The Iron Throne Il Forum per gli appassionati della mitica saga, "Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", di George R. R. Martin

PdV Quarta Partita

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    skarn87
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    00 04/04/2014 15:39
    Jon Arryn - Niente marcia, si corre!-

    Erano settimane di apatia estenuante, Piazza del Torren ospitava l’intera guarnigione del Nord, la fortezza era troppo piccola per ospitare un tale esercito. Robb aveva deciso che si allestissero vari accampamenti attorno al lago per poter rifornire adeguatamente tutto l’esercito. Nella fortezza risiedeva solo un piccola elitè di piccoli e grandi lord con i cavalieri al loro servizio. Le prime settimane erano state piene di fermento e l’intero esercito era messo in opera per rafforzare la fortezza, costruire nuove stalle per l’imponente mole di cavalli che l’esercito aveva, fortificare gli accampamenti e formare pattuglie incaricate di scendere verso l’incollatura per avvistare, l’arrivo dei Draghi o del loro esercito.

    Ma i giorni erano passati e a parte sporadiche notizie dal sud le attività erano cessate l’indolenza e l’apatia stavano regnando sull’intero esercito, i cui soldati erano più occupati a giocarsi le paghe in scommesse che non ad allenarsi.
    Anche i Lords avevano perso l’interesse per l’attuale situazione. Dopo innumerevoli ed infruttuose riunioni, strategie e futili chiacchiere Lord Umber si era allontanato dalla fortezza per raggiungere i suoi uomini e così avevano fatto tanti altri lords. Dopo la caduta di Lord Dayne, l’esercito Martell era definitivamente solo un ricordo, i mercenari al soldo di Robert avevano fatto bene il loro lavoro, ora un folto numero di dorniani combatteva tra le loro fila. I rifornimenti verso le terre dei fiumi erano costanti, ma l’esercito del giovane drago era immenso e sembrava inarrestabile, eppure avanza lento o non avanzava affatto. Dai rapporti che ci spedivano a nord gli scontri erano perlopiù tra piccoli contingenti che razziavano e dilaniavano le terre dei fiumi mentre i due eserciti principali si studiavano. Robert era impulsivo ma aveva capito fin troppo bene che quello non era un avversario che poteva battere sul campo di battaglia, gli servivano i rinforzi che giungevano come un ruscello da sud ogni giorno. Ma era fin troppo evidente che non erano sufficienti. Aveva iniziato ad arruolare uomini, a trasportarli via mare facendoli sbarcare nell’ovest. Eppure anche in inferiorità non si limitava a indietreggiare ma attaccava gli avamposti nemici per poi ritirarsi e spesso causava abbastanza danni.
    La sua tattica era semplice, visto che non poteva battere un avversario più forte lo stava pian piano dissanguando.
    Le ultime voci parlavano anche di Lannister, a quanto pareva stavano iniziando a strisciare fuori dalla mia adorata Valle.

    Un deciso bussare alla porta mi fece girare appena in tempo per vedere il giovane lupo spalancarla e dirigersi a grandi passi verso di me seguito da un codazzo di cavalieri che però non si avvicinò.
    < Robb! A cosa devo il piacere di questa tua visita? > chiesi un po’ preoccupato dall’espressione sul suo volto
    < Leggi! > mi ordinò, i suoi modi bruschi mi fecero capire la piccola striscia di pergamena stropicciata che mi porgeva non recava buone notizie “ ali oscure parole oscure” pensai. Presi la piccola pergamena e la lessi.

    Fuoco e Sangue su Delta, aiuto!
    Re Robert

    Non c’era scritto altro.
    Non c’era bisogno che ci fosse scritto altro.
    A Delta si stavano ammassando tutte le truppe e oltre al Re c’era anche Eddard e molti altri nobili.
    Guardai il ragazzo e stavo per chiedergli quando fosse arrivato quel messaggio ma lui mi anticipò
    < Son corso qui appena il maestro me l’ha consegnato dicendomi che era urgente > disse, poi il mio sguardo cadde interrogativo sui cavalieri alle sue spalle e seguendolo mi rispose < Li ho incontrari venendo qui > face un gesto vago con la mano come a liquidare la faccenda.
    < Ragazzo ti sono grato che tu sia venuto da me per primo, ma avrei preferito che fossi corso ad allertare tutto l’esercito > lo rimproverai dolcemente < Voi altri cosa fate lì imbambolati andate ad avvisare tutti che smontiamo l’accampamento e marciamo a sud, subito! > ordinai
    I cavalieri scattarono come molle e svanirono in un battere di ciglia, subito dopo iniziò a diffondersi il caos, come se avessero gettato un macigno in un lago tranquillo.
    < Ragazzo, tuo padre e il Re han bisogno di noi, scegli un ristretto gruppo di uomini da lasciare a difesa di queste terre, tutto il resto dovrà marciare a sud, anzi, niente marcia, si corre!> esclamai, < ordina a tutti quelli con un cavallo di presentarsi pronti a partire tra un’ora in cortile, non possiamo aspettare che l’esercito si muova, dobbiamo essere rapidi. Vai ora!> lo esortai.

    Un paio di ore dopo ero in sella accompagnato da due uomini della valle in mezzo all’imponente cavalleria leggiera del nord, il resto dell’esercito stava ancora smontando l’accampamento e riempiendo i carri per la marcia.
    Sfiancammo i cavalli spingendoli al massimo fino a raggiungere l’incollatura che gli uomini del Nord aveva strappato alle grinfie dei draghi poche settimane prima.
    L’attraversamento della palude per quanto agevolato dalle guide che lord Reed ci aveva fornito fu comunque penoso. Ogni giorno che passava poteva essere quello decisivo. Migliaia di uomini stavano morendo in un cruento assedio e noi eravamo ancora così lontani dal poterli aiutare.
    Inizia ad essere insofferente e ansioso tanto che iniziai a preparami del vino dei sogni per riuscire a dormire la notte.
    Più ci allontanavamo dal nord e dall’esercito che ci seguiva arrancando e più si faceva strada il problema di come conquistare le Torri Gemelle in mano al nemico.
    Qualche giorno più tardi di presentò a noi un uomo basso e sui quarant’anni, vestito come tutti gli altri abitanti della palude, mise un ginocchio a terra di fronte a Robb e dichiarò < Giovane Stark, conosco tuo padre, abbiamo combattuto assieme ed è per me un onore essere al suo servizio, mentre voi attraversavate la palude ho spedito i miei uomini a conquistare le Torri Gemelle con l’aiuto di una banda di mercenari. Le difese del Drago sono misere ma le terre tra le gemelle e Delta sono in mano ai nemici, anche se le guarnigioni sono scarse potrebbero rallentare la vostra avanzata. Buona fortuna! > e con queste ultime parole se ne andò lasciando il giovane interdetto.
    < Robb se quel che dice è vero dobbiamo sbrigarci! Il guado alle torri è troppo importante per lasciarlo in mano a dei mercenari. > lo esortai.

    Arrivammo alle Torri e un messaggero ci stava aspettando.
    < Miei Lord, il Re è sicuro della vittoria imminente contro il Drago e vi ordina di dirigere la vostra attenzione alla pulizia delle terre alte del tridente. Vi esorta a conquistare Seagard per impedire qualsiasi speranza di aiuti e di fuga. Questo è tutto. > finì il discorso con un leggiero inchino prima di dileguarsi verso i suoi compiti.
    Aspettai l’arrivo degli altri Lord e comunicai loro gli ordini di Robert.
    < Non abbiamo le forze per prendere Seagard, il castello dei Mallister è ben protetto e la flotta Greyjoy è troppo vicina per rischiare un attacco diretto. > dissi
    < Al diavolo i Greyjoy! Quelle mezze calzette bucate non ci terranno testa! > dichiarò Lord Umber
    < Se la flotta Greyjoy è vicina non abbiamo i mezzi per prendere Seagard se decidono di difenderla, non sarebbe il caso di aspettare l’arrivo delle truppe appiedate prima di assaltare la fortezza? > chiese Robb
    < Lord Umber il tuo cavallo potrebbe non arrivarci vivo a Seagard dopo questa corsa con te in groppa. > dissi sorridendo e indicato lo stato pietoso in cui si trovava il cavallo del Lord di Ultimo Focolare < il re ha chiesto di far pulizia ed è quello che faremo. Non aspetteremo con le mani in mano l’arrivo dell’armata del nord. Abbiamo forze sufficienti per debellare Lannister, Targaryen e chiunque ci sia tra qui e Delta. Lasciamo ordine all’armata di dirigersi direttamente a Seagard mentre noi avremo pulito Fairmarket e Vecchie Pietre. Mandiamo dei dispacci alla flotta, è giunto il momento anche per loro di smettere di scappare dai Greyjoy. Ci riuniremo tutti assieme su Seagard e non ci sarà nessun modo per fuggire, per nessuno!> decisi
    I lord Annuirono e si congedarono per un breve riposo prima di rimettersi in marcia, la notizia che Delta aveva retto all’assedio con i numerosi rinforzi arrivati dal sud e dall’ovest aveva disteso gli animi. La guerra stava per concludersi.
    ____________________________________________________

    Ser Kevan Lannister


    Nella Terza partita: Lord Anders Of Tears,EX-Lord Anders Yronwood EX-Primo Cavaliere dell'Ex-Re Viserys III.
    Nella Quarta partita: Lord Jon Arryn, Primo Cavaliere di Re Robert prima e di suo fratello Re Stannis all'abdicazione di Robert. Signore del Nido e Protettore di tutto L'EST.
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    Faccia da cavallo
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    00 04/04/2014 20:10

    Tywin Lannister VI pdv

    CRONACHE DEL DISTRUTTORE DEL MONDO

    - Castel Granito -



    Ser William Copperrarm aveva guidato la prima carica contro la città e ora stava seduto sull’erba della collina che la sovrastava.
    Il cielo stava tramontando e la luce rossa del sole morente si confondeva con quella dei fuochi che ancora bruciavano qua e là.
    L’acre odore del fumo lo fece tossire; due lacrime gli scesero lungo le guance tracciando chiari solchi sul viso sporco di fuliggine.
    Ripensò alle parole della lettere di Lord Lannister…


    “Se non sarà un Lannister a sedere sul seggio di Castel Granito,
    nessun altro potrà mai farlo.”


    E un fiume di ricordi lo investì.

    Aveva fatto ciò che gli era stato ordinato, aveva atteso l’emissario della banca di ferro e speso tutti i soldi per armare tutti gli uomini possibili.
    Aveva acquistato cavalli dalle fattorie, ingaggiato uomini e donne che per la prima volta vedevano una spada e persone a cui mai avrebbe offerto un’arma.
    Il pagamento anticipato e il facile guadagno avevano fatto il resto.

    “Radete al suolo l’intera città, voglio che la rocca bruci, che rimangano in piedi solo mura annerite!”


    Le parole gli risuonavano ancora in testa.

    Aveva messo insieme un impressionante numero di uomini, ma solo alcuni di essi potevano chiamarsi guerrieri. Molti erano contadini ridotti alla fame, altri curiosi che avevano accettato per la paga e per avere l’occasione di vedere l’interno del palazzo di Lord Tywin; altri ancora, ne era certo, sarebbero fuggiti alla prima occasione tenendosi cavallo e oro.
    L’attacco sarebbe stato semplice. A quanto aveva sentito dire l’intera guarnigione Stark che presiedeva il castello era partita verso Est per dare manforte alla battaglia contro i Draghi a Delta, così Castel Granito doveva essere pressoché vuota.
    Aveva fatto sì che ogni uomo possedesse un cavallo, una spada, un'otre di olio di lanterna, una fascina di legna secca e un acciarino.
    Bisognava arrivare in città, uccidere i pochi soldati nemici, spargere l’olio e dare fuoco a qualsiasi cosa potesse bruciare.

    Così avevano fatto.

    Erano partiti un’ora prima dell’alba, calando sulla città con la bruma del mattino, erano scesi dalla collina tutti in fila indiana con le torce accese.
    Dalla città qualcuno doveva aver visto il serpente di fuoco, perché il corno suonava incessantemente l’allarme. Ma poco importava, loro erano una marea di fuoco che presto avrebbe sommerso ogni cosa.

    Erano un esercito senza vessilli, solo lui si ostinava a portare una bandiera con il leone dorato in campo porpora.

    I primi abitanti accolsero con gioia il suo arrivo: cori e grida inneggiavano a Casata Lannister, ma essi si spensero subito…quando si accese il fuoco.
    I cavalieri erano implacabili, gettavano torce sopra ogni tetto di paglia, dentro ad ogni finestra.
    Una volta innescato, l’incendio iniziò ad allargarsi da sé.
    Come una bestia affamata divorava ogni cosa e avanzava cercando ingordamente altro cibo. Lingue fameliche si allungavano di casa in casa, lapilli trasportati dal vento come polline in primavera si schiudevano in crepitanti fiori di morte ovunque si posavano.


    Ser William bevve un sorso di vino cercando di lavare via l’acre sapore dei propri ricordi dalla bocca e dalla mente, ma la voce della donna davanti alla locanda fece capolino nei suoi pensieri e altre lacrime scesero sulle sue guance.

    Colse un movimento con la cosa dell’occhio alla sua desta, fece voltare il cavallo e snudò la spada.
    Una giovane donna correva nella sua direzione con le braccia al cielo.
    Gridava mentre i suoi capelli bruciavano; gridava nel momento in cui le gambe le cedettero pochi passi da lui, facendola cadere in ginocchio; gridava mentre con le unghie scarnificava il volto nel vano tentativo di strapparsi di dosso il fuoco che divorava le sue carni e portava con sé quel disperato dolore; gridava mentre il calore scioglieva i suoi occhi verdi e le labbra che ancora non avevano conosciuto l’amore; gridava quando la spada del cavaliere le donò il silenzio e la pace.

    La testa della ragazza rotolò di lato e un fiotto di sangue lo colpì in visto, scottava.
    L’odore di carne bruciata era nauseante. I suoni che giungevano alle sue orecchie non erano i suoni di un capo di battaglia.
    C’era qualcosa di sbagliato in quei rumori, mancava il guizzante suono dell’acciaio contro l’acciaio; non c’era il sordo rimbombare dei tamburi o il pungente tono degli ordini gridati dai Lord, nelle sue orecchie c’erano solo grida di dolore, urla e pianti…non era il suono di una battaglia, era quello di una mattanza.

    Si diresse verso la fortezza quando la sua attenzione venne attirata da un altro atto al limite dell’umano.
    Due uomini avevano abbandonato il loro cavallo e uno di loro ora stava montando un ragazzino che non poteva avere più di dieci anni.
    L’uomo dalla chioma corvina era decisamente sovrappeso; aveva le braghe calate e ansimava pesantemente mentre con le mani stringeva da tergo i fianchi del ragazzo che cercava di divincolarsi inutilmente, mentre il compare del bruto gli teneva la testa e le spalle inchiodate al suolo.
    “Fermi, per i Sette Dei, siete sotto il mio comando, vi ordino di fermarvi” gridò lui inutilmente.
    L’uomo che teneva imprigionato il ragazzo si voltò verso di lui e scoppiò a ridere.
    “Io vi ho pagato e vi ho armato, vi ordino di liberare quel bambino”, continuò lui mettendo mano alla spada.
    L’uomo allora rise ancora più forte, poi si fece serio e disse con voce sprezzante: “Eccoti la spada che mi hai dato”. La raccolse da terra e la tirò verso di lui. “Puoi pure ficcartela nel culo! Altrimenti puoi metterti in coda e aspettare che Jerol abbia finito con questo moccioso così potremo dedicarci noi al tuo didietro…mio Lord”
    Per un attimo fu tentato di spronare il cavallo e di lavare l’offesa con il sangue, poi si rese conto che non stava confrontandosi con un cavaliere, ma con un disperato che lui stesso aveva armato; si rese conto che nella città cento ragazzini stavano subendo lo stesso sopruso; si rese conto che non avrebbe mai potuto portare la disciplina tra le sue truppe.
    Lasciò cadere la sua spada e si diresse verso la Rocca come un fantasma.


    Copperrarm si appoggiò con la schiena contro un acero e chiuse un istante gli occhi, facendo scorrere le mani sul manto di foglie umide che copriva il terreno. Ne raccolse una quasi senza pensarci, ci giocherellò per qualche istante tra le dita, poi la fissò intensamente e scoppiò in una risata amara:
    “Rossa.. anche la natura sembra aver preso fuoco.”


    Due guardie giacevano davanti all’ingresso della rocca. Una aveva il cranio fracassato da quello che poteva essere un colpo di mazza o da una pietra, l’altra era stata meno fortunata. Entrambe le braccia erano state mozzate all’altezza dei gomiti, e da un profondo taglio sull’addome uscivano le viscere. Lui non volle sapere se l’uomo era stato menomato ancora in vita o se si erano accaniti sulla sua salma; in battaglia ci sarebbe stato il rispetto dovuto al nemico, ma questa non era più una guerra.
    Lui camminò lentamente sino allo scranno di Lord Tywin, si sedette e osservò la scena in silenzio.
    La sala principale era gremita dei suoi uomini, chi staccava suppellettili d’oro, chi distruggeva mobili: ognuno di loro voleva un ricordo di quella giornata, ognuno di loro cercava di arricchirsi.
    C’era chi abusava di qualche serva; in breve tempo furono portati i barili con vino e birra dalle cantine, furono assaltate le cucine e nella sala scoppiarono risa e festeggiamenti.
    Un’esplosione di vita in una città morente.
    Le ore passarono inesorabili e lui si lasciò trasportare nel tempo come un naufrago abbracciato ad un'asse nel mare in tumulto.

    La teca si infranse sotto il suo pugno. Rivoli di sangue sgorgavano dalle schegge di vetro conficcate nelle sue nocche mentre stringeva la mano sull’elsa della spada che un tempo era stata dei Casterly.
    Lann l’astuto l’aveva conservata come simbolo della propria vittoria, e a lui sembrava giusto che fosse questa spada a porre fine al giogo dei Lannister su quelle terre.
    Salda era la sua presa mentre con la spada si scagliava contro un arazzo raffigurante la famiglia Lannistrer, mentre in preda ad una cieca isteria sfigurava il volto di Jaime, trucidava il corpo di Cersei, si accaniva sul Nano e sul Lord suo padre.
    Dopo un tempo che parve infinito, madido di sudore e barcollante si allontanò dalla parete e osservo lo scempio che aveva fatto.

    Diede l’ordine di versare l’olio e di dare fuoco a ogni cosa, mandò persino degli uomini nelle segrete più profonde ad appiccare incendi.
    E poi fu solo fuoco e morte.


    Ser William Copperrarm accarezzò l’elsa della spada che aveva portato con sé dalla rocca, l’estrasse e guardò il riflesso dei propri occhi nell’acciaio lucido della lama.
    Non erano occhi di un uomo quelli che vide.
    Si mise in ginocchio stremato.
    “Cosa ho fatto?... per i Sette, che cosa ho fatto?... Padre perdonami.”
    Così dicendo infilò un palmo d’acciaio nel proprio petto. Non un rumore, non un lamento.





    NEL GIOCO DEL TRONO:
    Lord ROBERT BARATHEON




    CRONOLOGIA PG:
    - Nella seconda partita: Styr un Uomo Libero!!!
    - Nella terza partita: Re Jon Arryn, Signore del Nido dell'Aquila,Protettore della Valle e dell'Est. Primo cavaliere, Protettore delle terre della tempesta e signore di Capo Tempesta,Sangue dei Re delle Montagne.
    - Nella quarta partita: Tywin Lannister, morto nelle sale del dio Abissale, ultimo Re sul Trono di Spade. Distruttore del mondo.
    - Nella quinta partita: Tormund "Orso Bianco" Re Oltre e sopra la Barriera, Gran Maestro Guaritore, uomo libero
    - Nella sesta partita: Quellon Greyjoy Sommo Sacerdote,Lord Mietitore delle isole di Ferro, Principe di Lancia del sole, signore di Castel Granito, protettore del Mare(ex protettorato di Dorne) e dell'Occidente


    CITAZIONI
    "Sono stata Arya di casa Stark, Arya Piededolce, Arya Faccia da cavallo.Sono stata Arry e la Donnola, Squab e Salty, Nan la coppiera, un topo grigio, una pecora, il fantasma di Harrenhal...cat, la gatta...nessuno!"
    "Quando cade la neve e soffiano venti ghiacciati, il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive"
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    Arkhanta
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    Veterano di Guerra
    00 06/04/2014 18:41
    Melisandre - Il Ringraziamento del Dio Rosso

    Ed alla fine anche la grossa bestia nera era caduta dal cielo come una strana stella infuocata. L'impatto violento aveva fatto tremare la terra, molti avevamo mosso passi maldestri nel tentativo di non sbilanciarsi e cadere, ma Melisandre non aveva vacillato, rimanendo ferma in piedi.
    Lo spostamento d'aria aveva causato il vorticare deii capelli della donna che danzavano selvaggi in serpeggianti guizzi rossi. Con estrema grazia spostò quei setosi fili ramati dal volto e diede una leggera sistemata alle vesti, prima di risalire a cavallo e dirigersi senza fretta verso il luogo dell'impatto. Rimase in disparte finché gli uomini non catturarono i tre nemici che erano stati sbalzati poco prima che il drago esalasse l'ultimo respiro. Melisandre si avvicinò alle fiamme e con voce autoritaria sentenziò “La Bestia è mia. Non toccatela.”
    In ogni caso nessuno osava avvicinarsi a quella massa fumante indistinta, un po' perché il calore era insopportabile ed un po' per una sorta di timore reverenziale. Alla donna invece il fuoco ed il calore non davano fastidio, al contrario trovava quelle fiamme affascinanti. Nel fuoco la sacerdotessa riusciva a scorgere l'eco della lunga battaglia appena conclusa ed in cuor suo ringraziò R'hllor per averla protetta ed averla fatta arrivare a vedere un tale spettacolo.
    Così la donna rimase lì in piedi per ore, immobile, concentrata su quel rogo finché le fiamme non lasciarono il posto a ciò che non era stato consumato dal fuoco. Anche da morta, il colore di quella Bestia era il nero: nere erano le grosse ossa che un tempo costituivano lo scheletro del drago, ormai scomposte poiché dei legamenti che le tenevano unite non vi era più traccia. Neri erano gli artigli della bestia e neri i denti aguzzi che ancora sembravano in grado di trapassare armature e lacerare la carne. Melisandre si avvicinò ulteriormente a quel mucchio d'ossa e le osservò con attenzione, poi, con delicatezza, vi appoggiò sopra una mano facendo scorrere le dita sulla superficie liscia e fredda del cranio della Bestia. La donna era talmente affascinata da quello che aveva sotto le mani che non si accorse di aver passato le dita troppo in fretta e troppo vicino ai denti della Bestia, tagliandosi un dito. Non un gemito di dolore, non si addiceva ad una sacerdotessa del suo rango, si limitò a guardare il sangue gocciolare dalla ferita per poi portare il dito tra le labbra nella speranza che la saliva cauterizzasse la ferita. Quando distolse la sua attenzione dalle ossa si guardò intorno e notò un gruppetto di soldati fermi in piedi che la fissavano in attesa di ordini. Melisandre lanciò un'occhiataccia minacciosa ai soldati ma quando iniziò a parlare uno strano ed inquietante sorriso le comparve sul volto
    Portate le ossa nella mia tenda. Fate attenzione, se ne dovesse mancare qualcuna me ne accorgrei, quindi, a meno che non sia vostro desiderio finire in mezzo ai roghi della sera vi conviene non fare i furbi”.
    Alla sacerdotessa era venuta in mente un'idea, una folle idea che le avrebbe fatto guadagnare stima agli occhi del Principe Stannis Baratheon e che le avrebbe consentito di essere guardata con meno sospetto da quel vecchio bigotto di Lord Arryn. Tuttavia, prima di metterla in pratica avrebbe avuto bisogno di qualche giorno, il tempo necessario di mandare a chiamare il piccolo Lord Arryn e Shireen Baratheon. Le servivano anche alcuni vecchi tomi che aveva trovato cercando notizie sulla realizzazione della Spada di Luce.
    In ogni caso quella giornata era già stata fin troppo lunga e la donna sentiva il peso della stanchezza, così dopo una rapida preghiera al Dio Rosso andò a dormire.
    Un sonno agitato colpì Melisandre che passò gran parte della notte a rigirarsi tra le coperte senza trovare pace. Ma poi arrivò il gelo, e con esso la donna ritrovò la tranquillità. Erano giorni che Lui non passava a trovarla in sogno e la donna ormai temeva di essere stata abbandonata. Sì, temeva, poiché aveva imparato ad amare quegli incontri notturni. Lui le faceva paura, sapeva che era sbagliato eppure si sentiva irrimediabilmente attratta da quell'essere dagli occhi di ghiaccio. Non appena lo vide sorrise e corse al suo fianco “Temevo mi aveste abbandonata”, Lui mosse lentamente un braccio ed arrivò ad accarezzare gli zigomi della donna che si arrossarono subito per il gelo.
    Mai. Non potrei mai abbandonarti. Tu sei mia. E ti ho già spiegato che io mi prendo cura delle mie cose, non le butto via” Un sospiro. La Sua voce muoveva dentro Melisandre qualcosa di sconosciuto e terrificante, qualcosa di cui ormai non sapeva più fare a meno. “Li devo impressionare. Devono tutti credere in me! Oh come farò... Loro... Li devo aiutare, devo convincerli di essere utile”. Lui le prese il mento tra le dita e glielo sollevò soffiandole una brezza gelida sul viso. “Ma tu sai già cosa fare... Lo percepisco,” Un lungo brivido percorse la schiena di Melisandre “Io... I due eredi. Devo guarire i due eredi! Ma... Non sono certa di riuscire a farlo”. Un'agghiacciante risata rimbombò nella testa della donna. “Mia cara, usa il mio dono. Il libro nero che ti ho mandato”. La sacerdotessa sbatté le palpebre perplessa “Libro nero? Ma io credevo fosse un diario scritto da un antico Prete Rosso! No.. cosa.. cosa ho...” Le appoggiò un dito sulle labbra impedendole di continuare ancora “ Shhhh. Shhhh. Hai fatto la cosa giusta. E farai nuovamente ciò che sei destinata a fare, mia cara”. Una strana sensazione di paura si impadronì di Melisandre che all'improvviso si svegliò proprio mentre il primo raggio di sole faceva capolino sul Westeros. La sacerdotessa passò tutto il giorno sui libri alla ricerca di un qualcosa che potesse esserle utile senza risultato. La rabbia incominciava ad impadronirsi della donna e, come al solito iniziò a comportarsi in modo dispotico verso i servitori il cui unico desiderio era quello di compiacerla. Lanciò una coppa in fronte ad un poveretto che svenne sul posto per lo shock, offese e maledisse la cuoca ed abbaiò di essere lasciata in pace a chiunque le chiedesse se aveva bisogno di qualcosa. Verso il tramonto, quando ormai avrebbe fatto bene ad iniziare a prepararsi per i riti della sera le venne in mente il sogno ed il suo sguardo si posò sul pesante e malconcio tomo rilegato in pelle nera che era posto, da solo, su un alto tavolino rotondo. Melisandre si avvicinò e sentì una morsa gelida attraversarle il corpo non appena lo sfiorò con le dita. Stranamente non riteneva più quella sensazione sgradevole e quindi, senza indugiare oltre lo aprì ed iniziò a leggere alcune pagine a caso finché la sua attenzione non fu attirata da una pagina in particolare.


    Non avevo mai visto nulla di simile. Nessun essere vivente dovrebbe essere capace di nutrirsi di carne morta. In principio ero convinto si trattasse di creature demoniache perché le loro capacità non mi sembravano di questo mondo. Tuttavia in tempo di guerra la disperazione può portare l'uomo a compiere gesti avventati e così decisi di usare queste bestie per salvare da ferite mortali i miei uomini. Per questo motivo ho iniziato a studiare questi esseri e se prima ne ero spaventato ora ne sono del tutto affascinato. Profonde ferite in putrefazione, tessuti necrotici, con la dovuta accortezza queste bestie potevano eliminare il tessuto morto impedendo per esempio ad un'infezione di andare avanti. Nei miei studi appresi anche un'altra loro utilità, potevano donare un aspetto migliore a coloro che avevano subito brutte ferite mal cicatrizzate o che presentavano parte del tessuto rimasto morto.

    Melisandre non riusciva a credere ai propri occhi! Aveva la soluzione per la piccola Shireen proprio lì sotto il suo naso! Sempre più eccitata continuò a leggere di queste creature misteriose

    Ho deciso di dare a queste creature un nome in modo da renderle meno paurose. Morghon, poiché è di morte che essi si nutrono. Sono assimilabili a degli scarabei di uno strano colore scarlatto, cupo, come il sangue rappreso. Solitamente vivono nei pressi dei fiumi e sono riconoscibili dal loro verso molto acuto ed inconfondibile “Friiiik Friiiik Friiiik” ripetuto tre volte e seguito da qualche istante di silenzio per poi ricominciare da capo. Non sono pericolosi per i viventi, non sono aggressivi. Li catturerete facilmente. Una volta catturati vi basterà appoggiarli sulla parte dal pulire dal tessuto morto e loro faranno il resto. Non c'è pericolo che danneggino il tessuno sano, una volta esaurita la parte morta si staccheranno autonomamente. Dopo questa procedura, affinché la pelle possa ricrescere in modo corretto è necessario creare un impacco di fiori di ginestra spinosa bendando poi la zona interessata per un giorno intero. Una volta rimosse le bende dovreste aver ottenuto l'effetto sperato.

