pensò ser Jorah Mormont, mentre scendeva verso il molo in direzione della Balerion, la nave ammiraglia della flotta Targaryen. Indossava come sempre la sua armatura, nonostante più volte i Dothraki lo avessero deriso per questa sua abitudine; lo stesso Khal Drogo disprezzava il suo modo di combattere e lo aveva manifestato in diverse occasioni anche a Daenerys, la quale aveva sorriso a suo marito spiegandogli come nei 7 Regni un cavaliere come ser Jorah fosse invece tenuto in gran conto sul campo di battaglia, dopotutto durante le battaglie combattute fino a Quarth, molti Dothraki nemici erano caduti sotto i colpi di ser Jorah.
    Tutti i cavalieri e i capitani erano in attesa dei principi per dare l’ordine di salpare. Arrivarono seguiti dalle ancelle della principessa Daenerys e dai cortigiani che Viserys aveva accolto nella sua magione a Pentos, quando era ospite di Illiryo Mopatis, e che lo avevano segito nei suoi travagliati viaggi. Riccamente vestiti i due ultimi eredi della stirpe del drago salirono a bordo rispettivamente della Balerion e della Meraxes. Ser Jorah aveva insistito perché viaggiassero su navi separate in modo che se una delle imbarcazioni avesse avuto un qualsiasi problema, perlomeno uno dei due sarebbe potuto sopravvivere. Le tempeste erano rarissime, soprattutto in quel periodo dell’anno ma il cavaliere dell’Orso non temeva il mare quanto pirati e, soprattutto, i sicari che l’usurpatore aveva inviato a tentare di uccidere Daenerys qualche tempo prima. Da quel tentativo erano nati i Draghi. Mormont aveva anche pregato che gli stessi draghi venissero separati durante la traversata ma la principessa era stata irremovibile. “Io sono la madre dei draghi, e i miei figli resteranno con me.” “Come tu comandi.” Si era limitato a dire il cavaliere.
    Insieme al principe Viserys salì sulla Meraxes uno dei capitani mercenari che si erano uniti all’armata dei principi dei draghi, mentre khal Drogo e ser Jorah salirono insieme a Daenerys e ai tre piccoli draghi sulla Balerion, l’ammiraglia della flotta.
    Le ancore vennero sollevate e le vele aperte, pronte a raccogliere il vento che, sferzante, si levava dall’entroterra pronto a spingere le navi verso la baia degli Schiavisti, prossima tappa dell’esercito che appoggiava le pretese degli ultimi due Targaryen. “Remi in acqua, capivoga a ritmo serrato.” Urlò Ser Jorah dal ponte dell’ammiraglia e tutti i capitani risposero dando ordine ai capivoga sulle singole imbarcazioni. Con un unico movimento, sincronizzato come il meccanismo perfetto di una ruota di un mulino, le navi si mossero, spinte dallo stesso vento che con la sua energia permette di trasformare il grano in farina, consentendo ai fornai di produrre pane fragrante. Dopo poco tempo il molo e le case di Quarth erano divenute sempre più piccole mentre le imbarcazioni divoravano intere leghe con bramosia e voracità, come se il carattere e le volontà dei comandanti si fossero infusi negli scafi delle navi.
    Ser Jorah Mormont per un ultima volta guardò indietro verso la città che per molti giorni era stata la loro ospite amichevole. Ben altri lidi attendevano ora sia lui che i principi a cui aveva giurato fedeltà. Li attendeva Astapor, ora, e forse più tardi i Sette regni


    Ser Brynden Tully, il più forte cavaliere del Tridente

    Nella seconda partita: Jorah Mormont, da umile cavaliere a Lord Protettore di Alto Giardino.

    Nella terza partita: Principe Viserys Targaryen, assassinato da un concilio ristretto di vili e di infami

    Nella Quarta partita: Lord Balon Greyjoy, costruttore di bordelli...

    Nella Quinta partita: Lord Tywin Lannister, semper fidelis, abbattuto dagli dei.

    Nella sesta partita: Ser Denys Arryn, l'unico con le palle che le ha cantate ad un re invertebrato e ad un primo cavaliere doppiogiochista e col carisma di un germoglio di soia

    Emiliano Targaryen....l'ultimo dei draghi....

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    Mance
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    00 28/03/2007 18:37
    EDDARD STARK - Approdo del Re

    Il viaggio era stato abbastanza confortevole e tranquillo. Le navi lunghe costruite dai Manderly erano solide e veloci al tempo stesso. Il mare aveva concesso alle truppe del Nord venti favorevoli e le mareggiate affrontate erano, a sentire il comandante della Vento del Nord, solo piccole onde atte solo a spaventare bambini e dame. Avevano trovato anche il tempo per fermarsi alla Roccia del drago per apprendere notizie sull'andamento della guerra sulla Barriera. Il contingente mandato a contrastare gli estranei unito a quello dei Guardiani aveva schiacciato il contingente di estranei e non-morti e quello era un bene. Ma i bruti avevano prima conquistato il Castello Nero e poi lo avevano abbandonato per occupare il Forte Orientale. Il secondo contingente Stark creato da uomini degli Umber e dei Bolton era partito alla volta del Castello Nero. Aveva temuto tutto il tragitto fino ad Approdo per la sorte di quegli uomini ma ora avrebbe saputo. Jon era in fermento tanto quanto lui, solo che il giovane lo dava a vedere, forse troppo, così come le truppe.

    La Vento del Nord, col suo immenso metalupo grigio cucito sulla vela maestra, era stata la prima ad attraccare anche se una Nave lunga li aveva preceduti per annunciare l'arrivo imminente degli uomini del Nord. Il comandante della nave ebbe appena il tempo di allungare la passerella quando eddard seguito da Jon si sporsero per sbarcare. Appena raggiunta la banchina di legno Ned vide Jory Cassel avvicinarsi loro con un sorriso; lui era a bordo della nave arrivata poche ore prima.
    "Cos'è questo puzzo?" chiese in un sussurro Jon appena sbarcato.
    "Approdo del Re, Jon. Questo è il tipico odore di Approdo" gli sorrise l'uomo del Nord.
    Jon annuì schifato.
    "Mylord", Jory fece un inchino e con fervore cominciò il resoconto delle notizie provenienti dal nord. "Sono felice di dirvi che Umber e Bolton hanno preso La Gola e puntano con un modesto manipolo di uomini a saccheggiare Aspra Dimora. Il Re ha radunato un ingente esercito e alle prime avvisaglie di dispiegamento di quest'ultimo i bruti hanno lasciato perdere il Forte Orientale e si sono ritirati".
    "Bene, ma non credo sia finita".
    "Si, in effetti altre forze estranee vagano un po per tutto il territorio a Nord della Barriera".
    "Forse è per quello che i bruti sono in fermento, comunque a questo ci penseremo più tardi. Altre Notizie sui miei familiari?"
    "Aye mylord, ma temo non vi piacciano. Lady Catelyn ha mandato Robb e Bran con un contingente di rinforzo alla Barriera ed ora sono quasi arrivati"

    Ned ebbe un tremito di nervosismo che poi però lasciò posto allo sconcerto e con un sorriso sarcarstico sussurrò: "Jon mi sa che il mondo va davvero in maniera strana, bruti riuniti in centinaia di migliaia che assaltano la barriera, Estranei che attaccano i regni degli uomini e Lady Catelyn che scosta dal suo capezzale Robb e Bran per mandarli a bifendere la barriera andando contro un mio ordine. Beh a pensarci, con la barriera ancora in mano nostra e alcune postazioni dei bruti rase a ferro e fuoco la situazione potrebbe anche essere meno pericolosa e loro avrebbero solo da imparare".
    "Bene chissà chi verrà ad accogliermi..." stava ponendo la questione a Jory quando la folla si scostò al passaggio di due cavalieri, uno sfavillante nella sua armatura coperta dal mantello bianco e l'altro vestito leggero, di cuoio rinforzato con un semplice mantello con l'emblema reale. Il primo l'aveva riconosciuto subito, Ser Jaime Lannister ma il secondo... non poteva essere.
    Scesero entrambi da cavallo, Ser Jaime fece un inchino, seguito da tutti coloro che erano nelle vicinanze.
    "Maestà" disse eddard Stark inginocchiandosi.
    Jon fece la stessa cosa quasi incredulo. Che ci faceva Re Robert Baratheon al porto e con solo un cavaliere di scorta?
    "Alzati Ned" intimò il Re prendendolo per le spalle per poi abbracciarlo. "Per tutti gli Dei Ned non ti ho mica fatto venire fin qui per farti annusare le banchine del porto", poi guardandosi attorno aggiunse, "pensavo che fossero i Tyrell quelli egocentrici, pronti a far vedere sempre chi sono con sete e vessilli, ma quel metalupo sulla vela li batte tutti. Credi che non ti avrei riconosciuto?"
    "Un regalo dei Manderly, tutto li, e in effetti mi mette un po' a disagio".
    Re Robert esordì una risata sbracata e poi prendendolo per una spalla disse: "Non sei cambiato Ned, su forza monta in sella che lasciamo questo posto... ha un puzzo orrendo"
    Ma per Eddard Stark quello cambiato era Robert, l'ultima volta che l'aveva visto la pace del regno aveva trasformato il Re in un grosso e rutilante uomo sovente ubriaco e dedito al sollazzo. Ora aveva perso svariati chili e sembrava quasi il Robert di un tempo. Solo dopo essersi messo in sella con Jon, Jaime e Robert cpì che solo le dimensioni del girovita del re erano cambiate, ma Robert rimaneva sempre Robert e questo gli diede conforto, sebbene uno di quei conforti nostalgici che lo faceva pensare a suo fratello, sua sorella e a Lord Rickard, suo padre.

