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WalterA
00venerdì 27 luglio 2007 00:31
Re: Re: Re:
banakabana, 26/07/2007 15.25:



mia nonna aveva un a bianchina, verdinochiaro, che bella che era!





era così lo stemma della Fiat500 o sbaglio?

banakabana
00venerdì 27 luglio 2007 10:10
Re: Re: Re: Re:
WalterA, 27/07/2007 00.31:





era così lo stemma della Fiat500 o sbaglio?



all'incirca si.


WalterA
00domenica 29 luglio 2007 14:22
cercando il nome della pietra guardate cosa mi da Wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Pietra_di_Bismantova

vedere i pgr vicino a dante fa un certo effetto. [SM=g27827] [SM=g27827]
banakabana
00lunedì 27 agosto 2007 12:17
Notizia del 28 febbraio 2006 - 14:49
L'auto ad aria è... volata via
Eolo, la vettura che avrebbe fatto a meno della benzina è stata fatta sparire. Perché?


VIVAMO IN UN MONDO DOVE CI VOGLIONO FAR CREDERE CHE IL PETROLIO E' IMPORTANTE QUANTO L'ACQUA
QUESTA DEVE DAVVERO FARE IL GIRO DEL MONDO!

Guy Negre, ingegnere progettista di motori per Formula 1, che ha lavorato alla Williams per diversi anni, nel 2001 presentava al Motorshow di Bologna una macchina rivoluzionaria: la "Eolo" (questo il nome originario dato al modello), era una vettura con motore ad aria compressa, costruita interamente in alluminio tubolare,fibra di canapa e resina, leggerissima ed ultraresistente.

Capace di fare 100 Km con 0,77 euro, poteva raggiungere una velocità di110 Km/h e funzionare per più di 10 ore consecutive nell'uso urbano.
Allo scarico usciva solo aria, ad una temperatura di circa -20°, che veniva utilizzata d'estate per l'impianto di condizionamento.
Collegando Eolo ad una normale presa di corrente, nel giro di circa 6 ore il compressore presente all'interno dell'auto riempiva le bombole di aria compressa, che veniva utilizzata poi per il suo funzionamento.
Non essendoci camera di scoppio né sollecitazioni termiche o meccaniche la manutenzione era praticamente nulla, paragonabile a quella di una bicicletta.

Il prezzo al pubblico doveva essere di circa 18 milioni delle vecchie lire, nel suo allestimento più semplice.

Qualcuno l'ha mai vista in Tv?

Al Motorshow fece un grande scalpore, tanto che il sito www.eoloauto.it venne subissato di richieste di prenotazione: lo stabilimento era in costruzione, la produzione doveva partire all'inizio del 2002: si trattava di pazientare ancora pochi mesi per essere finalmente liberi dalla schiavitù della benzina, dai rincari continui, dalla puzza insopportabile, dalla sporcizia, dai costi di manutenzione, da tutto un sistema interamente basato sull'autodistruzione di tutti per il profitto di pochi.

Insomma l'attesa era grande, tutto sembrava essere pronto, eppure stranamente da un certo momento in poi non si hanno più notizie.

Il sito scompare, tanto che ancora oggi l'indirizzo www.eoloauto.it risulta essere in vendita.

Questa vettura rivoluzionaria, che, senza aspettare 20 anni per l'idrogeno (che costerà alla fine quanto la benzina e ce lo venderanno sempre le stesse compagnie) avrebbe risolto OGGI un sacco di problemi, scompare senza lasciare traccia.
A dire il vero una traccia la lascia, e nemmeno tanto piccola: la traccia è nella testa di tutte le persone che hanno visto, hanno passato parola,hanno usato Internet per far circolare informazioni.

Tant'è che anche oggi, se scrivete su Google la parola "Eolo", nella prima pagina dei risultati trovate diversi riferimenti a questa stranastoria.

Come stanno oggi le cose, previsioni ed approfondimenti. Il progettista di questo motore rivoluzionario ha stranamente la bocca cucita, quandogli si chiede il perché di questi ritardi continui. I 90 dipendenti assunti in Italia dallo stabilimento produttivo sono attualmente in cassa integrazione senza aver mai costruito neanche un'auto.
I dirigenti di Eolo Auto Italia rimandano l'inizio della produzione a datada destinarsi, di anno in anno.

Oggi si parla, forse della prima metà del 2006...

Quali considerazioni si possono fare su questa deprimente vicenda? Certamente viene da pensare che le gigantesche corporazioni del petrolio non vogliano un mezzo che renda gli uomini indipendenti.

La benzina oggi, l'idrogeno domani, sono comunque entrambi guinzagli molto ben progettati.
Una macchina che non abbia quasi bisogno di tagliandi nè di cambi olio,che sia semplice e fatta per durare e che consumi soltanto energia elettrica, non fa guadagnare abbastanza. Quindi deve essere eliminata, nascosta insieme a chissà cos'altro in quei cassetti di cui parlava Beppe Grillo tanti anni fa, nelle scrivanie di qualche ragioniere della Fiat o della Esso, dove non possa far danno ed intaccare la grossa torta che fa grufolare di gioia le grandi compagnie del petrolio e le case costruttrici, senza che "l'informazione" ufficiale dica mai nulla, presa com'è a scodinzolare mentre divora le briciole sotto al tavolo....
lemiemanisudite2.
00giovedì 27 settembre 2007 11:17


"Non è perseguibile chi agisce sotto l'effetto di un vero stato di indigenza"





ROMA - Occupare case popolari non sempre è reato, secondo la Cassazione. La casa è un bene primario come la vita o la salute, scrivono i giudici. Quindi non c'è reato se si agisce in uno stato di "reale indigenza". La suprema Corte ha accolto il ricorso di una 38enne romana, sola e con un figlio a carico, condannata dal Tribunale e dalla Corte d'appello di Roma per il reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell'Iacp.

Scrive il relatore Pietro Zappia: "Rientrano nel concetto di danno grave alla persona non solo la lesione della vita o dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell'articolo 2 della Costituzione", quello che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo.

La Corte d'appello, "colpevole" di non aver svolto un'indagine sufficiente per verificare lo stato di necessità lamentato dalla donna, dovrà dunque riesaminare il caso.

La donna era stata condannata dal Tribunale della capitale a 600 euro di multa, pena confermata dalla Corte d'appello nel dicembre scorso. Il pronunciamento della Cassazione congela il verdetto e rimanda alla corte di secondo grado il procedimento suggerendo ai giudici d'Appello di verificare, con "una più attenta e penetrante indagine giudiziaria", lo stato di povertà della ricorrente.

Per i giudici della Cassazione, il "diritto all'abitazione" merita di essere annoverato tra i diritti fondamentali della persona. Spiega la Seconda sezione penale di piazza Cavour: "Rientrano nel concetto di danno grave alla persona anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona e l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona".