    Questo era esattamente ciò che le serviva, quindi non perse tempo e mandò a chiamare alcuni servitori ordinando loro di andare a recuperare un numero sufficiente di Morghon. Ora restava solo la questione del piccolo Robert Arryn, che al contrario della giovane Baratheon, non aveva apparentemente nessun problema fisico, ma bensì era la sua mente ad essere corrotta. Infatti lo sfortunato fanciullo soffriva di crisi convulsive abbastanza frequenti che, con il passare degli anni lo avevano reso debilitato sia mentalmente che fisicamente. Melisandre aveva sempre avuto il sospetto che il latte di papavero che gli veniva somministrato regolarmente dal Maestro di Casa Arryn gli facesse più male che bene, ma per provarlo avrebbe dovuto trovare un rimedio alternativo.

    Continuò a sfogliare il libro nero, trovando molti passaggi interessanti ma che non avevano nessuna inerenza con il caso. Verso la fine del libro però trovò la descrizione di una giovane donna che apparentemente sembrava essere nelle stesse condizioni del piccolo Lord Arryn. Continuando la lettura apprese che la giovane era guarita dalle crisi semplicemente ingerendo ogni sera un intruglio realizzato con dosi precise di erbe abbastanza comuni e che Melisandre avrebbe avuto modo di reperire con facilità. Inoltre nel diario era scritto che, una volta terminate le crisi, il soggetto ne aveva tratto non solo un beneficio fisico, ma anche la mente sembrava guarita. Non le restava che provare se quelle parole corrispondevano al vero, così preparò una lista delle erbe che le sarebbero servite e mandò la sua serva più fidata a recuperarle. La sacerdotessa tirò un sospiro di sollievo e chiuse il pesante tomo. Per un attimo due gelidi occhi azzurri parvero fissarla dal nero cupo della copertina, ma svanirono così rapidamente come erano apparsi.
    Melisandre fece poi chiamare un paio di servi e ordinò loro di disporre le ossa del drago a formare un braciere con il teschio capovolto della Bestia in cima a contenere i tizzoni ardenti. Tuttavia'eseguire gli ordini uno degli uomini mancò una presa ed il grosso teschio cadde rovinosamente a terra. Nella caduta un canino aguzzo si staccò dal teschio ed il servo iniziò a tremare dal terrore, temendo che la sacerdotessa sfogasse su di lui la rabbia per la sua maldestria. La donna invece raccolse il dente con un lembo del mantello per non tagliarsi e lo osservò con attenzione. Poi guardò l'uomo tremante e con voce suadente gli disse “Non preoccuparti Jorah, non è successo niente di grave. Questo incidente è il modo che ha usato R'hloor per indicarci che cosa dobbiamo fare ora. Mandami a chiamare un fabbro, il migliore che riesci a trovare. Ed in fretta!”
    Quando il fabbro arrivò, Melisandre riconobbe in lui l'uomo che le aveva messo in atto la tortura sulla Montagna e ne fu compiaciuta. Con estrema precisione spiegò all'uomo che cosa doveva fare: doveva realizzare una staffa con in cima incastonato quel dente di drago. Il motivo delle decorazione avrebbe dovuto richiamare le fiamme sacre al Dio Rosso ed il tutto sarebbe dovuto essere pronto in due giorni. Il fabbro prese con cautela il dente avvolgendolo in uno straccio e con un profondo inchino se ne andò dicendo “Non vi deluderò, Mia Signora”.
    Era ormai tardi e la sacerdotessa soddisfatta andò a dormire trascorrendo una notte serena e priva di sogni. Il mattino dopo era raggiante di gioia e piena di energie, i servi le avevano procurato tutto ciò che aveva chiesto ed aveva saputo che il fabbro aveva lavorato per lei tutta la notte. In tarda mattinata giunsero da lei i due bambini ed ormai era tutto pronto.
    Per prima cosa si occupò di Shireen per cui provava un'istintiva simpatia. Era una bambina molto dolce e dallo spirito gentile che non faceva pesare a nessuno la sua sventura. Aveva un animo curioso ed invece di essere spaventata dagli strani insetti ne era affascinata e chiese a Melisandre di raccontarle qualcosa su di essi. Era anche molto coraggiosa per la sua età poiché quando le appoggiarono i Morghon sul volto non si mosse, non pianse ma rimase seduta composta in attesa di ricevere ulteriori istruzioni. La sacerdotessa non poteva fare a meno di pensare a quanto Shireen avesse preso dal padre e ringraziò il Dio per questo, se avesse preso maggiormente dalla madre non sarebbe nemmeno valsa la pena aiutarla. Esattamente come era scritto nel libro nero i Morghon fecero il loro lavoro e si staccarono spontaneamente dal dolce visino della bambina. Anche solo così, sparito l'orrendo colore verdastro, si poteva notare il miglioramento. Non sarebbe mai stata una bellezza straordinaria ma la sua indole la avrebbe resa una buona moglie, degna della Casata Baratheon. Personalmente Melisandre si occupò di applicare l'impacco e di sistemare le bende, intimando a Shireen di rimanere con il cappuccio tirato su all'aperto e di rimanere il più possibile nella sua stanza. Poi verso il tramonto fu la volta del giovane Arryn per cui provava una pena immensa poiché all'apparenza sembrava davvero inadatto a vivere. La sacerdotessa cercò di essere gentile nei suoi confronti e lo convinse a bere ciò che aveva preparato per lui intimandogli di rendere grazia a R'hllor ogni volta prima di bere o non avrebbe funzionato, dopodiché officiò i riti della sera insegnando ai due bambini alcune preghiere del Dio Rosso.
    L'indomani nel pomeriggio fece chiamare nella sua tenda Shireen per togliere le bende e vedere il risultato del suo lavoro. Lentamente srotolò le bende e con attenzione ripulì dall'impacco il viso della bambina e rimase senza parole. Tutto ciò che era rimasto dell'orribile piaga verdastra era un leggero tratto rossastro che delimitava i contorni della macchia che ora non c'era più. Niente che con un tocco di cosmesi non si potesse aggiustare. Quando porse uno specchio alla bambina in un primo momento rimase a bocca aperta, poi iniziarono a scendere grosse lacrime dai suoi occhioni blu e corse ad abbracciare Melisandre ringraziandola. La donna la tenne qualche istante tra le braccia accarezzandole dolcemente i capelli e le disse “Non devi ringraziare me, bambina mia. É stato R'hllor che mi ha dato il potere di guarirti”. Asciugò le lacrime dal viso di Shireen e le mostrò l'abitino di seta rossa che aveva fatto fare su misura per lei, corredato da un paio di scarpette a punta anch'esse rosse ed un velo che avrebbe dovuto tenere sul viso finché non sarebbe giunto il momento di mostrare a tutti come appariva ora il suo volto grazie al Dio Rosso. Prima di andare a preparsi lei stessa per il grosso ed importante rituale di quella sera, durante il quale avrebbe mostrato a tutti di che cosa era stata capace, Melisandre passò a trovare Robert Arryn il quale, avendo passato un giorno intero senza crisi e senza quegli orribili preparati del suo Maestro che gli annebbiavano la mente sembrava un altro. Aveva potuto dormire tutta la notte e riposare per bene, sembrava riposato, non più pallido e tremante, rideva e giocava allegro con la sua tutrice, sembrava un bambino come tutti gli altri. Prima di consegnargli il suo abito porpora si assicurò che bevesse anche quella sera il suo intruglio di erbe e se ne ritornò alla sua tenda. Scelse un abito molto leggero che lasciava spalle e schiena scoperte, con una profonda scollatura, per far risaltare il rubino che portava al collo, stretto in vita ma con un'ampia gonna fatta di più veli fruscianti. Proprio nell'attimo in cui finì di prepararsi arrivò di corsa il fabbro con in mano un oggetto lungo avvolto tra gli stracci. Appena giunse al cospetto della donna si inginocchiò ed iniziò a togliere uno per volta gli stracci scoprendo il risultato del suo duro lavoro. Aveva usato dell'acciaio scuro anche se non raggiungeva la tenebrosa gradazione di nero del dente che svettava in cima all'asta incastonato in spire di fiamme che sembravano vive e calde e non di freddo metallo. Melisandre sorrise soddisfatta e promise all'uomo che sarebbe stato adeguatamente ricompensato oltre al denaro che già av evano pattuito. Prese un pesante mantello di un rosso molto scuro in contrasto con quello più chiaro del vestito ed uscì per recarsi sul luogo del rituale. Già del pomeriggio aveva fatto sistemare il bracere di ossa di drago in mezzo agli altri roghi, al centro dello spiazzo e lo spettacolo delle alte fiamme che danzavano nel teschio di un drago ormai morto risultava affascinate e grottesco allo stesso tempo.
    Quando arrivò sul posto la folla che si era radunata per l'evento e che fino a quel momento era stata animata da un fitto chiacchiericcio si ammutolì rimanendo incantati dalla visione della Sacerdotessa all'apice del suo splendore. Con un sorriso prese per mano i due bambini e li fece sistemare ai due lati del braciere centrale, in attesa. Poi con estrema lentezza abbassò il cappuccio del mantello per mostrare alla folla il volto ed iniziò a parlare.

    “Miei cari, siamo qui riuniti oggi per festeggiare. Non molto tempo fa qualcuno mi additava per pazza ed opportunista quando avevo condannato queste bestie abominevoli che, sebbene fossero fatte principalmente di fuoco, non avevano niente a che fare con il Dio Rosso. Ebbene, quando queste creature mostruose sono giunte fino a noi ed hanno seminato panico e distruzione tra la popolazione, vi sono sembrata ancora così pazza? R'hllor non è un Dio distruttore, signori miei. Certo, può essere talvolta un Dio vendicativo, ma non lo sareste anche voi se aveste subito un grave torto? Egli ama i suoi figli e grazie alle nostre preghiere ha guidato le loro braccia e le loro menti in battaglia in modo che potessero sterminare questo abominio. Ed alla fine del giorno siamo stati noi a risultare vittoriosi, non loro”

    Melisandre si girò dando le spalle alla folla e si avvicinò al braciere, poi abbassò la staffa e con il dente di drago fece un taglio sul palmo della sua mano.

    “Io, con questa offerta di sangue, ringrazio R'hllor per averci illuminato il cammino nella notte buia e piena di pericoli ed aver permesso che sconfiggessimo le Tenebre”

    Non appena le gocce di sangue caddero nel braciere le fiamme crepitarono e si alzarono ulteriormente, diventando di uno strano rosso più scuro. Melisandre rimase qualche istante ad osservare le fiamme ed in cuor suo sapeva di avere ormai la folla in pugno. Si girò di scatto e riprese a parlare

    “Ma il Dio Rosso non solo guida i nostri passi nell'oscurità, bensì ricompensa anche coloro che hanno servito la sua causa e si sono fatti suoi campioni contro le Tenebre”

    Con passo leggero si avviciò a Shireen Baratheon, la prese delicatamente per mano e le fece fare qualche passo in avanti verso la folla. Si accucciò alla sua altezza e sollevò il pesante velo che le nascondeva il volto. Si spostò in modo che tutti potessero vedere la bambina in volto e la folla andò in delirio gridando al miracolo ed inneggiando al Dio Rosso.

    “Vedete R'hllor premia sempre i suoi fedeli ma dall'alto della sua saggezza è magnanimo anche con coloro che ancora non credono in Lui ma che hanno comunque giocato un ruolo chiave nella battaglia contro i servitori delle Tenebre”

    Così dicendo fece un cenno a Robert Arryn che si avvicinò alla donna e a Shireen camminando impettito e con un passo sicuro e deciso apparendo a tutti come un bambino sano e forte e non più come l'inutile seme marcio di Casa Arryn che era stato prima di allora.

    “Direi che sia giunto il momento di ringraziare tutti insieme R'hllor, non trovate?”

    Detto ciò prese i due bambini per mano e si girò nuovamente verso il braciere preparandosi a recitare la preghiera finale

    "Guidaci attraverso l'Oscurità, o mio Signore.. Riempi i nostri cuori di fuoco, affinchè noi possiamo percorrere il tuo scintillante sentiero. R'hllor, tu sei la luce nei nostri occhi, il fuoco nel nostro cuore, il calore nei nostri lombi. Tuo è il sole che riscalda le nostre giornate, tue sono le stelle che ci proteggono nell'oscurità della notte. Signore della Luce, difendici. La notte è buia e piena di terrori. Signore della Luce, proteggici. R'hllor, che ci hai donato il respiro, noi rendiamo grazia a te. R'hllor, che ci hai donato il sole, noi ti ringraziamo. Noi ti ringraziamo per il sole che ci riscalda. Ti ringraziamo per le stelle che vegliano su di noi. Noi ti ringraziamo per i nostri cuori e per le nostre torce, che tengono a bada la notte selvaggia."

    Tutta la folla presente ripetè quelle paroel all'unisono con Melisandre che ormai era certa di aver dimostrato a tutti quanto potessero essere concreti i poteri del suo Dio. Certo, la soluzione per la condizione dei due bambini la aveva trovata in un vecchio diario, ma non era forse stato R'hllor a guidare i suoi occhi e a permetterle di trovarlo? Ogni sua azione, ogni suo pensiero era guidata dal Signore della Luce.
    Finita la preghiera la donna però scorse nel fuoco nuovamente quei due occhi azzurri che ormai conosceva fin troppo bene ed impallidì per un istante, ma poi il sorriso tornò ad illuminare il suo volto e si godette tutta la notte i meritati festeggiamenti per il suo operato.


    Lady Rhaella Targaryen, Regina dei Sette Regni




    - Fire and Blood -


    Nella quarta partita: Lady Melisandre d'Asshai
  • Daemon Blackfyre
    00 25/04/2014 18:08
    Un amico sincero



    Più di quattro mesi erano passati da quando era caduto prigioniero dell’esercito Arryn.
    Non aveva idea di dove attualmente si trovasse, i suoi carcerieri lo spostavano di cella in cella premurandosi di bendarlo ad ogni trasferimento. Solo le condizioni della sua prigionia rimanevano immutate: catene di ferro ai polsi e alle caviglie gli impedivano ogni movimento, in celle prive di finestre Edric aveva finito per dimenticare di che colore fosse la luce del sole, e soltanto una volta al giorno, quando i carcerieri gli portavano sotto il muso quella sbobba maleodorante che chiamavano “cena”, egli poteva usare le mani e sgranchire quegli arti che sentiva ogni giorno meno suoi.
    Non c’erano volute molte settimane perché iniziasse a desiderare di morire. All’inizio, nella follia della sua giovinezza, quasi temeva la morte. Temeva la tortura, il dolore, la mutilazione. Se lo aspettava, e ne era spaventato.
    Ma settimane e mesi di immobilità, di silenzio, di oscurità, gli fecero comprendere come la morte non fosse che una liberazione. Ogni giorno si chiedeva quando finalmente i Sette gli avrebbero concesso il coraggio di uccidersi. Una forte pressione dei denti sulla lingua, e il sangue che ne sarebbe sgorgato lo avrebbe soffocato nel giro di pochi minuti. Oppure sarebbe morto dissanguato, addormentandosi dolcemente come in un sogno.
    Ma quel coraggio non arrivava. Qualcosa nella sua pazzia di ragazzo ancora si aggrappava alla speranza della giustizia. Uccidersi avrebbe significato assassinare quella speranza, ammettere che gli dei non esistono, e se esistono, non sono lì per ascoltarti quando li chiami. Avrebbe significato ammettere che il mondo non è dei giusti, ma di chi è disposto a tutto per prenderselo. Anche a mentire, a frodare, a calpestare ogni morale.
    Non riusciva a darsi pace per gli uomini che gli avevano giurato fedeltà, e che erano stati trucidati in un bagno di sangue da forze venti volte superiori. Non poteva perdonarsi l’averli spronati a credere in lui, a credere in una possibilità di riscatto per il Dorne, a giurare fedeltà a coloro che già una volta gli avevano teso la mano per poi trafiggerli nella schiena.
    Sperava almeno che i suoi Principi stessero bene. Sperava che sapessero la verità. Che tutto ciò che aveva fatto era stato fatto per restituire il Dorne ai dorniani. Si augurava che la sua sventura potesse avere come contraltare il perdono reale per loro. Avrebbe voluto sapere, scrivere, spiegare, ma nessuno rispondeva alle sue richieste.
    Nei primi giorni della sua prigionia Edric aveva urlato senza sosta la sua innocenza, aveva chiesto di poter scrivere ai Lord suoi aguzzini che avevano preso un abbaglio, che stavano commettendo un’infamia davanti agli dei. Ma anziché carta e penna egli aveva ottenuto solo percosse.
    Ad ogni sua insistenza seguiva un maggior numero di carcerieri a prenderlo a calci, schiaffi e pugni, finché le parole non si strozzavano nella sua gola e lo stesso respirare diveniva difficile.
    Si chiedeva se Alba fosse riuscita a raggiungere le mani di Gerold, come da sue indicazioni. Pregava il Guerriero che l’onore di generazioni di Dayne racchiuso nell’acciaio della spada potesse in qualche modo trattenere DarkStar dal macchiarsi di atti vergognosi.
    Era l’ultimo sangue Dayne ancora libero nel Dorne, l’unica speranza di sopravvivenza per la sua Casa.
    Non poteva fare a meno di domandarsi se Alto Eremo avesse giurato fedeltà ai Baratheon o se Gerold si fosse dato alla macchia, come egli auspicava.
    Quanto avrebbe voluto sapere, uscire dall’oscurità di quell’ignoto che lo avvolgeva.
    La verità è che la prigionia era riuscita a spezzarlo. Non aveva più odio dentro di sé, non aveva voglia di combattere, né voglia di vivere. Desiderava solo morire.
    A volte lo chiedeva ai suoi carcerieri, quando le ossa delle spalle e delle gambe, così costrette dalle catene, gli dolevano al punto che avrebbe voluto amputarle dal corpo. “Uccidetemi…”, chiedeva.
    Ma altre percosse erano la risposta a quella richiesta di pietà.
    Cominciò allora a pregare lo Sconosciuto, che nel buio della sua cella gli sembrava il più vero e il più reale di tutti i Sette Dei.
    Se rivendicava la sua innocenza, la giustizia divina, la risposta dello Sconosciuto arrivava rapida per mano dei suoi carcerieri.

    "Nessuno è innocente. Non esiste la giustizia."

    Il suo corpo tumefatto gli ricordava ogni sera questo insegnamento.
    Ogni volta che la luce e il calore della speranza inondavano la sua mente, lo Sconosciuto lo riportava al freddo e al buio della sua realtà.

    "La speranza è la menzogna che i forti propinano ai deboli."

    Quando sentiva di non farcela più a rimanere vivo e sembrava convincersi a darsi la morte, lo Sconosciuto si avvicinava alle sue orecchie sussurrandogli la paura...

    "Non esiste il perdono dei Sette per chi si suicida..."

    Lo Sconosciuto era un dio malvagio, che godeva della sua sofferenza, ma era l'unica compagnia che gli restava. Era l'unico che si faceva sempre strada nella sua mente, che lo pregasse o meno.
    Edric aveva sempre amato, cercato la verità e forse grazie a questo dio la stava finalmente trovando.
    La verità è il buio. Se vuoi vivere di verità devi vivere di oscurità, spazzare via da te ogni fiammella di menzogne, sia esso il calore degli uomini, le loro false speranze, le loro futili costruzioni morali, quali giustizia, provvidenza, libertà.
    Solo la violenza può piegare i violenti, solo la morte può fermare un assassino, solo la menzogna può sbugiardare il vile.
    Non c'è vittoria della luce contro l'oscurità, l'unica cosa che può sconfiggere il buio è un buio ancora più profondo.

    "Lo stai capendo, Edric?"

    "Crescerai, Edric?"


    Sì, crescerò.
    [Modificato da Daemon Blackfyre 25/04/2014 21:11]
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    robb 92
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    00 06/05/2014 18:59
    PDV HARLAW 3


    Il mare che bagnava le terre dell'Altopiano accolse gli uomini di ferro con onde dolci e arrendevoli,  la navi lunghe della flotta  di Lord Balon Greyjoy navigavano a grande velocità dopo giorni di viaggio in alto mare, fra mareggiate e piogge torrenziali.

    La sorpresa era certa, Vecchia Città poteva solo rassegnarsi, non avendo viaggiato lungo la costa non potevano essere stati avvistati e  l'esercito di Re Robert Baratheon si trovava lontano nelle Terre dei Fiumi, come i mercenari rimasti a Sud assieme a un modesto contingente, tutti loro  non avrebbero mosso un dito per difendere una delle città più grandi e sopratutto ricche  dei Sette Regni.

    Lord Rodrik ri leggeva ancora una volta un pesante tomo corroso dal tempo , si trattava di un antico libro di cronaca sulla costruzione di Vecchia Città , narrava di come erano state erette le mura, il porto, la grande torre degli Higtower alta mille piedi, la  Cittadella e molto altro..
    Ció che interessava agli uomini di ferro in particolare erano i resoconti edilizi  sugli antichi depositi,  dove illustri famiglie del ceto mercantile  nascondevano buona parte dei loro averi ,  da sempre ossessionati dalle minacce di predoni e pirati.
    Quel libro era quindi antichissimo e probabilmente non era l'originale ma una semplice copia di un tomo destinato sicuramente alle mani sicure di Lord e Grandi Maestri della città per essere custodito gelosamente.
    Le informazioni sui depositi servivano probabilmente in caso di morti improvvise di nobili e grandi commercianti , per non perdere l'ubicazione di tali magazzini ; la città era immensa e costellata di profonde aree scavate nel sottosuolo.
    Il Lettore si era procurato quel manoscritto molti anni addietro ,  nella sua giovinezza , quando navigava con la sua nave come tanti altri giovani capitani per razziare o commerciare a seconda delle occasioni.
    Un giorno si era scontrato con la nave di un ex-capitano di un noto ricco lord-mercante di Vecchia Città che prima di essere consegnato al Dio Abissale cercò di comprare la propria vita raccontando una storia curiosa: il figlio del suo padrone era stato ripudiato dal padre in seguito a chissà quale vicenda, comunque  sia il ragazzo aveva corrotto il capitano, arraffato più denaro che poteva ( grandi ricchezze secondo il povero sventurato, tante  da riempire tutta la stiva di oro ) ed era scappato nell'Essos.
    Al  capitano era spettata una certa parte che gli aveva permesso di armare qualche nave e di darsi alla pirateria su piccola scala , ovviamente avrebbe arraffato tutto il tesoro uccidendo il suo cliente se il giovane non fosse stato spalleggiato da una piccola schiera di  guardie personali  che gli avevano giurato fedeltà.

    Inutile dirlo Lord Rodrik e  alcuni suoi cugini radunarono le loro navi e si misero sulle tracce del ragazzo per alleggerirlo delle sue sostanze.
     Dopo alcuni mesi riuscirono a rintracciarlo in una piccola isola vicino Pentos , fuori da un villaggio di pescatori in una magione di legno e pietra.
    Per un paio di giorni non fecero nulla, aspettarono fino a quando non riuscirono a rapire un servitore della suddetta casa e a farsi dare un po' di informazioni ; sottoterra vicino alla dispensa c'era una porta sempre chiusa a chiave...


    La notte seguente gli uomini di ferro tornarono alla magione per darla alle fiamme ,  uccidendone gli abitanti e difensori a man a mano che uscivano.
    All'alba  , come si aspettavano, in mezzo alle macerie dell'incendio consumatosi, trovarono bauli interi di dragoni d'oro e beni di ogni sorta ben sigillati in una cripta accanto alla cantina, la stanza era protetta da una grande e spessa porta d'acciaio , per cui non avendo trovato la chiave addosso al defunto signorotto ,gli uomini di ferro avevano sfondato le pareti annerite della cantina e il sottile muro di pietra dietro a esse.

    Fu li che il Lettore trovò il libro a cui nessuno prestò la minima attenzione, di cui poi aveva scoperto le interessantissime trattazioni.

    Sul  ponte della Canto Marino gli uomini si radunavano ricoperti d'acciaio, in silenzio.
    Dappertutto intorno a loro accadeva  la medesima cosa , centinaia di navi fra cui quelle mercenarie di Salla e Jaquen  si dispiegarono rapidamente a ventaglio.
    L'assedio fu breve, la città non resse più di un qualsiasi villaggio di pescatori, Old Town era indifesa e inerme. Dopo aver conquistato il porto e dopo aver aperto le porte stesse della città per far entrare la maggior parte delle truppe sbarcate esternamente ; ebbero inizio i saccheggi.

    L'alta Torre degli Higtower fu l'unico luogo risparmiato,  ivi si nascondeva tra le nuvole Lord Leyton che diede rifugio a nobili e ricchi borghesi, ma ció non dispiacque agli uomini di ferro; uno scrigno incustodito è più facile da rubare.
    Dopo aver dato le necessarie disposizioni ai suoi capitani su dove andare a cercare , Lord Rodrik prese con se un certo numero di uomini e si diressero verso  la Cittadella; loro sarebbero andati  a caccia  di tesori di tutt'altra natura.

    Le porte della Cittadella  erano chiuse e sprangate, fitti grappoli di costruzioni e basse mura ricoperte da canali che formavano una sorta di arcipelago artificiale.
    Senza degnare tutto ciò di uno sguardo Lord Rodrik si diresse velocemente verso un tempio dedicato ai sette dei e ordinò ai suoi uomini di buttare giù tutte le statue e le sculture , non  era però  fanatismo religioso che guidava  Lord Harlaw , infatti dopo una ventina di minuti Brogen Volmark lo informò che era stata trovata una botola sotto l'altare della vergine; gli uomini di ferro sarebbero passati sotto l'acqua per entrare.
    A quanto pare il passaggio segreto veniva utilizzato di frequente , sulle pareti trovarono torce da accendere e un tunnel ben solido; puntellato con spessi travi di quercia.
    Il Lord di Dieci Torri non perse tempo , non ci furono particolari resistenze da parte di maestri e accoliti che vennero rinchiusi dopo essere stati radunati , al cospetto di Lord Harlaw rimasero solo gli Arcimaestri e una dozzina di accoliti << ora ci dirigeremo assieme verso la vostra bella biblioteca, cerchiamo una cosa, non siamo interessati a oro e ricchezze, collaborate e non avremo motivo di uccidere nessuno>>.
    In mezzo a un dedalo di corridoi e vaste pareti di scaffali , gli accoliti sciamavano cercando senza sosta ,  incitati dalle lance degli uomini di ferro, Lord Rodrik aveva comunicato a tutti solo un titolo in una strana lingua, nient'altro.
    Dopo un paio di ore Harlaw , resosi conto della reale vastità della biblioteca , fece chiamare altri novizi e prese in mano i libri contabili del bibliotecario che fu convocato per essere interrogato, il tomo che cercava era stato introdotto in modo clandestino e nascosto da qualche parte molti anni prima da un giovane novizio........ ma dove?.
    Lord Rodrik tornò con la memoria agli anni della sua gioventù, quando aveva incontrato quel giovane ragazzo in una taverna per marinai di Vecchia Città , una terribile tempesta infuriava da giorni bloccando alla fonda molte navi e pertanto interi equipaggi passavano le giornate a bere e oziare.
    Il futuro Lord di Dieci Torri e il giovane novizio avevano fatto amicizia, passando  parecchio tempo assieme a chiacchierare , infine un giorno, egli gli aveva raccontato, ubriaco, una storia incredibile; ma il giovane aspirante maestro morì appena qualche giorno dopo, vittima di un curioso incidente , senza avergli  potuto rivelare dove aveva nascosto il libro.
    All'improvviso  arrivò un urlo di trionfo alle orecchie del Lettore, sotto una pietra  del pavimento leggermente sconnessa, avevano trovato qualcosa avvolto in dei vecchi stracci!