    Avevano appena parlato della situazione a Nord, dell'atteggiamento dei Lord dei Setteregni quando varcarono la porta della Fortezza rossa.
    "E tu ragazzo, ora meglio che segui Ser Jaime, deve istruirti e darti un mantello adatto. Domani dovrai romperti quel culo del nord in salamelecchi e cerimonie cosa che tedia più me che te, te lo assicuro"
    "Vi ringrazio Maestà, non avrei mai sperato di servire nemmeno come ultima spada delle Cappe bianche".

    La cosa fece letteralmente sbracare Robert dalle risate lasciando Jon a disagio e senza parole.
    "Non l'ultima ragazzo, ma la seconda delle spade vestite di bianco. E ora seguimi che ho parecchio da mostrarti", disse Jaime.
    Senza dire una parola Jon seguì il capitano della Guardia reale lanciando uno sguardo incredulo a Ned, il quale non potè fare altro che sorridergli affettuosamente. Una volta abbastanza lontani Ned chiese senza mezzi termini: "Ti rendi conto di chi stai per nominare Vicecomandante delle Cappe bianche?"
    "Si, il bastardo di Ned Stark. E lo voglio proprio dove sta. Pensi che possa essere peggiore degli altri?"
    "Non è questo il fatto è..."
    "Quindi va bene dove sta! Ecco..."
    disse indicando la torre davanti a loro. "Questa è la Torre del Primo Cavaliere, i tuoi alloggi".
    Ned temeva fosse stato quello il motivo della sua convocazione ma aveva sperato il contrario fin dal primo momento. Ora le cose erano chiare però, lui sarebbe diventato Primo cavaliere del Re cosa che lo rendeva felice quasi quanto l'attacco degli estranei alla barriera.
    "Robert, il mio posto è al Nord, con le mie terre sotto attacco, i miei figli senza una guida... non so nulla di carte e vita di palazzo, non so nulla di Approdo, io..."
    "Che gli estranei ti portino alla dannazione Ned! Ho attacchi da creature fatte di ghiaccio e sterco a nord, Lord Balon ad ovest che è come una spina tra le chiappe che elargisce fastidio anche se non ti muovi, quella puttanella ad oriente che ha cacato non so come tre draghi, capisci Ned? ...Tre draghi! I Tully che sembra tollerino a fatica il solo fatto di parlarmi, i Tyrell che non so come mai sono freddi quasi quanto i tuoi morti che camminano e Doran Martell che spero abbia sepolto i suoi desideri di giustizia. E la cosa peggiore è che Jon Arryn, il nostro amato protettore se ne sta su nella sua cazzo di valle a vedere come ce la caviamo senza fare nulla! Ecco come stanno le cose Ned! Ecco perchè ti voglio vicino a me ed ecco perchè voglio che a proteggere le mie chiappe Regali sia il tuo figlio bastardo!"
    "Si chiama Jon"
    "Chiamalo come ti pare ma lo voglio la! E almeno fai finta di essermene grato Ned! Ti ho nominato Primo cavaliere del Re, non ti ho messo mica in una prigione a pane e acqua!"

    Ne sei sicuro Robert? , ma questo Eddard Stark lo pensò solamente. Si ritrovo ad annuire sommessamente.
    "Bene, i Tyrell e i Tully sono già arrivati spero ti unirai a noi per la cena Ned." Girò il cavallo e se ne andò verso le stalle, ma dopo pochi metri si fermò e si voltò: "Come ai vecchi tempi Ned, come ai vecchi tempi." e svanì dietro una costruzione di pietra.
    Già, come ai vecchi tempi, solo che i vecchi tempi erano guerra e dolore oltre che amicizia e gioventù, ma anche questo lo tenne per sè.
    "Jory fai sistemare i miei alloggi" disse al suo fidato uomo del nord "io devo scrivere una missiva alla lady mia moglie".
    Lord Eddard smontò da cavallo e varcò la soglia del lord primo cavaliere.

    [Modificato da Mance 28/03/2007 18.43]



    Sono stato Mance Ryder, capo dello spionaggio di Robert Baratheon...
    Sono stato Eddard Stark, Primo cavaliere di Viserys Targaryen...
    Sono stato Robert Baratheon, fatto a pezzi perchè... troppo bello e abile nello scappare di prigione...
    Sono stato Salladhor Saan, l'ultimo uomo senza Re...
    Sono stato The white walker, colui che cammina nella Notte.
    Sono stato Mace Tyrell, il BELLISSIMO!!!

    Ed ora sono.... Il Buon Padre





    Guardalo negli occhi, fino a che lui, ringhiando, entrerà nei tuoi col suo sguardo... solo allora ti angoscerai... non per paura, bensì per aver compreso il significato della parola fierezza.
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    Glasscub
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    Scudiero
    00 30/03/2007 09:53
    CATELYN
    La luce dell'alba stava iniziando a filtrare attraverso le tende quando Catelyn si svegliò. Aveva dormito poco quella notte, l'ultima nella grande camera di Grande Inverno prima della partenza. La stanza era calda, grazie all'acqua delle caldi sorgenti sotteranee che scorrevano all'interno delle mura della Prima Fortezza. Amava quel tepore, ma mai quanto il calore che avrebbe saputo dargli suo marito. Il letto invece era freddo e desolatamente vuoto da diversi giorni, da quando Eddard era partito per Approdo del Re per rispondere alla chiamata di Re Robert, che lo aveva nominato Primo Cavaliere. Ned non aveva voluto che lei la seguisse, preferendo che restasse al Nord con i loro figli. Ma non poteva nemmeno rimanere a grande Inverno, poiché a Nord i Bruti minacciavano la Barriera. Eddard non voleva correre rischi e aveva voluto che la sua famiglia si muovesse verso Sud. I preparativi erano ormai compiuti e quello era il giorno della partenza.
    Cat si alzò dal letto, infilando una lunga veste da camera, spostò le tende e si accostò alle strette finestre. Ned le avrebbe aperte, per sentire il gelido vento del mattino su di lui, e Catelyn si fece forza. Doveva essere forte, per aiutare i suoi figli che non avrebbero avuto accanto la guida del padre. Quando chiuse gli occhi e aprì la finestra, il freddo la avvolse insieme a minuscoli fiocchi di neve che stavano cadendo. Neve... Snow... Robert Baratheon aveva chiesto che il figliastro di Ned prestasse giuramento nelle Spade Bianche. Cat era divisa tra il sollievo perchè non avrebbe perso un figlio costreto al giuramento, e la rabbia perchè l'onore di essere il Vice-Comandante della Guardia Reale fosse toccato proprio a quel bastardo, frutto dell'unico atto privo di onore di suo marito, che non sarebbe mai riuscita a perdonare. Chiuse le finestre, e il tepore della stanza l'avvolse di nuovo mentre si vestiva e usciva.