Il pronunciamento della Suprema Corte ha spaccato il mondo politico. Esulta la sinistra radicale. "La sentenza fissa un punto fermo di grande civiltà nei diritti sociali delle persone", ha dichiarato il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, per il quale "il diritto primario all'abitazione non può ritenersi subordinato al diritto di proprietà". Le conseguenze politiche sono inevitabili. "La prossima Finanziaria dovrà definire le risorse per un nuovo Piano casa", dice l'esponente di Rifondazione. Il collega di partito Francesco Caruso si spinge ancora più in là: "Ci vuole un provvedimento che legalizzi le occupazioni di case". Secondo il deputato no global, a determinate condizioni, ossia in caso di "abitazioni sfitte da oltre 2 anni e di situazione di indegenza economica degli occupanti", devono essere riconosciute "le pratiche di riappropriazione dal basso del diritto alla casa". Anche il verde Paolo Cento, sottosegretario all'Economia, plaude alla decisione della Cassazione e parla di "sentenza di civiltà".

Per il ministro della Famiglia, Rosy Bindi, è stato confermato che "quello alla casa è uno dei diritti fondamentali della persona". La ricetta del candidato alla leadership del Pd è chiara: "Bisogna incentivare l'edilizia pubblica, far emergere il sommerso, grazie alla fiscalità, e aumentare la disponibilità della abitazioni in affitto". Insomma, per la Bindi, come per Ferrero, "il Piano casa non potrà che essere uno degli elementi qualificanti della prossima Finanziaria''.

I commenti del centrodestra sono di segno opposto. "Esiste ancora la proprietà privata?", si chiede la portavoce di Forza Italia, Elisabetta Gardini. Per la collega di partito Isabella Bertolini "occupare abusivamente case è un reato grave, senza se e senza ma". Ragione per cui "l'Italia è da oggi un Paese meno civile". Per il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, "la sentenza della Cassazione tutela l'illegalità". La Lega, per bocca di Massimo Garavaglia, capogruppo nella Commissione Bilancio della Camera, non ha dubbi: "Siamo agli espropri proletari".

mant(r)a
00sabato 20 ottobre 2007 01:36
Roma, acqua rossa nella fontana di Trevi
Il gesto rivendicato da "Azione futurista"

http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/vandalo-trevi/vandalo-trevi/vandalo-trevi.html



da me ogni tanto ci buttano un fustino di Dixan.
praticamente fa una piazza intera di schiuma, ed i cittini ci vanno a giocare.
se non fosse che poi tutto il peperino diventa color arcobaleno petrolifero sarebbe anche puramente divertente.
CorContritumQuasiCinis
00martedì 20 novembre 2007 10:29
Che faccio, ci credo? Solito allarmismo? Boh ... ma intanto ... osservo.
Indagine choc della Società di Pediatria sulle teenager italiane, tra amore, alcol e fumo

Le ragazzine e il sesso: a 12 anni senza limiti

Alla domanda «Cosa vuoi fare da grande?» al primo posto la velina, al secondo «Non so»

ROMA — L’allarme è stato come un fascio di luce che acceca: ci sono baby squillo sulle strade. Ce l’hanno messe i loro coetanei, per pagare debiti del gioco d’azzardo. Giuliano Amato, ministro dell’Interno, ha lanciato un sasso, l’altro giorno. E adesso rischia di venire giù una montagna. Perché quella del titolare del Viminale è la punta dell’iceberg. Ma basta fermarsi un attimo e scoprire che l’infanzia più tradizionale, ormai, non riesce a superare le classi elementari. Perché: c’erano una volta i bambini. E le bambine che giocavano con le bambole. Avevano dodici-tredici anni. E la Società italiana di pediatria (la Sip) li interrogava con domande tipo: che giornali girano in casa tua? Usi il computer? Qual è l’avvenimento che ti ha colpito di più quest’anno? L’ultima ricerca fatta così è datata 2003: non serviva più a niente. Non di certo a fotografare la realtà. E adesso a leggere l’ultima ricerca della Società dei pediatri presieduta da Pasquale Di Pietro, quella del 2006, vengono i brividi. Proprio oggi che anche in Italia celebriamo la Giornata dell’Infanzia. Il campione: 1.251 bambini tra i 12 e i 14 anni. Una domanda. Una delle tante del questionario: «Hai mai visto un tuo amico ubriaco?». Sì, dice il 37,4% del campione. Non solo, l’8,4% aggiunge: spesso. Un’altra domanda: conosci qualcuno tra i tuoi amici che ha fumato una canna? E questa volta è quasi uno su due (44,3%) a rispondere un tondo: sì. Un altro esempio? Tre ragazzini su quattro non esitano a confessare di fare cose che loro stessi definiscono rischiose, come ubriacarsi, appunto, bere liquori, prendere farmaci, uscire da soli la sera tardi, avere rapporti sessuali non protetti. Già: hanno rapporti sessuali frequenti, i nostri ex bambini.

Modelli educativi
Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra dell'età evolutiva, non ha dubbi: «L'anticipazione delle tappe dello sviluppo è dovuta ai modelli educativi. Come dire? Sono stati mamma e papà che hanno voluto che succedesse, si sono dati da fare per diversificare il modello culturale che loro avevano ricevuto. Hanno accelerato le capacità di socializzazione dei loro figli. Hanno tolto loro il senso di colpa, il senso della paura. Basta provare, per credere. Basta entrare in una qualsiasi seconda media d'Italia e capire che è impossibile far sentire in colpa questi ragazzi o mettere loro in qualche modo paura». Succede così anche nella seconda media statale di Gela, Sicilia? «I ragazzi sono molto decisi, è vero», garantisce Ela Aliosta, preside della scuola media alle soglie della pensione. Sono quarant'anni che la signora Aliosta ha a che fare con i ragazzi delle medie. Dice adesso: «Sono cambiati. E molto. Fisicamente, prima di tutto: un tempo le femmine arrivavano ragazzine in terza media. Oggi assomigliano a donne già quando entrano in prima. Soprattutto per come si vestono, si truccano, si pettinano i capelli. Con la complicità dei genitori, è ovvio».

«Faccio la velina»
Oppure la cubista, la show girl, la ballerina. Alla più tradizionale delle domande: «Cosa vuoi fare da grande?», le bambine intervistate dalla Società dei pediatri hanno infatti messo al primo posto: voglio fare il «personaggio famoso». E fino a qui non sarebbe una scoperta sensazionale. È che però, tolta questa prospettiva, rimane il vuoto: al secondo posto delle preferenze delle bambine c'è, infatti, un disarmante: «Non lo so». «Ho dodici anni faccio la cubista mi chiamano principessa», è il titolo del libro di Marida Lombardo Pijola, una giornalista-mamma che non a caso ha gettato scompiglio tra mamme e papà. Ha scoperchiato il mondo delle discoteche pomeridiane, lasciando disorientati nugoli di genitori davanti a frasi di bambine come: «Se fai la cubista sei una donna. Non più una ragazzina. Con i clienti della disco treschi soltanto se ti va. E puoi farti pagare...». Non è fantasia. È qualcosa che da noi è arrivato da pochissimi anni, probabilmente importato ancora una volta dagli Stati Uniti. Era del 2003 «Thirteen, 13 anni», il film-choc ambientato a Los Angeles con protagoniste due ragazzine (tredicenni, appunto) che vivono vite sempre più pericolose tra sesso promiscuo, droga, fumo, alcol, piccoli furti, accenni di lesbismo. «Sono vent'anni che insegno nella scuola media di Centocelle, a Roma», dice Margherita D'Onofri, insegnante di scienze. E spiega: «Soltanto negli ultimi anni, però, ho visto cambiare gli atteggiamenti durante i campi scuola, ovvero quelle gite che consentono ai ragazzi di dormire fuori dalla propria città. Adesso anche nelle prime classi stanno svegli tutta la notte e si mescolano dentro le stanze. Fino a poco tempo fa non succedeva».