    Molte ore dopo gli uomini di ferro ripresero il mare assieme ai mercenari, carichi oro e merci preziose.
    Sul ponte della Canto Marino Lord Rodrik consegnò un libro rilegato , con quella che sembrava essere pelle umana, vecchia e consunta , nelle mani di Harras Harlaw << prendi questo, circumnaviga il continente veloce come il vento e vai alla Barriera , consegna questo libro a al Lord comandante dei Guardiani della Notte, Jeor Mormont >>  il giovane cavaliere guardò il suo signore con viva curiosità << un viaggio del genere in autunno , con la mia sola nave, per un libro?? Cosa mai ci puó essere scritto di così importante? Cosa abbiamo a spartire con i corvi?>>  << tale manoscritto è molto importante , proteggilo ad ogni costo dall'umidità e fai attenzione nel maneggiarlo, secondo una vecchia storia appartenne a un guardiano della notte, noto come Brynden Corvo di Sangue, il tomo fu trafugato dalla Barriera da un attendente che fu mandato alla Cittadella  per divenire maestro.
    Il ragazzo si dedicava a strane pratiche, in una città come Vecchia Città conobbe gente che condivideva i suoi stessi interessi e con cui si mise nei guai;  a seguito di certi eventi egli nascose il libro prima di morire.
    Esso fa parte di un'unica opera composta in due volumi, Mormont ha già il primo e cerca disperatamente il secondo....... 
    Comunque sia ti dico solo  che forse la nostra causa , non è poi così disperata, ora vai e che  il Dio Abissale vegli su di te>>  Ser Harras guardò lo zio con sguardo greve , prima di saltare sulla tolda della sua Serpente e partire.
    Lord Rodrik guardò il nipote allontanarsi dalla flotta con la sua nave con sguardo meditabondo, Il Lettore aveva avuto modo , in quelle poche ore , di leggere buona parte di quel manoscritto, non erano certo argomenti edificanti e  non potè far a meno di chiedersi  se per caso,  non avesse scatenato qualcosa di veramente terribile e irreparabile che li avrebbe distrutti; invece di fargli vincere una guerra.

    "Negromanti e stregoni, ecco in cosa mi trovo immischiato!"  questi erano i tetri pensieri di Sir Harras mentre arrancava nella neve assieme ai suoi uomini , avevano compiuto un lungo viaggio, la sua nave aveva bisogno di urgenti riparazioni ed erano stremati.
    Il Forte Orientale era affollatissimo, i grappoli di torri e forti i non bastavano ad alloggiare tutti , pertanto era sorta  una città di tende e bivacchi che si spandevano a macchia d'olio "sembra esserci l'intera confraternita , c'è qualcosa di strano" ,a un certo punto  Lord Mormont venne loro incontro , strinse la mano del giovane cavaliere con forza e con occhi febbrili e spiritati , ardenti di brama e impazienza.
    << Ottimo lavoro , vi abbiamo trovato degli alloggi  caldi e asciutti in uno dei forti, tutto è ormai pronto, presto inizieranno i giochi, intanto alloggerete da noi ,finché  la vostra flotta non si farà viva e adesso cortesemente datemi quel libro, ho poco tempo ancora per comprendere......>>, gli uomini di ferro si congedarono e andarono in cerca di Cotter Pyke , cosa diavolo stava per succedere esattamente? 









    Ser Richard Horpe

    Nella sesta partita Lord Leyton Hightower, Voce di Vecchia Città.

    Nella quinta partita LORD Leyton Qorgyle , COMANDANTE DEI GUARDIANI DELLA NOTTE.

    Nella quarta partita LORD RODRIK HARLAW IL LETTORE, signore di Harlaw

    Nella terza partita ROBB STARK

    " credevo che la parte più difficile della guerra fossero le battaglie mi sbagliavo..."
    Re Robb Stark


    uff non è stato facile trovare una frase con un certo peso di robb

    risus abundat in ore stultorum

    the winter are coming!!


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    00 20/06/2014 17:10
    Il Leone Rosso III – Verso Lord Harroway's Town

    "Piaaaano, piano! Steff, cazzo, è pur sempre vetro!"
    C'era voluto del bello e del buono per trovare i carri e le casse adeguate. Ser Lymond le aveva dovute estrarre personalmente in quei cumuli di legna informe che formavano le terribili barricate improvvisate che avevano contribuito alla vittoria della coalizione contro gli ultimi Targaryen.
    La paglia era stata un altro motivo di preoccupazione: con tutto il fuoco che era piovuto dal cielo, era stato possibile trovarne anche solo una balla intatta. Fortuntamente i cadaveri non mancavano e nemmeno gli stracci insanguinati che portavano addosso.
    Era stato decisamente un lavoro orribile. Non certo orribile come trascinare una drago a morire dove si voleva farlo morire, ovviamente, ma comunque orribile.
    Nel giro di un paio di giorni, tuttavia, la colonna era stata pronta a partire, con i suoi due carri stracarichi stracci e ossidiana e i suoi quasi ottocento cavalieri freschi di investitura.

    Anche per questa sinistra faccenda dell'investitura c'era voluto del bello e del buono. Un po' perchè i cavalleggeri che ricevevano il cavalierato erano più di trentamila, un po' perchè, per meri motivi di ordine pubblico e igiene, non sarebbe stato assolutamente possibile gestire quella cerimonia, nemmeno ad Approdo del Re, nel grande tempio di Baelor.
    Fortunatamente nei Sette Regni tradizione vuole che ogni cavaliere possa nominarne un altro o due o tre o cento. Non ci sono limiti, ovviamente, e a Riverrun non mancavano certo i cavalieri!
    Neanche a dirlo, gli ultimi a porgere omaggio al Re e a ricevere da lui il titolo di Ser, erano stati proprio i cavalleggeri dei Bravi Camerati e dei Neri Mercenari.
    Sarebbero, in effetti, sempre stati cavalieri di seconda mano, con le loro armature rubate e ammaccate, nonostante avessero già ampiamente dimostrato di non essere inferiori a nessun cavaliere con mantello svolazzante, data la quantità impressionante di cadaveri che avevano prodotto in lungo e in largo per il Westeros.

    La giornata volse lentamente e pigramente al termine senza lasciare alcuna traccia sui volti dei cavalieri. Non si può pensare che un uomo combatta per cinque settimane, ogni giorno e ogni notte, e continui a mantenere un normale contatto con la realtà.
    Ser Lymond lo sapeva bene, per lui non era certo la prima volta, ma alcuni dei suoi soldati erano stati spezzati amaramente da quella esperienza. Nonostante fossero ancora vivi, avevano iniziato a dimostrare una sorta di totale distacco dalla realtà e un amore ormai viscerale per la violenza.
    Erano quelli gli uomini che Vargo Hoat voleva per i suoi Cavalieri della Morte: quei ragazzi, ormai quasi non più umani, avrebbero combattuto in ogni angolo del mondo per il Capro Nero. Non si sarebbero fermati davanti a vecchio, donna o bambino. Se avessero ricevuto l'ordine di uccidere, l'avrebbero fatto senza esitare.
    "Cavalieri, ci fermiamo." A un'ora dal tramonto, il Leone Rosso fece un cenno rivolto a una radura non troppo lontana dalla strada, dalla parte opposta, riespetto ad essa, della Forca Rossa.
    "Preparate il campo, fossato e palizzata. Ci possono ancora essere degli sbandati da queste parti. Aeron, il mio cavallo." Vichary scese pesantemente dalla sua cavalcatura mentre il giovane dell'Altopiano accorreva alla sua chiamata.
    "Poi raggiungimi ai carri." continuò il cavaliere.

    Mentre i soldati si davano da fare a preparare il campo, Ser Lymond chiamò Steff e si fece accompagnare ai carri.
    "Ser, la strada è in ottime condizioni, quegli schiavi soldato l'hanno pestata così a lungo che credo non troveremo più la prima stesa. Il carico dovrebbe essere più che al sicuro."
    "Lo spero bene, Steff, altrimenti Ser Rolland ci ammazzerà come i maiali fortunati che siamo. Non è da tutti sopravvivere a un'avventura del genere."
    "La guerra è finita, Ser?"
    "Non ci credederei nemmeno se lo vedessi. E penso che dietro a tutto questo" disse indicando vagamente il carro "Ci sia qualcosa di più della voglia di farci giocare nella sabbia e nel fango."
    "Come tu dici, Ser. Ma ancora non mi avete spiegato per qualche motivo sono venuto con voi e non sono andato con il resto della Compagnia. Sono l'unico arciere a cavallo, qui. Non posso fare granchè."
    "Non sei qui con me per combattere, Steff, non solo almeno. Cosa sai fare, oltre a combattere e a cavalcare?"
    "Nel Dorne ero apprendista, il mio maestro produceva archi dorniani a doppia curvatura, Ser. Ma cosa c'entra con l'essere l'unico arciere a cavallo di questo distaccamento."

    Nel frattempo Aeron era comparso con la sua chiave in mano.
    "Grazie, Aeron". Ser Lymond si frugò brevemente sotto la giubba prima di estrarre una chiave simile alla prima.
    "Una compagnia mercenaria" iniziò a spiegare mentre girava simultaneamente le chiavi e apriva una delle casse "Ha bisogno di artigiani, cacciatori, mercanti, prostitute. Non abbiamo fissa dimora, non sappiamo cosa ci possa servire domani. Non abbiamo magazzini e dobbiamo protare la nostra casa con noi, insieme a tutto quello che ci mantiene efficienti. Un mercenario inefficiente è un mercenario che muore."
    "Ma ser, non ci sono archi da controllare nè frecce da impennare qui, oltre alle mie. E ne ho talmente tante che potrebbero bastarmi per tutte le battaglie rimaste da qui alla fine della guerra."
    "No ma c'è un..progetto. Ser Rolland ha sempre idee insolite. Dimmi, Steff, com'è fatto un arco dorniano?"
    Il giovane, a memoria, espresse chiaramente il concetto "Un arco dorniano è fatto di diversi materiali, ser. E' il motivo per cui è più corto ma mantiene una gittata superiore a un arco del Westeros non prodotto nel Dorne. Ha un corpo centrale in legno, corno nel ventre e tendine sul dorso, spesso rinforzato in osso. Il libraggio è elevato e aumentato, per discreta parte, dalla forza dell'arciere. E' il motivo per cui una freccia scoccata da un arco dorniano oltrepassa una cotta di maglia."
    "E se ti dicessi che puoi usare questi?"
    Le mani del ragazzo tremarono per un istante che sembrò durare una vita terrena, mentre allungava lentamente le mani verso la fibula di drago che il cavaliere gli porgeva.
    "Un arco con..ossa di drago, ser?" l'idea pareva averlo lasciato mentalmente provato.
    "Sappiamo che ce ne sono stati altri in passato, soprattutto nel Dorne. Nel suo passaggio a Vecchia Città, Ser Amory Lorch, che gli Estranei lo stramaledicano, è riuscito a recuperare diverse informazioni a riguardo.
    I disegni di aspettano a Lord Harroway's Town, insieme al resto della Compagnia."

    _____________________________________________________________________________________________________________________________
    Nella Settima Partita:


    Lord Alester Florent, Lord di Brightwater Keep.
    Florent
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    Nella sesta partita: Bryen Caron, decaduto lord di Nightsong, che perse una gamba per l'ospitalità di casa Greyjoy

    Nella quinta partita: Orell l'Aquila-sulla-Barriera. Maestro delle Spie di Re Rhaegar I Targaryen, Lord di Bosco del Re

    Nella quarta partita: Lord Vargo della casa Hoat, Lord Protettore del Sud dal suo incredibile seggio di High Garden. Distruttore di Estranei, Difensore della Barriera e Creatore della Strada delle Mani.
    Fedele e leale suddito di Re Stannis Baratheon I.

    Nella terza partita: Lord Davos Seaworth, Alfiere del Trono di Spade, Signore di Arbor.
    Spia e Boia di Re Hoster Tully I.
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    00 26/06/2014 12:28
    Vargo XVI – Lord Harroway's Town

    BOM – BOM – BOMBOMBOM
    BOM – BOM – BOMBOMBOM

    Vargo Hoat si girò verso il musico con gli occhi iniettati di sangue.
    "Shmetti di cagarsci il casscio con quella merda."
    La testa gli faceva un male terribile, visto che per tutta la notte le campane avevano suonato a festa per la vittoria ottenuta sui Targaryen a Riverrun.
    La sobrietà gli faceva male. Un male terribile. Ma era necessaria.
    Il tamburo riprese a rullare nel momento stesso in cui, in lontananza, comparve la polvere dei cavalieri al galoppo.
    "Finalmente."

    Le forze dei Cavalieri della Morte che avevano difeso Riverrun erano quanto di più lacero si potesse aspettare: molti soldati erano feriti ma per orgoglio o follia erano comunque voluti arrivare in sella ai loro destrieri, anche a rischio di riaprire certe brutte ferite subite in combattimento.
    Ser Lymond sembrava tutto tranne che stanco, come se quella cavalcata avesse potuto farlo ringiovanire di dieci anni. Lo scontro con la cavalleria Crakehall aveva decisamente giovato al suo ego, come alle sue tasche, evidentemente.
    Il Leone Rosso fece muovere i suoi al passo, mentre i soldati dei Bravi Camerati in attesa sbattevano le armi contro gli scudi e salutavano i loro compagni.
    "Ser!"
    "Capitano."
    "I Sciette Regni non dimenticheranno quello che avete fatto a Riverrun, nè lo farò io. Queshto sciervigio sciarà ampiamente ricompensciato. Ho sciaputo che avete avuto modo di incrosciare le voshtre lame con il scinghiale pessciato. Sciembrate ringiovanito di diesci anni, Scier."
    Vargo Hoat gli porse il braccio destro e il cavaliere lo strinse.
    "Ho mandato una richieshta al Prinscipe Shtannish da parte voshtra. Gli ho chieshto di lasciarvi prendere il voshtro vero cognome, Scier. Per ora non sci ha detto di no."
    Ser Lymond annuì e Vargo si rese conto che il cavaliere aveva altro da dire agli altri ufficiali della Compagnia, per cui "sci tolscie dal casscio" e andò a salutare personalmente i Cavalieri della Morte che erano rientrati insieme a Vikary.

    Quella sera stessa, i massimi gradi dei Bravi Camerati si riunirono finalmente nella tenda di Vargo Hoat. Alla riunione erano presenti tutti i uomini a cui Vargo aveva affidato la sua Compagnia: Vargo stesso, Aegon il Sanguinario, Ser Rolland Storm, Ser Lymond Vikary, Moroqqo Dimittis, Ser Amory Lorch e Jojen Reed.
    Un po' troppi stemmi e vessilli, forse, per la tenda di un mercenario, pensò Vargo, indugiandoper un attimo sulla figura di Reed. Le forze che aveva portato in dote alla Compagnia erano ancora accampate a Old Stones ma lui aveva fatto di tutto per essere presente a Lord Harroway's Town, al punto da attraversare unazona di guerra in compagnia di dieci cavalleggeri del Nord.
    Il Caprone prese la parola con un semplice "Parlate."
    "Credo che il giovane Reed debba essere il primo a parlare. Ha annunciato di avere cose da dire, signori." Aegon, da bravo padrone di casa, fece girare gli occhi di tutti sul giovane erede di Lord Howland.
    La voce di Reed era poco più di un sussurro. I suoi occhi, tuttavia, accendevano il dialogo con una serie di verdi e funeste luci. "Ho visto, Condottieri, che da qui a un mese i Sette Regni saranno attaccati da qualcuno che non ci aspettiamo. Inizierà una crisi lunga e sanguinosa a cui dovremo porre rimedio. Ho visto sui loro vessilli una mano rossa su sfondo nero, qualcuno di voi sa a cosa potrebbe riferirsi?"
    Ser Rolland era probabilmente l'unico, nella tenda, che avesse studiato con profitto in gioventù "E' usanza presso alcuni clan delle Montagne della Luna definire come "Mano Rossa" il loro capo guerriero. Ma non riesco a pensare a un Clan che possa mettere in scacco i Sette Regni. Anche se si unissero in un unico esercito, i guerrieri non sarebbero più di un migliaio, probabilmente. E credo che già gli Arryn ne abbiano coscritti in numero piuttosto elevato, erano nel Dorne come esploratori, se non ricordo male, giusto?"
    La voce untuosa di Amory Lorch confermò "Abbiamo dieci uomini delle Orecchie Nere nei Cani Marcianti, si. Gentilmente offerti da Lord Arryn per razziare una qualche scatola di sabbia e merda dorniana."
    "Cazzo, munifico. Dieci cavalleggeri"
    "Vecchio avido, mica se li può portare nella tomba, i suoi dragoni."
    "Comunque" Ser Rolland riprese la parola "Potrebbero essere una forza esterna. Ma anche le città libere non hanno mani rosse, solo variazioni del tema "L'incredibile Arpia Ghiscariana". Possono essere Mercenari?"
    "Con più di 100000 uomini e mille navi, magari. Come un altro sbarco Targaryen?"
    "Bashta Targaryen, per favore."
    "No no, Condottieri, è una minaccia interna. Se non siamo noi..non siamo noi giusto?"
    "No. Ci manca sciolo che sci ribaltiamo prima di essciere pagati."
    "Non oso pensare a chi possa essere."
    "Vedremo no? Abbiamo altro di cui discutere."
    "Shtannish ci avrebbe chiesto di prendere Saltpans. Ci sciono rimashti degli immacolati, tanti immacolati. E Navi Targaryen."
    "Altri immacolati?" chiese Ser Lymond "Inizio ad averne abbastanza, sapete?"
    "Sciono gli ultimi, scier."
    "Tra l'altro, essendo una testa di ponte potrebbero non essere messi troppo male a rifornimenti, anche se l'esercito principale è stato piallato." Aegon guardava sempre piuttosto caparbiamente al guadagno.
    "Quanto?"
    "I Baratheon ci danno 4 milioni, sembra" disse Moroqqo rovistando tra le sue carte. "Si, 4. E mezzo milione i Tully. Dato come siamo messi non mi sentirei di fare lo schizzinoso. Soprattutto se a Saltpans c'è qualcosa da sgranocchiare extra, fossero anche delle armature nuove o delle armi di qualche sorta."
    "Per quanto riguarda quell'altro progetto..." iniziò Ser Rolland, dando l'argomento per "sistemato", più rivolto a Ser Lymond che a tutti gli altri.
    "Ossidiana e ossa di drago sono state trasportate dai nostri carri, si." disse il Leone Rosso alzando le spalle. "Il dorniano è stato informato che sta a lui mettere insieme i pezzi. L'ossidiana invece, per ora, è in lastre, come ci avevi chiesto."
    "E qui dobbiamo far intervenire il nostro giovane Reed, immagino."
    "Esattamente. Reed, la tua gente fa ancora quel genere di armi non convenzionali, giusto?"
    "Si, Ser. Punte cave, soprattutto."
    "Ci serve esattamente quel procedimento."
    "Con l'ossidiana, Ser?"
    "Diciamo che, dopo quello che hai detto tu e quella strana notizia da Old Town..ho un presentimento."
    Gli occhi di tutti si fissarono sul Bastardo di Canto Notturno che annuì, greve.
    "Casscioddio."


    [Modificato da Albus Lupin 26/06/2014 20:01]
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    Lord Alester Florent, Lord di Brightwater Keep.
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    Nella quarta partita: Lord Vargo della casa Hoat, Lord Protettore del Sud dal suo incredibile seggio di High Garden. Distruttore di Estranei, Difensore della Barriera e Creatore della Strada delle Mani.
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    Nella terza partita: Lord Davos Seaworth, Alfiere del Trono di Spade, Signore di Arbor.
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    00 28/06/2014 15:04
    Aegon I – Saltpans

    La sua accetta piantata tra le scapole dell'immacolato faceva fare a quel maledetto cadavere un sinistro balletto, ogni volta che, per far ridere i suoi, il Sanguinario la muoveva a destra e a sinistra, mentre, seduto su una discreta pila di corpi senza vita sporchi di sangue e merda, fumava un qualche strano involto di erbe trovato nell'accampamento Targaryen.
    "Sapete cosa mi piace di questi soldati?"
    Manico dell'accetta a destra, manico dell'accetta a sinistra.
    Braccino-braccino-gambina del cadavere.
    "Che non pensano."
    Boccata del sigaro improvvisato, sguardo verso il cielo.
    "Perchè, se pensassero, sarebbe stato un grosso problema stanarli, nella loro formazione da battaglia, in una città di vicoli che puzzano di pesce marcio e piscio.
    Chi ci sarebbe andato a stanarli? Non io. E invece quella carampana della Whent ha avuto una meravigliosa idea. Sfidarli ad uscire perchè combattessero sul campo.
    Cosa è rimasto loro, dopo la cattura di Viserys se non schiavitù, ordini a cui obbedire e onore da difendere? Nemmeno pensavo che aveste onore, immacolati belli."
    Altra pausa, altra boccata. Il fumo azzurrino gli usciva ora dal naso in lunghi getti.
    "E invece non siete riusciti a fare a meno di affrontare un esercito che sembrava solo di cavalleria. Sicuri di poter vincere anche fuori dalle mura che vi avrebbero protetto dal resto.
    Lo sapete perchè la Whent ha avuto un'idea così geniale? Perchè sapeva che qualcuno senza più altro per cui combattere si sarebbe sacrificato per l'onore? Perchè i suoi figli sono tutti crepati per cercare di difenderlo. Lei sa cosa sia il prezzo dell'onore. Sa cosa sono disposti a fare gli sciocchi per l'onore."
    Il pubblico di morti accorso a quel monologo continuava a rimanere silente, quindi, sempre aspirando grandi boccate dal sigaro, Aegon si alzò, liberando definitivamente la sua ascia dalla colonna vertebrale dell'immacolato dalla pelle scura.
    "Non avevate idea che in realtà, oltre alla cavalleria, il campo pullulasse di tiratori, vero?
    Senza parlare delle catapulte alle vostre spalle. Non potevate sapere che la morte sarebbe arrivata come quando improvvisamente, anche se di giorno, il sole si spegne per qualche strano gioco di astri."
    Passi metallici in mezzo ai cadaveri, poi una voce.
    "Capitano, dovremmo..."
    Aegon zittì il Cavaliere della morte con un cenno.
    "Non chiedetemi come sia possibile nascondere centodiecimila soldati in una pianura. Non lo so nemmeno io! Ma questa è un'epoca di grandi magie e...sortilegi. Dovete aver pensato che..fosse una grande, grande magia, quando avete guardato in alto e siete morti. Decisamente.
    Siete morti, morti."
    "Aegon" Ser Rolland era comparso dal nulla e il Sanguinario lo guardò con malcelato stupore.
    "Eri nascosto anche tu, Ser? Sei un mago anche tu?"
    "Aegon, che cos'è questa puzza? Cosa stai fumando?"
    "Ah.." gesto vago con la mano.
    "Sai perchè gli immacolati sono privi di sentimenti e individualità, Aegon? Sai perchè si sono fatti riempire di frecce come uno stormo d'anatre?
    Perchè si fanno di sostanze stordenti dall'età di cinque anni fino a quando muoiono. Le stesse che ti stai fumando adesso. Metti giù quella merda e seguimi, se riesci a camminare dritto."
    "Dove andiamo, Storm? Dove mi porti?"
    "Da Reed."

    Diversi uomini delle paludi erano rimasti decisamente indietro sulla forza centrale dei Bravi Camerati visto che era necessario spendere qualsiasi minuto utile sulla fabbricazione delle nuove armi che sarebbero state necessarie se il "piccolo problema del Nord" si fosse verificato.
    La faccenda si stava facendo seria e le voci ormai fatti sicuri.
    Più di tremila cavalleggeri dei Pirati di Lys, che già avevano abbandonato i vessilli Targaryen, si stavano ora muovendo senza permesso di transito verso Dreadfort.
    Nella piccola officina improvvisata, al comando di Jojen Reed, gli artigiani dell'Incollatura avevano già iniziato i tentativi di lavorazione dell'ossidiana, consci di non aver mai visto nulla di simile e che quel particolare materiale vetroso si stava rivelando piuttosto resistente alla lavorazione.
    Era sicuramente qualcosa di scheggiabile, ma non con i metodi convenzionali con cui le genti delle palude erano solite realizzare le loro frecce a punta cava. Purtroppo però l'opinione diffusa cera che estranei e non morti fossero però da abbattere con quel particolare materiale, in assenza di un vero drago sputafiamme, quindi nulla sarebbe rimasto intentato.

    Questo clima di operosità frenetica venne però completamente disturbato da Ser Rolland, che introdusse a forza Aegon, ormai strafatto.
    "Hai qualche rimedio contro questa merda, Reed?" Ser Rolland aveva avuto l'accortezza di portarsi dietro il mozzicone di "quella merda".
    Il giovane crannogmen lo annusò brevemente, poi alzò gli occhi sulla coppia di ufficiali. "E' lo stesso genere di sostanza allucinogene che mettiamo nei nostri veleni."
    "Allucinogeni...nei veleni?"
    "Come pensi che avvengano certe morti istantanee per una ferita superficiale, Ser? Con le allucinazioni mortali, ovviamente. Sono quelle che mandano in arresto cardiaco, niente di più, niente di meno."
    "Ah, quindi questa volpe è destinata a tirare le cuoia?"
    "Non necessariamente. Da quanto ha fumato, precisamente?"
    "Abbiamo camminato per duecento metri per arrivare qui, direi dieci minuti."
    "Se fosse qualcosa di nostro, dunque, sarebbe già morto. Animo, trascinalo fuori e mettigli la faccia nell'abbeveratoio dei cavalli. Con poca grazia. Lo shock deve essere forte."
    "Mi.."
    "Si, ti do una mano."
    Dopo qualche altro istante canticchiante, la testa di Aegon finì direttamente nell'acqua. Il corpo rimase come paralizzato per un secondo poi, scalciando, tornò operativo.
    "Masietedeficienti?"
    I due si scambiarono uno sguardo "Ripreso." disse Reed "Torno al lavoro."
    Il sanguinario, intanto, era allibito. "Dove cazzo sono?"
    "Ti spiego durante la marcia, andiamo."
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    00 29/06/2014 11:09
    Jon Arryn - Una Pessima Annata!-

    < Una nave magnifica non trovate anche voi, mi signore? > Il Capitano Fart era tutto impettito e orgoglioso al timone.
    Un vento vigoroso soffia nelle grandi vele quadrate della Furia, mentre il mio sguardo era rivolto verso la prua della nave perso in pensieri oscuri quanto le nuvole in cielo.
    < Lord Stannis vi ha reso un grande onore a donarvi la sua nave personale, ci son ben poche navi nei sette regni che possono rivaleggiare con questo gioiello del mare. > continuò il capitano decantando le lodi della Furia risquotendomi dal mio torpore.
    < Questa nave è superba e arrogante, nata per distruggere e uccidere, e lord Stannis me l’ha data per coprire parte del debito che ha con me! > Risposi seccato. < non mi piace andare in giro con un grosso bersaglio dipinto addosso, ed è esattamente quello che rappresenta questa nave > le onde gonfie cullavano la nave e ritornai ai miei pensieri..

    l’idea era stata di Lord Jason..

    < mio signore, la fama della Furia la precede ed è ben meritata, ho controllato di persona ed probabilmente lo scafo più sicuro dell’intera flotta. Tutti gli sciocchi in cerca di fama cercheranno di speronarla ed assaltarla. E questo è un vantaggio che intendo utilizzare. Le catapulte e gli scorpioni a bordo della nave possono mandare a picco una nave prima ancora che l’equipaggio avversario si renda conto della cosa. Inoltre ho intenzione di stiparla di cavalieri in armatura completa e alcuni balestrieri che vi garantiranno tutta la sicurezza di cui avrete bisogno in caso qualcuno riesca ad abbordarvi, sono in pochi che usano qualcosa di più pesante del cuoio per proteggersi sulle navi e il pugno di acciaio che vi fornirò non avà nessun problema a sbarazzarsi rapidamente di qualsiasi equipaggio avversario. Farò in modo che siate al sicuro ma ho bisogno che gli occhi dei nemici siano così occupati a tentare di affondarvi che siano ciechi all’assalto che ho intenzione di condurre sul loro fianco a battaglia iniziata, lord Paxter non è un pivellino ma se sarà coinvolto nella battaglia non potrà gestire che le poche navi nelle sue vicinanze. Per comodità io resterò sulla mia nave che sarà l’ammiraglia, e voi sulla nave d’assalto. fidatevi di me, non vi farò affondare. >

    “mi fido, ma non voglio correre rischi futili, se la flotta Redwine è nel porto non sarà affatto facile come pensi caro Mallister..”
    < Quanto manca ? > domandai ansioso
    < Ancora poco e dovremmo essere in vista dell’isola, abbiamo lasciato la costa del continente questa mattina, con questo vento, dovremmo aver superato la punta nord dell’isola da un po’ e potremmo avvistare Arbor a minuti> dichiarò il comandante
    < Nessun segnale da parte di Mallister? > conoscevo già la risposta, ma la mia vista si era indebolita abbastanza da farmi sperare che occhi più giovani e acuti dei miei riuscissero a vedere qualcos’altro in quel buio surreale. Il mare si stava gonfiando e le oscillazioni iniziavano ad essere fastidiose, la prua fendeva le onde sempre più alte
    < Mi dispiace ma Lord Mallister ha scelto una rotta leggermente più larga è probabile che lo rivedrete solo una volta sbarcati > disse
    Un lampo improvviso illuminò una scena surreale, l’intera flotta fu messa a nudo per un breve istante e le vele bianche risaltarono nell’oscurità, davanti a noi apparvero come una fugace visione alcune vele.
    Poi un boato squarciò il silenzio.
    Un grido proruppe dalla nave in testa alla flotta il comandante della Martin Pescatore Blu iniziò a gesticolare per farsi capire mentre il vento portava via le sue parole. A breve il passaparola ci raggiunse “ ci hanno avvistati, si stanno ritirando”
    < Adesso scopriremo se quelle navi laggiù erano di vedetta o si stavano solo dirigendo verso nord > dichiarò con un ghigno il capitano, mentre le prime grosse gocce di pioggia iniziavano a cadere sul ponte.