    Il tempio di Grande Inverno era una piccola costruzione, che Eddard aveva fatto erigere apposta per lei. Catelyn vi entrò e come sempre si ritrovò sola al suo interno. Pregò gli dei suoi e di suo padre, come aveva sempre fatto sin da bambina. Pregò il Padre perchè donasse forza e saggezza a Ned, in quanto i suoi compiti ad Approdo del Re non erano per nulla semplici. Pregò il Guerriero perchè facesse crescere forti e fieri i suoi figli, e accese due candele ai piedi della Vergine, per Sansa ed Arya. Infine, pregò a lungo la Madre e la Vecchia, perchè aiutassero lei a fare le scelte migliori per i suoi figli, la sua famiglia, e quello che ora era il suo popolo. Quando finalmente alzò gli occhi si accorse che ormai il sole era alto nel cielo, ma anche che gli dei quel giorno non gli avevano concesso il sollievo che di solito provava dopo la preghiera, ma piuttosto una strana inquietudine.
    Fu sorpresa quando uscendo dal tempio si trovò di fronte a Maestro Luwin. “Buongiorno mia signora” disse il dotto aggiustandosi la catena che gli stringeva il collo. “E' arrivato un corvo dalla Barriera, firmato da Maestro Aemon.” Catelyn impallidì a quelle parole. Ali oscure, oscure parole... Ma cosa poteva essere successo? Sapeva che i Bruti si erano fatti aggressivi, ma la Barriera non era mai caduta, in millenni di storia e... No non poteva essere quello. Riuscì finalmente a recuperare il controllo e a rispondere al Maestro. “E.... cosa dice il messaggio, Maestro?”
    Luwin sembrò leggere i pensieri di Cat sotto la sua espressione, e il suo viso si contrasse in un breve ma rassicurante sorriso. “Nessuna notizia terribile, mia signora.” Il suo volto tornò immediatamente serio. “Ma l'anziano Maestro sembra alquanto preoccupato. I bruti sono minacciosi e già una volta hanno attaccato in forza la Barriera, ma non è questo a preoccuparlo. Sulla Barriera sono presenti le truppe degli Umber e dei Boolton, ed esse sono un aiuto fondamentale per i Guardiani. Ma le truppe sono spaventate e smarrite. Diversi soldati hanno gia disertato e altri sembrano sul punto di farlo. Gli stessi Lord si stanno chiedendo perchè devono rischiare le vite loro e dei loro uomini se nemmeno il Lord Protettore e la sua Nobile Casa si degnano di prestare attenzione alla Barriera, e gli stessi pensieri attraversano le menti della maggior parte dei Guardiani della Notte”. Non dovevano essere notizie terribili, forse, ma Cat era ancora paralizzata, forse ancora più preoccupata di prima. Rimase in attesa delle parole del Maestro, che dopo una breve pausa riprese il suo discorso. “Secondo Maestro Aemon l'unico modo per tenere alto il morale delle truppe, e quindi difendersi dalla minaccia dei Bruti, in assenza del Lord Protettore, è che i suoi eredi, Robb e Bran, si rechino sulla Barriera per condurre ed organizzare l'esercito.”
    Cat rimase per qualche secondo immobile prima di riuscire a replicare. “Maestro sei sicuro.... Sei sicuro di quello che stai dicendo? Qualcuno può essere così folle da chiedere una cosa del genere? E tu.... Tu cosa ne pensi...?” lasciò la frase in sospeso, come una speranza. Sapeva che Maestro Luwin era una persona di grande intelligenza e buon senso. E lei non aveva mai visto Ned rifiutare un suo consiglio.
    “Credo che sia una cosa ragionevole mia signora. Maestro Aemon difficilmente sbaglia le sue valutazioni. Nella sua lettera descrive anche con precisione la situazione al Castello Nero e sulla Barriera, e credo che in una situazione come questa la presenza degli Stark di Grande Inverno sulla Barriera sia assolutamente necessaria.”
    Catelyn corse via, senza curarsi del maestro ne della sua direzione. Non riusciva a pensare a nulla se non a scappare da quella notizia e da quel pensiero. Quando riprese il controllo stava per entrare nel Parco degli Dei, uno dei luoghi di Grande Inverno che meno amava. Si addentrò tra i fusti alti e austeri delle querce e degli alberi-ferro, sino a trovarsi quasi inconsciamente di fronte al bianco albero-diga che si trovava al centro del Parco. Fissando gli occhi scavati nella corteccia sentì qualcosa torcersi dentro di lei finchè, finalmente e all'improvviso, si sentì rilassata. Si sedette di fronte all'albero del cuore, come tante volte aveva visto fare a Ned senza mai imitarlo. Dopo qualche minuto sentì che silenziosamente Maestro Luwin l'aveva raggiunta e si stava sedendo al suo fianco.
    “Perchè?” disse Cat, prima ancora che l'erudito potesse parlare. “Perchè devo fare questo? La Barriera è pericolosa, Robb è soltanto un ragazzo e Bran... Bran è ancora un bambino!!”
    Il Maestro si prese qualche secondo prima di rispondere. “Mia signora, l'Inverno sta arrivando. Questo, anche il Lord tuo marito lo sa. E sa che i suoi figli devono crescere in fretta, per essere pronti in qualsiasi evenienza. Sono assolutamente certo che anche lui approverà questa scelta, una votla messo al corrente dei fatti. Robb è ormai un uomo fatto, e Bran non prenderà parte alle Battaglie, ma trovarsi a contatto con la dura e fredda realtàlo aiuterà a crescere. Bran è figlio dell'Estate mia signora, una lunga Estate. E a una lunga estate corrisponde immancabilmente un lungo Inverno.” Luwin si alzò e si allontanò, lasciandola di nuovo sola.
    Rimase ancora diversi minuti a fissare il volto inciso nell'Albero del Cuore. Un volto inquietante ma che, per la prima volta in tanti anni, riuscì a parlarle e a infonderle la sicurezza di cui aveva tanto bisogno. Finalmente si alzò, doveva vedere i suoi figli.

    Li trovò insieme: Robb stava aiutando Bran a preparare le ultime cose per il viaggio.
    “Figlioli, ho qualcosa da dirvi.” Esordì Catelyn.
    Robb la guardò, con gli occhi azzurri così identici ai suoi. “Maestro Luwin ci ha già avvertito mamma.” disse con aria risoluta. Robb sembrava serio, emozionato e in parte preoccupato. Bran invece dava l'idea di essere al culmine dell'eccitazione. Aveva sempre sognato di essere un cavaliere e andare all'avventura.
    “Allora sapete già tutto. Io andrò verso Sud coem previsto, insieme a Rickon e Sansa. Voi due invece andrete a Nord, sulla Barriera.” disse Cat. Riuscì a non far incrinare la voce. Rivide per un attimo il volto scolpito nell'albero-diga e, per qualche motivo, questo le diede forza. “Siete ragazzi forti, sono sicura che non deluderete le aspettative di vostro padre, dei vostri Lord e dei vostri uomini che vi attendono sulla Barriera.”
    Si rivolse a Bran con piglio esageratamente severo. “Manderò un corvo a tuo zio Benjen. Che ti metta in una cella ghiacciata se solo provi ad arrampicarti sul Castello Nero o addirittura sulla Barriera!” concluse con un sorriso, prima di stringere tra le braccia il figlio.
    “Fai attenzione... E proteggi tuo fratello” disse in un orecchio a Robb mentre lo abbracciava.
    Cat trasse un lungo respiro, guardando di nuovo i due figli insieme. “Forza, andate a salutare Sansa e Rickon. Tra poco sarà ora di partire.”
    ________________________________________________
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    Emiliano Targaryen
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    00 19/04/2007 02:15


    Ser Jorah Mormont II
    LA PRESA DI ASTAPOR

    “Mio signore, terra in vista” urlò l’anziano marinaio che dalla coffa si protendeva verso l’esterno mentre con la mano si faceva ombra per meglio osservare il paesaggio che gli si presentava davanti. Erano tre settimane che vagavano per il mare d’Estate e la baia degli Schiavisti. Avevano oltrepassato l’isola dei Cedri e si erano infilati nello stretto lembo di mare che s’incuneava verso Nord. La Balerion guidava la squadra navale da quando erano partiti da Qarth, seguita dalla Meraxes e dalla gemella Vhaegar. A brevissima distanza erano accodate le altre navi che costituivano la flotta del neonato esercito della casa del drago.
    Ser Jorah Mormont salì a sua volta su uno dei pennoni che componevano l’alberatura della splendida ammiraglia e puntò lo sguardo verso le rive che si delineavano all’orizzonte. – Finalmente- pensò tra sé il cavaliere in esilio, -Gli uomini si stavano facendo inquieti, soprattutto i dothraki-. I giorni passati in mare avevano minato il morale e aumentato le ancestrali paure che quei guerrieri indomiti avevano sempre posseduto. Khal Drogo stesso era sempre inquieto e guardava Ser Jorah con un’aria di sospetto mista ad un superstizioso timore. Il grande condottiero delle pianure aveva addirittura chiesto un paio di volte alla sua sposa, Daenerys Targaryen, madre dei draghi e nata-dalla-tempesta, di sbarcare le truppe dothraki e di indicargli dove fossero diretti per raggiungerli a cavallo.
    “Preparatevi allo sbarco, tra pochi minuti saremo a terra” urlò a sua volta Mormont. Un grido, come un sol uomo, si alzò dalla Balerion, facendo precipitare di corsa sul ponte sia Khal Drogo che la giovane principessa. “Mia regina, siamo finalmente giunti alla fine della traversata.” “ Khal, se vuoi preparare i tuoi guerrieri, puoi farlo. Tra breve i tuoi indomiti cavalli calcheranno il suolo di Astapor.” “Ser Jorah” rispose Drogo mentre le campanelle che ornavano i suoi capelli intrecciati suonavano sinistramente “ Tra poche ore i miei uomini consegneranno al mio sole e luna quella città e tutti i suoi tesori. Comanderò le armate della mia sposa verso la vittoria ed altri campanelli suoneranno fra i miei capelli”. “Mio sole e stelle, sbarchiamo gli uomini e approntiamo l’accampamento in modo che i soldati possano rifocillarsi e riprendere le forze.” Si rivolse al possente guerriero Daenerys Targaryen. “Ser Jorah, mio buon cavaliere, riferisci a mio fratello Viserys che avrei piacere che cenassimo insieme stasera per meglio accordarci sul come trattare con i maggiorenti della città. Non nego che se riuscissimo a trattare con loro come a Qarth, sarei estremamente soddisfatta.” “Mia regina” disse il cavaliere dell’Orso “Non illudiamoci, le città della Baia degli Schiavisti sono ricche e potenti, pertanto non chineranno il capo di fronte a nessuno, soprattutto senza aver avuto una chiara dimostrazione di forza.” “Cavaliere, se i miei draghi fossero già pronti, cavalcherei sopra di essi e incenerirei questa città come Aegon il Conquistatore fece con il castello di Harren il Nero. Nessun soldato dei nostri cadrebbe e loro vedrebbero la mia forza” riprese con vigore la giovane Targaryen. “Maestà, i draghi sono ancora incapaci di partecipare alla guerra, dunque la conquista della città ci costerà molto sudore, sangue e fatica…se mi consenti…” “No, non ti è consentito” disse duramente Khal Drogo frapponendosi tra ser Jorah e la giovane figlia dell’ultimo re dei draghi. “ Draghi o non draghi un Dothraki prende ciò che vuole. Mentre ser Jorah blatererà vuote parole io, Khal Drogo, conquisterò Astapor e la metterò in ginocchio presso il mio sole e luna. Non temiamo nessuno.” Pur se irato, il cavaliere dell’Orso cercò di ribadire i suoi concetti “ Non siamo nella verde pianura del mare Dothraki, o immenso khal. Un assalto ad una città fortificata va studiato in ogni singolo e minimo dettaglio”. “Basta così ser Jorah” interloquì Daenerys Targaryen “Kahl Drogo ha il comando delle truppe dell’esercito Targaryen, così come tu sei l’ammiraglio della flotta. Non sta a te mettere in discussione i piani del khal. Cercherò di trattare cavaliere, ma se non apriranno le porte e non faranno atto di sottomissione verranno sterminati”.