Alessandra Arachi (Corriere della Sera)
20 novembre 2007
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Per dovere di completezza:

Focus: i nuovi adolescenti






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Tra le ragazze «Mamma e papà cosa dicono? Mica lo sanno che veniamo qui. Altrimenti dove andiamo?»

E il sabato pomeriggio tutte a caccia in discoteca

Arrivano in jeans e maglioncino largo, appena dentro si (s)vestono da lolite e cubiste

MILANO — «E l'età?». Tanta: almeno almeno il doppio tuo. «Che importa, se c'è l'amooore...». Dalla febbre del sabato sera al probabile febbrone — tanto son mezze nude — del sabato pomeriggio, quando la discoteca Shocking apre dalle 15 alle 18 solo ai minorenni, c'è un conto anagrafico alla rovescia, dai 15 agli 11 anni, che conta e riconta l'attesa: «Ancora un'ora e quindici, e si entra». Che choc, allo Shocking. Arrivano prima, prima tanto, per prendere posto in coda, star davanti, essere sicure d'entrare, con l'attesa fumata via tra una sigaretta, uno sputo (sì, uno sputo), una tirata in su del tanga che scende e del reggiseno push-up che traballa, e un posizionamento tattico della frangetta per occultare il brufoletto. Quando son dentro, corrono come centometriste alla conquista del cubo, potessero segnerebbero il terreno attorno con le bandierine, lo occupano e non lo mollano nemmeno a pagarle. E da lì in avanti, via con le danze. Musica elettronica a manetta, incessante, martellante. Mezzoretta iniziale di balli, per scaldarsi. Quindi, le grandi manovre dell'«amore», ché questa discoteca, e così è il vicino Tocqueville, sempre in zona corso Como, sempre in zona movida, il sabato pomeriggio a una cosa sola serve: prendersi. Per lasciarsi, certo, appena il dj spegne la consolle e le luci se ne vanno. Ma chissenefrega: per intanto, godiamocela. Un popolo di lolite (s)vestite da donna, con l'abbigliamento da urlo — parola d'ordine la trasparenza, meglio se assoluta — e nascosto dentro uno zainetto. Escono di casa, salutano mamma e papà con jeans, maglioncino largo, giubbotto, un normal look tra la secchiona e la brava figliola, e appena valicato il controllo agli ingressi partono per il bagno, aprono lo zainetto, e oplà. In un amen, trasformazione estetica, jeans, maglioncino e giubbotto appallottolati dentro il suddetto zainetto, consegnato, previo pagamento di euro 9, alla cassa. A proposito di soldi: ai 9, si aggiungano i 10 euro dell'ingresso, e gli almeno 5 della seconda consumazione (la prima è gratis). Morale: escono non meno di 24 euro. Spesi bene? «E certo. In ogni modo, altrimenti, dove vado il sabato pomeriggio?». E dove potrebbero andare, inseguite, affascinate, sedotte come sono per tutta la settimana dai coetanei — la specialità qui è maschile — addetti alle pubbliche relazioni? I baby pr presidiano i corridoi delle scuole, i mezzanini del metrò, piazza Duomo, gli oratori, con in mano un plico di depliant che consegnano con il sorrisone e la promessa: «Vieni da noi, siamo il massimo dei massimi».

A fine giornata, i gestori prendono i depliant — lasciapassare per l'ingresso in discoteca —, che sopra hanno riportato un piccolo codice, corrispondente al nome di chi li ha piazzati, e contano. Se tal dei tali ha portato un bel numero di persone, in premio bevande gratis, biglietti gratis per le discoteche, tessere gratis per esclusivi privé di locali super-vip. Insomma, se uno s'impegna, è bravo, si sbatte, gli si aprono le porte dell'olimpo del divertimento, e allora ecco perché la ricerca di possibili clienti è una caccia estenuante, sfiancante, finanche stoica, addirittura eroica. Dicono: e i genitori? In questo sabato pomeriggio, di genitori manco l'ombra. Zero. Lo sanno i tuoi che andate in discoteca? «Cosaaaa?». Lo sanno i tuoi che andate in discoteca? «No. Cambia qualcosa?». Boh, forse sì, forse no. «Guarda che mica rubiamo o ammazziamo...». E, a dire il vero, manco si ubriacano: al bancone del bar, gli alcolici non ci sono. E, a ridir il vero, manco si drogano: qualche nuvoletta di canne, d'accordo, e però pasticche o cocaina non se ne vedono. Le nasconderanno? Forse sì, forse no. E comunque sia: l'imperativo è lo stesso. L'amore. Certi appostamenti, certi movimenti, certi affondi restano nella memoria. Con il maschietto piantato lì, come un baccalà e la faccia da finto duro, al centro dell'arena, e le ragazzine attorno che lo osservano, scrutano, bocciano o promuovono con un bacio, e dopo il bacio una chiacchierata e dopo la chiacchierata mani che frugano. Con le femminucce che svettano sui cubi e, sotto ai cubi, i ragazzi che sfilano in processione, uno dopo l'altro, e speranzosi s'affidano agli sguardi delle miss. Se parte l'occhiata, lei scende e si finisce su un divanetto a raccontarsela. Se l'occhiata manco è accennata, avanti il prossimo. E così per cinque ore, in un vortice di telefonini che scattano fotografie e mandano sms, senza sosta, senza interruzione, senza pause. Una frenesia di sudore arginata dal consumo in quantità industriale della bevanda che nella pubblicità ti mette le ali. Litri e litri di energia, sia mai faccia capolino la fatica o, peggio, la stanchezza, o, peggio del peggio, la voglia d'andarsene. Cinque, sei, settecento ingressi, ogni volta, allo Shocking. Altrettanti al Tocqueville. Generalizzando: lo Shocking ambito dai pischelli della Milano bene; il Tocqueville, amato da quelli delle periferie e dell'hinterland. Volgarizzando: «Al Tocqueville ci vanno i tamarri»; «Lo Shocking è il posto dei fighetti». Alla fine, beata gioventù. Toglietegli tutto, tranne che la baby discoteca. Sabato, i gestori del Tocqueville l'han tenuto chiuso perché, la settimana prima, c'era stato un rissone tra adolescenti agitati. E che rabbia, che indignazione, che dolore, tra le abituali clienti che ugualmente si sono messe in fila, sperando che i titolari ci ripensassero. Macché. E ora? «Ora è davvero un grandissimo casino». Scusate, c'è lo Shocking... «Mmmmm». E vabbé, fate uno sforzo, no? Si radunano in gruppo, sigaretta e uno sputo, uno sputo e una sigaretta: vuol dire che ci stanno pensando su, chissà, magari, per stavolta, si può fare un'eccezione. In nome dell'amore, s'intende.

