00 23/04/2006 10:44
Il recente barometro politico diffuso da Ipsos alla vigilia del ritiro del Cpr rivela il crollo di Dominique de Villepin. Il Partito socialista non riesce a sfruttare la situazione. Cresce la sinistra radicale

Diffidare dei sondaggi non fa mai male. Basta vedere il recente fiasco degli istituti demoscopici italiani – ostinati nell’indicare l’abbastanza chiaro vantaggio dell’Unione sulla Casa delle libertà – e smentiti successivamente dalle urne, che hanno fatto registrare un clamoroso testa a testa, sbriciolando le previsioni precedenti. E comunque, se da un lato è ragionevole prendere con le molle le percentuali e la catasta di numeri diffusi dai sondaggisti, dall’altro è inevitabile prenderle in considerazione. I politici francesi, per esempio, dovrebbero prestare una certa attenzione all’ultima inchiesta demoscopica realizzata da Ipsos alla vigilia del ritiro del Cpe, il contratto di primo impiego che Oltralpe ha scatenato un vero e proprio maremoto politico. I risultati sono piuttosto eloquenti e indicano l’avanzata del disincanto e della disaffezione da parte della società civile. Non solamente nei confronti del primo ministro Dominique de Villepin, che ha cocciutamente portato avanti il progetto di riforma del mercato del lavoro, isolandosi e alienandosi le simpatie degli elettori, ma anche nei confronti della sinistra socialista, che appare quanto mai in difficoltà. Stando al sondaggio Ipsos, se si dovesse votare oggi, il microcosmo comunista, trotzkista e radicale, rosicchierebbe diversi punti al Partito socialista di François Hollande.

Villepin in caduta libera, Chirac pure

Ma veniamo ai numeri. La cifra che fa maggiormente notizia è quella relativa al gradimento espresso nei confronti di Dominique de Villepin, che scende dal 45% di marzo all’attuale 30% e segna il record negativo da quando la società Ipsos ha lanciato, dieci anni fa, il barometro politico, puntuale strumento con cui misurare il consenso dei governanti transalpini. A determinare il crollo di Villepin è stata la strategia portata avanti dal primo ministro sul Cpe. Una strategia autolesionista, che ha condotto Villepin all’isolamento politico. L’inquilino di palazzo Matignon ha infatti condotto una battaglia solitaria: né il suo partito (l’Ump), né i ministri del suo gabinetto lo hanno appoggiato e di fatto Villepin si è trovato contro ministri, sindacati, studenti, immigrati. In pratica tutto il Paese.

Non è difficile, a questo punto, trarre le conseguenze del crollo dei consensi di Villepin: il primo ministro, a meno di un clamoroso colpo di coda, ha “bruciato” le chance di essere eletto, nel 2007, all’Eliseo. E anche il suo protettore, Jacques Chirac, che lo aveva investito della carica di primo ministro, preferendolo allo scomodo Nicolas Sarkozy, ha scelto di mollarlo. Il presidente della Repubblica è infatti sceso personalmente in campo sull’affaire Cpe, sconfessando Villepin. Chirac ha prima controfirmato la legge, invitando allo stesso tempo – con un gesto piuttosto irrituale – il Parlamento a modificarne i punti più contestati. Ma l’intervento del presidente non ha sortito effetto e ha portato lo stesso Chirac a scegliere la via più drastica, quella del ritiro della legge, provvedimento che è equivalso a un durissimo colpo inferto al delfino Villepin. Non è da escludere tuttavia che Chirac abbia optato per il ritiro della legge sul contratto di primo impiego per rilanciare il proprio braccio destro. Sarebbe infatti sensato, da parte del presidente, troncare il rapporto privilegiato con Villepin e destrutturare la tendenza piuttosto diffusa a individuare in Chirac il padrino del primo ministro. Soprattutto perché il presidente è ormai sulla strada del declino e la sua curva di popolarità continua a scendere irrimediabilmente verso il basso, rischiando di calamitare quella di Villepin. Sconfessarlo, quindi, potrebbe essere stata una mossa per rilanciare la sua candidatura all’Eliseo e liberare l’inquilino di palazzo Matignon dalla tutela politica di Chirac.