    Issare il campo fu estremamente laborioso, anche perché oltre alle migliaia di persone che costituivano il seguito degli ultimi due principi del drago, i Dothraki avevano migliaia di cavalli che necessitavano di cure e cibo. Il padiglione di Khal Drogo era costituito da tre tende principali, dove alloggiavano in una lui e la sua consorte, nell’altra Viserys Targaryen, e nell’ultima i capitani dell’esercito: Ser Jorah Mormont, Ser Barristan Selmy e il comandante mercenario Daario Naharis. Subito dopo, a costituire come una corona intorno al padiglione vi erano le tende dei cavalieri e degli armati Dothraki, mentre la cerchia esterna era costituita dalle truppe reclutate a Qarth, con l’esclusione degli Immacolati, i potenti eunuchi guerrieri, che preferivano approntare un accampamento a parte.
    La tenda di Daenerys era lussuosa come uno dei palazzi delle Città Libere, con tappeti di Myr che facevano da pavimento ed arazzi di Norvos che raffiguravano scene di miti riguardanti il tempo degli eroi, prima del disastro dell’antica Valyria. Le armi di Drogo erano appese accanto ad uno splendido dipinto di Qohor, mentre suppellettili varie erano presenti un po’ ovunque.
    All’ora convenuta i capitani del neonato esercito del drago entrarono nella tenda della regina accompagnati da due ancelle che li annunciarono al Khal e alla khaleesi Dothraki. Il principe Viserys entrò da solo trascinando l’ancella che lo accompagnava: “Sorella, le formalità vanno bene con i nostri sudditi, ma io sono il sangue del drago, non un lercio postulante. Non sono io che devo essere ammesso alla tua presenza.” “Fratello mio, scusa le maniere delle ancelle, non conoscono la lingua comune, quindi a volte usano termini non adatti alla regalità della tua persona” rispose con garbo la principessa. “Miei amici e prodi cavalieri, siamo qui per discutere di guerra. I capi di Astapor ci rifiutano accoglienza e hanno minacciato di ributtarci a mare se non partiamo entro domani mattina” riprese Daenerys. “Mio sole e luna, domani mattina Astapor sarà in cenere e tu banchetterai nella magione di uno dei maggiorenti della città” disse con forza Khal Drogo. Schiarendosi la gola con un colpo di tosse parlò Ser Barristan Selmy “Mia regina, ser Jorah mi ha informato dei piani del khal tuo marito e, seppur con malincuore, non posso avallarli a cuor leggero. Il cavaliere dell’Orso ha ragione, un assalto a delle mura non è come una battaglia campale, rischiamo tremende perdite se ci lanciamo contro Astapor senza un piano…” “E tu ne avresti uno?” disse con asprezza il capo dei Dothraki mentre le campanelle tintinnavano ad ogni movimenti della testa. “ Mio signore, sì, avrei un piano” rispose l’uomo che un tempo comandava la Guardia Reale di Approdo del Re. “Tienilo ben custodito cavaliere, può servire quando cadrà la prossima città, nel frattempo se non hai paura del nemico, preparati. Anche voi altri, svelti.” Tuonò Drogo “Si va alla guerra, all’alba voglio l’esercito pronto”.

    “Mia signora non vi sentite bene?” disse una delle ancelle di Daenerys, guardando la giovane Targaryen abbandonata su una stuoia con le mani tremanti che si aggrappavano con forza ai suoi capelli color argento. “Sto bene, non temere per me, ma senti queste grida? Sono molte ore che si combatte e l’odore della morte e del sangue giunge a me sempre più forte”. Una seconda ancella entrò nella tenda annunciando una visita: “Khaleesi, ser Jorah Mormont chiede udienza.” “Fallo passare, ti prego, speriamo porti sollievo ai miei dolori”. “Purtroppo mia regina non è così” esordì il cavaliere in esilio “Non è mio costume profetizzare sciagure, ma è avvenuto quello che temevo: Khal Drogo ha diviso l’esercito in tre tronconi per investire la città in ondate che dovevano essere sempre più forti.” “Che esito ha avuto la battaglia, cavaliere, parla e non tacere i particolari” lo esortò Daenerys Targaryen. “Mia regina, la città regge, gli uomini si sono battuti con ardore e coraggio ed hanno inflitto perdite notevoli, ma lo abbiamo pagato a carissimo prezzo. E non è tutto…” “Non essere reticente ser Jorah, ti ordino di parlare” alzò bruscamente la voce la giovane figlia del vecchio re Aerys il folle. “Una sortita degli Astaporiani ha aggirato le sentinelle alle navi e ben 6 vascelli sono andati perduti” disse tutto di un fiato il vecchio cavaliere. “Quanti uomini abbiamo perso ser Jorah, la verità mio buon cavaliere” “Diverse migliaia mia regina, soprattutto fra i Dothraki. Khal Drogo li ha….” “ Ti ho detto di non tacere e non lo ripeterò più cavaliere” La pazienza di Daenerys era quasi esaurita. “Mia regina, li ha mandati al massacro. Migliaia di corpi stanno giacendo alle porte di Astapor senza che neanche un uomo sia riuscito a varcarle. Le mura di Astapor sono solide ma sono ben poca cosa rispetto ai castelli che dovrai espugnare nei 7 Regni, se non riusciamo a prendere queste, non riusciremo neanche a scalfire quelle formidabili fortezze”.
    Daenerys Targaryen si abbandonò ad un sospiro “Prode cavaliere, Astapor cadrà, e dopo di essa anche le altre roccaforti della Baia degli schiavisti. Poi verrà il turno dell’Occidente e dell’usurpatore. Ora vai e stasera torna con gli altri capitani”. Congedatosi dalla regina Ser Jorah Mormont si diresse verso la tenda del principe Viserys. L’ultimo erede maschio della dinastia del drago aveva voluto partecipare alla battaglia e aveva dato anche ottima prova di sé. Il vecchio cavaliere trovò il giovane principe intento ad affilare un pugnale istoriato con delle rune; lo aveva preso come bottino di guerra ad un Astaporiano al quale aveva mozzato di netto la testa durante la carica della cavalleria.
    “Cavaliere, dicevi il vero riguardo gli attacchi a città fortificate, devi aver preso parte a molte battaglie” esordì Viserys. “Mio principe, ho combattuto in molte battaglie, soprattutto ai tempi della rivolta di Balon Greyjoy. Non è stato l’ardore di Robert Baratheon o la furia di Ned Stark a sedare le piovre, ma le possenti macchine d’assedio, come catapulte e scorpioni. Gli uomini hanno solo completato l’opera” disse Jorah. “Stasera mio buon amico parlerò in consiglio, Ser Barristan comanderà le truppe del drago e supervisionerà agli Immacolati. Sono truppe formidabili, guerrieri indomiti e terribili” continuò l’erede di Aerys “Tu mio fedele amico avrai il comando delle truppe da tiro e cercherai di tenere a freno l’impeto di khal Drogo,non voglio che questa città ci costi più di quanto già non ci sia costata”. “Mio Principe, non possiamo perdere tempo in un assedio. Se qualcuno riuscisse ad uscire dalla città e a recarsi presso Yunkai o a Meereen, rischieremo di vederci piombare addosso almeno 10.000 uomini pronti a rinforzare gli Astaporiani.” “Hai ragione ser Jorah, domani la città deve assolutamente cadere”. “Mio signore, una domanda: se dovrò comandare i frombolieri, chi comanderà la cavalleria?” chiese l’anziano cavaliere. “Pensavo l’avessi capito ser Jorah, la cavalleria la comanderò io personalmente. Ma ora muoviamoci, mia sorella ci aspetta”.