Andrea Galli (CorSera)
20 novembre 2007



lemiemanisudite2.
00martedì 20 novembre 2007 15:21
Re: Che faccio, ci credo? Solito allarmismo? Boh ... ma intanto ... osservo.
CorContritumQuasiCinis, 20/11/2007 10.29:

Indagine choc della Società di Pediatria sulle teenager italiane, tra amore, alcol e fumo

Le ragazzine e il sesso: a 12 anni senza limiti

Alla domanda «Cosa vuoi fare da grande?» al primo posto la velina, al secondo «Non so»






Quando i dati vengono così poco analizzati e tendono allo shock fine a se stesso, non è che si aiuti molto l'umanità.
E' un argomento molto interessante, ma trattato così non ha molto senso.Ragazzi assatanati e genitori dementi. Bah!Mi pare un po' poco.









IoAnnarella
00martedì 20 novembre 2007 15:39
Re: Che faccio, ci credo? Solito allarmismo? Boh ... ma intanto ... osservo.
CorContritumQuasiCinis, 20/11/2007 10.29:

Indagine choc della Società di Pediatria sulle teenager italiane, tra amore, alcol e fumo
Le ragazzine e il sesso: a 12 anni senza limiti



Diedero questa notizia al TG l'altro giorno.
Fu letta in modo lapidario: semplicemente 2 parole per gettare un sasso nello stagno: "per saldare debiti di gioco, gli adolescenti costringono le loro coetanee a prostituirsi per strada".

Anche nell'articolo tale notizia è appena accennata.

E' questo il modo di diffondere una notizia così scioccante?
Dove stanno le famose 5 W, come, dove, quando, chi, perché?

Getto anch'io una pietra nello stagno: i genitori degli adolescenti di oggi chi sono? Non siamo forse noi?


mant(r)a
00martedì 20 novembre 2007 15:43
credo che l'unica soluzione sia la guerra.
IoAnnarella
00martedì 20 novembre 2007 15:45
Re:
mant(r)a, 20/11/2007 15.43:

credo che l'unica soluzione sia la guerra.



Forse anche una pestilenza, che ne pensi?

Oppure una piaga biblica, come lo sterminio dei primogeniti maschi o qualcosa del genere?

Oppure l'invasione degli ultracorpi...

lemiemanisudite2.
00martedì 20 novembre 2007 15:56
Re: Re: Che faccio, ci credo? Solito allarmismo? Boh ... ma intanto ... osservo.
IoAnnarella, 20/11/2007 15.39:




Getto anch'io una pietra nello stagno: i genitori degli adolescenti di oggi chi sono? Non siamo forse noi?





I genitori di questi adolescenti sono quelli che hanno come motto "Non è importante la quantità, ma la qualità del tempo che passi con i tuoi figli". La verità è che ha ragione Mattia.





mant(r)a
00martedì 20 novembre 2007 16:05
Re: Re:
IoAnnarella, 20/11/2007 15.45:



Forse anche una pestilenza, che ne pensi?

Oppure una piaga biblica, come lo sterminio dei primogeniti maschi o qualcosa del genere?

Oppure l'invasione degli ultracorpi...



no no, proprio la guerra. alle piaghe bibliche oramai non ci crede più nessuno.
farebbe un po' di spazio, riassetterebbe qualche coscienza, solleverebbe l'economia riazzerandola, farebbe conoscere il patimento a puttanelle e puttanieri, reintrodurrebbe un certo concetto di onore. a me per primo.

non c'è pedagogia che tenga. quello che ti insegna la povertà sincera ed onesta non te lo dà nessuno.


io tifo per la guerra in Europa. ma anche in Nord America ed in Cina lì e là non sarebbe male. dice che scoppierà nel 2012, speriamo.
IoAnnarella
00martedì 20 novembre 2007 16:24
Re: Re: Re:
mant(r)a, 20/11/2007 16.05:



non c'è pedagogia che tenga. quello che ti insegna la povertà sincera ed onesta non te lo dà nessuno.




Non sono d'accordo. E' vero che la povertà sincera e onesta è una delle più grandi maestre di vita; tuttavia, io non so rassegnarmi alla necessità di associare il benessere alla perdita di moralità...perché è di questo che si parla, no?

Un tipo che conosco non ha la TV e proibisce ai figli (9, 7 e 5 anni) di andare dagli amici, perché non si abbrutiscano andando a guardare le trasmissioni in casa d'altri.

Non è la privazione che ti insegna a vivere. Almeno non è l'unica strada...

Sulla necessità delle guerre di "pulizia", beh, raccolgo il paradosso ma non mi pronuncio.

Dico solo che mio padre - com'era bello mio padre! - che era adolescente durante la guerra in zona occupata dai nazisti, a volte diceva di me: "Questa (cioè, io), non è capace neanche di mangiare pane e cipolle (che poi mi piacciono moltissimo)! In tempi di guerra sarebbe la prima a morire di stenti!". E lo diceva con seria preoccupazione. :-)

mant(r)a
00martedì 20 novembre 2007 16:40
Re: Re: Re: Re:
IoAnnarella, 20/11/2007 16.24:



Non sono d'accordo. E' vero che la povertà sincera e onesta è una delle più grandi maestre di vita; tuttavia, io non so rassegnarmi alla necessità di associare il benessere alla perdita di moralità...perché è di questo che si parla, no?

Un tipo che conosco non ha la TV e proibisce ai figli (9, 7 e 5 anni) di andare dagli amici, perché non si abbrutiscano andando a guardare le trasmissioni in casa d'altri.

Non è la privazione che ti insegna a vivere. Almeno non è l'unica strada...

Sulla necessità delle guerre di "pulizia", beh, raccolgo il paradosso ma non mi pronuncio.

Dico solo che mio padre - com'era bello mio padre! - che era adolescente durante la guerra in zona occupata dai nazisti, a volte diceva di me: "Questa (cioè, io), non è capace neanche di mangiare pane e cipolle (che poi mi piacciono moltissimo)! In tempi di guerra sarebbe la prima a morire di stenti!". E lo diceva con seria preoccupazione. :-)





io invece mi so rassegnare. eppure ho giusto 24 anni.
non è arresa, è disfattismo. per me i giovincelli d'oggi, me compreso, non sono che pappemolli. io ci provo con tutti i mezzi ad essere me, forte, di ferro, onesto, retto, fermo, affratellante, cercando fino a spaccarmi le ginocchia quel che conta davvero. per un motivo (a volte mio) o per un altro (il mondo/sistema dove vivo) non mi è possibile riuscirci.

ci vorrebbe un po' di buonsenso, insomma, non la forzata stonatura della costrizione a fare e guardare certe cose piuttosto che altre, che poi sarebbe un'altra forma di abbrutimento. insomma, viviamo al mondo comodo d'oggi, tocca analizzare questo, non il passato.

correggerei una tua parola, benessere, con benestare.