Sarkozy tira acqua al proprio mulino

A trarre vantaggio, dal declino del primo ministro, potrebbe essere Nicolas Sarkozy, che non ha mai nascosto le proprie ambizioni presidenziali ma che fino a qualche tempo fa risentiva della batosta personale rimediata con la crisi delle banlieue parigine, gestita dal ministro degli Interni con inflessibilità e con un’eccessiva dose di durezza. La strategia della tolleranza zero è stata apprezzata dai segmenti più conservatori della società francese, ma criticata da una grossa fetta dell’elettorato. Ora, più per demeriti altrui che per meriti propri, “Sarko” torna a scavalcare nettamente Villepin e si aggiudica una buona percentuale di consenso (55%), limitando al 3% la corrosione dell’indice di gradimento. Il ministro dell’Interno ha inoltre dalla sua il controllo del partito e presumibilmente, attingerà a piene mani a questa risorsa, cercando di lanciare la propria corsa all’Eliseo. Del resto, Sarkozy ha dimostrato pienamente di sapere sfruttare al meglio il controllo dell’Ump e in diverse occasioni ha azionato gli ingranaggi della macchina del partito, usandola in maniera molto “americana” e promuovendo campagne e organizzando assise dall’eco mediatica decisamente forte.

I socialisti impantanati, decolla la sinistra radicale

Chi invece pare non abbia saputo approfittare della crisi governativa aperta dalla battaglia sul contratto di primo impiego è il Partito socialista, che si porta appresso la poco consolante definizione di grande assente. Il segretario François Hollande ha lavorato sodo per ricomporre i cocci del partito, logorato dalla guerra interna e dai veti incrociati registrati durante la campagna per il referendum sulla Costituzione europea, che ha visto il Ps sfibrarsi e dividersi in due tronconi, uno favorevole al “sì” e l’altro sostenitore del “no” alla carta costituzionale dell’Ue. Il problema, per Hollande, è che il Ps appare tutt’altro che una formazione unita e al pari della destra dà l’impressione di essere un partito oligarchico, governato da personalità in continua lotta tra loro. Il recente sondaggio Ipsos assegna a Hollande un misero 34% di popolarità (-7% rispetto al precedente barometro). La nota negativa viene dall’elettorato socialista, all’interno del quale Hollande subisce una contrazione del tasso di popolarità pari al 13 per cento. E non va meglio per gli altri boss del Ps, che registrano tutti un’emorragia di consensi, da Jack Lang (50%, - 7 punti) a Dominique Strass-Kahn (36%, - 6 punti), per finire a Ségolène Royal, probabile candidata per l’Eliseo che viene data come vincitrice al ballottaggio in una eventuale sfida con Sarkozy, ma che registra un meno 7% rispetto all’ultima rilevazione Ipsos. Insomma, nonostante questo dato incoraggiante, il Ps non ha sicurezze assolute alle quali aggrapparsi e sulla base delle quali dispiegare una strategia politica unitaria.

Chi invece fa segnare un balzo in avanti è la sinistra radicale, all’interno della quale la popolarità di José Bové, guida dei no-global francesi, schizza al 66% (più 8% il parziale) e quella della trozkista Marie-George Buffet aumenta al 54% (più 6% rispetto all’ultimo barometro). Lo spostamento del baricentro dal moderatismo al radicalismo dovrebbe indurre Hollande e il gruppo dirigente socialista a riflettere e a lavorare per recuperare l’unità perduta e per contenere la deriva del proprio elettorato. In questi giorni, il Ps ha guardato per esempio con interesse alla coalizione di centrosinistra in Italia. L’esperimento Prodi è visto come un modello da ripercorrere e l’idea sarebbe quella di cercare di fare confluire tutte le schegge della sinistra e le forze progressiste in un contenitore politico che replichi la struttura dell’Unione, cosa che a suo tempo era riuscita a François Mitterand. Ma un conto è riferirsi a un ricordo, altra cosa è farlo rivivere.