    Daenerys assistette con vivo stupore al discorso che il fratello tenne al concilio. Nemmeno Drogo osò controbattere alle argomentazioni del giovane drago. La sua prestazione in battaglia era stata lodevole e questo aveva contribuito a far guadagnare al giovane principe la stima di moltissimi ufficiali del neonato esercito Targaryen. Ser Barristan Selmy seguiva ormai il ragazzo come un ombra, mentre ser Jorah Mormont lo stava addestrando sempre di più nelle arti militari.
    Il piano di Viserys non trovò oppositori, anche perché in maniera astuta lasciò fuori Khal Drogo da obblighi particolari, gli dava carta bianca con i suoi Dothraki, e questo bastava all’indomito khal.
    “Miei principi, vorrei sottoporre alla vostra attenzione una cosa” disse ser Jorah dopo che Viserys ebbe terminato di esporre il suo piano. “Noi non siamo razziatori o crudi barbari, siamo conquistatori come lo fu Aegon Targaryen quando unificò i 7 Regni. Sarebbe utile che non vi fossero omicidi e saccheggi a battaglia finita. Siamo qui per affrancare gli schiavi e governare la città, non per ridurla in un ammasso di ceneri fumanti”. Fu khal Drogo a parlare e a rispondere “I Dothraki hanno diritto al loro bottino, così è sempre stato. E’ risaputo”. “E’ risaputo” dissero in coro i cavalieri di sangue del khal, in pratica la sua guardia del corpo personale. “Grande khal” rispose a sua volta il cavaliere dell’isola dell’Orso “ Nessuno vi priverà del bottino, ma se vogliamo che la città non sia un covo di serpi nascoste, pronte a mordere nell’ombra con atti di sabotaggio e guerriglia, dobbiamo apparire diversi da coloro che governano ora”. “Cosa temi mio buon amico?” chiese Daenerys Targaryen all’uomo che aveva di fronte. “Mia dolce regina, temo per la sorte dei draghi; se qualcuno riuscisse ad avvelenarli o a pugnalarli, tutte le nostre speranze sarebbero ridotte di molto. Inoltre come possiamo procedere verso occidente se i nostri domini ad Oriente non fossero sicuri? Alla minima difficoltà scoppierebbero tumulti e potremmo rischiare di dover affrontare le forze congiunte dell’usurpatore e degli orientali”. “Ser Jorah dice il vero, o regina” interloquì Ser Barristan Selmy “Una città in subbuglio significa dover lasciare un presidio nutrito e impiegare risorse preziose per impedire rivolte e atti di sabotaggio”. LA giovane sovrana Targaryen pensò fra sé a lungo poi disse “Avete ragione miei cavalieri. Drogo potrete saccheggiare le case degli schiavisti ma niente stupri o inutili omicidi. Ser Jorah e Ser Barristan, grazie del prezioso aiuto e consiglio. Mio buon fratello, adotteremo il tuo magnifico piano e…” “E domani la città sarà nostra dolce sorella.” Terminò Viserys, e il consiglio ebbe fine.

    AHOOOOOOOO, AHOOOOOOOO, AHOOOOOOOO, tre volte echeggiò il corno di guerra dell’esercito del drago. Gli uomini si disposero in file ordinate: Viserys prese con sé la cavalleria e la portò sul lato sinistro dello schieramento, mentre Drogo con i Dothraki si appostava sul lato destro. Ser barristan selmy prese il comando delle truppe appiedate e fece schierare gli Immacolati al centro. Ser Jorah Mormont impartì seccamente un ordine: “Arcieri!!! Tirate a volontà!”. Una pioggia di dardi saettò verso le merlature delle mura di Astapor colpendo scudi, pietra e carne; urla agghiaccianti si levarono da quei torrioni.
    “Ser Jorah” chiamò a tutta voce Viserys Targaryen “Date ordine a Ser Barristan di avanzare al centro.” “consideratelo fatto principe Viserys.” Ricevuto l’ordine le truppe di barristan si mossero come un sol uomo verso le mura della città, mentre gli arcieri continuavano a bersagliare gli assediati che, non senza coraggio, si prodigavano in una affannosa difesa.
    “Principe stanno aprendo le porte, intendono combattere in campo aperto.” Disse il cavaliere dell’Orso al giovane Targaryen.
    Le truppe Astaporiane uscirono in perfetto ordine dalla città schierandosi davanti agli occupanti. Gli Immacolati al comando di ser Barristan si lanciarono verso le truppe nemiche seguiti dalle altre truppe del drago. L’impatto fu tremendo, ma la differenza di forze si fece subito notare: la spinta dei picchieri combinata alla fanteria e agli Immacolati spinse le truppe dei difensori verso le porte della città. “Principe è il momento della cavalleria” disse ser Jorah Mormont. “Cavaliere, prendi un cavallo e combatti al mio fianco per la gloria della nobile Casata Targaryen.” Senza farselo ripetere una seconda volta il veterano salì sul suo cavallo e si lanciò assieme all’ultimo erede della casta dell’antica Valyria verso la marea umana che ormai si assembrava presso le mura della città. Frattanto anche khal Drogo aveva lanciato al galoppo i suoi cavalieri Dothraki. L’avvento delle due ali di cavalleria spezzò di netto il fronte della battaglia e come un fiume in piena i guerrieri irruppero nella città senza che i difensori potessero cercare di richiudere le mura. Gli immacolati astaporiani e gli arcieri continuarono a combattere fino allo stremo ma la differenza numerica era soverchiante. In poche decine di minuti la mattanza fu compiuta.

    Viserys Targaryen, ser Jorah Mormont, ser Barristan Selmy e Khal Drogo si recarono presso la tenda del padiglione reale dove sedeva su vellutati cuscini la principessa Daenerys, nata dalla tempesta e madre dei draghi. Le sue ancelle lavarono il sangue e il sudore dalle mani e dai volti di quegli indomiti combattenti. “Mia Regina” disse ser Jorah Mormont mettendo un ginocchio a terra in segno di omaggio “il piano di tuo fratello è stato un successo. Astapor è caduta. La città ti prega di diventarne regina.” Gli occhi della fanciulla si riempirono di lacrime, ma erano di gioia e il sorriso che regalò a suo marito a suo fratello e ai suoi due cavalieri, ripagò tutti loro delle fatiche della battaglia. “Grazie” fu l’unica parola che ella potè dire senza poter poi trattenere le lacrime.


    Ser Brynden Tully, il più forte cavaliere del Tridente

    Nella seconda partita: Jorah Mormont, da umile cavaliere a Lord Protettore di Alto Giardino.

    Nella terza partita: Principe Viserys Targaryen, assassinato da un concilio ristretto di vili e di infami

    Nella Quarta partita: Lord Balon Greyjoy, costruttore di bordelli...

    Nella Quinta partita: Lord Tywin Lannister, semper fidelis, abbattuto dagli dei.

    Nella sesta partita: Ser Denys Arryn, l'unico con le palle che le ha cantate ad un re invertebrato e ad un primo cavaliere doppiogiochista e col carisma di un germoglio di soia

    Emiliano Targaryen....l'ultimo dei draghi....

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    Tyrion
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    00 23/04/2007 11:40