che ci siano mille strade è pur vero, bisogna anche vedere attraverso cosa passano. è anche vero che il modo di vivere occidentalista odierno non le ammette tutte. il degrado ed il degenero generali sono cosa comune a più livelli, non solo quello sociale. (ma parlare di quello politico adesso ha poco senso). l'unica cosa che ti insegna veramente qualcosa, dico, è l'esperienza mista ad un sentimento sincero di compassione. oggi non esistono né onore né compassione. la parola data vola via o torna indietro, ci sono migliaia di scappatoi alle proprie responsabilità ed in ogni frangente, mille scuse come la gioventù (quella che non hanno vissuto i padri o i nonni ci si riversa sulle teste con una oga ed una forza distruttrice inimmaginabile), come l'inesperienza, mille previsioni con tanti bei Cambierà, Lascia fare, Sono ragazzi, Io esigo per mio figlio tutto il meglio, (hai mai assistito alle riunioni scolastiche fra professori e genitori?).
per quanto possa sembrare tragico per me c'è solo da fare reset.
per quanto possa impegnarmi e bruciarmi i polpastrelli cercando d'aggrpparmi il più forte possibile per tutta la vita cercando di rimanere una non unica isola il mio sforzo non sarà mai servito socialmente a niente. le uniche speranze che si possono nutrire sono plausibili solo nel proprio piccolo. e forse è una fortuna.
CorContritumQuasiCinis
00martedì 20 novembre 2007 18:28
I miei voli pindarici ...

Mi avete fatto tornare in mente una cosa che tempo addietro, in uno dei suoi ultimi concerti - se non l'ultimo - ebbe a dire De André riguardo ai "giovani".

“Non ho ancora capito bene, malgrado i miei 58 anni, che cosa sia la virtù e che cosa esattamente sia l’errore: credo che ci sia un gran tormento sulla perdita di valori; bisogna aspettare di storicizzarli, io penso che i giovani di oggi non è che non abbiamo valori; hanno dei valori che noi non siamo riusciti a capire bene, perché siamo troppo affezionati ai nostri.”

Non so se son d'accordo con Fabrizio (e sarebbe la prima volta), ma quanto m'induce a riflettere quell'ipse dixit!


IoAnnarella
00martedì 20 novembre 2007 18:36
Re: Re: Re: Re: Re:
mant(r)a, 20/11/2007 16.40:




io invece mi so rassegnare. eppure ho giusto 24 anni.
non è arresa, è disfattismo. per me i giovincelli d'oggi, me compreso, non sono che pappemolli. io ci provo con tutti i mezzi ad essere me, forte, di ferro, onesto, retto, fermo, affratellante, cercando fino a spaccarmi le ginocchia quel che conta davvero. per un motivo (a volte mio) o per un altro (il mondo/sistema dove vivo) non mi è possibile riuscirci.

ci vorrebbe un po' di buonsenso, insomma, non la forzata stonatura della costrizione a fare e guardare certe cose piuttosto che altre, che poi sarebbe un'altra forma di abbrutimento. insomma, viviamo al mondo comodo d'oggi, tocca analizzare questo, non il passato.

correggerei una tua parola, benessere, con benestare.

che ci siano mille strade è pur vero, bisogna anche vedere attraverso cosa passano. è anche vero che il modo di vivere occidentalista odierno non le ammette tutte. il degrado ed il degenero generali sono cosa comune a più livelli, non solo quello sociale. (ma parlare di quello politico adesso ha poco senso). l'unica cosa che ti insegna veramente qualcosa, dico, è l'esperienza mista ad un sentimento sincero di compassione. oggi non esistono né onore né compassione. la parola data vola via o torna indietro, ci sono migliaia di scappatoi alle proprie responsabilità ed in ogni frangente, mille scuse come la gioventù (quella che non hanno vissuto i padri o i nonni ci si riversa sulle teste con una oga ed una forza distruttrice inimmaginabile), come l'inesperienza, mille previsioni con tanti bei Cambierà, Lascia fare, Sono ragazzi, Io esigo per mio figlio tutto il meglio, (hai mai assistito alle riunioni scolastiche fra professori e genitori?).
per quanto possa sembrare tragico per me c'è solo da fare reset.
per quanto possa impegnarmi e bruciarmi i polpastrelli cercando d'aggrpparmi il più forte possibile per tutta la vita cercando di rimanere una non unica isola il mio sforzo non sarà mai servito socialmente a niente. le uniche speranze che si possono nutrire sono plausibili solo nel proprio piccolo. e forse è una fortuna.




Non so risponderti.
Davvero.
Ci rifletterò su e forse domani mi verrà in mente qualcosa di non banale.

Quello che posso dire adesso è che sembri lucido, anche nei tuoi apparenti deliri, intelligente e sveglio.
Conosco molti giovani come te (e non parlo da "vecchia").
Per questo non riesco a rassegnarmi.
E quando qualcuno di anziano (più di me) stenta a riconoscere i valori dei giovani, istintivamente penso a qualcosa di molto simile alle parole di De André.

Comunque, mi riservo di riflettere ancora sulle tue parole scorate.


lemiemanisudite2.
00mercoledì 21 novembre 2007 10:33
La strage delle innocenti


Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Roma sabato 24


In dodici mesi un milione di donne ha subito violenze
Per le più giovani ancora oggi è questa la prima causa di morte

L'ultimo stupro ieri, a Pordenone, in pieno centro: lei ghanese, lui italiano


Un manifesto contro la violenza
di ANNA BANDETTINI


MILANO - I loro nomi, le loro storie restano come memorie, la prova di una verità odiosa, crudele: Hina accoltellata a Brescia dal padre, Vjosa uccisa dal marito a Reggio Emilia, Paola violentata a Torre del Lago, Sara colpita a morte da un amico a Torino... L'ultima è stata resa nota ieri: una ventenne originaria del Ghana, costretta ad un rapporto sessuale in pieno centro a Pordenone.

In Italia, negli ultimi dodici mesi, un milione di donne ha subito violenza, fisica o sessuale. Solo nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141 sono state oggetto di tentato omicidio, 1805 sono state abusate, 10.383 sono state vittime di pugni, botte, bruciature, ossa rotte. Leggevamo che le donne subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c'è odio razziale, dove c'è povertà, ignoranza, non da noi.

Eccola la realtà: in Italia più di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, ci dicono i dati Istat e del Viminale che riportano un altro dato avvilente.
Le vittime - soprattutto tra i 25 e i 40 anni - sono in numero maggiore donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro emancipazione culturale, economica, la loro autonomia e libertà. Da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una piaga sociale, come le morti sul lavoro e la mafia. Ogni giorno, da Bolzano a Catania, sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi. Il 22 per cento in più rispetto all'anno scorso, secondo l'allarme lanciato lo scorso giugno dal ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, firmataria di un disegno di legge, il primo in Italia specificatamente su questo reato ora all'esame in commissione Giustizia.

"È un femminicidio", accusano i movimenti femminili, "violenza maschile contro le donne": così sarà anche scritto nello striscione d'apertura del corteo a Roma di sabato 24, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall'Onu, una manifestazione nazionale che ha trovato l'adesione di centinaia di associazioni impegnate da anni a denunciare una realtà spietata che getta un'ombra inquietante sul tessuto delle relazioni uomo-donna.