    Il vento si smorzò un poco e un torrente d’acqua investì tutta la flotta che sembrò piegarsi pericolosamente sotto quell’assalto furioso. Ormai erano i lampi e l’esperienza di ogni comandante a guidare la propria nave verso la massa scura che si era finalmente apparsa alla nostra destra.
    Il vento ricominciò a ruggire la sua furia e se prima ci stava sostenendo adesso ci stava portando fuori rotta, troppo a sud, troppo velocemente. I comandanti iniziarono a gridare ordini e il caos si scatenò sopra ogni ponte, mentre i marinai fradici combattevano con funi e tiranti per riportare la nave in asse. Le onde ormai investivano regolarmente il ponte rendendo ogni operazione un’impresa.

    Una campanella di allarme cominciò a suonare e ben presto altre si unirono al coro, nonostante la mia inesperienza e la vista offuscata dalla pioggia torrenziale, notai che il segnale di allarme non veniva dalle prime navi, ma da quelle più indietro, non ci misi molto a capire cosa fosse successo. Il vento ci aveva spinto molto fuori rotta e adesso avevo la certezza che Lord Paxter fosse con tutta la sua imponente flotta sull’isola. Un lampo infatti offrì la terrificante visione della sua flotta Redwine che col vento a favore, uscita dal porto e sospinta rapidamente dal vento, ora a noi avverso, stava per piombare sulla nostra flotta quasi da dietro.

    < Fuori i remi!!! Ammainate le vele! Preparatevi allo scontro! Tutti ai propri posti!! > un comando che rimbalzava da ponte in ponte.

    Alcune navi nel disperato tentativo di fronteggiare l’aggressione si trovarono sollevate dalle onde contrarie con i remi all’aria e i fianchi esposti ai rostri dei nemici che sospinti dal vento impetuoso non ebbero bisogno di mettere mano ai remi per penetrate violentemente nei ventri delle sventurate navi che in balia degli elementi erano inermi di fronte a tale violenza.
    Assistei impotente mentre alcune navi venivano squarciate dagli urti, con uomini, merci e schegge che volavano in mare. Altre navi non riuscendo a manovrare velocemente come le vicine finirono per intralciarsi e schiantarsi tra di loro tra gli insulti e le invettive.
    Mentre la flotta Redwine sfruttava al massimo il momento di vantaggio facendo a pezzi tutto quello su cui riusciva ad impattare la nostra riusciva appena a girarsi per fronteggiare la furiosa carica avversaria.
    Ben presto il groviglio di navi fu tale che non riuscii più a distinguere nulla se non caos e morte.. e acqua ovunque.

    L’urlo del capitano Fart mi riscosse da quella carneficina < Fuoco!! >
    Un sibilo sinistro ed uno schiocco furono tutto quello che sentii prima di vedere un grosso sasso volare in direzione delle navi nemiche più vicine.. il masso finì in acqua e i flutti lo inghiottirono, gli spruzzi sollevati si dispersero in mezzo alla tempesta. Ben presto altri proiettili e dardi si unirono ai massi e alle fiocine degli scorpioni e riempirono l’aria già satura di pioggia.
    In mezzo a tutto quel caos, alcune navi stavano già affondando mentre altre erano strette in un abbraccio mortale e gli uomini assaltavo gli avversari su ponti instabili e inzuppati di acqua. Molti cadevano in mare senza nemmeno bisogno di una spinta.
    Un lampo accecante e un boato esplosero nell’infuriare della battaglia e della tempesta, un fulmine aveva colpito una nave che aveva speronato l’avversaria, l’albero maestro colpito si schiantò fragorosamente sul ponte coinvolgendo uomini di ambo le fazioni indistintamente per poi rotolare parzialmente fuori bordo finendo per essere investito da una nave che stava passando lì affianco.
    Il rollio delle onde e l’albero spezzato coinvolsero la terza nave ormai imbrigliata da funi e reti.

    Finalmente la Furia con i remi a contrastare il mare in burrasca riuscì ad avvicinarsi abbastanza alla prima linea dello scontro dove l’ammasso di navi intrecciate aveva cerato uno sbarramento in cui era difficile cogliere un varco o un avversario da affrontare.
    Rimasi stupito nel vedere che le prime navi che avevano subito l’assalto nemico erano già relitti in fondo al mare i cui uomini cercavano di salvarsi aggrappati a relitti o nuotando.
    I nostri avversari non ci misero molto ad individuarci. Il capitano Fart seguito e coperto da tre navi si stava spostando vicino alla linea di impatto e dalla nave pioveva morte su ogni nave nemica che si trovasse nel raggio di azione delle micidiali macchine da guerra che si trovavano a bordo.
    Il capitano era abbastanza accorto da sapere che la Furia aveva un potenziale devastante senza bisogno di caricare un nave avversaria col suo portentoso rostro.
    < Prepararsi all’urto!! > il grido proveniva da prua dove un gruppo di navi nemiche non coinvolte nello scontro ci stava puntando contro.
    Una delle navi venne raggiunta da un masso scagliato da una delle catapulte che le aprì un vistoso varco nel ponte, poco dopo la nave fu investita da un onda e iniziò ad imbarcare parecchia acqua, ma le sue compagne non demorsero e si avventarono contro di noi.
    Assistetti allo scontro sul ponte e se come molti altri non fossi stato legato sarei di certo volato in mare.
    La nave avversaria ci volo quasi addosso sollevata da un onda mentre le due navi stavano per impattare.
    La polena della nave nemica si spezzò contro il fianco della Furia mentre il rostro strideva contro l’imponente scafo senza riuscire a penetrarvi. Incredibilmente anche il rostro della Furia aveva mancato il bersaglio, ma solo perché la violenza dell’urto e la complicità dell’onda avevano fatto si che fosse la polena a piantarsi vicino alla prua dell’altra nave. Incastrando così le due navi in maniera quasi grottesca con le prue rivolte verso l’alto.

    Nell’impatto sbattei i denti con tanta forza da sentire in bocca il sapore del sangue, l’armatura mi aveva protetto dal violento urto contro il ponte. Molti marinai non furono altrettanto fortunati e ora giacevano storditi e ammaccati un po’ ovunque. Il capitano Fart era rimasto incredibilmente legato al suo posto al timone anche se perdeva sangue da una ferita vicino alla fronte.
    < Arrembaggio!! Respingeteli!! > l’urlo del capitano mi riscosse e vidi che oltre alla nave con cui avevamo impattato un’altra ci aveva affiancato e ora gli uomini di entrambe le imbarcazioni con funi, rampini e passerelle tentavano l’abbordaggio della nave ammiraglia nemica.
    < Uomini a Me!! > gridai allora io con quanto fiato avevo in gola. Stordito dagli eventi vidi aprirsi la porta che portava dalla guardiola alla stiva della nave e ne uscirono alcuni balestrieri che già con le armi cariche iniziarono a seminare morte tra gli avversari che stavano già prendendo il controllo del ponte. Subito dopo i balestrieri apparvero gli uomini della mia guardia. Tutti cavalieri della Valle in armatura completa che si gettarono sugli avversari che vennero falciati senza alcuna pietà od esitazione. La disparità di forze era schiacciante e nessuno subì ferite.
    Una volta sistemati gli avversari sulla Furia alcuni cavalieri utilizzando le passerelle nemiche assalirono a loro volta le navi nemiche che pulirono da ogni resistenza in breve tempo.
    Nel tempo che il capitano e i membri dell’equipaggio impiegarono per disincastrare la nave da quella avversaria per poi procedere ad affondarla non mi resi conto che la battaglia introno a noi si era fatta in qualche modo più disperata, ma non per noi.
    Capii quello che era successo solo quando una nave con bandiera Tully fu abbastanza vicino da poterla riconoscere alla luce di un lampo.

    La Furia fu di nuovo al centro dell’azione quando il capitano puntò una nave avversaria già impegnata in un abbraccio di funi e morte con una nave Stark. A quanto sembrava gli uomini stark anche se meglio equipaggiati erano comunque in difficoltà contro un avversario molto più abituato di loro a combattere sul ponte di una nave e per di più col mare in burrasca. La preda era un facile boccone per la furia che squarciò la sua fiancata aprendo una grossa falla col brutale rostro. L’urto fece saltare alcuni uomini direttamente in mare e le due navi già molto vicine finirono per urtarsi facendo cadere quasi tutti gli uomini di entrambi gli schieramenti. Con la forza dei remi la Furia indietreggiò quel tanto da far affondare la nave nemica abbastanza velocemente, lasciando ai balestrieri libero tiro sulla schiena indifesa degli uomini Redwine rimasti sulla nave Stark.

    “tic” Qualcosa mi colpì alla spalla destra mi girai sorpreso pensando di essere stato bersagliato da una freccia che incontrando il duro acciaio non era penetrata, ma subito un altro “tic” sulla nuca mi raggiunse seguito da tanti altri. Alzai gli occhi al cielo che era ancora nero di nuvole ma la quantità di acqua che mi si riverso nella celata mi costrinse subito ad abbassare la testa, il ponte della furia stava pian piano diventando bianco investito dalla grandinata. Mi guardai attorno e vidi molti in difficoltà, non bastavano la pioggia e le onde rendere insidioso il ponte, ora anche la grandine si accaniva su tutti indifferente al fato degli uomini. una scivolata nel momento sbagliato poteva farti finire fuori dal ponte direttamente negli abissi.

    Ancora legato come un salame al mio posto, asistetti ad una scena assurda.
    Una nave lunga con bandiera Harlaw passò vicino alla Furia, aveva lo scafo scheggiato e il rostro che ogni tanto emergeva dai flutti per le forti onde recava ancora incastrati dei resti di qualche nave sventurata. Gli uomini di ferro sul suo ponte sembravano non accorgersi nemmeno che la nave fosse in mezzo a una tempesta, tutti ben piantati ai loro posti, pronti ad assalire la prossima preda.
    Sul ponte un uomo con una tunica cantilenava una melodia e solo grazie al vento mi giunsero alle orecchie delle invocazioni che quell’uomo stava cantilenando. Per quanto potesse sembrarmi strano quell’uomo stava ringraziando la tempesta e chiedeva a un qualche dio di aiutarli ancora un po’ e farci finire tutti nelle sale del dio abissale. Nel bel mezzo della sua supplica un sasso lanciato da una delle catapulte della Furia lo centrò in pieno spezzando la litania come il ponte della nave lunga che però proseguì la sua corsa come se non fosse successo nulla.
    Sentii il capitano Fart imprecare, la nave lunga si stava allontanando velocemente dal nostro raggio d’azione.

    Un campanello di allarme iniziò il suo acuto richiamo da un punto imprecisato e ben presto si diffuse di nave in nave fino a noi per poi procedere al resto della flotta che ormai si era sparpagliata e ogni nave conduceva la sua personale battaglia.
    < Che diavolo succede ancora? > gridai per farmi udire nel trambusto
    < Anche le navi Redwine cantano, può darsi che qualche pazzo abbia appiccato fuoco ad una nave! Con questo vento anche se sta piovendo di tutto, non si è mai al sicuro dal fuoco! > mi gridò di rimando il capitano.
    E in effetti un sinistro bagliore si diffuse, presto anche dalla nostra posizione si poté distinguere alcune navi moralmente intrecciate bruciare violentemente
    < Un fulmine? > chiesi
    < Quella è opera dell’uomo, un fulmine non avrebbe diffuso così velocemente il fuoco, qualcuno avrebbe provato quantomeno a spegnerlo > mi spiegò
    Ci avvicinammo alla scena attratti come una falena dal mortale bagliore.
    La grandinata era quasi cessata, ma continuava a piovere abbondantemente.
    Quando fummo abbastanza vicini ad altre navi grida di giubilo ci arrivarono dai ponti delle navi vicine.
    La battaglia si era come congelata attorno a quel sinistro spettacolo.
    La nave di Jason Mallister spiccava chiaramente illuminata dalle fiamme, stavano innalzando sul pennone una bandiera e in molti vi avevano già riconosciuto lo stemma personale di Lord Paxter stracciato.
    < bene, bene > disse il capitano < quindi è stato lord Mallister il pazzo ad appiccare le fiamme alla nave di lord Redwine. Se la nave ammiraglia è stata distrutta in quel modo significa che la battaglia è finita. La notizia si propagherà velocemente e se c’è ancora qualcuno che tiene alla vita, tenterà la fuga o si arrenderà. >

    La Furia impiegò quasi un’altra ora, assieme al resto della flotta, per schiacciare le ultime resistenze e iniziare il recupero di quei poveracci che a stento riuscivano a stare a galla in mezzo alle alte onde aggrappati a pezzi di relitti. Solo molto più tardi il capitano condusse la nave verso il porto. Il vento e la pioggia erano quasi del tutto cessati, ma a ben vedere il cielo non sembrava molto convincete, probabilmente era solo una breve pausa.
    Lord Mallister era sparito assieme alle navi lunghe, a quanto capii da voci riportate aveva affermato di aver visto parecchie navi darsi alla fuga e che le avrebbe inseguite.
    L’imbocco del porto di Arbor era ben difeso da un fortino che lo dominava, nessuna nave avrebbe potuto andarsene o entrare incolume. Ma ora davanti al porto non c’era una nave da sola ma una flotta di più di duecento scafi. All’interno del porto notai una decina di navi rimaste ancorate, forse Lord Paxter nella fretta di sfruttare il vantaggio del vento non aveva potuto portarle con se.
    Ordinai a diverse navi di sbarcare lungo la costa e di assemblare alcune delle torri d’assedio per agevolare l’assalto al fortino.
    Nonostante il pantano avesse bloccato o rallentato le nostre torri d’assedio, la disparita di forse in campo era evidente. La strenue e orgogliosa difesa degli uomini di Redwine, il forte cadde con un violento spargimento di sangue prima del calar del sole che ora si vedeva nitido in lontananza nella fascia dell’orizzonte appena sopra le dolci colline a ovest dell’isola.
    Tutta la notte fu necessaria per mettere al riparo la flotta nel porto, iniziare e stilare una conta dei danni, delle navi perse e degli uomini caduti e dispersi. E mentre i capitani stilavano i loro rapporti io mi occupavo dei feriti, cercando di salvarne il maggior numero possibile.
    L’alba arrivò inosservata, con il cielo ancora oscurato dalle nubi e una fitta pioggia caduta durante tutta la notte, mi accorsi che era giorno fatto solo quando un inserviente mi portò la colazione.
    Il capitano Fard si presentò mentre finivo di mangiare una fetta di formaggio dolce.
    < Mio signore, la Furia non ha riportato grossi danni, altrettanto si potrebbe quasi dire del resto della flotta, ma la battaglia è stata impegnativa. > iniziò
    < Quasi? Capitano voglio un resoconto non un’opinione! > sbottai irritato dal poco sonno.
    < cinquanta navi affondate, sette irrimediabilmente compromesse è tanto che siano arrivate a riva dovranno essere demolite e i pezzi ancora utilizzabili saranno usati per riparare le altre navi, abbiamo perso anche duemila uomini, tra morti e dispersi nei flutti. Quasi seimila feriti, anche se la maggior parte di loro è già pronta a combattere. > elencò < però sia nello scontro navale che nel porto siamo riusciti ad abbordare ed ad appropriarci di una dozzina di buone navi. I pochi superstiti avversari sulle navi si sono arresi, ma parliamo di una cinquantina di persone, non di più. > terminò.
    < Bene, poteva andare peggio, ordina agli uomini di prepararsi, se Lord Mallister non sarà di ritorno prima di pranzo, partiremo verso il castello senza lui e i suoi uomini. > lo congedai.

    Il pranzo mi fu servito all’ora stabilita, lo consumai velocemente e decisi che era ora di andare a prendere il dominio ufficiale dell’isola.
    L’esercito era già pronto e aveva montato le ultime torri d’assedio, quelle vecchie usate per il fortino del porto erano divenute inservibili ed erano state bruciate.
    Il castello di Arbor sorgeva su un’alta collina nei pressi della città portuale, non era certo un castello formidabile ed avvezzo agli assedi, ma godeva di un’ottima visuale su tutte le coste e dominava l’isola, permettendo un rapido rifugio da eventuali invasori.
    Ci volle quasi un’ora per arrivare dinnanzi alla fortezza, e trascorsi la maggior parte di quel tempo godendo della vista di quelle morbide colline coltivate in ordinate file di vigneti.
    Il cielo scuro, il vento ancora forte e l’aria umida e densa non rendeva giustizia al panorama che si presentava attorno a noi.
    Anche se la stagione della vendemmia era vicina e i grappoli nei filari erano già belli, si riuscivano a scorgere ancora i segni di qualche passata razzia. Casolari distrutti e ricostruiti di recente, viti e filari abbattuti e rimessi in sesto fuori stagione, i Greyjoy non ci erano andati leggieri quando all’inizio di questa guerra avevano assalito l’isola. Il successivo dominio di quella parte dei mari da parte della flotta Tyrell prima e Redwine dopo, aveva permesso all’isola di vivere in pace.
    E io ero l’artefice di quella che per i suoi abitanti era una guerra insensata tra potenti.

    “poco male, non sono qui per razziare quest’isola e derubarla delle sue ricchezze, ma è giunta l’ora che qualcuno di più assennato la governi” pensai “ è un così bel posto, ideale per rilassarsi lontano dalle preoccupazioni che possono interessare il resto del mondo là fuori”

    < Mio signore le torri e gli uomini sono in posizioni, possiamo dare l’assalto al castello quando lo riterrete più opportuno > mi informò un giovane cavaliere con i tre corvi di Corbry sul petto.
    < Molto bene, prendete quel castello, ma se i suoi occupanti si arrendono cessate le ostilità e non fate loro del male > sospirai < sono stato chiaro? > chiesi
    < Si signore, come comandi. > rispose prima di inchinarsi e dileguarsi e annunciare che si poteva iniziare l’assedio.
    Nel frattempo avevo fatto allestire una zona in ci avrei prestato soccorso ai feriti che già sapevo sarebbero arrivati.
    L’assalto era iniziato già da diversi minuti quando le prime torri riuscirono a raggiungere gli spalti esterni del castello, e il combattimento divenne frenetico per la conquista o la morte.
    Ero concentrato a curare i feriti e non mi accorsi dell’arrivo di Lord Mallister che arrivò a passo deciso verso di me mentre stavo ricucendo uno squarcio alla coscia di un soldato causata dalla punta di una lancia.
    < Vedo che non perdi tempo > disse < sopravvivrà? > chiese poi gettando un occhiata veloce alle condizioni del ferito.
    < credo di si, anche se ha perso molto sangue > risposi mentre finivo la cucitura e ordinavo ad un mio assistente di iniziare a fasciarlo.
    < Senti Arryn, so che ultimamente ti piace ricamare su questi poveracci ma non è meglio se facciamo finire questa battaglia subito e senza subire altre perdite? > mi chiese in tono un po’ sgarbato e con urgenza nella voce.
    < Se avete qualcosa da rimproverarmi ditelo apertamente lord Jason > risposi seccato
    < Vi avevo detto di attaccare il porto seguendo la corrente e il vento, e voi per poco non avete fatto colare a fondo metà della flotta con la vostra manovra. Come vi è venuto in mente di dare la schiena all’intera flotta da guerra di Redwine? > sputò fuori le parole rabbiosamente.
    < Dovevate impegnare la flotta di Redwine in uno scontro frontale! E io sarei arrivato a colpirlo al fianco con le mie navi! Le avremmo mandate a fondo senza nessun rischio! E invece quando arrivo mi trovo di fronte l’intera flotta nemica che vi ha ingaggiato alle spalle! Quando sono arrivato invece che sfondare i loro fianchi con i rostri mi son ritrovato a sfondargli il timone! > continuò veemente < oh si! Certo è stato divertente colpirli alle spalle! ma è la stessa cosa che loro han fatto a voi! Quante navi avete perso senza nemmeno combattere o difendervi? Eh? > mi ruggì in faccia
    < ascoltami attentamente Mallister, il vento ci ha spinto fuori rotta e quando ce ne siamo accorti in mezzo a quella tempesta era già tardi! Redwine ci era già addosso! > risposi irritato < non ero i a governare la flotta ma la furia della tempesta, perciò potrò anche non essere bravo a dirigere una flotta, ma tu che razza di navigatore sei se sei nato coi piedi a mollo e non riesci neanche a prevedere una tempesta simile! > gli rinfacciai
    < Aye! Un po’ di vento e qualche goccia d’acqua! Non vi sarete mica bagnato? > ironizzò
    < resta il fatto che siete finito così fuori rotta per quella brezza che mi avete permesso di assaltare la nave ammiraglia nemica e dargli fuoco.. l’avete vista come bruciava bene? > sorrise infine trionfante.
    < si, l’ho vista > ammisi < Che ne è di lord Redwine? > mi informai
    < l’ho messo dentro una bella botte nella stiva, dove dovrebbe stare del buon vino! > rise di gusto
    Sorrisi all’idea di Lord Rewine dentro ad una botte e al ricordo di quello che alcuni marinai facevano quando erano per mare troppo a lungo senza una donna.
    < Allora come avete intenzione di far finire questo assalto? > gli chiesi
    < oh si! Giusto! Stavo quasi per dimenticarmene! > si riscosse dall’allegria < Lord Arryn fate suonare la ritirata > disse sicuro
    Io lo guardai male pensando che mi volesse far fare un’idiozia.
    < come ben sai anche io non sn rimasto con le mani in mano prima di arrivare qui, ricordi che mi sono allontanato per inseguire le navi fuggiasche dalla battaglia? > iniziò a spiegare < Bé ad un certo punto ne abbiamo avvistata una che si stava allontanando in fretta e furia lungo la cosa per essere meno visibile, era una nave lunga e mi son messo personalmente ad inseguirla, ci sono volute alcune ore per raggiungerla, ma quando l’abbiamo abbordata non crederai a cosa c’ho trovato dentro! > esclamò e si allontanò.
    Quando fu di ritorno poco dopo, non era da solo. Ad accompagnarlo c’erano i figli e i parenti di lord Mace Tyrell.
    < Allora che te ne pare vecchia aquila? > fece un ampio gesto con le braccia < A quanto han detto il lord loro padre è nel castello e son sicuro che sarebbe pronto ad arrendersi subito se minacciamo di impiccarli qui fuori! > sentenziò.
    < Credo tu abbia ragione, ma non è molto onorevole impiccare dei nobili prigionieri solo per stanarne un altro. > commentai, ma fui subito interrotto da urla di gioia.
    La notizia della conquista del castello arrivò subito dopo infatti.
    < Come vedete lord Mallister non c’è bisogno di impiccare nessuno.. > sorrisi < vogliamo andare ora? > lo invitai < e voialtri seguiteci > ordinai al gruppo di persone che si era portato appresso Lord Mallister.

    Un soldato si avvicinò appena varcai l’ingresso del mastio assieme a Mallister.
    < Miei Lord, al secondo piano c’è Lord Mace Tyrell che vi aspetta, si è chiuso dentro assieme ad alcuni suoi fedeli, chiede di parlare con chi comanda, siate prudente, sono armati > mi avvisò
    < bene, andrò io > dichiarai poi mi voltai e mi avvicinai al gruppo di prigionieri che nel frattempo era entrato e si era messo in un angolo della sala. < Tu mia lady, verrai con me > decisi afferrando il sottile polso di Lady Margaery Tyrell. Subito suo fratello Loras scattò per impedirmelo ma le guardie lo fermarono bruscamente. < Tranquilli, vostro padre non ci farà del male, giusto? > e con la ragazza appresso salii le scale e arrivai di fronte alla porta che mi divideva da uno dei grandi lord dei sette regni.
    < Sono Jon Arryn e sono io al comando dell’esercito che vi ha sconfitti in questa battaglia, aprite! > dichiarai risoluto.
    La porta si aprì e apparvero due guardie armate che però si fecero di lato lasciando a me e a Margaery libero accesso alla stanza.
    Lord Mace sedeva pesantemente su una poltrona, una signora anziana che riconobbi come sua madre Olenna sedeva invece su una sedia vicina a una scrivania, quasi una ventina di uomini armati stava accalcata vicino a una parete.
    < Padre ci dispiace! > singhiozzò la ragazza quando vide il volto deluso e preoccupato del padre.
    < Lord Mace, lady Olenna > abbozzai un inchino rivolto verso l’anziana signora < son qui per mettere fine a questa vostra ribellione nei confronti di Re Robert. > dissi
    < Ribellione! Quel maiale schifoso di Robert prima ci abbindola con le sue parole di pace e poi vuole essere pagato per preservarla! > scattò la Regina di Spine < abbiamo rispettato la parola data e avremmo pagato il prezzo che ci aveva imposto ma quel maiale assetato di sangue non si accontentava del nostro oro! E tu lo hai appoggiato quando ha mosso guerra contro il Dorne senza nessun pretesto che non fosse la sua ingordigia e incapacità di governare!> incalzò < Robert non era degno di sedere su quel trono! > decreto con sprezzo
    < Madre! Adesso basta. È finita. > la interruppe Mace
    < è finita perché nessuno è riuscito a batterlo sul campo, non una sola volta, non voi e i Lannister con i vostri soldi, non il pirata con il kraken e neppure il ragazzino con i suoi draghi. > dissi io < vi siete ribellati al suo volere, avete infranto la sua pace anche se non eravate pronti alla guerra e ora ne pagate le conseguenze. Un intero anno a combattere per cosa? > chiesi
    < Lord Mace in un anno hai distrutto tutta la gloriosa eredità che erano riusciti a tramandarti i tuoi avi, davvero una pessima annata. Ora non ti resta più nulla. Il tuo esercito si è dissolto, le tue ricchezze depredate, i lord a te fedeli morti o dispersi in esilio> commentai.
    < Hai giocato al gioco del trono e hai perso. Questo ti costerà la vita, l’unica cosa che ancora ti resta > sentenziai
    < Hai ragione su molte cose Lord Arryn, Robert ha comprato i mercenari con il mio stesso tributo d’oro e loro non hanno esitato a pugnalarmi alle spalle. Ora ho perso tutto, ma mi è rimasto ancora qualcosa che per me vale più della mia stessa vita. > disse lord Mace < I figli non sono responsabili per i peccati commessi dai padri >
    chiese rivolto alla figlia
    Margarey chinò il capo < non lo so padre, ma la nave di Lord Mallister ci ha raggiunto > rispose con voce abbattuta
    < Mallister, quindi c’era lui a guidare la flotta, ecco come avete fatto a piombare qui così all’improvviso> commentò quasi tra se Mace
    Ci fu qualche secondo di silenzio poi lord Mace si alzò dalla poltrona < Lord Arryn, risparmiate i miei figli e io mi consegnerò a voi e accetterò il mio destino qualsiasi esso sia > disse fissandomi negli occhi dopo un fugace sguardo alla figlia.
    < Lord Mace quello che mi chiedete mi mette in una posizione difficile, perché mai dovrei concedere un favore a un nemico, un ribelle che meriterebbe solo di essere giustiziato seduta stante, voi che con le vostre azioni avete fatto sanguinare tutti i sette regni? > chiesi senza distogliere lo sguardo
    < Lord Arryn voi siete un uomo d’onore, o almeno ne avete di più di molti vostri alleati, durante questa guerra avete liberato molti nobili prigionieri, non ve lo chiedo come Lord perché so che non mi considerate più tale, ma come padre, il cui ultimo desiderio è quello di sapere i proprio figli in salvo. >
    Feci alcuni passi nervosi e mi fermai davanti a Lord Mace
    < Re Robert mi ha chiesto di catturarti per offrirti in dono a Bronn > gli dissi fissandolo e prendendo un profondo respiro < Ma non mi ha detto nulla riguardante i tuoi parenti, sono sicuro che Mallister nonostante si sia divertito a dare la caccia alle tue navi non abbia ricevuto ordini diversi.> conclusi
    Le spalle di lord Mace si inclinarono leggermente e lessi sollievo sul suo volto
    < Farò preparare una delle vostre navi nel porto, e con Greyjoy e Salladoor Shaan che controllano il mare stretto, la bandiera tyrell è sicuramente più sicura di una Arryn e gli darò di che vivere per arrivare tranquilli nell’est, da lì potranno prendere la direzione che vorranno, ma non dovranno tornare mai più nei sette regni. Potranno ricostruirsi una vita, anche se non vivranno nel lusso e saranno in esilio, resteranno vivi. I vostri uomini qui li accompagneranno e li proteggeranno. L’unico che verrà con me sarete voi lord Mace > decisi mentre mi stavo ritirando verso l’uscita spingendo Margaery a seguirmi e invitando lady Olenna a fare lo stesso
    < No! > esclamò la vecchia facendomi fermare < sono troppo vecchia per queste cose, non vedrò la decadenza della mia casata sul volto dei miei nipoti, il viaggio è troppo lungo e per me l’esilio non ha senso, resterò accanto a mio figlio > decise irremovibile
    < così sia. > dissi uscendo seguito dagli uomini di Lord Mace che uscirono dalla stanza con un ultimo inchino dei suoi confronti.
    Quando giunsi al piano inferiore Lord Mallister mi stava aspettando e parlottava con alcuni cavalieri.
    < Lord Mallister, Lord Mace e sua Madre vi attendono di sopra, prendeteli in consegna voi e portateli a Lannisport > gli dissi
    < e voi dove andate? > mi chiese
    < Ho degli affari personali da concludere qui, ci vediamo tra qualche settimana se tutto andrà bene>
    Lord Jason mi guardò un po’ stupito poi alzò le spalle e seguito dai suoi uomini si diresse al piano superiore.
    Io invece mi avvicinai ai prigionieri < è ora di andare, prima che torni Lord Mallister, non è qualcuno a cui piace farsi soffiare la preda, avrete modo di ringraziare vostro padre quando sarete lontani da qui, molto lontani!> dissi.