    TYRION II






    Non ci volle molto tempo ad una mente acuta come quella di Tyrion ad abituarsi al nuovo incarico, o se vogliamo, addirittura, nuovo ruolo, che il Lord suo padre gli aveva affidato.
    Sostanzialmente ciò che il nano doveva fare era essere un filtro tra i numerosi questuanti di ogni ordine e livello sociale e Lord Tywin in persona o Ser Kevan: avere il protettorato dell’Ovest nonché il Comandante della Guardia Reale rendeva la Casata Lannister centro di numerosi interessi e ciò rendeva il piccolo nano particolarmente occupato.
    Dopo la missione diplomatica presso Approdo del Re si era deciso di contribuire in modo determinante alla sicurezza dei Sette Regni e dalle casse di Castel Granito era partita una considerevole somma assieme a Ser Kevan alla volta del freddo Nord. Evidentemente però anche altre e più impenetrabili erano state le decisioni di suo padre: Tyrion si trovava spesso a Lannisport a seguire i lavori di un certo cantiere segreto.
    “Dove si trova il capo cantiere? Mandatemi subito mastro Aron!” Ordino il nano a due operai.
    “Subito Ser Tyrion” Rispose uno di questi e si dileguò tra la calca del cantiere.
    Era una giornata di sole caldissimo a Lannisport: i vestiti del nano erano impregnati di sudore e continuamente si rendeva necessario asciugare le fronte, pensa il rischio di sentirsela gocciolare. Nel cantiere gli operai lavorano praticamente nudi, comprendo unicamente la proprie parti intime. Il caos legato al complesso dei lavori era assolutamente indistricabile: probabilmente l’impressione che un esterno ne avrebbe avuto sarebbe stata quella di un formicaio appena danneggiato da qualche bambino dispettoso. Nonostante ciò, evidentemente ogni singolo lavoratore sapeva esattamente cosa fare e dove posizionarsi. Di fatto da Castel Granito erano giunti ordini perentori nonché anche una discreta cifra di denaro che sarebbe dovuta bastare (oltre alle minacce) a fare in modo che i lavori terminassero in tempi record e che ogni singolo lavoratore fosse, come dire, invogliato a impegnarsi molto e parlare poco.
    Il nano attese quindi l’arrivo dell’uomo, rapito nell’osservazione di tanta industria: falegnami, carpentieri, fabbri, semplici manovali correvano come impazziti in ogni direzione incontrandosi e dividendosi continuamente, trasportando materiali di ogni tipo. Gridando: il rumore era assordante, voci sovrastavano altre voci, a loro volta sovrastate da urla e richiami. La calca, il rumore, il caldo e l’odore avrebbero fatto girare la testa a chiunque non fosse ormai abituato ad uno spettacolo simile.
    “Ser Tyrion, mi cercavate? Perdonate l’attesa, ma sapete i lavori mi assorbono completamente.” Dichiarò appena arrivato il capo mastro.
    Si trattava di un uomo immensamente grasso, molto di più rispetto a maestro Pycelle o Lord Varys di Approdo del Re: forse loro due messi assieme sarebbero stati un buon paragone. Il sudore imperlava la sua fronte e la tunica risultava grondante: inutile descrivere i terribili odori che si sprigionavano dal suo corpo, sovrastanti addirittura i miasmi del restante cantiere.
    Nonostante questo aspetto trafelato e impacciato, colui che stava di fronte a Tyrion era, a detta di molti, il miglior esperto di costruzioni navali di tutto l’Ovest e proprio a tale scopo era stato ingaggiato.
    “Non vorrei mai che il vostro genio caro Aron vada perduto a causa dell’eccessivo stress, per cui recuperate fiato e andiamo nel vostro ufficio a parlare, sicuramente saremo più tranquilli e meno accaldati”. Ghignò il nano.
    I due così si diressero alla baracca che era stata allestita nei pressi del cantiere per ospitare il lavoro dei tecnici. Aron ebbe il tempo di asciugarsi sommariamente e di poggiare la sua immane mole si una sedia scricchiolante.
    “A che punto sono i lavori?” A Tyrion sembrava essere la millesima volta che poneva questa domanda. Da ormai parecchio tempo il Lord suo padre lo inviava a cadenza regolare a Lannisport a sincerarsi dell’avanzamento del cantiere.
    “E’ con estremo orgoglio che posso finalmente annunciarvi che la flotta è praticamente pronta. Stiamo mettendo in acqua le ultime navi e ultimando le prove su quelle già pronte. Certo mancano ancora taluni dettagli decorativi sulla nave ammiraglia o cose simili; ma sono assolutamente convinto che tra 10 giorni vostro padre, il Lord di Castel Granito potrà ammirare la sua nuova flotta per intero, schierata nella baia di Lannisport e pronta per il varo ufficiale.”Rispose, visibilmente emozionato, mastro Aron.
    “Eccellente: riferirò al Lord” ricambiò Tyrion.
    “Volete dare un’occhiata in anteprima Ser?” Propose il grassone.
    I due, scortati dagli uomini del nano, si diressero a cavallo sul promontorio da cui sarebbe stato possibile ammirare, in una giornata serena come quella, tutta la baia di Lannisport e di conseguenza anche un’intera flotta lì schierata. Ci volle oltre un’ora di cavalcata per uscire dal porto e dal cantiere e imboccare la strada per la collinetta: certamente la fatica valse la vista.
    Davanti al nano, cullate dal dolce ondeggiare del mare, si ergevano quasi 200 navi lunghe, pronte ad ospitare un grande equipaggio atto a farle navigare veloci (molto più veloci rispetto alle loro cugine più vecchie) nonché un discreto numero di soldati pronti alla battaglia. Il colpo d’occhio era veramente impressionante: Tyrion fu costretto ad asciugarsi una lacrima che scendeva spontaneamente dall’occhio e per qualche secondo il suo respirò si bloccò: non aveva mai visto un tale dispiegamento di forze in mare e probabilmente nessuno nei Sette Regni avrebbe potuto vantare una flotta simile.
    “Ben fatto mastro Aron, mio padre sarà felice si sentire le mie parole”. Fu tutto ciò che il nano riuscì a dire, ancora abbagliato dall’emozione.
    TRANSIRE SUUM CORPUS MUNDOQUE POTIRI