Sì, perché il pericolo per le donne è la strada, la notte, ma lo è molto di più, la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verità molto più brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia, solida o dissestata, borghese o povera, "si confonde con gli affetti, si annida là dove il potere maschile è sempre stato considerato naturale", come spiega Lea Melandri, saggista e femminista.

L'indagine Istat del 2006, denuncia che il 62 per cento delle donne è maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3 per cento nei casi di violenza sessuale, e il 69,7 per cento per lo stupro. "Da anni ripetiamo che è la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita", denuncia "Nondasola", la Casa delle donne di Reggio Emilia a cui si era rivolta Vjosa uccisa dal marito da cui aveva deciso di separarsi. "Da noi partner e persone conosciute sono i colpevoli nel 90 per cento delle violenze che vediamo. E purtroppo c'è un aumento", dice Marisa Guarnieri presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano. "All'interno delle mura domestiche la violenza ha spesso le forme di autentici annientamenti - spiega Marina Pasqua, avvocato, impegnata nel centro antiviolenza di Cosenza, una media di 800 telefonate di denuncia l'anno - Si comincia isolando la donna dal contesto amicale, poi proibendo l'uso del telefono, poi si passa alle minacce e così via in una escalation che non ha fine".

In Italia, l'indagine Istat ha contato 2 milioni e 77mila casi di questi comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di vivere. "Nella nostra esperienza si comincia con lo stalking e si finisce con un omicidio", accusa Marisa Guarnieri. Per questo le donne dei centri antiviolenza hanno visto positivamente l'approvazione, lo scorso 14 novembre in Commissione Giustizia, del testo base sui reati di stalking e omofobia.

Sanzionare penalmente lo stalking, significa, tanto per cominciare, riconoscerlo. "Molte donne vengono qui da noi malmenate o peggio e parlano di disavventura. Ragazze che dicono "me la sono cercata", donne sposate che si scusano: "lui è sempre stato nervoso"...", racconta Daniela Fantini, ginecologa del Soccorso Violenza Sessuale di Milano, nato undici anni fa per iniziativa di Alessandra Kusterman all'interno della clinica Mangiagalli di Milano. È in posti come questo, dove mediamente arrivano cinque casi a settimana, che diventa evidente un altro dato angoscioso: come intrappolate nel loro dolore, il 96% delle donne non denuncia la violenza subita, forse per paura. Forse perché non si denuncia chi si ha amato, forse perché non si hanno le parole per dirlo.

La manifestazione di sabato a Roma vuole spezzare proprio questo silenzio. "Una occasione per prendere parola nello spazio pubblico", come dice Monica Pepe del comitato "controviolenzadonne" che vorrebbe un corteo di sole donne. E Lea Melandri: "Manifestiamo per dire che la violenza non è un problema di pubblica sicurezza, né un crimine di altre culture da reprimere con rimpatri forzati, e che per vincerla va fatta un'azione a largo raggio". Va fatta una legge, concordano tutti. "Speriamo di arrivarci in tempi brevi - promette Alfonsina Rinaldi del ministero per le Pari Opportunità - Oggi abbiamo finalmente le risorse per lanciare l'osservatorio sulla violenza e in Finanziaria ci sono 20 milioni di euro per redarre il piano antiviolenza".

"Serve una legge che non cerchi scorciatoie securitarie ma punti a snidare la cultura che produce la violenza - dice Assunta Sarlo tra le fondatrici del movimento "Usciamo dal silenzio" - Una legge come quella spagnola, la prima che il governo Zapatero ha voluto perché riguarda la più brutale delle diseguaglianze causata dal fatto che gli aggressori non riconoscono alle donne autonomia, responsabilità e capacità di scelta. Ecco il salto culturale. Chiediamo che anche da noi il tema della violenza sia assunto al primo punto nell'agenda politica dei governi.

Chiediamo un provvedimento che dia risorse ai centri antiviolenza e sistemi di controllo della pubblicità e dei media, cattivi maestri nel perpetuare stereotipi che impongono sulle donne il modello "fedele e sexy". E chiediamo agli uomini di starci accanto, di fare battaglia con noi".

Qualcuno si è già mosso. Gli uominidell'associazione "Maschileplurale", per esempio, che aderiscono alla manifestazione romana. "Sì, gli uomini devono farsene carico. La violenza è un problema loro, non delle donne - dice Clara Jourdan, della "Libreria delle Donne" di Milano, storico luogo del femminismo italiano - Sarebbe ora che cominciassero a interrogarsi sulla sessualità e sul perché dei loro comportamenti violenti. E riconoscere l'altro, il maschile, potrebbe essere utile anche alle donne". Nel caso, a fuggire per tempo.

mant(r)a
00mercoledì 21 novembre 2007 13:36
Re: Re: Re: Re: Re: Re:
IoAnnarella, 20/11/2007 18.36:




...

Quello che posso dire adesso è che sembri lucido, anche nei tuoi apparenti deliri, intelligente e sveglio.

...




apparenti?
[SM=g27820] [SM=g27828]


lucido sì, ma intelligente e sveglio mai stato.
NelMentre
00mercoledì 21 novembre 2007 15:31

non so se qualcuno lo aveva già postato...
da http://veritaperaldo.noblogs.org/



VERITA’ PER ALDO

Il carcere? sicuro da morire!

Aldo Bianzino e la sua compagna Roberta il 12 ottobre sono stati arrestai con l’accusa di possedere e coltivare alcune piante di marijuana. Trasferiti il giorno dopo al carcere di Capanne, sono separati. Roberta condotta in cella con altre donne, Aldo, in isolamento.

Da quel momento Roberta non vedrà più il suo compagno lasciato in buone condizioni di salute. La mattina seguente, domenica 14 ottobre alle 8,15, la polizia penitenziaria entrata nella cella, trova Aldo agonizzante che poco dopo muore.

Immediatamente la ex moglie, la compagna, i figli e gli amici si mobilitano per fare chiarezza su questa ingiusta morte chiedendo verità e giustizia perchè di carcere non si può morire!

Di fatto dopo un goffo tentativo di insabbiamento da parte delle autorità carcerarie (le prime indiscrezioni psulle cause della sulla morte si riferivano ad un improbabile infarto) famiglia e amici vengono a sapere che dall’autopsia risulta che Aldo è stato vittima di un vero e proprio pestaggio, il corpo infatti presentava una frattura alle costole, gravi lesioni al fegato, alla milza e al cervello.

Aldo Bianzino è morto ormai da più di due settimane.

Il silenzio delle istituzioni e dei rappresentanti della politica, dei cosiddetti garanti della nostra sicurezza sociale è assordante.

Indaffarati a sperimentare modelli di governance escludenti, a scagliarsi contro ambulanti, lavavetri, vagabondi, non hanno trovato, non stanno trovando, non trovano il tempo per superare l’alone di impunità, per denunciare chi umilia le persone sotto custodia, infligge sofferenze fisiche e psichiche ai detenuti, uccide.

E' tempo per noi di prendere posizione, spazio e voce.