    E così la comitiva si diresse nuovamente verso il porto sotto una leggiera pioggia che nel frattempo era ricominciata e che se fosse proseguita a lungo avrebbe sicuramente rovinato la vendemmia facendo marcire l’uva che poi non avrebbe avuto la possibilità di asciugarsi e finire di maturarsi. Se questo fosse successo tutti avrebbero ricordato quella come una pessima annata per la vendemmia di uno dei vini più famosi e pregiati dei sette regni.

    ____________________________________________________

    Ser Kevan Lannister


    Nella Terza partita: Lord Anders Of Tears,EX-Lord Anders Yronwood EX-Primo Cavaliere dell'Ex-Re Viserys III.
    Nella Quarta partita: Lord Jon Arryn, Primo Cavaliere di Re Robert prima e di suo fratello Re Stannis all'abdicazione di Robert. Signore del Nido e Protettore di tutto L'EST.
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    Albus Lupin
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    00 29/06/2014 21:31
    Il Leone Rosso IV – Winterfell (due mesi dopo)

    "Muooori muori in volo come un uccellin,
    come un uccellin, come un uccellin,
    Muooori muori in volo come un uccellin
    e adesso non voli più!"
    Lo stava vedendo. Le maestose ali verdi spiegate nel tentativo di rimanere in volo e la coda, quasi troncata di netto da ripetuti colpi di spada, che continua a dibattersi con ferocia nel vento.
    "Uuuuna verda scia cade giù dal ciel,
    e poi ti sei trovato spiaccicato contro il suol,
    una scia di sangue cade giù dal ciel,
    e adesso non voli più!"
    Si, proprio lì dovevano condurlo, lì dove si stava trascinando. Maledetti esperimenti.
    "Muooori muori in volo come un uccellin,
    come un uccellin, come un uccellin,
    Voooli e poi ti schianti con il muso in giù
    e adesso non voli più."

    "Non voli più" mormorò girandosi dall'altra parte.
    Erano due mesi che non dormiva in un vero letto, due mesi passati al folle galoppo verso Nord al comando di un battaglione che era andato ingrossandosi ad ogni sosta.
    A Greywater Watch, al comando del giovane Reed, altri duemila uomini dell'Incollatura si erano uniti ai Bravi Camerati. Tutti soldati che avevano fino a quel momento evitato la guerra come la peste, evitando di prendere le armi anche quando il maniero di Lord Howland era stato preso dalle forze Targaryen.
    Qualcosa di strano legava i destini di quella gente a Vargo Hoat.

    L'alba era giunta fin troppo presto, quel giorno, ma il Leone Rosso già vegliava nella torre sopra le cucine. Era stato chiaramente impossibile alloggiare tutti i soldati che aveva con sè ma almeno gli ufficiali dei vari eserciti che componevano quell'avanguardia variegata erano stati invitati a passare la notte all'interno della fortezza.
    Soldati a cavallo di Casa Bolton e Umber, fanteria del Nord, schermagliatori dell'Incollatura, uomini dei Clan delle Montagne e mercenari.
    A una settimana da loro, a metà strada tra il Moat e Winterfell, marciava un'enorme armata di uomini della Tempesta e dell'Altopiano, oltre al resto della Compagnia e delle Armate del Nord, guidate da Vargo Hoat e da Lord Eddard in persona.
    Il Leone Rosso sorrise a quel pensiero. Eddard Stark e Vargo Hoat "costretti" a viaggiare insieme, sulle terre dello stesso Stark che fino a quel momento si era sempre rigorosamente rifiutato di assoldare un mercenario della fama del Capro Nero di Qohor.
    Certo che il cambio di Bandiera di quei quarantamila Guardiani della Notte gli aveva messo abbastanza pepe al culo da far si che perfino l'integerrimo Protettore del Nord scendesse a patti coi Bravi Camerati, sempre tuttavia fregiandosi di un onore tale da impedir loro di fare ciò che loro riusciva meglio, ossia razziare i villaggi e vessare il popolino.
    Il "tener buono il Caprone" aveva in effetti fruttato alla Compagnia la bellezza di quattro milioni di dragoni, ossia abbastanza denaro per far campare tutti gli effettivi per molto tempo oltre i due mesi che erano serviti per farli avvicinare all'obiettivo.
    L'operazione "Caccia all'orso" era stata preparata fin nei minimi dettagli dal punto di vista logistico e nulla era andato storto se non che, come già Vargo Hoat si era aspettato, i vigliacchi traditori si erano imbarcati subito sulle navi di Salladhor, comparendo nel giro di breve tempo a oltre duemila miglia a sud di dove sarebbero dovuti essere.
    Il Leone Rosso aveva sentito con le sue orecchie il perentorio "Shticassci" che Vargo aveva pronunciato davanti ai quasi tutti i Lord Protettori della Coalizione, talmente strascicato e al tempo stesso impavido, da aver fatto uscire dal naso quasi la totalità della birra che il Re aveva ingurgitato nell'ultimo mezzo minuto.
    E avevano proseguito e, sticazzi, se ne erano FOTTUTI.
    Anche perchè il denaro che doveva far andare avanti quella "meravigliosa ribellione necromantica" non giaceva certo nelle tasche di Jeor Mormont ma molto più a nord, oltre la Barriera, dove un milione di poveretti, con un'economia più arretrata di quella dei Clan delle Montagne della Luna, sudava in vari ambienti, le cui condizioni di vita offerte variavano dall'improbabile al mortalissimo, per mantenere in assetto da combattimento e soprattutto nutriti, un numero di soldati più che modesto, in luoghi di cui non solo non conoscevano il nome, ma nemmeno pensavano che potessero esistere.
    Per non parlare degli Estranei! Solo un muro di ghiaccio, pietra e magia alto settecento piedi può convincere un milione di persone che potrebbero tranquillamente armarsi e combattere a rimanere nello stesso ambiente in cui vivevano, o forse "non-vivevano", delle creature apparentemente immortali che trasformavano i morti in macchine di morte semoventi.
    Su tutto questo meditava il Leone Rosso, attendendo che uno dei servi di Lord Stark giungesse a servirlo.
    "Pane" disse poi "e due di quei piccoli pesci che avete qui. E un boccale della vostra birra scura per mandarli giù meglio. E pancetta, ma fatela abbrustolire fino a quando non è bella croccante."
    La colazione è il fottuto pasto più importante della giornata, soprattutto se fatto a Winterfell, visto che sarebbero partiti a breve per il gelato Nord.
    Abbastanza rapidamente per non farsi trovare ancora acquartierati all'arrivo della Tempesta ma abbastanza lentamente da potersi godere le ultime comodità degli Stark, prima di correre come pazzi verso Nord.
    Fortunatamente, il migliore geografo dei Sett Regni viaggiava con loro. In carrozza!
    E oltre a lui, anche il giovane Reed sapeva le cose prima che accadessero.
    Ser Lymond non aveva nemmeno fatto in tempo ad addentare la prima maledetta sardina affumicata che il giovane Jojen era misteriosamente comparso al suo fianco, facendogli venire un colpo secco.
    "Devi smetterla, mi ucciderai".
    Il giovane erede di Graywater Watch aveva sorriso brevemente prima di iniziare a bere, da un bicchiere di ceramica, la sua solita acqua verde.
    "Alghe? Piscio di Elfo?"
    "No, Ser, centerba."
    "Alla tua età? A colazione?"
    "I Guardiani della Notte hanno spedito cento guastatori battenti la mano insanguinata verso Winterfell. Sono partiti da Last Heart la bellezza di cinque giorni fa. Se ci muoviamo entro mezzogiorno riusciremo a beccarli prima che entrino nella Foresta del Lupo."
    "Ci muoviamo, allora" disse il Leone Rosso scostando la panca dal tavolo.
    "Prima mangiamo. Avremo modo di mangiare qualcosa di caldo con un tetto sopra la testa solo quando arriveremo alla Torre delle Ombre. A cinque settimane da oggi."
    "Niente Last Heart?"
    "Non per noi, buon appetito. Vado a dire agli attendenti di portarci dietro delle accette."
    "Non ne abbiamo abbastanza?"
    "Cento accette per cento teste."
    "Cento teste? Non possiamo bruciare tutto?"
    "No, le teste vanno portate alla Barriera. Hanno voluto concludere la loro guardia prima di morire? Bene. Dopo che saranno morti, riprenderà."
    [Modificato da Albus Lupin 15/07/2014 18:49]
    _____________________________________________________________________________________________________________________________
    Nella Settima Partita:


    Lord Alester Florent, Lord di Brightwater Keep.
    Florent
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    Nella sesta partita: Bryen Caron, decaduto lord di Nightsong, che perse una gamba per l'ospitalità di casa Greyjoy

    Nella quinta partita: Orell l'Aquila-sulla-Barriera. Maestro delle Spie di Re Rhaegar I Targaryen, Lord di Bosco del Re

    Nella quarta partita: Lord Vargo della casa Hoat, Lord Protettore del Sud dal suo incredibile seggio di High Garden. Distruttore di Estranei, Difensore della Barriera e Creatore della Strada delle Mani.
    Fedele e leale suddito di Re Stannis Baratheon I.

    Nella terza partita: Lord Davos Seaworth, Alfiere del Trono di Spade, Signore di Arbor.
    Spia e Boia di Re Hoster Tully I.
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    00 10/07/2014 15:00

    Tywin Lannister VII pdv

    - Il risveglio del leone -




    La bruma si ritirava fumosa sopra le onde del mare, come dita di un giovane amante che, lente, accarezzano la pelle setosa di una donna dopo una notte passata assieme avvinghiati in un sensuale abbraccio.
    Il sole appena sorto con la sua luce filtrava timido dalla finestra.
    Nel suo raggio minuscoli pulviscoli danzavano leggiadri guidati dal canto dei fringuelli e delle cinciallegre che accoglievano l’alba felici tra le frode degli aranci e dei limoni che creavano una riposante ombre nel giardino sul retro.
    Tywin si era appena svegliato, la mente era ancora ottenebrata dagli ultimi stralci del sogno, un sogno di gioventù.
    Forse anche per questo indugiò un istante davanti allo specchio completamente nudo prima di dedicarsi all’igiene mattutina.
    Lo specchio che era di grande fattura, lo avevano fatto venire appositamente da Myr, rifletteva la triste verità.
    Lord Tywin osservò il suo corpo, il tempo era passato inclemente lasciando su di esso i segni di una vita, bianche cicatrici raccontavano di una gioventù passata a sui campi di battaglia, dal fianco sinistro proprio sotto l’ultima costola una più spessa delle altre risaliva sino al capezzolo, bianca come una larva, forse un presagio di quelle che tra poco avrebbero banchettato del suo corpo.
    Per quanto cercasse ancora di tenersi in forma, i muscoli avevano perso la loro tonicità, i pettorali penzolavano vuoti, come seni di una vecchia nutrice ormai divorati, anche le spalle un tempo fiere avevano oramai una linea cadente.
    “Il peso del potere” sorrise tra sé e sé amaramente l’uomo.
    La pelle poi aveva da qualche anno cominciato a coprirsi di chiazze scure, prima avevano iniziato a comparire sulla testa, dove i capelli avevano lasciato ormai posto al cranio lucido e ora coprivano anche le braccia e le mani, alcune erano ambrate, altre violacee.
    Erano indubbiamente sgradevoli alla vista, un marchio che sottolineava la sua debolezza, il suo dover sottostare alle leggi del tempo, alle leggi dell’uomo.
    La sua virtù pendeva stanca tra le cosce, sotto un addome che aveva perso tutta la sua prestanza.
    Il lord prese una caraffa d’argento su cui vi era inciso un drago, antica vestigie dei signori che per primi, nel periodo dello splendore di quelle terre, avevano abitato questa casa. Versò l’acqua in un bacile sotto il quale erano state poste delle braci ancora ardenti.
    Vi infilò le mani, l’acqua era gelida, si lavò il viso e si frizionò il petto, poi aggiunse nell’ acqua dei petali di giglio e nell’attesa che il resto dell’acqua si scaldasse andò a riempire il pitale e a scegliere una tunica da indossare quel giorno.
    Il grande armadio di pino sovrastava bianco la parete sud della stanza, era alto sino al soffitto e aveva quattro ante lavorate in intricate spirali scure, non mancavano le rifiniture dorate e i motivi floreali.
    Era un arredo imponente, volutamente eccessivo, che voleva ostentare la ricchezza sia nei materiali scelti, sia nel tempo che sicuramente c’era voluto per costruire un simile mobile. Le tuniche che ora ospitava non occupavano nemmeno un terzo dello spazio.
    Lord Tywin non perse tempo, fece scorrere le mano tra le vesti appese e scelse una casacca di lino bianca, sul petto era stato recentemente ricamato in porpora il simbolo della sua casata.
    In quei giorni il caldo era opprimente e il lord mal sopportava gli abiti pesanti che in breve si attaccavano alla pelle a causa del sudore.
    La posò sul letto e si dedico all’igiene personale detergendo il proprio corpo con un panno inumidito nell’ acqua profumata ormai tiepida del bacile.
    Tolse il tappo di sughero da una piccola ampolla di vetro che era posta accanto al bacile, si verso il liquido denso e ambrato sulle mani e se lo passo su tutto il corpo. L’olio di arancia e mandorla era l’ultimo bastione che si frapponeva al suo decadimento fisico, un intruglio che gli aveva consigliato una signora del posto con la quale si era trattenuto per qualche tempo.
    Attese qualche momento che il suo corpo si asciugasse guardando l’argenteo brillare delle onde del mare in lontananza e abbandonandosi al pensiero delle giornate trascorse a Lannispot.
    Infilò la casacca per la testa, la fermò con una cintura di seta porpora, mise dei sandali di cuoio di cervo aperti sul davanti, semplici, della stessa foggia che usavano i soldati doriani sui campi di battaglia.
    Indossò l’anello con il sigillo reale e lasciò nella scatolina di ebano gli altri gioielli: la spilla con il leone rampante dono di sua figlia e la collana dorata che ebbe in eredità da suo padre.
    Si diresse nella sala da pranzo per la colazione.

    La sala da pranzo era ampia; due camini uno di fronte all’altro la riscaldavano nelle giornate invernali, per quanto il lord si fosse chiesto in più di un occasione se fosse capitata realmente la necessità di doverli accendere.
    Entrambi erano di marmo bianco; fregi di conchiglie, cavallucci marini, pesci, alghe e altre creature acquatiche ne impreziosivano la fattura.
    L’’intera stanza era dedicata al mare.
    Il pavimento era completamente coperto da quattro grandi tappeti che uniti formavano quella che voleva essere la riproduzione di un fondale marino, per quanto il tempo e l’usura non permettessero di riconoscere molte delle figure ricamate. La parete di fondo era costituita da una porta finestra a otto ante che si apriva su un piccolo terrazzo che dava sul mare.
    Sopra il camino di destra vi era un arazzo raffigurante uno scontro tra un drago e un grande cetaceo marino, ma il tempo aveva reso scuri i colori e crepato in più punti la trama, non permettendo di cogliere appieno la bellezza dei dettagli che il pittore aveva con certosina accuratezza tracciato con mano sapiente.
    Sopra al camino di sinistra si vedeva l’ombra scura dove un tempo doveva essere stato appesa un quadro di medie dimensioni.
    Il soffitto era stato completamente ricoperto da piccoli tasselli di porcellana di diverse tonalità di azzurro, bianco e argento; l’effetto del grande mosaico era quello di un terso cielo estivo, al centro del quale era stato posto un grande cerchio di ottone.
    Il cerchio che era concavo, come un grande piatto, era sorretto da 16 catenelle si abbassava dal soffitto di circa un metro, era in realtà un braciere che veniva acceso la sera tardi.
    Colui che aveva realizzato il soffitto doveva essere un genio, infatti grazie al posizionamenti di tessere argentate e di piccoli frammenti di specchio quell’ unica luce, proprio come lastro che rappresentava, era in grado di illuminare l’intero salone a giorno.
    Tywin superò l’arco d’ingresso passando accanto alle statue di due tritoni e si andò a sedere a capotavola.
    Il lungo tavolo era stato ricavato da quello che doveva essere stato un noce centenario. Da un unico blocco di legno era stato sagomato un tavolo intorno al quale potevano sedersi tranquillamente sedici commensali.
    La forma del tavolo ricordava lo scafo si una nave con la prua rivolta verso la vetrata, rivolta verso il mare. Le sedie avevano al foggia di coralli, rosse e contorte erano state foderate di stoffa azzurra. Il sovrano si era fatto portare una sobria sedia di legno da un'altra sala. Era di faggio, aveva due solidi bracciali e la fodera grigia dello schienale doveva essere stata riempita di piume perché il corpo che vi affondava placido veniva avvolto da un caldo sostegno.
    La tavola era stata apparecchiata solo per una persona. Una piccola tovaglia di pizzo color avorio era coordinata con il tovagliolo su cui poggiavano tre forchette, due coltelli ed un cucchiaio.
    Un piatto vuoto d’argento era posto al centro, il bordo era arricchito da un intricato disegno di due draghi sembrava danzassero stretti; con difficoltà si riuscivano a distinguere le spire dell’uno da quelle dell’altro, in quella fusione di corpi.
    Una brocca di vetro colma di sidro ambrato era poco distante, accanto vi era un calice anch’esso di vetro ornato con delle cesellature in argento che riprendevano la solita foggia marina.
    Poco distanti a portata di braccio era poste le pietanze.
    In una bassa ciotola di terracotta rossa, faceva bella mostra di sé una zuppa di fagioli, cipolle e ceci, tanto densa che, Tywin ne era certo, infilzato il cucchiaio sarebbe rimasto dritto come una picca piantata nel terreno. Sopra la superfice, che emanava un acre profumo di terra, erano adagiate due croccanti fette di pancetta appena abbrustolita. Gocce del suo grasso galleggiavano come un arcipelago di piccole isole sopra un mare scuro.
    Una portata di pesce, era costituita da quello che pareva essere un filetto di branzino cucinato come sono soliti fare nelle terre del sud. Il pesce era stato sfilettato e lasciato marinare per una notte in un intingolo di succo di limone, di arancia, prezzemolo e aceto; poi veniva saltato in padella con aglio, pomodorini, olive nere e capperi, quando il pesce era cotto nel fondo di cottura si aggiungeva una punta di salsa di senape e un po’ d’acqua si faceva ridurre e si versava sul pesce.
    Il risultato era un piatto decisamente saporito, ma molto gradevole al palato.
    Un’insalata di finocchio e arancia sbucciata a vivo accompagnava il pesce aggiungendo alla pietanza una nota di freschezza.
    Una grande forma di pane di segale servito a fette larghe almeno un centimetro divideva il piatto di pesce da quello che doveva essere il dolce.
    Un soffice pandispagna alle mandorle tagliato metà e riempito di marmellata di fragole il tutto ricoperto da una glassa di cedro e zenzero.
    Pezzi di mandorla bianca spuntavano dalla torta, la marmellata rossa gli colava sopra facendole assomigliare ad ossa dissepolte ancora ricoperte di sangue che sporgono dal terreno dopo una battaglia.
    La colazione si concludeva con un vassoio di frutta fresca che comprendeva albicocche, ciliegie, fichi, fragole, melagrane, fette di melone bianco, mirtilli e uva di due qualità: una era viola e dolce mentre l’altra era chiara e asprigna che la gente del posto vendemmiava per produrre un vino frizzantino che erano soliti accompagnare ai dolci.
    Non poteva mancare un piatto da portata di ceramica smaltata su cui erano posti dei formaggi e delle noci.
    Il leone di Castel Granito riconobbe del formaggio di capra al quale venivano aggiunti dei grani di peperoncino durante la lavorazione, un formaggio di mucca fresco da cui ancora colava un goccia di siero che, come una lacrima sul viso perlaceo di una vergine al momento della sua prima notte di nozze, la solcava per tutta la sua lunghezza.
    Un ultimo pezzo di formaggio sudava al lato del piatto ben separato dagli altri, era una specialità che la gente dell’Essos adorava, un formaggio molle, che si doveva spalmare su una fetta di pane. Dal gusto piccante era bianco e striato di venature bluastre e verdognole di solito si accompagnava con frutta caramellata o con fichi maturi.
    Quando Tywin, per saziare la propria sete di conoscenze, aveva interrogato il servitore riguardo a questo formaggio lui cercando di parlare in maniera seppur stentorea la lingua del continente occidentale gli aveva risposto che quella era muffa, ma una muffa buona che secondo i loro guaritori faceva bene al corpo umano, che ne regolava l’intestino.
    Non poteva mancare la passione dell’uomo, una piccola scodella con sei uova di quaglia lessate.
    Il lord allungo la mano verso la ciotolina del sale, ne afferrò una presa e la aggiunse alla caraffa del sidro come gli avevano consigliato di fare per combattere i malesseri causati dall’ afa eccezionale di quei giorni.
    Prese poi un uovo di quaglia, passò con calma le dita sulla superficie ruvida, osservò il guscio poroso, le macchie scure ce lo rendevano mimetico tra le sterpaglie che crescevano sul terreno, ancor prima di venire al mondo quell’ animale era stato costretto a trovare un modo per riuscire a vivere, era stato costretto a combattere per la sua sopravvivenza, ma aveva fallito.
    Così pensando impresse più forza nella presa e delle piccole crepe si allargarono dal punto in cui la sua unghia entrava in contatto con la calcarea barriera, prese a sbucciare l’uovo sovrappensiero quando un uomo entro nella stanza.
    “ Sire notizie dai Sette Regni…”
    Re Tywin della Casa Lannister, primo del suo nome, Re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, Lord dei Sette Regni e Protettore del Reame, con incurante distacco intinse l’uovo nel sale e se lo portò alla bocca.
    I denti avidi ebbero facilmente la meglio sulla morbida consistenza dell’ albume dell’ uovo, mentre il tuorlo non del tutto cotto inondò la lingua del suo caratteristico sapore dolciastro... un sapore di vita.




    NEL GIOCO DEL TRONO:
    Lord ROBERT BARATHEON




    CRONOLOGIA PG:
    - Nella seconda partita: Styr un Uomo Libero!!!
    - Nella terza partita: Re Jon Arryn, Signore del Nido dell'Aquila,Protettore della Valle e dell'Est. Primo cavaliere, Protettore delle terre della tempesta e signore di Capo Tempesta,Sangue dei Re delle Montagne.
    - Nella quarta partita: Tywin Lannister, morto nelle sale del dio Abissale, ultimo Re sul Trono di Spade. Distruttore del mondo.
    - Nella quinta partita: Tormund "Orso Bianco" Re Oltre e sopra la Barriera, Gran Maestro Guaritore, uomo libero
    - Nella sesta partita: Quellon Greyjoy Sommo Sacerdote,Lord Mietitore delle isole di Ferro, Principe di Lancia del sole, signore di Castel Granito, protettore del Mare(ex protettorato di Dorne) e dell'Occidente


    CITAZIONI
    "Sono stata Arya di casa Stark, Arya Piededolce, Arya Faccia da cavallo.Sono stata Arry e la Donnola, Squab e Salty, Nan la coppiera, un topo grigio, una pecora, il fantasma di Harrenhal...cat, la gatta...nessuno!"
    "Quando cade la neve e soffiano venti ghiacciati, il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive"
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    skarn87
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    00 14/07/2014 19:01
    Jon Arryn - L’Ultimo Rintocco -

    Le isole scudo erano state quasi una perdita di tempo, i fuggiaschi di Arbor avevano tentato un’ultima disperata resistenza ma erano stati annientati con pochissime perdite tra i miei uomini.

    Dopo questa lunga traversata e la feroce battaglia di Arbor seguita dalla rincorsa dei fuggitivi il viaggio di ritorno verso Lannisport fu particolarmente piacevole. La velocità era modesta ma costante e la flotta seguiva le note rotte costiere, permettendo agli uomini di riposarsi dopo le fatiche affrontate. Se ci fosse stato Lord Mallister a guidare la flotta probabilmente il viaggio sarebbe stato più veloce e breve, ma nessuno di noi aveva più tanta fretta. Ormai i pericoli erano tutti lontani e nelle prossime settimane ci si pregustava un periodo tranquillo. C’era chi parlava già di pace dopo la sconfitta della flotta Tyrell. Oramai i nemici si contavano sulle dita di una mano e i Lannister erano finanziariamente e militarmente sul lastrico.

    All’arrivo a Lannisport congedai tutti gli uomini e concessi loro alcuni giorni di meritato riposo. Al momento non avevo bisogno di loro per continuare la guerra.
    Quando giunsi nella casa che Lord Jason aveva adibito come propria residenza nella città portuale, un lussuoso palazzo a due piani, un servo mi fece accomodare in una stanza che mi era stata gentilmente riservata. Dopo l’abbondante pranzo, mi furono consegnate tutte le missive indirizzate a me arrivate da quando ero partito verso Arbor.
    Separai dal mucchio quelle che più mi interessavano o che potevano contenere notizie importanti e iniziai a leggerle.
    “Lord Stannis non aveva incontrato nessuna resistenza al Moat contrariamente a quanto si era aspettato i guardiani della notte non avevano marciato a tappe forzate per bloccare l’accesso al nord da quel punto strategico. Ora stavano proseguendo verso Grande Inverno senza sapere cosa vi avrebbero trovato. La marcia nel nord per dare la caccia al vecchio orso si stava rivelando lunga e inutile.”
    “Lord Oberyn mi informava che la valle stava rapidamente capitolando e che l’ultima armata fedele a Lord Tywin era stata annientata ma che nel porto di Gulltown era arrivato un esercito immenso di Guardiani della Notte sulle navi del pirata.”
    Dopo aver letto questa lettera cercai subito carta e penna per informare mio cognato Lord Edmure di ritirare il suo esercito dalla Valle, gli uomini Tully non erano minimamente in grado di sopravvivere se avessero incontrato le schiaccianti forze avversarie che erano giunte nella Valle.
    Sfortunatamente la mia lettera servì a poco quando più tardi lessi un rapporto che diceva che le truppe Tully si stavano dirigendo a Runestone per aiutare l’esercito lì riunito per schiacciare i Lannister, rischiando di arrivare solo per trovarsi a dover affrontare la minaccia dei guardiani della notte.

    Nelle settimane che seguirono non mi spostati da Lannisport ma riuscii ugualmente a gestire tutta la brutta situazione che si era venuta a creare nelle terre dei fiumi e nel frattempo coordinandomi con Lord Mallister abbiamo cacciato i Greyjoy dalle loro isole di ferro senza grossi sforzi.
    Ogni giorno cresceva l’ansia per gli uomini bloccati all’interno della valle e ogni giorno attendevo notizie sulla loro sorte. Se i Guardiani della notte seguiti da Jaquen fossero riusciti ad impadronirsi del guado di Lord Harroway’s Town prima che l’esercito Tully riuscisse ad uscire dalla Valle sarebbero stati spacciati. Fortunatamente in quelle settimane i nostri guastatori erano riusciti a rendere il terrendo che andava da Saltpans al guado un inferno di trappole, buche e ostacoli.
    Pochi giorni di attesa e venni a sapere che per fortuna i Guardiani della notte avevano desistito a metà del percorso ed erano tornati indietro cercando un passaggio forse più sicuro seguendo il sentiero che conduceva alla Valle una volta che i loro alleati da sud si fossero impadroniti più facilmente del guado.