    Tyrion Lannister
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    ArthurDayne
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    La Spada dell'Alba
    00 24/04/2007 17:34
    La nuova stirpe dei Draghi - Daenerys I
    La ragazza guardava la distesa piatta che la circondava in sella alla sua puledra color dell’argento, dietro di lei il rumore incessante di chi preparava il campo per la notte. Un altro lungo giorno era passato, e come al solito a lei piaceva passarlo da sola, a pensare. Chissà quanti altri giorni sarebbero passati prima di tornare a Casa, sempre che si potesse chiamare casa un posto che non si riusciva a ricordare. Giorni, mesi, anni, ormai il tempo era diventato meno importante, meno opprimente. Si era ormai resa conto che il tempo non lascia comunque dimenticare, puoi farlo forse per qualche tempo, ma alla fine le cicatrici tornano sempre a ricordarti Chi sei, e cosa devi fare.
    Quindici, tanti erano gli anni trascorsi da quella notte dove acqua, fulmini e tempesta erano stati testimoni della nascita dell’ultima dei Targaryen, Daenerys. Quella stessa notte lei e suo fratello Vyseris, erede al Trono di Spade, erano dovuti fuggire, facendo rotta per le città libere per cercare scampo dalla furia cieca dell’usurpatore, che voleva cancellare la famiglia Targaryen per sempre. Quindici lunghi anni, e quella furia ancora non si era assopita, le ferite non guariscono. Tutti questi anni passati a scappare, a nascondersi dai sicari mandati contro di loro, difesi solo dalla spada del vecchio Ser Jorah Mormont, cavaliere esiliato dell’isola dell’orso, messosi al loro servizio. Durante quegli anni Vyseris le aveva raccontato, ogni volta con rabbia cresecente, la storia della loro famiglia, dal glorioso avvento di Aegon “il Conquistatore” insieme ai suoi tre Draghi fino al tragico assassinio del loro Padre. Vyseris, caro fratello, sapeva essere un fratello affettuoso, premuroso e protettivo, ma niente riusciva a trattenere la sua furia quando pensava a quegli anni, e spesso sfogava la sua rabbia con insulti e violenze verso l’unica persona che gli era rimasta. Lei però lo capiva, anche perché non poteva fare altrimenti, anche lei aveva solo Lui.
    In tutti questi anni Vyseris aveva ripetuto “vedrai sorellina, tornerò ad essere Re, ucciderò con queste mani l’ ‘Usurpatore’, ti ricoprirò di bei vestiti, e il nostro nome ritornerà grande, siamo sangue di drago, non dimenticarlo mai”. Ci avevano quasi creduto quando avevano incontrato uno dei signori di Pentos, Magistro Illyrio, che li aveva presi sotto la loro protezione, li aveva ricoperti d’oro, e gli aveva offerto il suo appoggio. Un giorno si era presentato mentre i due fratelli pranzavano sulla terrazza del fastoso palazzo che li ospitava, era via da giorni, nessuno sapeva dire dove fosse andato o perché, si presento con un’aria allegra dicendo “buone notizie miei giovani Targaryen, veramente buone. Tu Vyseris avrai il tuo esercito, con questo potrai tornare in occidente e riprenderti ciò che ti spetta di diritto. Tu Daenerys mia cara, avrai un marito, il migliore che potessi sperare”.
    Così eravamo partiti per la steppa verso il mio sposo, Khal Drogo, con le poche cose che avevamo, e un regalo di magistro Illyrio. “Tieni” mi disse consegnandomi tre lucidissime pietre “queste sono uova di drago, nessun regalo può essere più adatto per la bellissima Signora dei Draghi”. Il matrimonio, il lungo viaggio verso Vaes Dotherac. Centomila guerrieri temprati da centinaia di battaglie ci seguivano. Avevo dovuto accettare un matrimonio imposto, ma mio fratello aveva avuto un’esercito di guerrieri temprati nati per combattere.
    Pensava a questo Daenerys quando una delle sue ancelle venne a chiamarla. “Khaalesi” parlava con deferenza, senza fissarla “c’è una carovana, vengono da Qarth, dicono che trasportano doni per voi, doni di nozze”. Regali, non le interessavano, ma ormai lei era la regina, o quello che in queste terre più le assomigliava, e certo non poteva offendere chi glieli aveva inviati.
    “Fammi strada” disse all’ancella, seguendola poi facendo andare al passo la sua giumenta. I carri erano stati fatti entrare nel campo, e già i doni venivano fatti scaricare per essere trasportati. Vyseris con il suo vestito di un color rosso sgargiante con ricami in oro le venne incontro, con una sguardo di felicità intensa, quasi folle. “Vedi cara Sorella, già la nostra fama è arrivata lontana, ci onorano con i loro doni, è la nostra amicizia che vogliono, perché già MI vedono come Re dell’occidente!” la risata che accompagnò le parole era sicuramente segno di follia.
    “Hai sicuramente ragione fratello, vogliono avere la tua amicizia…” lasciò una pausa intenzionale “…ma è a me che mandano doni” non era dell’umore adatto per assecondare le manie del fratello, che ogni giorno diventavano più evidenti.
    “Certo, perché sarebbe vergognoso comprare la mia benevolenza con queste miserie” la rabbia non era minimamente celata “quindi sperano che tu possa intercedere per loro, poveri stupidi”
    “E’ certamente come dici tu Vyseris, ma…”
    “Non osare contraddirmi Sorella” la mascella contratta, forse per lo sforzo di trattenere le parole “IO SONO IL TUO RE, e tu devi obbedirmi”
    “Ed io sono la Khaleesi, questo è il mio popolo…” indicò il campo che li circondava “…e questi sono i miei soldati”. Vyseris non sembrava in grado di controllare la rabbia, forse aveva esagerato e non voleva che il litigio andasse oltre.
    “Scusami fratello” disse con voce bassa, abbassando lo sguardo “sono stanca per il viaggio, e tutta questa sporcizia addosso mi rende nervosa. Andiamo a riposarci e a calmarci, ne riparleremo dopo cena”.
    Detto questo posò un bacio sulla guancia del fratello e si diresse verso i carri dai quali stavano scaricando i doni. Erano casse e giare sigillate, contenenti chissà cosa, ma in fondo non aveva importanza, la cosa che la incuriosiva era chi poteva averle mandato un dono e, soprattutto, cosa voleva. Anche se ingraziarsi la nuova moglie del Khal più potente della steppa era già un motivo più che valido. Si diresse verso l’uomo che sembrava dirigere i lavori, una figura corpulenta vestita con una colorata tunica ed un turbante bianco, il volto bonario era però contrastato da uno sguardo deciso e dalla voce tonanto con la quale era impegnato a far correre i portantini come se stesse evacuando una casa in fiamme. “Salve” disse Daenerys facendo letteralmente saltare sul posto il mercante “non affannatevi così tanto, e ditemi, chi mi rende onore con i suoi omaggi?”
    “beh…” rispose l’uomo cercando di riprendere fiato “è un dono degli eterni di Qarth ovviamente” lo sguardo che tornava nervosamente verso i carri “sbrigatevi voi!” gridò rivolto a due schiavi che si erano fermati a bere “scusate khaalesi, ma se li perdi un attimo di vista battono subito la fiacca”
    “non abbiate fretta buon uomo, non volete farci omaggio della vostra presenza per la notte?”
    “Mi spiace mia signora, ma abbiamo un viaggio ancora lungo da fare” si affrettò a rispondere l’uomo. “ed in questo caldo deserto conviene muoversi quando il sole è basso, quindi preferiamo fare ancora qualche miglia prima di notte”.
    “Capisco…” Forse non era allettante per un mercante rimanere così vicino ad un popolo di predatori, mala reazione sollevata dell’uomo la incuriosì “ma non vorrete certo negarmi il piacere della vostra compagnia mentre beviamo qualcosa di fresco. Dopo questo viaggio sarete sicuramente stanco” concluse girandosi verso l’entrata della tenda.
    “khaleesi, perdonatemi, ma non sapete quanto possono essere sfaticati questi uomini senza nessuno che li controlla”
    parlò con un tono nervoso e preoccupato, con un nervosismo eccessivo anche per chi si trovava circondato da tutti quei dothraki.
    “Non si preoccupi, dirò alle mie guardie di fare in modo che tutto venga fatto nel modo più veloce possibile, vi prego, fatemi compagnia e raccontatemi qualcosa di Qarth e delle sue magie”.
    Disse una parola a Mirri, una delle sue ancelle, che subito si allontanò, poi fece un cenno al mercante, ed entrò nella tenda. Lo spazio era tutt’altro che stretto, e se non grande come una sala comune di un castello era forse paragonabile per dimensioni a quella di una grande locanda. Ovviamente l’arredamento era consono ad una khaleesi, cuscini ricamati, oggetti in oro lavorato, arazzi. I servi erano affaccendati con la preparazione della tenda per la notte, e gli uomini di Qarth sistemavano con ordine i doni in un angolo buio. I bracieri erano pronti, e al calar della notte sarebbero stati accesi per riscaldare la rigida notte della steppa. Si diresse verso una serie di cuscini, si accomodò facendo cenno al mercante di accomodarsi. Subito un’ancella arrivò portando un vassoio. Il mercante sembrava fuori posto, e continuava a guardare verso i suoi servi con fare nervoso.
    “Non preoccupatevi, stanno facendo un buon lavoro, anzi…” disse girandosi verso nella direzione verso la quale i servi stavano posando la roba, ma proprio in quel frangente mentre un servo accatastava una giara sopra le altre andò ad inciampare su un tappeto, rovinando addosso alla catasta di giare.
    Quello che accadde dopo è difficile da narrare, un liquido denso, verde scuro prese a colare dalle crepe delle giare e dai tappi saltati nonostante la chiusura in ceralacca. Il mercante saltò in piedi e prese a correre verso l’uscita, gridando in preda ad una crisi isterica. Poi, l’inferno. L’aria stessa sembrò prendere fuoco, fiamme verdi assalirono la tenda i montanti le persone che erano li vicino. Come olio quel liquido verde scivolava espandendosi, le giare ancora chiuse esplosero, spargendo fiamme e morte ovunque. Daenerys era rimasta senza fiato, migliaia di immagini e parole si affacciavano alla mente, 15 anni a scappare e a nascondersi dai sicari dell’Usurpatore, e ora, con un potente esercito alle spalle, con quella sicurezza tanto cercata, erano riusciti a raggiungerla, e ad ucciderla. Avrebbe voluto riportare il fratello Vyseris sul trono che gli spettava, ripagare gli assassini della loro famiglia con la stessa moneta.
    Le persone più vicine furono immediatamente avvolte dalle fiamme, i vestiti inceneriti in un secondo, così come i capelli, l’odore acre della pelle bruciata riempì velocemente l’aria, presto la tenda sarebbe crollata, presto la morte avrebbe posto fine a questo strazio. Gli occhi senza vita di chi era stato così fortunato da morire velocemente la fissavano in cerca di aiuto, la supplicavano, dal cuore avrebbe voluto gridare ‘COME? COSA POSSO FARE PER AIUTARVI?’ ma non aveva la forza, e le orecchie erano piene delle grida di chi ancora agonizzava vicino a lei, e delle grida di chi fuori cercava di dare l’allarme chiedendo aiuto ed acqua. Le grida di chi Lei avrebbe dovuto proteggere la straziavano più di ogni cosa, voleva essere Regina, ma non poteva fare niente. Sentiva le urla di tutti, dentro e fuori la tenda, chiare e limpide, tutte, ma non la sua…
    Lei non urlava, non per il troppo dolore, ma per la sua totale assenza. Le fiamme non la toccavano, anzi, la evitavano, come se fosse stata una mendicante sporca in un mercato gremito. Una bolla d’aria la circondava, le fiamme non vi penetravano, anzi ne lambivano i contorni evidenziandoli. Provò a tendere una mano fuori dalla bolla, le fiamme si aprivano, circondando il polso come un brillante bracciale, senza toccare la pelle, e senza bruciarla, danzandole attorno avvolgendola ma senza toccarla. Le vennero quindi in mente le parole che sempre Vyseris le diceva la sera prima di andare a dormire quando era piccola e lui le raccontava su come erano i Sette Regni e su come lui li avrebbe riconquistati
    “…ricordati Dany, che noi siamo sangue di drago, nelle nostre vene scorre il fuoco dei Draghi, e presto se ne accorgeranno…”
    Il fuoco non poteva farle male, perché Lei lo aveva dentro, e la riconosceva come padrona, non come vittima. Un bagliore attirò la sua attenzione, distraendola dalla strana sensazione di euforia che la stava assalendo. In basso vicino ai cuscini in fiamme, una luce bianca pulsava sempre più intensamente, erano le tre pietre che erano state il dono di nozze di Magistro Illyrio “le uova di Drago, gioielli di valore inestimabile degni solo per la stirpe del drago, forse Voi riuscirete a farli schiudere…
    Si avvicinò, anche con le uova il fuoco aveva un comportamento strano, ma non sembrava evitarla, sembrava quasi che ne volessero fuggire, ma senza successo. Le uova assorbivano le fiamme, e aumentavano la loro luminosità. Daenerys avvicinò le mani, le toccò con cautela aspettandosi un calore insopportabile, invece al tatto erano fredde, come se fossero state all’aperto, in una fredda notte della steppa. Quello che era insopportabile era guardarle, tanto intensa era la loro luce. Le prese in mano, e sentì la superficie liscia interrotta da crepe che sembravano crescere ogni istante. Di colpo la luce divenne insopportabile, un boato fortissimo scosse quel che restava della tenda, e le fiamme furono tutte inesorabilmente risucchiate dalle uova, estinguendosi in pochi secondi. Le grida cessarono, e la luce continuò a crescere, per minuti, o forse per ore il tempo sembrava essersi fermato…
    Daenerys riaprì gli occhi lentamente, dove prima era la tenda ora restavano solo ceneri e resti umani, ma quello che la lasciò senza parole lo aveva in grembo, non riusciva a credere ai propri occhi. Scoppiò a ridere, incapace di trattenersi
    “L’Usurpatore voleva uccidermi, ma ha solo risvegliato chi decreterà la sua rovina, i miei figli lo uccideranno”
    Si mise ad accarezzare le tre creature che aveva ai piedi, i suoi tre figli, tre lucertole alate, poco più grosse di un gatto,p una verde, una bianca e la più grande, nera.
    I Draghi avrebbero di nuovo solcato i cieli del westeros, la nuova stirpe dei draghi era nata.