Di raccontare. Di mantenere viva la memoria collettiva. Di evitare pericolosi insabbiamenti e difendere le nostre esistenze e le nostre pratiche identitarie da abusi, repressioni e pestaggi, “venduti”come atti di legalità.

E’ tempo di disinnescare le “paranoie” securitarie e arrestare le aggressioni proibizioniste, disattivare le dinamiche di esclusione e di controllo sui corpi.

Di resistere alla criminalizzazione degli stili di vita, alla violenza dell’intolleranza, all’esercizio arbitrario dei poteri di repressione e di controllo, alla manipolazione dell’informazione.

E’ tempo di agire, di porre interrogativi a chiunque desideri verità e giustizia per Aldo Bianzino, Giuseppe Ales, Federico Aldrovandi, Alberto Mercuriali. Marcello Lonzi.

E’ tempo di reclamare la scarcerazione immediata dei 5 ragazzi di Spoleto, vittime di una perversa applicazione del 270bis, strumento di controllo e intimidazione preventiva utilizzato ormai per sedare qualunque forma di dissenso.

E’ tempo di costituirci in comitato per la verità su Aldo, di ottenere verità e giustizia sugli omicidi di stato, di abrogare la legge Fini-Giovanardi e reclamare la fine di ogni proibizionismo, di contrastare e opporci ad una società che sempre meno tollera qualsiasi espressione fuori dalla norma, di farci carico delle sorti dei processi per il g8 di Genova rispondendo ai pruriti vendicativi del potere con una manifestazione nazionale che contrasti e interrompa la costruzione di processi di oblio e rimozione collettiva.
mant(r)a
00venerdì 30 novembre 2007 12:29
(ANSA) - GROSSETO, 19 OTT - La moglie rifiuta di pulire le trote pescate dal marito e lui esplode un colpo di 44 Magnun in aria forando il soffitto di casa. E' accaduto ad Arcidosso, comune del Monte Amiata grossetano. L'uomo, 46 anni, e' stato denunciato per minacce aggravate, lesioni personali e detenzione illegale, perche' eccessiva, di munizioni.




ma in verità era un fucile.
bravo Portobello.
mant(r)a
00sabato 1 dicembre 2007 13:42
non siamo mica nel far-west.
lemiemanisudite2.
00martedì 4 dicembre 2007 12:04


La liberazione nella sofferenza

Gianni Vattimo


Non si fa dell'ironia gratuita se si dice che anche questa ultima enciclica di Benedetto XVI dedicata appunto alla speranza, non riesce ad apparirci solo come un ennesimo documento proveniente da una cattedra di conservazione sociale, di banalizzazione delle aspettative etiche, di sostanziale ipocrisia, tratti che troppo spesso siamo legittimati ad attribuire all'insegnamento della Chiesa post e anticonciliare dei nostri giorni. Ogni volta rinasce in noi la speranza che appaia un segno di cambiamento capace di ridarci il gusto di appartenere alla chiesa di Cristo. L'enciclica pubblicata oggi poteva essere una grande occasione di risuscitare questa speranza
Abbiamo subito pensato agli anni trascorsi del prof. Ratzinger a Tubinga quando vi insegnava, se non sbagliamo, anche Ernst Bloch, autore di quel monumentale Principio Speranza che Benedetto XVI non ricorda affatto nelle sue numerose citazioni, del resto prevalentemente riferite ai Padri della chiesa e accuratamente prive di ogni richiamo alla teologia contemporanea. Illusione e delusione, dunque, sono le prime impressioni che ricaviamo dalla lettura che abbiamo potuto fare del testo. Ammiriamo sempre l'aspetto dotto, quasi «scientifico», dei discorsi teologici che possono giovarsi di una tradizione testuale e interpretativa così vasta, che non possiamo mai ridurre alla semplice «astuzia dei preti», come farebbe qualche autore ateo di successo. Quelle pagine e quegli autori sono tracce di esperienze autenticamente vissute e spesso di vere e proprie vite di santità che non riusciamo a banalizzare. Ma allora perché delusione? Si riassume nella già notata assenza di Bloch - che potremmo anche accettare, visto che non è un teologo cristiano. Ma che dire dell'assenza della teologia della liberazione, o di autori come Moltmann e altri che hanno cercato di dare un contenuto non puramente «spiritualistico» alla dottrina cristiana della speranza? Qui si tocca il senso stesso della trattazione ratzingeriana. Che mette subito le mani avanti, nel paragrafo 4 del testo, dove dice che «il cristianesimo non aveva portato un messaggio sociale-rivoluzionario come quello con cui Spartaco, in lotte cruente, aveva fallito». Non si esagera se si vede in questa frase, compresa la sua conclusione, la vera e propria cifra del discorso papale. Importa sottolineare la conclusione. Che la speranza portata da Gesù al mondo non possa e debba essere letta in termini di rinnovamento politico-sociale - come verosimilmente fu letta anzitutto da coloro che se ne vollero sbarazzare mettendolo in croce - è come dimostrato dal fallimento storico di rivolte come quella di Spartaco. Più avanti (per esempio, paragrafo 21), sarà questa la ragione per rifiutare il messaggio rivoluzionario di Marx, al quale viene rivolta l'obiezione, invero ormai piuttosto frusta, per la quale il comunismo sarebbe una pretesa di realizzare il regno di dio sulla terra, impresa evidentemente (?) impossibile e quindi destinata fatalmente a degenerare in violenza. Nelle stesse righe in cui si obietta a Marx di aver dimenticato l'uomo, «che rimane sempre uomo» (e cioè imperfetto e incapace di uscire dallo stato di imperfezione: la ballata del vescovo di Ulm di Bertolt Brecht!), si dice anche che Marx ha ispirato bensì il rovesciamento del vecchio ordine, ma non ha indicato come procedere oltre, sicché il povero Lenin dovette rassegnarsi a sperare che lo stato si dissolvesse da sé. Già, sia detto di passata: ma quali indicazioni pratiche ci sarebbero nella «vera» speranza cristiana? La preghiera, lo sguardo al giudizio finale dove dio ristabilirà la giustizia, e «agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza». Anche in queste pagine conclusive - dove forse una grande novità ci sarebbe, nel senso che il papa dà buone ragioni per non credere più alle fiamme dell'inferno e nemmeno all'eternità della pena per i dannati (un inferno «pugatorizzato», diremmo, paragrafo 47) - si risente il limite di puro spiritualismo che conferisce un senso del tutto astratto e forse retorico alla dottrina ratzingeriana della speranza. Agire e soffrire sono esercizi di speranza, e di speranza condivisa, in quanto il cristiano soffre con il prossimo e non si sente mai solo. Ma non sarebbe giusto accentuare un po' di più l'agire, oltre al soffrire? E' invece su quest'ultimo che si pone sempre l'accento, secondo una linea che del resto domina la tradizione cristiana nella quale - ma ormai non pochi teologi cominciano a dubitarne - Gesù soffre in croce perché è la vittima capace di soddisfare l'ira del Padre a causa del peccato originale.. Di qui l'esaltazione della sofferenza come merito. E agire con gli altri e soffrire con loro non ha mai - come dovrebbe - il senso di una lotta comune contro ciò che produce sofferenza. Anche se il solo esempio evangelico di giustizia divina che il papa cita è quello del ricco Epulone che dovrebbe espiare la sua tracotanza e il suo attaccamento ai bei terreni, non è nemmeno sfiorato dal sospetto che bene e male abbiano da fare con l'ineguale distribuzione delle ricchezze e del potere. Dimenticare Bloch non è stata effettivamente una buona idea.
lemiemanisudite2.
00mercoledì 9 gennaio 2008 11:08