    Una volta che il pericolo era passato ripresi il mare quando la flotta Tully giunse nuovamente in città. Io e Lord Jason ci incontrammo poco prima di salpare. “ ho un sorpresa per te e per tutti i nostri cari nemici” mi disse con un sorriso da orecchio a orecchio quando chiesi di cosa si trattava lui mantenne il riservo continuando a dire che lo avrei scoperto quando saremmo arrivati a casa sua anche se gli sfuggì che “Lord Edmure si è ipotecato anche le brache, ma vedessi cosa ha fatto!”
    Nei giorni successivi la navigazione fu piacevole e veloce ma nulla di quello mi potevo immaginare si è avvicinato minimamente allo spettacolo che mi son trovato di fronte quando la nostra flotta è giunta nei pressi di Seagard.
    Il porto era un immenso cantiere e già centinaia di navi nuove erano ancorate nei pressi del porto e a giudicare da quello che potevo vedere altrettante le avrebbero presto raggiunte.
    Quando mi imbarcai verso Arbor credevo di avere al mio comando una flotta imponente e quella di Redwine non era da meno anche se molte delle sue navi avevano gli equipaggi minimali per navigare.
    La flotta che era uscita dalla battaglia di Arbor si fuse con le nuove imbarcazioni e ben presto fu evidente che l’imponente flotta di cui avevo avuto il comando impallidiva contro il mostro di legno che stava prendendo vita in questo porto.
    Vidi sui volti dei miei uomini lo stesso stupore che doveva essere dipinto sul mio.
    Per sbarcare dovetti utilizzare una scialuppa e farmi portare a terra, il porto era un immenso cantiere brulicante di attività, e non c’era spazio per nessuna nave che non fosse in costruzione.
    Quando arrivai sul porto, iniziai ad ispezionare i lavori e ben presto fui raggiunto da Lord Mallister.
    < Allora che te ne pare? > mi chiese con un sorriso beato stampato in faccia
    < Sono stupefatto, come ha fatto Edmure a trovare i fondi necessari per …. Questo? > chiesi dopo un momento di incertezza per definire quello che i miei occhi vedevano ma che ancora la mia vecchia mente non riusciva a concepire.
    < Lord Tully ha chiesto un importante prestito alla Banca di Ferro di Bravoos e ha usato tutti i contadini che si sono arruolati volontariamente di recente come manodopera al servizio di ogni singolo carpentiere o falegname che sia stato trovato in tutte le terre dei fiumi e nell’ovest.>
    < è davvero impressionante.. ma quante sono? > chiesi
    < Ah questa è una buona domanda mio signore! Gli ordini di Lord Tully sono quelli di continuare a costruire fino a quando non avremmo finito tutte le scorte di legname e non avremo finito di disboscare la costa e tutto il tratto da qui fino alle Torri Gemelle. > e così dicendo tirò fuori una pergamena e la consultò rapidamente. < Secondo questa lista al momento sono state varate settecentoventinove navi, tutte dotate di equipaggiamento, equipaggio ehh.. bhè.. marinai esperti che sono stati promossi a capitani > concluse a mo di scusa, come cercando di farmi capire che era impossibile e impensabile trovare un simile numero di capitani da arruolare.
    < davvero incredibile, ma non mi piace avere dei pivelli a guidare delle navi. Sai meglio di me che una flotta simile ha bisogno di una certa formazione per muoversi, non è che ognuno può fare quello che gli pare.. altrimenti saranno più i danni che faranno tra di loro che quelli che faranno a un nemico più preparato. > commentai
    < è vero, ma in città continuano a giungere uomini e risorse, io stesso non riesco più a riconoscere la mia città. > fece una pausa < già adesso per trovare i capitani di quelle navi abbiamo dovuto faticare non poco, e sono sicuro che entro la prossima settimana, questo cantiere ne vomiterà almeno altre cinquecento, non ho la più pallida idea di cosa fare per rendere questa flotta migliore di così > ammise mentre una piccola folla di capimastri e capitani si stava affollando attorno a noi tenuti a distanza dalle guardie per chiedere come risolvere i mille e più problemi che si presentavano costantemente.
    Non invidiavo per nulla la posizione di Lord Jason, che in qualità di comandante della flotta aveva tutti gli oneri di fare al meglio quello che il suo signore voleva.
    Mi congedai da Lord Mallister in modo che potesse sbrigare le sue faccende e mi diressi al suo castello.

    Lord Jason comparve solo in tarda serata per cenare, ma io lo aspettavo mentre leggevo i documenti redatti dai suoi aiutanti, la quantità di materiali e di vettovaglie che giungeva in città sembrava un fiume infinito eppure sembrava non bastare mai al mostro che stava prendendo forma.
    Quando finalmente Lord Mallister mi raggiunse con una coppa piena di vino, si sedette vicino a me e sospirò stancamente.
    < Sono sfinito, quegli idioti non riuscirebbero a costruire nemmeno una zattera.. figuriamoci una flotta in grado di competere con quella del pirata.> sospirò nuovamente prima di ingollare un buona quantità di vino.
    < Quello che state facendo qui è ammirevole Lord Mallister, ma non è abbastanza > dissi mentre un’occhiata omicida mi inchiodò sul posto
    < Se penste di poter far meglio di così mio Lord sono contento di potervi lasciare gestire tutta la faccenda! > rispose piccato
    < Meglio di quanto state già facendo? No, non credo proprio che riuscirei neppure a competere con voi. Il vostro lavoro è eccezionale, ma so che vi manca qualcosa.. o sbaglio? > risposi
    Lord Jason mi guardò incuriosito ma senza rispondermi e io continuai
    < Avete detto che molti dei nuovi capitani sono ancora inesperti > presi una pausa bevendo un po’ di vino < so che sembra passata una vita da allora, ma vi ricordate quanto tutta questa assurda guerra è iniziata poco più di un anno fa? > gli chiesi
    < Si mi ricordo, ci siamo incontrati a Padelle Salate e anche allora la situazione era molto simile, lord Tully stava costruendo una flotta per il controllo del mare stretto e voi e io ci siamo divisi i compiti prima di riunirci ai Baratheon più a sud. > mi confermò
    < Anche allora i capitani erano inesperti e la flotta era notevole, nonostante molte navi siano andate perdute in scontri e tempeste, molte sono sopravvissute fino ad oggi ed è davvero notevole. Io credo che in questo ultimo anno i capitani delle navi rimaste abbiano imparato anche più di quanto credano > continuai < abbiamo iniziato con semplici esercitazioni e poi ci siamo buttati subito in guerra contro i Martell.. questa volta abbiamo più tempo a disposizione e abbiamo imparato la lezione >
    < Cosa suggerite? > mi chiese lord Jason
    < Prendiamo tutti i vecchi capitani e assegniamo ad ognuno tre o quattro dei nuovi capitani, anche di quelli che lo diventeranno una volta concluse le navi, e facciamogli addestrare i nuovi capitani.
    Formazioni, manovre, ingaggi e tutto quello che può essere insegnato da chi ne ha viste già di tutti i colori. Questo fino a quando la nuova flotta non sarà completata, a quel punto prendiamo tutti assieme il mare e divertiamoci un po’ a vedere cos’hanno imparato.. cosa ne dici? > chiesi infine
    Lord Jason mi guardava pensieroso e dopo un po’ mettendosi più comodo sulla sedia afferma
    < Lo sapete Lord Arryn? Mi sembra davvero un’ottima idea.. in questo modo posso sbarazzarmi di tutti quegli inutili perdigiorno che mi scorazzano tra i piedi con le loro lamentele e le inutili richieste.. > mi sorride.
    gli sorrido di rimando < ho avuto un po’ di tempo e ho stilato una lista dei veterani e dei nuovi capitani che abbisognano di questo trattamento, se volete informarli che..>
    < Eh no mio caro! > mi interrompe bruscamente < L’idea è stata tua! Assumi il tuo ruolo e le tue responsabilità ora che sei qui, io sono stanco, mi aspetto di avere tutti quelli uomini e le loro navi pronte a salpare domani con la marea del pomeriggio. Buona notte mio Lord > e così dicendo si alza congedandosi.

    La settimana successiva fu una lunga e ininterrotta serie di ordini e di manovre che portarono la nuova flotta fino al porto di Lannisport. I nuovi capitani cercavano di fare del loro meglio ma l’inesperienza era evidente e alla fine decidemmo che ad ogni veterano fosse affidata la guida delle navi dei novellini. In questo modo ogni piccolo gruppo di navi aveva un punto di riferimento e potesse ricevere ordini sensati da eseguire nel mezzo di una flotta così immensa.
    L’arrivo al porto di Lannisport fu meno piacevole del previsto quando ci giunse la notizia che l’intera flotta di navi lunghe nemica si era diretta all’assalto di vecchia città che era stata depredata.
    Mallister era convinto che nessuno poteva far navigare così velocemente quella flotta se non il vecchio Craken. E il pensiero che Balon guidasse quella flotta immensa ci fece trascorrere diverse giornate per decidere come organizzarci. Se la nostra flotta si fosse trovata ad affrontare quella nemica in mare aperto sarebbe stato un disastro inammissibile, le loro forze erano soverchianti e noi non eravamo pronti. Dopo infinite discussioni decidemmo di ritirarci nuovamente a Seagard. La fortezza era l’unico luogo che ritenevamo abbastanza sicuro. Balon per quanto abile non avrebbe attaccato. Eravamo certi che la sua presenza a vecchia città fosse solo un deterrente per impedire alla nuova flotta di spostarsi dai mari dell’ovest.
    Per sicurezza prima di salpare nuovmante verso Seagard inviai dispacci in tutte le terre dei fiumi chiedendo a tutti di radunarsi presto il castello di Lord Mallister, avevamo bisogno di uomini per armare la flotta che avrebbe dovuto sostenere un improbabile ma possibile scontro con la flotta nemica.

    Al nostro arrivo a Seagard trovammo la nuova flotta al completo sistemata ordinatamente vicino al porto. La fortezza si era riempita anche di numerosi soldati oltre che dei marinai necessari per muovere l’imponente flotta. Uomini Arryn, Tully e Mallister erano la maggioranza ma non mancavano uomini di Stark e Baratheon. Tutti erano impegnati nelle loro attività. Con L’arrivo della flotta quegli uomini si riunirono lentamente ma ordinatamente sul porto dove aspettavano il loro turno di imabarcarsi.
    Ci vollero due giorni per permettere a tutti di salire sulla flotta, per armare e rifornire le navi. Le operazioni erano lente ma costanti. Lord Mallister era vicino ad una crisi di nervi quando lo incontrai nella sala grande del castello assediato da decine di uomini che gli sottoponeva vano infinite questioni e diatribe.
    Il vociare nella sala era alto fastidioso, una cacofonia di voci che cercavano di sovrastare le altre e di ottenere anche se per poco l’attenzione del povero Jason. Mi stavo avvicinando a lui con le miei guardie che mi aprivano la strada attraverso quella massa di corpi, intravidi nella sala il vecchio Lord Frey assieme a Lady Whent, c’era anche Ser Bryden che stava impartendo ordini agli uomni della trota sotto al sua responsabilità quando..
    DOOOMMM…
    un Boato fece tremare tutto. Il silenzio calò immediatamente e come d’incanto. Nessuno voleva credere a quello che aveva udito.
    DOOOMMM…
    Un secondo boato e le espressioni di confusione si tramutarono in angoscia e paura.
    Mi ero avvicinato abbastanza a Lord Mallister per sentirlo imprecare < Maledizione! Non è possibile! Non può essere arrivato fin qui! Dovrebbe aver navigato giorno e notte con i venti a favore! Presto tutti ai propri posti! Voglio sapere cosa sta succedendo! Subito!! > gridò.
    DOOOMMM…
    Un terzo boato ruppe definitivamente gli indugi e quasi tutti gli uomini riuniti nella sala fuggirono verso i loro compiti
    Lord Jason mi passò accanto risoluto e senza voltarsi mi ordinò < Lord Arryn con me sulla torre! >
    Feci i gradini che mi separavano dalla cima della torre con il cuore in gola cercando di non farmi distanziare dalle falcate di Mallister che balzava letteralmente diversi gradini alla volta travolgendo chiunque trovasse sul suo persorso.
    Quando arrivai in cime lord Jason stava già gridando ordini a tutti quelli in grado di sentirlo dal cortile della fortezza.
    La flotta nemica era di una bellezza mostruosa più di mille scafi con le vele colorate e tante altre nere, quasi non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, stava avanzando dritta contro il porto ad una veloce sorprendente e aveva già distrutto le navi di sentinella che erano state lasciate come sicurezza ad una certa distanza dal porto. La torre della campana continuava a suonare il suo lugubre richiamo sovrastando qualsiasi altro rumore.
    Anche se lentamente la nostra flotta stava iniziando a reagire e a muoversi ma sembrava di vederla arrancare dentro della melassa mentre le navi nemiche procedevano veloci come il vento.
    Quando ormai la flotta nemica era giunta abbastanza vicina da ingaggiare, la nostra aveva assunto una formazione abbastanza stabile e stava avanzando rostro contro rostro contro le veloci navi lunghe. Ser Davos stava guidando quella disperata manovra dal mezzo della flotta.
    Fu l’inizio dell’ennesimo massacro.
    Le navi lunghe si aprirono a semicerchio avvolgendo i fianchi della nostra flotta. Quando iniziò lo scambio di freccie e dardi fu subito evidente che nonostante tutti gli equipaggiamenti le nostre navi non erano pronte a sostenere un simile assalto. tantissime navi furono distrutte e incendiate intralciando la navigazione delle altre che pure subivano l’assalto. Nonostante questo il numero di navi nemiche era talmente alto che non cera abbastanza spazio di manovra per tutte quelle navi nel golfo del porto. Questo in un qualche modo impedì alle agili navi nemiche di sottrarsi per intero allo scontro diretto contro le nostre navi. Ma nonostante lo scontro si fosse fatto serrato era evidente che la nostra flotta era in netta difficoltà. Non restai a guardare oltre.
    Iniziai a ridiscendere la scale con la voce di Mallister che continuava a sentirsi mentre impartiva ordini.
    Arrivato nella sala grande diedi ordine a tutti i presenti di sistemare la sala come meglio si poteva per iniziare ad accogliere le centinaia di feriti che sapevo avrebbero iniziato ad arrivare da un momento all’altro. Lord Frey era ancora lì assieme ad alcuni dei suoi nipoti che non facevano assolutamente nulla se non intralciare i lavori della servitù.
    Mi avvicinai a lui spazientito per il suo atteggiamento
    < Lord Frey capisco che la vostra età non vi permetta di scendere in campo assieme ai vostri uomini per alzarne il morale e sostenerli in questo momento difficile ma qui siete solo d’impiccio e se non avete intenzione di rendervi utile con al vostra lunga esperienza in ferite da guerra vi devo chiedervi di ritirarvi nelle vostre stanze >
    < Fhe! Se non gradite la mia presenza sono sicuro che riuscirete a svolgere da solo tutto il lavoro che sta per arrivare. > rispose seccato
    < Lord frey la vostra esperienza mi sarebbe di grande aiuto per salvare numerose vite, perciò tutto quello che vi chiedo è di sistemarvi in modo da non essere di intralcio per nessuno > cercai di fargli capire.
    < Fhe! E allora mi sposto!> con un cenno si fece sollevare e portare in un altro angolo della sala da dove poteva comunque osservare il via vai senza essere comunque di nessuna utilità.
    Quando numerosi giacigli erano stati preparati e buona parte della sala era diventato un piccolo campo di pronto soccorso iniziarono ad arrivare i primi feriti.
    Soprattutto punte di freccia e quadrelli di balestre che superavano spesso le cotte di maglia e le altre protezioni ma ben presto arrivarono anche altri tipi di feriti.
    E così ebbe inizio la mia lunga veglia accompagnata ogni tanto dal boato della campana che continuava a suonare il pericolo.

    Non ho memoria di quanto tempo sono rimasto in quella sala curando, cucendo, tagliando, steccando, bendando ed estraendo dardi dai corpi degli uomini che continuavano ad arrivare incessantemente nella sala. I giorni si susseguivano tutti uguali cercando di strappare dalle mani dello Sconosciuto più vite possibili.
    Ad un certo punto mi accorsi che mi mancava qualcosa, ma non capivo cosa.
    Mi guardai attorno confuso cercando di ricordare cosa fosse, ma non vedevo altro che feriti e sangue. Allora chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi, ma nemmeno questo servì. Passarono alcuni minuti e la sensazione diveniva sempre più intensa.
    Dopo un po’ si aprì una porta ed entrò ser Bryden con la testa fasciata da una vistosa benda macchiata di sangue “ l’avevo curato io? Non mi ricordo!” in volto aveva un sorriso raggiante
    < Si ritirano! Abbiamo vinto!! > annunciò a gran voce.
    ____________________________________________________

    Ser Kevan Lannister


    Nella Terza partita: Lord Anders Of Tears,EX-Lord Anders Yronwood EX-Primo Cavaliere dell'Ex-Re Viserys III.
    Nella Quarta partita: Lord Jon Arryn, Primo Cavaliere di Re Robert prima e di suo fratello Re Stannis all'abdicazione di Robert. Signore del Nido e Protettore di tutto L'EST.
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    00 16/09/2014 14:27
    Varamyr - X - Buio bianco

    Quel dardo di balestra che si era conficcato nel petto del “metamorfo rinnegato” portandolo lentamente alla morte per affogamento nel suo stesso sangue, aveva annunciato a tutti la fine imminente della guerra. L’ultima parola che disse, in un rigurgito di denso fluido rosso-marrone girando gli occhi all’indietro facendoli diventare completamente bianchi, fu proprio: “Spettro”.
    Con la morte di Jon Snow era chiaro che il Metalupo non sarebbe andato avanti a lungo a camminare su questa terra.
    Furia e brama di sangue accecavano la bianca fiera silenziosa che, dimentica di ogni cosa se non il proprio furore, si scagliava in mezzo ai nemici. Il candido pelo si tingeva piano piano di rosso, come la neve che si sporca di sangue sotto un corpo dilaniato: una scena che Varamyr aveva visto e vissuto infinite volte.
    E allora perché mi sento così? Dovrebbe essere soltanto una stanca scena rivista…
    Il metamorfo aveva ormai stretto un legame più che profondo con quel Lupo. Era ovviamente geloso e irato per il rapporto unico che aveva il bastardo di Grande Inverno con quella fiera fantastica perché, a sua detta, non sapeva valorizzare il suo dono. Era anche vero che quella creatura gli dava nostalgia e, allo stesso tempo, forza in un modo molto simile al Suo vecchio Branco disperso chissà dove nelle terre dell’inverno.
    Trafitto da innumerevoli dardi in un modo simile a Jon, alla fine anche Spettro spirò ululando sangue, morendo insieme al suo padrone finalmente in un unico corpo. Era la fine della vita del Bianco Metalupo e anche della seconda vita di Jon Snow, il bastardo di Grande Inverno, confratetllo dei Guardiani della Notte, il metamorfo rinnegato, qualcosa di molto simile a un fratello per Varamyr Sei Pelli anche se nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso né compreso.
    Il dolore per la morte di quell’animale fu così forte per Varamyr che gli sembrava di averla vissuta sotto la pelle della bestia.
    È finita… Penso che non potrò vivere la mia seconda vita in una creatura leggendaria… Se solo quel pazzo di un Greyjoy facesse arrivare un Kraken, allora si che avrei dove stare per il resto della storia!
    Ma non arrivò nessuna piovra gigante, né il Dio abissale uscì dalle proprie liquide sale in fondo al mare.

    La battaglia imperversava ma, senza Spettro, Varamyr si sentiva già sconfitto. Quando anche la corda del suo arco lungo si spezzò, capì che gli Dei gli avevano dato l’ultimo avvertimento e si allontanò per andare a liberare gli ultimi animali che ancora erano sulle navi: i corvi. Dopo il massacro alla Cittadella effettuato con lo strano tacito consenso del Gran Maestro Pycelle, il metamorfo aveva riempito la voliera dei pirati con alcuni dei più forti corvi bianchi dei maestri prima di far sterminare anche quelli restanti. Più per scherzo che per altre strane ragioni, Varamyr aveva deciso che anche lui, come il Lord Comandante e Salla, dovesse avere un compagno alato e scelse il più intelligente di quei corvi come proprio. Non era certo come avere un lupo, ma meglio di non avere niente. Stabilirono un buon legame e, grazie anche al corvo del Vecchio Orso, riuscì a insegnarli a dire qualche parola.
    All’improvviso, un macigno scagliato con una catapulta si schiantò a pochi metri da dove si trovava qualche istante prima Varamyr e sollevò un turbine di schegge di pietra e legno che partirono in ogni direzione.
    Riuscì in qualche modo a raggiungere la nave con la voliera nonostante fosse ferito e una grossa scheggia di legno gli attraversava completamente il corpo a pochi centimetri dalla testa dell’omero. Scrisse, con difficoltà e nel modo un po’ grezzo che Haggon gli aveva insegnato da ragazzo nel periodo dei commerci con i Corvi Neri del Forte Orientale, una lettera che arrotolò e assicurò alla zampa del suo corvo: Skeye.
    In quel momento entrò, con una coscia che gocciolava sangue sui suoi stivali, Alina la Rossa. “Un'altra beffa degli Dei?” disse debolmente il metamorfo morto nella sua testa.
    -Fermo! Zitto! Aspetta! Cosa fai qui?!- la lingua della bella capitana si muoveva veloce, ma non tanto quanto il suo cervello che le aveva già fatto afferrare pergamena e inchiostro e già cominciava a far muovere la sua mano in eleganti volute.
    -La guerra è finita, Alina.- disse con una calma glaciale Varamyr.
    -Lo so meglio di te, stupido!- lo rimbeccò la donna -Cosa credi che stia scrivendo? E soprattutto a chi?!-
    -Affida a me quella pergamena.- rispose il metamorfo senza badare all’agitazione e all’ira del capitano.
    -Pensi di nuotare fino ad Arbor?!- sbottò la Rossa stampando un sonoro manrovescio sulla faccia dell’uomo che aveva di fronte.
    -Penso di volare e se ti calmi un attimo, non diventerai tu la stupida qui dentro- disse Varamyr incollando i suoi occhi in quelli di lei.
    -Cazzo!- Alina era fuori di se e cercò di sfogarsi con un altro schiaffo che, questa volta, il metamorfo riuscì a bloccare a mezz’aria. -Cazzo!- ripetè -Va bene.-
    Quando ebbe finito di scrivere la sua missiva, la donna si alzò di scatto e la diede in mano al metamorfo senza mollare la presa.
    -Varamyr, non c'è bisogno che dica che è importante: è importante!- disse guardandolo negli occhi e, una volta che lui ebbe annuito, Alina sorrise in un sorriso storto che sciolse e ingolfò il cervello di Varamyr catapultandolo in un altro luogo e in un altro tempo; poi lei gli diede un bacio sulle labbra. -Non è per te! Io torno alla battaglia, morirò combattendo come ho vissuto- aggiunse -Addio!- e così dicendo scomparve lasciando la porta aperta.

    Dopo istanti che parvero secolari, il metamorfo si ridestò dal suo viaggio oltre le terre e i mari. Assicurò la missiva all’altra zampa del corvo bianco e lo scrutò minuziosamente pensando che quello sarebbe stato il suo aspetto per il resto della sua vita.
    Poi fu buio bianco.
    Si trovò a volare verso sud, insieme ad altri corvi bianchi, in direzione dell’ultima missione di quella guerra prima di poter andare a consegnare la missiva più importante di tutta la sua squallida vita.



    Varamyr

    --------------------------

    Nella sesta partita, Ryen -Master-

    Nella quinta partita, Lord Rickard Stark -Protettore del Nord e della Tempesta-

    Nella quarta partita, Varamyr Seipelli - "Vivrò per sempre nello spirito della Foresta"

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    Vipera Rossa di Dorne
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    Veterano di Guerra
    00 27/10/2014 19:20
    STYR - L'ULTIMA CHIAMATA

    Una possente risata squarciò il silenzio notturno del castello nero, proveniva da una delle celle più remote e segrete che erano state costruite nel quartier generale dei guardiani della notte.
    Styr, il maknar dei Thenn si era svegliato nel cuore della notte e rideva, rideva come un matto legato alle pesante catene che gli avvolgevano i polsi.
    Varamyr aveva parlato davanti il tribunale ed il Lord comandante aveva ucciso senza nessun avviso. Uomini senza onore, uomini del sud; cosa ne sanno loro della foresta stregata, cosa ne sanno delle terre dell’eterno inverno. Cosa ne sanno del promontorio, con quale diritto voleva essere nominato Maknar dei Thenn.
    La notte lasciò il posto al giorno, il giorno lasciò il posto al la notte; i lunghi giorni passavano nella solitudine e nella penombra.
    “Guardia…voglio parlare con i miei compagni” La voce possente riecheggiò nell’aria.
    “Barbaro, non devi chiedere a me, il lord comandante deve decidere” la guardia rispose con asprezza e disgusto nei confronti del signore del nord.
    “ Portami sei thenn e avrai l’amicizia dei thenn, e se un giorno avrai l’ardire di venire tanto a nord da arrivare al promontorio sarai accolto dignitosamente.”
    La guardia ci pensò, i giorni scorrevano e il cambio della guardia fece il suo cambio un numero di volte che il Maknar non contò.
    La porta della cella si apri di schianto, e l’attendente del Lord comandante entrò; “Barbaro, ho sentito che vuoi parlare con i tuoi sottoposti? Dimmi è vero?”
    “Io sono Styr, il Maknar dei Thenn, e tu mi parlerai con più rispetto, la mia stirpe è vecchia di diecimila e più anni. Tu sei solo un piccolo uomo vestito da soldato. E si voglio parlare con i miei uomini”
    Il barbaro che è in me disprezza i corvi, e tutti gli uomini che stanno a sud della barriera, il guerriero che è in me rispetta i loro comandanti, uomini che non hanno paura di battersi. Il barbaro che è in me mi dice che non ci si può fidare di quegli uomini. Battersi è una cosa, ma la parola la via del promontorio è un’altra.
    La notte cedette il passo al giorno e il giorno alla notte, nessuno arrivò.
    Entrarono prima dell’alba, tre Thenn, uno era uno dei suoi marescialli di guerra, gli altri due li ricordava comunque. Prima della battaglia con gli estranei al Passo di Skirling aveva scommesso con loro davanti ad un fuoco.
    “ Dieci minuti” disse una voce nel buio, “non uno di più.”
    Sapevo che ero ascoltato, che qualcuno era in ascolto, menzogne, bugie, inganni e sussurri erano le arti migliori di quegli uomini del sud.
    La lingua dei thenn non era come quella degli altri uomini liberi, era più antica, più misteriosa e più gutturale,; una lingua che i corvi non conoscevano.
    (off-game scrivo in inglese per dare più enfasi)
    “I have already speak with the Lord Commander of those crows; he said that he want be the new Maknar. He told me that five thenn have to stay here to learn the common tough. Tell to all warriors that they can choose between to live without me or to die with me. I’ll die at the end of this mouth. Every man who wants to come back to Thenn can do it. But there’s only one thing that I command: you have to follow the orders of the lord crow till the day when the five warriors came back home. After that day you will be free again.”
    “I have no fear of the death but I have a boy to grow up and a wife to protect.”
    “I’ll die with you Maknar”
    “I’ll die with you Styr”
    “Those are beautiful words my brothers, but you have to say to the others that if all of you’ll chose death Thenn will ‘came a crows stronghold, and this is the worst thing that could happen to our home. Some one, at least half of you have to come back home, not for fear but for honor, for freedom. Some one have to grow up kids, some one have to teach them the way of thenn, the way of war; Those are my last words: you have to learn all things that you can from this crows but you don’t have to trust them, they are already your enemies. In the end you don’t have to teach the secrets of thenn”
    La segretezza del discorso era di vitale importanza, sapevo che nessun thenn mi avrebbe mai tradito, io sono il loro Dio e nessuno può tradire un Dio.
    Gli ordini erano stati dati e il giorno della mia morte erano arrivati; prima mi portarono la mia armatura, mi tolsero le catene, mi diedero tutto il necessario per lucidarla.
    Le placche di bronzo erano fredde al tatto, a ricordarmi il freddo che cammina nella notte, i lacci grattavano la pelle, dirmi che la via della guerra è la via dell’onore ma è una vita difficile e dura, la pelliccia che foderava la corazza mmi ricordava che dopo ogni guerra il caldo fuoco del promontorio era li ad aspettarmi.
    Quell’armatura non era solo metallo e pelli, è la mia vita.
    Passai tutto il giorno a lucidarla, ogni placca avrebbe luccicato sotto il sole del mattino.
    La spada mi era stata tolta, era il miglior acciaio a nord della barriera, vecchia quanto la mia stirpe, ma l’osso dell’elsa aveva visto giorni migliori, il cuoio era lacero e marcio, solo la lama è in buono stato. Che se la tenga quel corvo bambino. Io sono Styr il barbaro tra i barbari, io sono il Maknar.
    Lo presero prima dalla cella quando il sole nasceva ad oriente del castello nero, l’armatura era pronta, lui era pronto.
    L’aria pervase i miei polmoni, l’aria fredda del mattino, mai sensazione più forte provai in vita mia; il cielo terso, aliti di vento soffiavano freddi da est, allineati erano i thenn che sarebbero morti con me, pronti a partire quelli che avrebbero lasciato il castello nero per tornare al promontorio.
    Il silenzio regnava sovrano, solo il gracchiare di un corvo spezzava quell’atmosfera.
    Qualcosa attirò la mia attenzione, lo sentii prima che succedesse, lo sentii nell’aria, non so cosa fosse ma lo sentii, poi un boato si levò dai miei fratelli.
    “MAKNAR, MAKNAR, MAKNAR” coloro che restavano
    “MAKNAR, MAKNAR, MAKNAR” coloro che partivano
    “MAKNAR, MAKNAR, MAKNAR” uniti per il Maknar
    Coloro che tornavano omaggiava chi sarebbe restato, chi rimaneva omaggiava chi sarebbe partito, e tutti mi omaggiavano.
    Le due colonne si misero in marcia, il silenzio permeava in tutto il castello, la barriera ed il tunnel.
    Uscii dal tunnel, casa, ero a casa, il nord mi stava chiamando, ed io stavo rispondendo. Un legame vitale, io vivo nel promontorio, il promontorio vive.
    La colonna dei morti si fermò, quella dei vivi continuò. Quando sparirono nella foresta mi girai, e con voce tuonante chiamai a me i thenn.
    Essi arrivarono, mi girai verso nord e caddi in ginocchio, e loro con me.
    Altrettanti corvi svettavano alle nostre spalle, tutti pronti a calare le lame.
    “THENN, we have blood of the first man, we are son of the north, we are Thenn, they can kill us but they cant bring our freedom”
    La lingua gutturale del promontorio risuonò ai piedi della barriera, risuonò a casa.
    Il Lord comandante arrivò alle mie spalle, con la mia spada, veniva ad uccidermi.
    Di le tue ultime parole Maknar, affiche il tuo sangue si unisca al mio e possa succederti al trono del promontorio.
    “Che questa morte unisca due stirpi, unisca due popoli, unisca due fratellanze”
    Le spade calarono sui Thenn alle loro spalle. Il rosso del sangue era più vivido nel pallido candore della neve.
    “You can kill me Baby Lord Crow, but you’ll never be a Maknar.”
    “My thenn will newer follow you Baby Lord Crow, and now kill me”
    ”Puoi uccidermi Piccolo Lord Corvo, ma non sarai Maknar”
    “I miei Thenn non ti seguiranno mai Piccolo Lord Corvo, ora uccidimi”
    Sono l’ultimo, che ora cali l’oscurità su di me.
    Fu un attimo, ma vidi la mia vita scorrermi davanti, tutto quello che potevo ricordarmi lo ricordai; battaglie, amori, uomini, donne, vivi e morti.
    Ultimo dei miei pensieri volò ancora una volta al promontorio, a quella capanna di legno, fango e fronde verdi, quella capanna che per anni chiamai casa, che molte volte lasciai ea cui molte volte tornai, ma non questa. Ora gli altri Maknar mi stavano chiamando, la foresta mi chiamava.
    Fu un attimo, meno di un battito di ciglia, e questi pensieri svanirono, la lama calò ed il buio mi avvolse.