    [Modificato da ArthurDayne 24/04/2007 17.36]

    Daenerys Targaryen
    nata dalla tempesta
    la non-bruciata
    madre dei draghi
    khaleesi dei dothraki
    Regina delle terre d' oriente
    Affronterete il mio fuoco!

    Come disse il saggio Kvasir
    "Io so di una cosa che non perirà mai: il giudizio che accompagna chi muore; perciò vivi bene, muori da valoroso, e la tua fama vivrà dopo di te"

    Esistono solo due cose infinite:
    L' universo e la stupidità umana
    -Albert Einstein-
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    Ted Wong
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    Paggio
    00 14/05/2007 03:07
    BERIC
    Dalla finestra della sua camera Beric guardava a sud. Oltre i boschi del re, oltre le cime che si stagliavano all’orizzonte c’erano le sue terre. O meglio, c’era quella che un tempo considerava la sua casa e che ora non era che un campo di battaglia.
    Allungando la mano sembrava che quei monti non fossero tanto lontani, con un gesto avrebbe potuto spazzarli via; ma il timore di quello che celavano lo spaventava.
    Mai come in quel momento aveva provato una rabbia così forte; odiava la Vipera, che aveva rotto il giuramento fatto al Re; odiava tutti gli dei, vecchi e nuovi ,che non facevano altro che stare a guardare; odiava forse anche Robert in persona, che lo teneva bloccato dal giuramento a girare per le sale della fortezza rossa puttosto che a difendere ogni centimeto della sua terra pietrosa; ma più di tutti Beric odiava se stesso, perché mentre i sui soldati morivano sulle mura di Blackhaven, mentre le donne e gli uomini lasciati soli andavano ad ingrassare la terra, lui non era andato a cambattere.

    Ormai la sera inghiottiva il tramonto su Appordo del Re e quando i monti scomparvero all’orizzonte Beric rimase a fissare l’oscurità. Solo un piccolo movimento ai suoi piedi lo costrinse ad abbassare lo sguardo, uno scarafaggio cercava ostinatamente di salire sul suo stivale di pelle; guardò l’animale per alcuni secondi, la gamba si alzò da terra e ricadde con un suono secco lasciando sulla pietra dura una chiazza molle e nera di morte.
    “Non basta” pensò, tornando con lo sguardo alla finestra.
    “Mio lord, signore, sua maestà il Re vi attende” il suo scudiero era entrato nella camera ma lui era mille miglia lontano per accorgersi di lui.
    “Mi attende, si… ma forse non lo stesso re”
    “Ehmm.. signore… esiste un solo re…ed è..”
    “Basta così!” la discussione lo riportò alla realtà, o forse fu il timore di qualche uccellino nascosto a svegliarlo “La mia cappa!”
    Con estrema lentezza indossò il bianco, sapendo che fosse qualcosa di più di un semplice mantello; bevve l’ultimo sorso di un rosso troppo speziato e si avviò verso la porta quando uno schiaffo di luce riempì il cielo alle sue spalle.
    Il fulmine era troppo lontano per essere udito, ma sul viso del Lord di Blackhaven come una ferita si aprì un sorriso. Avrebbe giurato che quel lampo fosse caduto molto lontano dalla fortezza rossa, aldilà dei boschi e dei monti, verso sud
    “e non sarà l’ultimo”

    Lord Beric Dondarrion

    [Modificato da Ted Wong 14/05/2007 3.07]

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    Giunk
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    Ammiraglio della Flotta Reale
    00 16/05/2007 14:57
    Euron Greyjoy
    Il Ritorno a Pyke

    Correva trafelato. La nebbia era fitta e a stento riconosceva la direzione da prendere. I stretti vicoli sembravano tutti uguali, aveva il cuore in gola e la fatica cominciava a farsi sentire, ma questa volta non era importante, doveva raccontare ciò che aveva visto.
    La fretta e l’agitazione lo isolarono da tutto a tal punto che non si accorse che davanti a lui 20 uomini con la cappa nera e oro con lo stemma della Piovra camminavano davanti a Victarion Greyjoy a cavallo.
    L’impatto con un armigero fece tonare la cotta di maglia che portava e lo fece finire a gambe all’aria. L’armigero d’altro canto non si scompose, faceva parte della guardia personale di Victarion che non era di certo uno alle prima armi. Alzo lo sguardo intimidito e con un filo di voce che non fu sicuro di aver neanche lui udito disse: “ è qui!” .
    Aveva sentito spesso parlare di lui anche se non lo aveva mai visto in volto, dopotutto lui era stato esiliato troppi anni prima. Era emozionato, amava il fatto che solo nominando il suo nome qualunque marinaio di Pyke si irrigidisse. Fin da piccolo sognava di diventare come lui, cosa che i suoi amici non capivano, dopotutto non era un uomo da stimare. Stava giornate intere al porto ad ascoltare le 1000 storie di marinai che gli portavano notizie per lo più inventate dei percorsi fatti su e giù per i mari, cercando disperatamente notizie sull'uomo che lui stimava.
    Tornò al porto per assistere all’approdo non vedeva l’ora di raccontare a Styr e John di ciò che stava guardando, tutti erano a conoscenza del suo arrivo!!
    Quel giorno il porto era un luogo più sinistro del solito, la nebbia si infittiva e sembrava che un silenzio tetro era calato su quella notte. Fu un momento. Senza preavviso, una nave con vele nere fuoriuscì dalla bianca nebbia. Sembrava che a bordo l’equipaggio non avesse lingua così come dicevano tante storie che gli avevano raccontato al porto per mesi. Le manovre d’approdo furono veloci, brevi, chirurgiche, calarono una passaggio in legno con degli arpioni dalla nave sempre nel più totale ed irreale silenzio. Victarion seguito dal gruppetto di Armigeri era di fronte alla nave, anche lui serio e silenzioso, in realtà non era una grande accoglienza anzi a dire il vero era una pessima accoglienza, proprio ciò che si meritava un esiliato che ritorna a casa dopo tanti anni, in più accolto da venti uomini di ferro in cappa ed elmo da guerra e soprattutto dall’odiato fratello che per anni avrebbe voluto ucciderlo con le proprie mani… dopotutto forse era proprio ciò che Lord Balon voleva… In realtà non riusciva a spiegarsi perchè fosse stato richiamato.
    “è lui!!” disse tra se sottovoce con un lungo brivido sulla schiena.




    Euron Greyjoy stava scendendo dal passaggio in legno con passo lento, pacato. Per tutti gli interminabili secondi che lo separavano da Victarion i due si fissavano negli occhi. Arrivarono ad un metro l’uno dall’altro sempre con lo sguardo fisso. Gli anni non avevano cancellato il rancore di Victarion ma da uomo d’onore qual’era rispettava gli ordini del fratello. “Accompagnalo qui ho bisogno di parlare con lui” risuonavano in lui le parole di Lord Balon. Un Armigero portava un cavallo e cedette ad Euron le briglie, lui rifiutò con un gesto.
    “Gli uomini di mare preferiscono andare a piedi” disse Victarion rivolto all’arimigero, scendendo anche lui da cavallo.
    Le labbra viola di Euron sibilarono le prime parole solo quando si erano incamminati già da un pezzo verso le mura del castello di Pyke.
    “Se sono le scuse che vuoi Victarion, non le avrai ancora”
    “sono tornati anche Theon e Asha” rispose Victarion senza curarsi di ciò che Euron aveva detto.
    Arrivarono alla porta principale sorvegliata da due uomini che alla vista di Euron strabuzzarono gli occhi. Lo condussero fin davanti una porta nera con intarzi orati. “Vi sta aspettando” disse uno dei due uomini che lo avevano accompagnato. Aprì la porta.
    Balon era di spalle davanti ad una finestra, non si girò sentendolo entrare. “Non so quanto tu conosca le vicende del regno, sarò franco la situazione è difficile” sussurrò Balon con voce stanca. Non era da lui. Balon avrebbe preferito essere trafitto da mille spade e il suo corpo affogato nel mare prima di ammettere che c’era bisogno d’aiuto. Fuori cominciò a piovere.
    “Andrò al dunque come mi impone il mio essere! Ho deciso di farti tornare dall’esilio perché ho bisogno di un valido comandante e di un fidato fratello, il potere di Re Robert non è più quello di una volta, ora possiamo farcela.” Questa volta la voce di Balon era più decisa. Euron era serio, non si aspettava di essere richiamato ma conosceva bene le vicende che riguardavano il Westeros e sperava in fondo di essere richiamato.
    “Parla! non è più tempo per i scherzi, questa volta o sei con noi o sei contro…” il tono di Lord Balon divenne inflessibile.
    “Sai bene che non ho mai amato scherzare, cosa hai in mente?”chiese Euron Greyjoy, Balon si girò verso di lui,
    “Bene, ero certo di poter contare su di te… dunque……”

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    [Modificato da Giunk 16/05/2007 14.59]




    Vargo Hoat

    "Il Caprone"





    ex Euron Greyjoy nella prima partita

    Massime:
    "A proposito di Politica, c'è qualcosa da mangiare oggi??"
    "Cuba a vita"
    "Se puede aver la cuenta por favor?"
    "Ano Mapasalay...!"
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