    BRYNDE TULLY - THE BLACK FISH
    Protettore della marca meridionale, castellano di Delta delle Acque










    NEL GIOCO DEL TRONO:
    Ex Victarion Greyjoy comandante della flotta di ferro, Lord di Tharth, ammiraglio della flotta del Nord
    Styr, Maknar dei Thenn, Signore di Promontorio dei Thenn, un uomo nato libero, morto con dignità e ora governa il promontorio dall'alto del cielo azzurro
    Lord Myles Toyne, erede di Acreacciaio Lord Comandante della Compagnia Dorata
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    robb 92
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    Condottiero di Eserciti
    00 06/11/2014 19:05
    Ultimo pdv Harlaw ( mi sa il quinto).

    Forte Orientale,  alcuni decenni dopo l'incoronazione di Re Stannis Baratheon.


    C'era una lunga banchina di terreno sassoso a ridosso del lato Est del Forte Orientale , ove nelle vicinanze si trovava una costruzione abbastanza nuova , la biblioteca del maniero costruita da appena qualche decennio, un edificio curioso che a dire il vero  poteva facilmente passare per un'enorme torre di vedetta  , eppure  custodiva una rara e preziosa collezione di libri e pergamene.

    A tali preziosi manufatti un manipolo di uomini ,interamente vestiti di nero,  dedicavano le loro energie trasportandoli con gran fatica sino ad una grossa nave da carico ; a sovrintendere tali operazioni vi era un vecchio ,  ricoperto da varie sciarpe e mantelli di lana sbiaditi che osservava tristemente la scena da un comodo scranno di legno ,ai cui fianchi ardevano fumosi un paio di bracieri.
    Egli non era altri che Rodrik Harlaw il Lettore , un tempo  ribelle ( come quasi tutti i corvi piu anziani ) esiliato alla Barriera , l'ex Lord di Dieci Torri era ormai arrivato a superare da un pezzo gli ottant'anni  e come molte persone di quella età,  passava spesso il suo tempo a rimuginare sulle epoche passate  , sulle vittorie , le sconfitte , le passioni e le figure umane della sua vita.
    Aveva dedicato tanto tempo a tale pratica  da aver potuto scrivere negli ultimi anni varie opere , fra cui le memorie della sua vita che descrivevano in particolare la storia  del suo popolo  e della grande guerra  che aveva sconvolto il primo regno succedutosi dopo il dominio secolare dei Targaryen.


    Proprio all'epilogo di tale cronaca, una  vecchia confraternita di sovversivi, negromanti e uomini sanguinari era stata epurata per essere riformata con gli sconfitti che erano riusciti ad evitare la lama del boia .
    Nei primi anni del suo esilio Rodrik e molti altri ex Lord del sud avevano sperato di avere nuovamente occasione per ribellarsi, aspettavano attendendo il momento propizio che non arrivò mai e  alla fine gli anni avevano spento il loro ardore , i loro sogni di rivalsa ; lasciando il posto alla vecchiaia e all'apatia.

    Gli Estranei erano scomparsi ,  non per sempre , sarebbero certamente ricomparsi ma potevano passare secoli ,mentre invece il popolo libero era stato duramente colpito , i bruti erano pochi e divisi , ci sarebbero volute generazioni perchè ritornassero alla forza di un tempo.
    In questo scenario la Confraternita aveva avuto poche sfide e stimoli, si erano ricostruiti i fortini e il Lord Comandante aveva cercato di porre le basi per la costruzione di nuovi insediamenti  oltre la Barriera ma oltre a ció nulla.

    Alla fine, ora che i tempi erano maturi , il Lettore era un vecchio decrepito, nuovamente i Sette Regni erano sull'orlo della guerra, le Isole di Ferro si erano finalmente ribellate , un figlio bastardo di Theon Greyjoy si era proclamato nuovo Lord di Pyke destituendo Brandon Stark, le grandi Case un tempo solide alleate si guardavano ora l'un l'altra piene di sospetto mentre quelle quasi distrutte dai vecchi scontri bramavano per rialzarsi e vendicarsi.

    Coloro che erano ancora molto giovani ai tempi del loro giuramento , in gran parte avevano disertato , riprendendo le navi da decenni ancorate al porto per fare vela verso Pyke ,  anche Ser Harras , nipote di Rodrik, aveva preso il mare con la sua Serpente,  ripartivano i radi frammenti sopravvissuti di un'altro tempo, vecchi pazzi all'inseguimento delle loro chimera.

    Tutto ciò era grottesco per Rodrik , cosa era cambiato?? Un regno puó durare secoli  ,eppure che cos'è qualche centinaio d'anni in confronto all'età di un albero diga?? Non equivaleva nemmeno al battito d'ali d'una farfalla .
    Intrighi , guerre , casate distrutte ,  campi arati col sangue , relitti sul fondo del mare ,disperazione e miseria ; tutto riaccadeva   ciclicamente ,come la marea  erano i regni degli uomini , simili a castelli di sabbia , inevitabilmente crollavano per mano delle onde , per essere poi ricostruiti con foga e  far quindi ricominciare tutto d'accapo.

    E se questo era vero , cosa poteva rimanere sulla terra degli uomini vissuti e morti in questo vortice senza fine??
    Pallidi sepolcri di pietra erosi dal vento e dall'acqua , vani ricordi nelle menti degli uomini destinati via via a scomparire , qualche pagina su un libro di storia e per i più fortunati qualche canzone.
    Solo pochi nomi potevano sfuggire all'oblio , nomi rimandanti alla gloria eterna e alla leggenda, al mito.
    Il Lettore era consapevole che nulla sarebbe rimasto di lui dopo la sua fine ,  solo qualche breve citazione in qualche pergamena di carattere storico , forse i suoi manoscritti e un nome ricamato sugli arazzi di certi  alberi genealogici ; che senso aveva avuto allora la sua vita? Quello di un attimo , del battito d'ali di una farfalla.

    Eppure l'ex lord di Dieci Torri era sereno , fissava il mare respirando a pieni polmoni , quella vastità algida in perpetuo movimento , sui cui fondali riposava la sua stirpe.
    La sua vita finiva in un certo senso  come era iniziata , molto probabilmente gli Harlaw sarebbero tornati signori della loro isola,  assieme alla nuova libertà degli uomini di ferro e presto forse ci sarebbe stato un nuovo re sul Trono di Spade.

    Al tramonto , a preparativi ultimati , Rodrik sarebbe partito sulla Canto Marino per la sua isola  assieme ai suoi libri , desiderava rivedere i luoghi della sua infanzia tanto legati al destino secolare della sua famiglia per l'ultima volta , voleva morire lì , come i suoi padri dall'alba dei tempi.
    Le recenti notizie sulle ultime vicende erano arrivate da poco al Forte Orientale , ove vi era ancora una forte presenza di uomini di ferro, il comandante del Castello non poteva fare nulla se non mandare a chiamare il Lord Comandante con forze fresche , nulla di cui preoccuparsi per una decina di giorni. 

    La giornata trascorse lenta , ormai il sole pallido autunnale andava scomparendo , si aveva la grottesca sensazione che venisse inghiottito dal mare stesso,  mentre fissava questa visione ,  Rodrik Harlaw si sentì improvvisamente stanco come non mai , faticava a tenere gli occhi aperti che ben presto si chiusero , rimase allora nella sua sfera percettiva solo il rumore del mare e l'odore di salsedine ,  la sua mente andava piano piano ottenebrandosi , volarono velocemente nella sua mente immagini e sensazioni di ricordi lontani e alla fine  il suo ultimo pensiero cosciente , fu che non ricordava più chi era.








    Ser Richard Horpe

    Nella sesta partita Lord Leyton Hightower, Voce di Vecchia Città.

    Nella quinta partita LORD Leyton Qorgyle , COMANDANTE DEI GUARDIANI DELLA NOTTE.

    Nella quarta partita LORD RODRIK HARLAW IL LETTORE, signore di Harlaw

    Nella terza partita ROBB STARK

    " credevo che la parte più difficile della guerra fossero le battaglie mi sbagliavo..."
    Re Robb Stark


    uff non è stato facile trovare una frase con un certo peso di robb

    risus abundat in ore stultorum

    the winter are coming!!


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    00 10/11/2014 21:24

    Tywin Lannister VIII pdv

    CRONACHE DEL DISTRUTTORE DEL MONDO

    - Io sono Tywin -



    La forchetta si mosse per abitudine tra il piatto e la bocca. Il grondante boccone di agnello, il cui aroma spargendosi dalle cucine inondava la sala da pranzo, aveva il sapore della cenere nel suo palato.
    Masticava con un viso privo di espressione; lo sguardo assente fissava un punto imprecisato del tavolo, senza guardarlo davvero.
    L’unico commensale, l’uomo che un tempo fu il leone di Castel Granito, ora sedeva ingobbito, era l’ombra della persona che era stata solo pochi mesi prima.
    Il peso degli anni sembrava averlo raggiunto in una notte e ora gravava su di lui curvandogli le spalle, rallentandogli i movimenti e stillandogli goccia dopo goccia la vita dal cuore.
    Erano bastate solo poche parole per distruggere tutto il suo mondo dorato: una lettera giunta da lontano, una lettera che portava l’odore della morte, degli incendi. L’odore della sconfitta.

    “Tutto è perduto. È la fine di tutto: della guerra, del regno…della Famiglia. Addio padre.”

    Queste erano state le parole di suo figlio Tyrion, scritte poco prima della disfatta di Vecchia Città.
    Tutto il suo esercito era stato annientato, non c’era nulla nei Sette Regni che avrebbe potuto fermare l’avanzata di Robert. Certo la capitale non era ancora caduta, ma per quanto tempo avrebbe potuto resistere? Aveva ancora senso combattere? Si era chiesto più di una volta nelle notti insonni. C’era ancora qualche possibilità di vittoria? Gli stendardi porpora avrebbero ancora garrito nel vento?
    No, tutto era perduto, i suoi figli erano caduti in mano ai nemici e i suoi lombi erano troppo vecchi e stanchi per dare nuovo vigore alla stirpe. Se casata Lannister, la sua discendenza, era perduta, tutto era perduto.
    Per chi avrebbe dovuto combattere? Per chi avrebbe dovuto tenere il potere saldo tra le mani? Se non fosse stata la famiglia Lannister, la sua stirpe, a governare sui Sette Regni nei secoli a venire, allora non valeva pena combattere, allora la vita non aveva più alcun senso; allora era giusto che lui, un vecchio inutile leone stanco, ormai arrivato alla fine della sua esistenza, si allontanasse per morire camminando verso il tramonto.
    Questo era ora Re Tywin Lannister Signore di Castel Granito, Scudo di Lannispot, primo del suo nome, Re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, Lord dei Sette Regni e Protettore del Reame.
    Questo era diventato.
    Un uomo finito, un’anima perduta il cui nome non atterriva più i nemici, la cui sagoma stagliata sul campo di battaglia non gettava più nello sconforto interi eserciti. Ora si poteva provare solo pietà e disgusto per quell’essere che era stato l’uomo più potente dei Sette Regni.
    Dalla lettera di suo figlio i giorni si susseguivano uguali, l’uomo si trascinava in una vuota apatia. Non provava più passione, non lo interessavano le letture, né la caccia, non i dispacci dal continente occidentale e neppure quelli delle terre d’oriente; si rifiutava di incontrare ospiti e ambasciatori, che fossero essi potenti principi, possibili alleati o splendide donne in cerca della compagnia di una sera.
    Come una grigia figura Lord Tywin si aggirava tra il palazzo senza una meta precisa, come sospinto da un vento di dolore e ricordi.

    Un altro movimento della mano e un altro boccone a riempire lo stomaco. L’uomo scostò il piatto ancora pieno e abbondante al contrario della brocca del vino, nella quale non si faticava ad intravedere il fondo nelle poche gocce rubizze rimaste al suo interno.
    L’uomo si alzò su passi traballanti per dirigersi nelle sue stanze. Il calar della sera era ormai prossimo, le giornate cominciavano a farsi più corte con piogge più frequenti. Avrebbe avuto ancora forse un paio di ore di luce, ma per farne cosa? Attraversando il corridoio superò il proprio studio; pergamene ancora chiuse con la ceralacca ingombravano intonse il tavolo, la cenere del camino era fredda da settimane e uno strato di polvere incominciava a ricoprire ogni cosa come la coperta che avvolge l’uomo perso nell’oblio del sogno.
    Lord Tywin raggiunse la propria stanza. Quando si soffermò un istante davanti allo specchio vide l’immagine di un uomo che non conosceva: una rossiccia barba incolta gli copriva il viso, due scure occhiaie risaltavano nel colore cereo del volto di quella persona ingobbita. La casacca macchiata in più parti, era sciupata e mostrava il tempo trascorso addosso all’uomo che non ricordava più nemmeno quando l’aveva indossata e neppure gli interessava farlo.
    Macchie di bianco calcare punteggiavano il bacile d’argento, strumento ormai dimenticato.
    Il sovrano si sedette sul letto senza spogliarsi, allungò la mano verso una caraffa piena di vino, vi aggiunse una generosa dose di latte di papavero e poi la vuotò in una lunga sorsata augurandosi un sonno privo di sogni, privo di incubi.

    I giorni trascorrevano uguali a se stessi; Lord Tywin si trascinava tra le vecchie sale come una barca sospinta dalla marea, mesto come un marinaio a cui si erano spezzati i remi e con essi la speranza.

    Quella mattina bussarono alla porta della stanza con decisione.
    “Signore, presto, dovete venire nel salone principale. Rimer ha grandi novità” la voce del servo era carica di ansia e aspettativa allo stesso tempo.
    “Si.” Fu la sola risposta del Protettore del Regno.
    Si alzò dal letto e senza curarsi di rendersi presentabile si trascinò come un’ombra nel salone grande.
    Le tende erano state scostate e le vetrate aperte; il freddo e la luce lo ferirono come lance acuminate. Nella stanza c’erano una decina di uomini armati: il comandante Rimer, Narcil, l’uomo che lo aveva svegliato, e un individuo ai ceppi con il viso tumefatto accasciato al centro della stanza.
    Il sire vi posò lo sguardo un instante: era un uomo sulla quarantina, la calvizie iniziava a mostrare il cranio, mentre ciuffi di capelli castani spuntavano ancora dai lati della testa. Aveva folte sopracciglia, l’occhio sinistro era rigonfio e chiuso, il naso mostrava una piega innaturale e le labbra erano spaccate in più punti. Respirava con affanno e teneva la testa china.
    “Mio Re” cominciò a parlare Rimer, “abbiamo catturato quest’uomo mentre cercava di entrare nelle cucine fingendosi il garzone mugnaio. Vorrei prendermene il merito, ma è stato un vero colpo di fortuna, infatti il nuovo cuoco che proprio oggi sostituiva quello malato è il fratello del mugnaio e ha riconosciuto l’inganno.”
    Il Re pareva non ascoltare, fissava l’uomo in catene mentre la sua mente vagava chissà dove.
    “Così” riprese il comandante della scorta “lo abbiamo preso in custodia e lo abbiamo interrogato. All'inizio ha risposto alle nostre domande con un ostinato silenzio, ma poi ha rivelato la propria identità.” Fece una pausa come per creare attesa nel suo lord, ma esso rimase immobile e distaccato. “Quest’uomo di chiama Mariùs e viene dal continente Occidentale; è un sicario inviato da quell’infame di Robert Baratheon per attentare alla vostra vita. Avrebbe dovuto avvelenare il vostro cibo, capite, Robert si sarebbe affidato al veleno mostrando ancora una volta quale vigliacco sia. Non vi è onore nel veleno. È un’arma da eunuchi e da pavidi.” Così dicendo con la voce carica di rabbia e disprezzo diede un calcio nello stomaco del prigioniero che emise un mugolio sofferente.
    “Crediamo ci sia un complice, un altro assassino, ma questo cane non vuole aggiungere altro.” Un altro calcio, un altro singhiozzo di dolore. “Cose dobbiamo fare di lui, signore? Volete interrogarlo? Volete che sia giustiziato?”
    “Si” fu l’unica risposta di Lord Twyin che così dicendo si voltò e lasciò la stanza.
    Rimer, confuso, rimase immobile in piedi al centro della stanza. Guardò negli occhi i presenti che mostravano lo stesso imbarazzato smarrimento.
    Persino Mariùs nella sua sofferenza sembrava non capire cosa stesse per succedere, sembrava incerto sul proprio destino.
    La lama fredda del capitano della guardia che si apriva la strada lungo il suo collo mostrò una rossa e dolorosa riposta ad ogni suo dubbio; un’ultima risposta che, chiara, segnava la fine della sua vita.

    La scoperta che un assassino era riuscito ad avvicinarsi tanto da attentare alla sua vita aveva lasciato in Tywin una strana sensazione. Non un senso di paura o di preoccupazione, ma un amaro senso di inadeguatezza, una serena mestizia.
    Non aveva pensato alla morte sino a quel momento, ma ora la nera mietitrice iniziava ad irretirlo con il suo fascino.
    La morte in fondo non avrebbe fatto altro che privarlo delle sofferenze. Non sarebbe mancato a nessuno, nessuno aveva più bisogno di lui. Non poteva far nulla per aiutare la sua famiglia, non poteva far nulla per distruggere i suoi nemici, non poteva far nulla di nulla e allora perché non perdersi in questo nulla? Perché non arrendersi al dolce abbraccio dello Sconosciuto, perché combattere quando ci si poteva arrendere ad un destino ineluttabile?
    Questi erano i pensieri di Tywin Lannister, un uomo spezzato che si trascinava nei giorni in attesa di una tanto sospirata morte.
    In gioventù aveva immaginato la sua morte su di un campo di battaglia alla testa di eserciti, portando con sé una moltitudine di nemici. Le sue gesta sarebbero state narrate dai cantori per generazioni, vi avrebbero scritto ballate. Sarebbe stato un fulgido esempio da seguire, come Brandon il Costruttore o Baelor Il Benedetto; i bambini lo avrebbero impersonato nei loro giochi, le fanciulle avrebbero cercato le sue doti nei loro fidanzati…sarebbe stato un Eroe degno delle leggende, la sua vita e la sua morte sarebbero stati ricordati per sempre.
    Ora invece eccolo li: un vecchio il cui unico desiderio era quello di morire prima di non riuscire a farla più nel pitale; un vecchio che non avrebbe raggiunto i propri antenati nelle grandi sale celesti; un vecchio la cui morte ingloriosa avrebbe cancellato in un sol attimo tutti i gesti di una vita.
    Sarebbe bastato indugiare un poco di più con il latte di papavero e il dolce sonno, come lo chiamavano i Maestri, lo avrebbe accolto. Oppure avrebbe potuto smettere di mangiare; il cibo così come la vita non gli davano più alcun piacere.
    Tywin sorrise per la prima volta dopo settimane. Morire sarebbe stata la sua ultima vittoria, con la sua morte avrebbe tolto a Robert Baratheon il piacere di renderlo schiavo e la gioia di ucciderlo.
    Per alcuni giorni il sovrano si fece più cupo e triste, quasi non toccava cibo, non conversava più con nessuno, passava il suo tempo chiuso al buio nelle proprie stanze eccedendo con il vino e con il latte di papavero.
    Era scesa una cappa di tensione insopportabile sull’intero palazzo, tra gli uomini andava diffondendosi un malumore che presto sarebbe sfociato in rivolta, i servi iniziavano a trascurare i propri compiti poiché ormai nessuno faceva più caso né all’etichetta né allo stato del palazzo. Tutto stava marcendo come il cadavere di un animale lasciato alle intemperie.

    Il gruppo di cavalieri in livrea porpora giunse al galoppo la prima ora del pomeriggio. Le loro vesti erano coperte di fango; sicuramente arrivavano da lontano e avevano cavalcato sotto l’acquazzone di quella mattina. L’impossibilità di essersi fermati a cercar rifugio alla pioggia abbondante, stava a significare sicuramente che avevano fretta, avevano qualcosa di importante da comunicare.
    Rimer li osservò arrivare da sotto il portico con sguardo triste. Lui sapeva cosa erano venuti a dire quegli uomini; un corvo era giunto durante la notte e aveva portato la notizia, una notizia tanto terribile che lui non aveva ancora avuto il coraggio di comunicare al suo Lord perché, ne era certo, ascoltarla lo avrebbe ucciso.
    Lasciò il portico per andare incontro ai nuovi venuti, pronto ad accogliere nuovamente la notizia della caduta della capitale, pronto a vedere altri uomini vinti unirsi alla schiera dei fantasmi che abitavano quella villa: nuovi prigionieri della vita, nuove anime dannate.
    Quando il capitano della guardia incrociò lo sguardo del cavaliere che gli si faceva incontro notò qualcosa di strano, qualcosa che non pensava di poter rivedere in tutta la sua vita e quasi faticò a riconoscere. In quegli occhi lesse gioia e speranza.
    L’uomo gli si avvicinò e scese da cavallo con un movimento che la lunga cavalcata aveva reso meno fluido.
    “Sono Willer Hill, per servirla mio signore.” Si presentò il soldato con un breve inchino.
    Ser Rimer fece un cenno con la testa ancora dubbioso.
    “Il giorno stesso in cui Re Tywin Lannister è sbarcato sulle coste Orientali ha affidato una missione a me e alla mia compagnia” riprese il cavaliere “dopo due lunghi mesi e non poche perdite sono lieto di comunicare” fece un gesto ad un altro cavaliere che scese da cavallo e si avvicinò tenendo tra le braccia un fagotto di stracci “che abbiamo ritrovato ‘Ruggito di Luce’, l’antica spada di casata Lannister” così dicendo, l’altro uomo svolse il fagotto mostrando una spada lunga.
    Riflessi porpora correvano lungo la lama di acciaio di Valyria; l’elsa era in oro, i due bracci rappresentavano due leoni pronti al balzo; sopra di loro era stato inciso in antico Valyriano “Odi il mio ruggito”.
    Al centro dell’elsa era stato modellata la testa di leone che teneva tra le fauci spalancate un enorme rubino. Un altro rubino era posto sul pomo, circondato dai fregi d’oro e d’argento come per sottolineare la ricchezza della casata protettrice dell’Occidente.
    Era un’arma davvero impareggiabile, una visione sublime, che non poteva che destare ammirazione e timore negli occhi dell’osservatore.
    Ser Rimer non rimase immune a quel fascino, e un sentimento di ritrovata speranza si fece largo nel suo petto. Decise che avrebbe fatto chiamare il suo Sovrano nella sala grande, che gli avrebbe dato la notizia della Caduta di Approdo e subito dopo gli avrebbe mostrato la lama della sua famiglia, nella speranza che una notizia positiva ne cancellasse una negativa; una vuota speranza, lo sentiva, ma l’unica speranza che aveva.

    Lord Tywin aprì gli occhi. Non stava dormendo, ma giaceva immobile su letto.
    La stanza era completamente buia, la testa gli pulsava, la nausea stringeva come una morsa il suo stomaco.
    Fece per rispondere a chi si ostinava a bussare alla sua porta, la voce gli bruciò in gola, fece uno sforzo ma non ricordò neppure quanti giorni erano trascorsi dall’ultima volta che aveva parlato con qualcuno. Ci riprovò con maggior convinzione ed eruppe un suono gutturale che ben poco aveva del “si” che aveva intenzione di pronunciare.
    Allungò la mano verso il comodino accanto al letto e vi trovò una piccola caraffa, l’avvicinò alle labbra…vuota.
    A tentoni cercò sul pavimento e vi trovò un'altra piccola brocca, vuota anch’essa. Decise di alzarsi dal letto. Con passi malfermi, inciampando tra i cocci, raggiunse la porta e aprì l’uscio.
    Narcil fu investito da una zaffata di tanfo acido e malsano: l’aria nella stanza chiusa da giorni era decisamente troppo calda, e un odore di vino acido, urina, vomito e feci lo travolse facendolo trasalire. Istintivamente fece un passo indietro e trasse una profonda boccata dell’aria fresca del corridoio. Stava per riprendersi quando la vista della figura che era apparsa dalla camera lo sconvolse ancora di più.
    L’uomo che gli si stagliava davanti aveva un volto scarno e malato, gli occhi erano circondati da un alone rosso e sembravano spiritati, sembravano persi nel vuoto. Aveva una lunga barba rossa che copriva interamente il collo, aggrovigliata come il nido di un merlo e punteggiata di incrostazioni di vomito.
    Dal cranio spuntavano ciuffi di capelli che solitamente il lord teneva completamente rasati, e le labbra erano secche e crepate.
    L’uomo era scosso da un tremito, sembrava faticare persino a stare lì fermo appoggiato allo stipite. Era scalzo e i piedi erano lerci e poco curati, la casacca era sporca e le dita delle mani sanguinavano dove probabilmente si era strappato le unghie a morsi in un eccesso di sconforto.
    L’odore dell’uomo era insopportabile.
    “Sire, la stanno aspettando nella sala grande” disse il servo chinando leggermente il capo.
    L’altro uomo non rispose, non sembrava neppure aver compreso.
    “Sire, non potete presentarvi in queste condizioni. Seguitemi” continuò Narcil prendendo l’altro sottobraccio e riportandolo nella stanza.
    “Si” fu la risposta di Lord Tywin mentre si faceva accompagnare nella stanza.
    Narcil, facendo molta attenzione, attraversò la stanza e riuscì a raggiungere la finestra per scostare i pesanti tendaggi e aprire le imposte chiuse, per fa entrare la fioca luce del tramonto.
    Fece accomodare il suo Re sul letto e si voltò per osservare la stanza.
    Una grossa pozza di vomito ormai secca si allargava da sotto al letto, una decina di caraffe di vino giacevano a terra qui e là e i numerosi cocci erano dimostrazione che la sete del sovrano non si era limitata a quelle. Quattro flaconi di latte di papavero giacevano vuoti su di un tavolino. Il secchio degli escrementi era colmo e tracimato sul pavimento, alcune feci erano sparse anche negli angoli della stanza.
    Narcil guardò con orrore l’uomo che, seduto sul letto, fissava il pavimento. Come aveva potuto ridursi in quello stato e come loro, suoi uomini che gli erano da sempre stati fedeli, avevano potuto permetterlo?
    Chiamò un altro domestico e gli affidò il secchio della latrina, poi con una scopa ripulì alla ben e meglio la stanza, accese il fuoco e vi mise a scaldare dell’acqua.
    Prima di dedicarsi al suo Re diede l’ordine che fosse preparata un'altra camera per la notte per il sovrano.
    Aiutò l’uomo a sfilarsi la casacca, poi con un panno e del sapone gli deterse il viso attingendo dal bacile di acqua calda, gli lavò il capo e il petto, con un pettine gli ravvivò la barba e gli sistemò i capelli pettinandoli all’indietro e frizionandoli con dell’olio. Rovistando tra le ampolle del cassetto trovò un’essenza profumata al mughetto e con essa cosparse sia il corpo del sovrano che la tunica pulita che estrasse dall’armadio.
    Sembrava quasi una bambina che gioca a vestire una bambola di pezza: il sovrano non opponeva resistenza, ma non collaborava in alcun modo alla propria toeletta.
    Dopo aver vestito il sovrano, riempì un catino di acqua calda e sali e si mise a lavargli i piedi. Scorrendo le mani sulla pelle del Re si rammaricò di non poter lavare anche l’animo di quell’uomo; avrebbe voluto detergere il male che lo opprimeva come stava togliendo lo sporco dai suoi piedi.
    Calzati i sandali, accompagnò il sovrano nella sala comune.

    La sala era ampia; entrambi i camini posti uno di fronte all’altro erano stati accesi.
    L’ondeggiare delle fiamme creava ombre guizzanti tra i fregi marini di marmo bianco. Le candele erano state cambiate in ogni candelabro per l’occasione.
    Tutte le ante della porta finestra nella parete di fondo erano chiuse.
    Il grande disco di ottone che fungeva da lampadario al centro del salone era stato acceso e la luce riflessa sul mosaico di specchi del soffitto illuminava la stanza a giorno.
    Tywin superò l’arco d’ingresso passando accanto alle statue di due tritoni, attraversò la sala con i passi ovattati dai tappeti che coprivano il pavimento e si andò a sedere su di una sedia posta davanti alle vetrate.
    Per l’occasione il grande tavolo di noce era stato spostato accanto al muro di sinistra.
    La stanza accoglieva una ventina di persone: c’erano il Capitano Rimer con cinque dei suoi uomini, Narcil e altri due domestici e un’altra dozzina di cavalieri. Tutti avevano indossato dei vestiti di gala e profumavano di fresco come se si fossero lavati per l’occasione.
    Lord Tywin fece scorrere con vuoto interesse lo sguardo sugli astanti.
    “Mio Re,” iniziò a parlare Rimer facendo alcuni passi per portarsi al centro della stanza - il tono delle sua voce cupo e mesto “la notte scorsa è giunto un corvo dalla capitale.” L’uomo fece una pausa cambiando il peso da un piede all’altro come per sopportare la gravità della notizia che stava per dare. “Non sono buone notizie…”
    “Ali oscure, oscure parole” aggiunse Willer Hill, sottolineando i suoi umili natali.
    Rimer lo rimproverò con uno sguardo silenzioso, poi riprese il suo discorso.
    “Maestro Edwin ha mandato un corvo poco prima che le forze di quell’infame di Robert Baratheon sfondassero le porte della fortezza rossa: comunicava che le strade della capitale erano in mano al nemico e che presto anche la fortezza sarebbe capitolata all’assalto delle truppe del cervo.
    Sire, l’animale è giunto stremato, ma credo che la notizia sia vecchia di settimane…la capitale è caduta.”
    Lord Tywin non sembrò minimamente scosso dalla notizia. Alzò sguardo incontrando gli occhi del suo capitano; si guardarono per un lungo istante in silenzio.
    Rimer vide la resa, la disperazione, lo smarrimento.
    Il vuoto.

    Non vi era luce in quello sguardo, non vi era vita.
    “Avete capito? Mi avete sentito?” Esplose il capitano in un impeto di rabbia, “la capitale è caduta. Voi non siete più il Re di nulla.” Fece due passi verso l’ex sovrano sollevando i pugni davanti a sé: ”stupido vecchio, dite qualcosa! Non siete ancora morto, lo volete capire! Fate qualcosa per i Sette!!!”
    Alcune guardie fecero per muoversi ma si fermarono all’istante quando Lord Tywin si mosse. Il vecchio leone si alzò in piedi per un momento. Sembrò essere tornato l’antico guerriero, guardò il suo capitano stagliarsi tremante di rabbia davanti a lui e disse con voce piatta, senza alcun sentimento: “Si”.
    Il capitano cadde in ginocchio. Avrebbe voluto scuotere quell’uomo, avrebbe voluto che reagisse, ma tutto era stato vano. Era pronto a morire pur di far rivivere lo spirito del leone nel suo Signore, ma tutto era stato vano.
    Lord Tywin volse le spalle all’uomo e tornò a sedersi sul suo scranno.

    “Sire…Lord…insomma, mio Signore” intervenne Willer Hill, facendosi avanti: “risollevatevi! Porto buone notizie! Le mie non sono arrivate sulle ali di un uccello iettatore.” Cosi dicendo fece un segno di scongiuro e raggiunse il centro della sala mentre Rimer tornava verso i suoi soldati con il viso solcato dalle lacrime.
    Lui gli fece un sorrisetto di derisione.
    “Sono venuto qui di persona per dirvi che ho compiuto la più grande tra le imprese, neppure vostro fratello Gerion, un cavaliere, era riuscito a fare ciò che io ho fatto. Ho attraversato luoghi impervi, risalito il fiume fumante, sono giunto dove nessun uomo si era spinto negli ultimi cento anni.”
    L’uomo gesticolava molto mentre raccontava le proprie avventure, come se fosse in una taverna da quattro soldi e volesse far colpo su qualche servetta.
    “Ho combattuto nemici impareggiabili e finalmente sono fiero di potervi dire che ho ritrovato ‘Ruggito di Luce’, la spada della vostra famiglia.”
    Il volto di Lord Tywin fu solcato da una fulminea espressione di interesse.
    “Ho perso molti uomini in questa impresa e molti altri lungo il percorso si sono uniti alla mia -alla vostra- causa. Ecco dunque, perché indugiare ancora? Portate la spada al suo legittimo proprietario.”
    Fece un gesto con la mano e dal gruppo dei suoi uomini avanzò un ragazzo che non doveva avere più di quindici anni; il suo fisico asciutto e guizzante si intravedeva sotto il farsetto di velluto color porpora. Aveva capelli scuri e occhi nocciola. Una barba di primo pelo gli ombreggiava il volto.
    Camminava a passo lento portando tra le mani di fronte a sé la spada, con l’attenzione con cui si porta un neonato e la sacralità con cui i septon portano le reliquie degli Dei. Tutti seguivano in assoluto silenzio i passi di quel ragazzo. Rimer osservava il sovrano in attesa di qualche reazione.
    Lord Tywin si alzò in piedi. I suoi movimenti sembravano rallentati, l’intera scena sembrava svolgersi con una lentezza innaturale.
    Il ragazzo aveva attraversato la metà della sala e lasciato qualche passo dietro di sé Willer, che lo guardava con espressione carica di compiacimento.

    Poi, tutto accadde. Come un lampo che rischiara la notte, come l’ultimo battito di un cuore prima di spegnersi.
    “Per Re Robert!!! Per Mariùs!!!” gridò il ragazzo afferrando l’elsa della spada con entrambe le mani e caricando Lord Tywin in una corsa sfrenata.
    Tutti i soldati si mossero all’istante, ma il ragazzo aveva troppo vantaggio su di loro, era ormai troppo vicino alla sua preda.
    Lord Tywin allargò le braccia come per accogliere in un affettuoso abbraccio il nemico che si avvicinava per conficcargli la lama nel petto.
    “Ecco dunque la tanto desiderata morte…sono pronto!” sussurrò con un filo di voce.
    Non più di un braccio separavano la fredda lama di acciaio di Valyria dal torace del Lord di Castel granito quando egli, rapido come una serpe, si mosse di lato. Non era un gesto voluto: il suo corpo si era mosso da solo. Era l’istinto del guerriero, di chi era sopravvissuto a mille battaglie.
    La sua mente e il suo spirito si erano arresi da tempo, ma il suo corpo desiderava vivere, il suo corpo agognava ancora il combattimento.
    Il ragazzo fu colto di sorpresa dall’improvvisa reazione dell’uomo; cercò e di frenare la sua corsa, ma scivolò sul tappeto che copriva il pavimento e cadde rovinosamente in avanti.
    Rimer, acciaio in pugno, raggiunse il suo signore frapponendosi tra lui e l’assassino, che però rimase a terra immobile accovacciato a pancia in giù sulla spada. Il capitano della guardia si avvicinò con cautela mentre anche gli altri uomini circondavano il ragazzo che ancora rimaneva a terra.
    L’uomo infilò un piede sotto la spalla dell’assalitore e facendo forza girò il ragazzo in posizione supina.
    Lo sfortunato aggressore era caduto sulla propria arma, uno squarcio correva dalla mandibola sinistra sino a sotto il pettorale destro; il peso del suo corpo, lo slancio della caduta e l’impareggiabile filo delle lame di Valyria non gli avevano lasciato scampo.
    La ferita non era certo profonda ma doveva aver reciso qualche importante arteria nel collo perché il sangue zampillava copioso e una piccola pozza scura cominciava ad allargarsi sul pavimento.
    Rimer si voltò verso il suo Signore per sincerarsi che stesse bene.
    Lord Tywin aveva lo sguardo fisso sulla spada che ancora giaceva a terra, una fiamma brillava nei suoi occhi.
    Si avvicinò alla scena e poggiò un mano sull’avambraccio di Rimer per farlo scostare. Il capitano si stupì della forza della presa.
    Senza dire nulla afferrò l’elsa della spada, ne sentì la forza, passò una mano sulla lama coperta di sangue e poi strinse il pugno.
    Si voltò versò i suoi uomini tenendo la spada salda davanti a sé.
    Ciò che essi videro non era più lo spettro disperato di quella casa: un’aurea radiosa sembrava provenire da quell’ uomo, un’aurea che scacciava la rassegnazione e la tristezza. Davanti a loro si stagliava un guerriero, un lord, un re, un eroe delle antiche ballate.
    “Io sono vivo!” disse con voce ferma e tonate.
    Gli uomini esplosero in un’ovazione. Quella dichiarazione di vita non erano solo parole, ma contenevano una forza quasi tangibile, una forza che spezzava la coltre di morte che avvolgeva la casa, come il sole scaccia le nubi di tempesta.
    “Io sono vivo!” riprese Lord Tywin portandosi al centro della sala. Il suo passo era sicuro, il suo portamento eretto e marziale. Gli uomini fecero un grande cerchio intorno a lui.
    “E’ stato il destino a decretare che io dovessi vivere. Questa spada” così dicendo allargò le braccia e girò su se stesso mostrandosi a tutti gli astanti “la spada della mia famiglia, ha ucciso il mio assassino: i miei avi sono hanno voluto che io vivessi” -fece una pausa, “è il cielo stesso che ha deciso che io viva!
    Una volontà superiore a qualunque altra ha voluto che io rimanessi qui a compiere il mio destino, il destino che è scritto nel cielo stesso. Nulla potrà fermare il mio cammino verso ciò che mi aspetta, verso ciò che è mio di diritto, verso la conquista dei Sette Regni e del mondo intero!”
    Un altro urlo di gioia proruppe tra i presenti. Il leone di Castel Granito sapeva ancora ruggire.
    “Dunque perché aspettare! Il destino non aspetta chi non percorre la sua strada con determinazione. Che sia ordinato a Lord Marbrand di armare la mia flotta! Domani stesso navigheremo verso occidente per prendere ciò che mi spetta.”
    Così dicendo si voltò verso l’arco che conduceva nelle proprie stanze e mentre il cerchio si apriva per cedere il passo una voce intervenne alle sue spalle.

    “Mio sire, perdonatemi” il capitano Reimer si fece avanti “sono lieto di vedere in voi un rinnovato desiderio di rivalsa, ma se posso permettermi vi vorrei consigliare di non cedere all’impulsività e di rivalutare la vostra strategia. Qui in oriente disponiamo solo di cinque navi, e di un piccolo contingente di uomini. Non avremo scampo contro le forze del cervo. Dovremo a mio avviso chiedere un prestito alla banca di Bravos e provare ad assoldare alcune compagnie mercenarie. Dalle informazioni in mio possesso i Secondi Figli e i Corvi della Tempesta dovrebbero trovarsi nei pressi di Mereen; anche la Compagnia dorata e i Figli del Vento sarebbero un’ottima scelta.”
    Lord Tywin si voltò verso di lui.
    “Inoltre” continuò il soldato “non sarebbe saggio salpare in questo momento: la stagione delle tempeste è ormai alle porte. Direi che la riconquista del regno dovrebbe ripartire non prima di un anno, tempo sufficiente anche per sondare gli umori della popolo nella nostra patria cosi da poter organ….”
    Le parole si fecero liquide, morendogli in un rosso gorgoglio nella gola. Un palmo di acciaio di Valyria usciva dalle sue scapole dopo aver attraversato completamente il suo torace. Lord Tywin fece un passo indietro estraendo la spada dal petto dell’uomo che lo fissava con gli occhi sgranati, poi con un movimento fluido come una pennellata tracciò un arco nell’aria e la testa del uomo si staccò di netto dal corpo, il quale si afflosciò a terra come un sacco vuoto.
    “Partiremo domani a mezzodì. C’è qualcun altro che osa contraddire il mio volere?!?”
    Nessuno nella sala si mosse.


    Il sole era sorto da non più di un’ora, ma Lord Tywin era già in piedi da parecchio tempo.
    La notte precedente aveva dormito poco rapito dal vortice dei frenetici preparativi per la partenza.
    Aveva ordinato che la sua armatura fosse lucidata e oliata, avrebbe dovuto risplendere come un sole e calzare come un guanto. Si era personalmente preso cura della propria spada passando molto tempo ad affilarla e a studiarne gli intarsi perso in pensieri di gloria e conquista. Aveva chiesto che il Trono di Spade fosse fissato sulla tolda dell’ “Artiglio di Lannispot” la sua ammiraglia.
    Ora era di fronte allo specchio e si stava radendo i capelli e la barba per lasciare sul viso solo le caratteristiche basette bionde.
    Il tempo trascorso nella disperazione aveva segnato il suo fisico: i muscoli avevano perso la tonicità, era troppo magro e cereo, ma ora, mentre fissava la sua immagine riflessa, non vedeva tutte queste mancanze. Lo spirito della battaglia si era impossessato di lui, lo stesso Guerriero avrebbe dovuto tremare al suo cospetto. Una fiamma gli bruciava nel petto, una fiamma che era alimentata dalle sconfitte del passato e che illuminava un domani di vittorie e di conquiste. Lui era stato scelto dal cielo, lui incarnava il futuro di tutta l’umanità; lui era un Dio, l’unico vero Dio, un Dio che camminava come essere superiore tra gli uomini, che aveva il potere di vita e di morte, che con un suo capriccio avrebbe potuto distruggere interi regni. Lui era colui che teneva il cielo e la terra stretti nella forza del suo pugno.
    Finì di prepararsi con cura, indossò un abito porpora e si fece aiutare da Narcil nell’indossare l’armatura completa, l’armatura dorata del leone.
    “Sono pronto.” Così dicendo Tywin sollevò la corona dei sette regni e la pose sul capo con un gesto solenne. Il contatto del freddo oro con il cranio glabro fu un brivido di piacere, il peso della corona a sette punte gli diede la dolce sensazione di potere che essa rappresentava.
    Tywin si sentiva un sovrano, si sentiva invincibile; si sentiva un Dio.
    Allacciò il cinturone con “Ruggito di Luce” e indossò una cappa fatta con la pelle di un grosso leone.
    La testa dell’animale faceva bella mostra sulla spalla del sovrano; gli occhi erano stati sostituiti con due grossi rubini, le zanne erano state placcate in oro zecchino.
    Il risultato era una figura imponente e maestosa. L’armatura splendente, la cappa ferina e la corona trasudavano potere e rispetto; un’aurea di riverenza incorniciava quell’uomo. Difficilmente qualcuno sarebbe rimasto indifferente al suo carisma, al suo fascino.
    La parte più inquietante e terribile di quell’essere era però lo sguardo. Negli occhi incavati si intravedeva brama, desiderio e follia. Era lo sguardo di un folle, di una creatura giunta dall’abisso, di una piaga inarrestabile pronta a divorare ogni cosa intralciasse il proprio cammino, pronto a distruggere il mondo intero.

    “Narcil, che i miei uomini siano schierati nel cortile all’istante e che la pece venga sparsa per tutta la casa. Il momento è giunto, la partenza imminente.“ Il sovrano uscì dalla stanza lasciando il servo ai suoi doveri.
    Narcil scosse la testa. Ogni notte aveva pregato gli Dei Antichi e quelli Nuovi perché gli restituissero il suo Signore, ma ora non riconosceva l’uomo che aveva davanti.
    Non vi era più compassione o speranza, non vi era disperazione o tristezza nell’uomo che indossava la corona dei Sette Regni; non aveva più alcun sentimento, solo un indomabile desiderio di conquista, una brama di distruzione, una ferra volontà che lo avrebbe portato a procedere per il suo cammino, che forse lo avrebbe portato alla fine della sua vita o a quella del mondo intero.
    Spinto dall’abitudine e dalla rassegnazione, sentendosi forse in colpa per le sue preghiere, l’uomo rassettò la stanza ed eseguì gli ordini che gli erano stati assegnati.

    L’esercito di Tywin Lannister era schierato su dieci file nel cortile, poco meno di cinquecento uomini. Willer Hill e i suoi si erano allontanati durante la notte e alcuni soldati li avevano seguiti, soprattutto quelli appartenenti alla guarnigione della casa una volta sotto il comando di Remer, ma ciò non preoccupava il sovrano: avrebbe schiacciato quei pusillanimi alla prima occasione. Sarebbe stato stupido preoccuparsi ora per loro, l’intero mondo sarebbe capitolato sotto il filo della sua lama e allora non ci sarebbe stato posto dove nascondersi, non ci sarebbe stato un luogo dove fuggire alla sua vendetta, alla sua giustizia.
    “Uomini, il momento è giunto. La nostra rinascita, la rinascita della Gloriosa Casata Lannister partirà da questo luogo. Io, come Aegon Il Conquistatore, partirò dall’Oriente alla conquista dei Sette Regni. Ciò che è accaduto sino ad ora non avrà alcun senso. L’intera storia dell’uomo verrà riscritta da questo momento in avanti. Siete di fronte ad un prodigio, siete di fronte all’anno zero.
    Scoccate le frecce! Che il fuoco consumi il nostro passato, da ora in avanti cammineremo soltanto verso un futuro di gloria e vittorie.”
    Gli arcieri incoccarono le frecce incendiarie e tirarono in direzione della casa. In breve iniziarono a salire colonne di fumo nero in più punti.
    “Nulla fermerà la nostra avanzata: uccideremo chiunque si opponga alla mia marcia,
    bruceremo i villaggi di chi non si sottometterà al mio volere, forgeremo un nuovo mondo dove il leone sarà il Re.”
    Il fuoco avvampava ora rabbioso alle spalle del sovrano; riflessi rossi e arancioni guizzavano sulla sua armatura dorata, agli occhi di chi lo osservava sembrava che le fiamme stesse scaturissero dal suo corpo.
    Il roboante fragore dell’incendio si mescolava alla sua voce rendendo ancora più efficace e allo stesso tempo inquietante il suo discorso.
    “Dunque, uomini, voltatevi verso occidente.”
    L’esercito si mosse come un sol uomo in perfetta sincronia.
    “Marciamo verso la vittoria, verso casa.”
    Così dicendo si mise alla testa degli uomini e spronò il cavallo in direzione del porto.

    La navigazione non si dimostro niente affatto agevole.
    Lord Tywin viaggiava sull’ammiraglia “L’artiglio di Lannisport” che era stata affidata a Ser Marbrand. Le sue doti di capitano erano state messe alla prova sin da subito.

    Il giorno della partenza la marea non era adatta per salpare e il vento soffiava contrario, ma il sovrano era stato inamovibile, e così erano partiti.
    Durante la prima settimana di navigazione erano incappati in una tempesta e la “castagna dorata” aveva impattato contro uno scoglio sommerso, subendo gravi danni alla chiglia. Avevano caricato il grosso dell’equipaggio e del carico sulle altre navi e abbandonato la carcassa lungo la costa.
    Il periodo non era adatto ad intraprendere un viaggio così lungo e così mal organizzato.
    Tra gli i marinai iniziava a serpeggiare il malumore, c’è chi sosteneva che la malasorte seguiva le navi e che le avrebbe affondate una ad una poiché Tywin aveva sfidato gli Dei. C’è chi pensava che avrebbero navigato fino all’inferno per morire nel mare fiammeggiate e che le loro anime sarebbero state dannate per l’eternità, costrette a navigare al seguito di quel demone in armatura dorata.
    Era ormai il terzo giorno di bonaccia che incontravano. Il mare era una tavola, il cielo terso e non un alito di vento gonfiava le vele, Lord Tywin aveva ordinato che tutti gli uomini che non erano indispensabili si mettessero ai remi e che il viaggio non venisse interrotto né che subisse rallentamenti.
    Il sovrano passava gran parte del tempo sul ponte della nave, seduto immobile sul trono di spade con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte.
    Toglieva l’armatura solo per dormire e la rindossava appena desto; anche se i molti uomini di mare gli avevano detto che era una pazzia, lui non aveva sentito ragioni, e nessuno aveva osato opporsi alle sue scelte per timore delle sua reazione.
    Il clima era teso e presto non fu più la fede nel loro Lord, ma il terrore che provavano nei suoi confronti a guidare gli uomini.

    Dopo il settimo giorno di bonaccia apparve ciò che nessun capitano vorrebbe mai incontrare per mare: la grande tempesta.
    Marbrand aveva cercato di avvertire Tywin che questo poteva accadere; spesso la quiete in mare presagiva l’apocalisse.
    La Grande tempesta si abbatté su di loro come un magio: onde alte come palazzi, una raffica di vento strappò l’albero maestro della “danzatrice degli oceani” portando in mare parte dell’equipaggio, un mulinello trascinò negli abissi il “canto della sirena”, un’onda di trenta metri rovesciò completamente la “tartaruga di mare”. Gli uomini imprigionati sotto la chiglia, rovesciata in mezzo ad un mare che ribolliva, sarebbero morti di una morte atroce.
    Lampi, saette, tuoni dardeggiavano nel cielo; chicchi di grandine grandi come pompelmi flagellavano la nave squarciando le vele e menomando gli uomini; Ser Marbrand gridava ordini che si perdevano nel boato delle onde.
    Il capitano colse con la coda dell’occhio il suo sovrano che in armatura si dirigeva sul ponte della nave, stringeva tra le mani una catena.
    Lo raggiunse.
    “Signore, dove state andando??” Marbrand dovette urlare con tutta l’aria che aveva nei polmoni per farsi sentire.
    Il leone di Castel Granito continuava ad avanzare verso il trono.
    Marbrand lo afferrò per un braccio.
    “Dovete andare verso le scialuppe, non credo che questa nave riuscirà a sopportare ancora per molto!” Gridò il capitano.
    “Il mio posto è sul trono di spade” Rispose Tywin accostandosi allo scranno di ferro.
    “Siete un pazzo, questa tempesta ci affonderà! Dovete andare su una scialuppa, dovete tornare a Tyria.” Strinse ancora di più la presa sul bracciale dell’armatura di Lord Tywin.
    Il sovrano si divincolò dalla mano del capitano, afferrò ser Marbrand per il bavero e con tutta la sua forza lo scagliò contro lo schienale del trono. Le lame degli antichi guerrieri sconfitti trafissero il corpo del capitano, rosee sanguinee si aprirono in più punti della sua veste, il corpo si afflosciò a terra mescolando il sangue con la pioggia e con il mare.

    “Io sono Tywin di casata Lannister. Il cielo stesso ha voluto che io vivessi; non sarà una tempesta a porre fine alla mia vita. Fa del tuo peggio: soffia vento, soffia, non mi strapperai dal mio trono, non mi strapperai dal mio destino.”
    Così dicendo si sedette sul trono e si assicurò ad esso con la catena che aveva portato sin lì. La nave ondeggiava pericolosamente, chicchi di grandine si frantumavano sulla sua armatura. Una scheggia gli trafisse il volto sotto lo zigomi lacerando la pelle, una lacrima di sangue corse lungo il volto subito lavata via dalla pioggia scrosciante.
    “Io sono Colui che nelle cui mani è posto il destino del mondo, io sono il leone che regna su tutto e su tutti. Nessuno può fermare il mio cammino, giungerò ad Approdo e sfiderò a singolar tenzone ogni singolo cavaliere del regno. Rober Baratheon, i suoi servi Arryn e Stark…io sono invincibile, impugno la spada della fine del mondo, bagnerò la terra con il loro sangue, erigerò palazzi con le loro ossa…io sono il leone...io sono Dio…nessun ostacolo può fermare la mia avanzata, non gli uomini, non la natura e neppure gli Dei…io forgerò un nuovo mondo…io sono il mondo…”
    Si udì uno schianto improvviso. La “danzatrice degli oceani”, priva di controllo, speronò “l’artiglio di Lannispot” proprio nel centro della fiancata, sventrandola. Molti uomini volarono oltre il parapetto. La nave cominciò ad abissarsi nei flutti tempestosi.
    “Non è questa la mia fine” gridò il guerriero incatenato al trono stringendo la spada davanti a sé “vieni Sconosciuto, io ti sfido! Non sarai tu a portarmi nell’altro regno, io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, neppure per morire.
    Io sono l’ultimo Re sul Trono di Spade, non ho nessun rimpianto, io sono il distruttore del mondo, la mia leggenda non avrà mai fine…ecco, guardate tutti come muore un Re…come muore Tywin Lannister…io sono…”
    Le ultime parole di Tywin di casata Lannister, Signore di Castel Granito, Scudo di Lannispot, Protettore dell’ Occidente, primo del suo nome, Re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, Lord dei Sette Regni e Protettore del Reame, distruttore del mondo e Ultimo Re sul Trono di Spade, si persero tra le onde mentre la nave affondava e lui veniva trascinato nelle sale abissali con la spada ancora sollevata sopra la testa.


    Nessuno sopravvisse a quella terribile tempesta. Stannis di Casata Barathon fu incoronato nuovo Re dei Sette Regni, ma non poté mai sedersi sul Trono di Spade.
    Gli eredi di casata Lannister furono mandati alla Barriera o uccisi, il seme del leone andò perduto e la dinastia scomparve.
    Nessuno seppe mai dove fosse finito Tywin Lannister anche se ancora oggi, molti anni da quando questi fatti sono accaduti, le mamme raccontano ai bambini di come Tywin “il distruttore del mondo”, sarebbe venuto a ghermirli nelle notte con i suoi occhi fiammeggianti e le sue mani dorate se non avessero ascoltato i loro genitori.
    Qualche marinaio ha giurato che sulla rotta che porta da oriente a occidente una nave con vele porpora appaia nelle notti di tempesta: un uomo in armatura dorata siede su di un trono sul ponte, e un equipaggio di spettri affonda qualunque nave si metta sulla loro rotta, la rotta verso Approdo del Re.


    L’uomo è morto, ma la leggenda vivrà in eterno.




    [Modificato da Faccia da cavallo 10/11/2014 21:24]


    NEL GIOCO DEL TRONO:
    Lord ROBERT BARATHEON




    CRONOLOGIA PG:
    - Nella seconda partita: Styr un Uomo Libero!!!
    - Nella terza partita: Re Jon Arryn, Signore del Nido dell'Aquila,Protettore della Valle e dell'Est. Primo cavaliere, Protettore delle terre della tempesta e signore di Capo Tempesta,Sangue dei Re delle Montagne.
    - Nella quarta partita: Tywin Lannister, morto nelle sale del dio Abissale, ultimo Re sul Trono di Spade. Distruttore del mondo.
    - Nella quinta partita: Tormund "Orso Bianco" Re Oltre e sopra la Barriera, Gran Maestro Guaritore, uomo libero
    - Nella sesta partita: Quellon Greyjoy Sommo Sacerdote,Lord Mietitore delle isole di Ferro, Principe di Lancia del sole, signore di Castel Granito, protettore del Mare(ex protettorato di Dorne) e dell'Occidente


    CITAZIONI
    "Sono stata Arya di casa Stark, Arya Piededolce, Arya Faccia da cavallo.Sono stata Arry e la Donnola, Squab e Salty, Nan la coppiera, un topo grigio, una pecora, il fantasma di Harrenhal...cat, la gatta...nessuno!"
    "Quando cade la neve e soffiano venti ghiacciati, il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive"
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