Intervista a Stefano Rodotà

«Politici, liberateci dalla vostra coscienza»

Eleonora Martini(Manifesto)


Non la considera una provocazione, una trappola tesa alla maggioranza di governo. Stefano Rodotà, giurista ed ex garante della privacy, crede invece che sia giusto valutare «con altro metro» la proposta di una «moratoria» sull'aborto lanciata dal Foglio di Giuliano Ferrara: «È il sintomo della grave regressione culturale e politica che stiamo vivendo», afferma. «Questo dibattito sta creando un clima che tende a rimettere in discussione, nel modo peggiore, un'acquisizione culturale e legislativa molto importante. Queste sono battaglie di lungo periodo che sarebbe un errore di sottovalutazione leggere solo con l'attualità. Non è affatto vero che a breve ci lasceremo alle spalle questa polemica: è stato introdotto nella discussione culturale italiana un tema che può avere effetti molto gravi».

Vale la pena parlare nel merito della proposta di una «moratoria» sull'aborto da portare in sede Onu al pari di quella contro la pena di morte?

Io parlerei piuttosto del clima che è stato creato per riproporre il tema della revisione della legge 194 e in genere per affrontare la questione dell'aborto. Ecco, penso che corrisponda perfettamente alla regressione culturale che stiamo vivendo. Lo dico per diverse ragioni, prima fra tutte l'improponibilità del paragone con la pena di morte: l'associazione con la moratoria dell'Onu è stato un colpo mediatico ma certamente non un contributo alla discussione seria di un tema che ha bisogno di grande consapevolezza culturale. L'aborto non è il risultato di politiche dissennate di chi non rispetta la vita ma è qualcosa che si può dire accompagna antropologicamente il genere umano.

La consapevolezza era il primo insegnamento del pensiero delle donne...

Sì, e in questo dibattito è stato completamente cancellato. La donna è sparita da questa discussione, è diventata semplicemente l'oggetto di macchine di dissuasione spacciate per politiche di di prevenzione. Quello che si cerca di sostenere - per esempio mettendo su comitati medici composti anche da psichiatri che dovrebbero valutare le richieste di aborto - è il presupposto che la donna non abbia autonomia di giudizio, capacità di decisione responsabile. La prevenzione poi è intesa solo come politica di dissuasione, anziché di informazione sulla contraccezione, compresa la pillola del giorno dopo che invece viene demonizzata, e sulla disponibilità di servizi sociali adeguati per le donne madri. Con questa politica di dissuasione, in altri tempi si arrivò fino all'aberrazione di proporre un premio per le donne che rinunciavano all'interruzione della gravidanza. Una delle cose più orribili per una società: comprare un bambino non curandosi del dramma psicologico e sociale che ciò produce.

E la sinistra si salva da questa regressione culturale?

Una parte della sinistra e del centrosinistra di fronte a questa offensiva mostra tutta la sua debolezza, la sua incapacità di reazione culturale prima ancora che politica: un altro aspetto della regressione che viviamo. Parlando della legge 194 bisognerebbe ricordare alcuni dati di fatto: l'abbattimento del numero di aborti, l'emersione dalla clandestinità che mieteva molte vittime, la fine del turismo abortivo che era un privilegio di classe, di chi poteva premettersi di prendere un charter per l'Inghilterra. Sempre per essere consapevoli della realtà, va ricordato che le politiche proibizioniste nei paesi come l'India dove si pratica l'aborto selettivo delle femmine sono state inefficaci perché aggirate con mille espedienti. E quando in quei paesi non era legalizzato l'aborto, le bambine nascevano e venivano ammazzate. L'aborto selettivo delle femmine è una prassi così antica che non si cancella da un giorno all'altro.

E sicuramente non si cancella promuovendo la cultura fondamentalista che vede la donna come un animale procreativo...

Assolutamente. L'idea della donna come contenitore, sul cui corpo il legislatore può impunemente legiferare senza tenere conto della sua volontà, è di nuovo un frutto della regressione culturale. Abbiamo letto in questi giorni un dato inquietante: in Lombardia due terzi dei medici sono obiettori di coscienza. Questo è un fatto grave e mi ricorda che già dopo la legge c'era chi chiedeva l'obiezione perfino per i portantini o per i cuochi dei reparti dove venivano praticati gli aborti. Fin da allora si voleva costringere la donna ad una condizione umiliante, invece di fornire un servizio adeguato. Allo stesso modo, l'accettazione sociale dell'handicap non è una predica da fare alla donna: è la disponibilità di servizi, di sostegno, di investimenti sociali.

Di nuovo si parla di rischio di eugenetica, uno spettro adombrato di tanto in tanto dalla destra e dalle gerarchie cattoliche...

Se non c'è una componente terroristica nella campagna anti interruzione di gravidanza, le argomentazioni finiscono per incidere assai poco. Ricordo benissimo che durante la campagna referendaria per la legge 194 il deputato democristiano Carlo Casini, oggi parlamentare europeo, andava in giro con un feto dentro un boccione. Si ricordi che i sostenitori della legge 40 difendevano il divieto per la diagnosi preimpianto dicendo che in caso di malformazioni la donna avrebbe potuto sempre ricorrere all'aborto terapeutico nel corso della gravidanza. Insomma, questo discorso sull'eugenetica non è posto con dati probanti e rimanda invece a una cultura che vuole la donna prigioniera di una sorta di pregiudizio negativo, non come un essere responsabile che manifesta il suo diritto a una scelta libera e individuale.

Si antepone invece la libertà di coscienza dei politici, non le pare?

Per carità, la libertà di coscienza va sempre presa in considerazione. Ma in realtà in queste materie cosiddette eticamente sensibili e che riguardano decisioni individuali, la libertà di coscienza che deve essere rispettata è quella della persona che deve prendere la decisione. Il punto chiave non è la libertà di coscienza del politico ma il fatto che la legge non può espropriare la libertà di coscienza di ciascuno di noi. E questo è un limite all'invasività della politica e all'uso proibizionista della legge. Inoltre è anche evidente che così la politica perde il suo senso di grande dibattito pubblico e si privatizza, e anche questo è sintomo della regressione culturale. Il confronto tra le idee lascia il posto all'arroccamento sulla torre d'avorio della propria coscienza, della quale non si risponde né alla politica né alla collettività. Ma attenzione all'effetto cascata delle obiezioni di coscienza: perché allora un giudice non potrebbe rifiutarsi di applicare una legge non conforme alla propria coscienza?



lemiemanisudite2.
00mercoledì 16 gennaio 2008 12:29
Aborto diritto delle donne

L'Espresso del 11 gennaio 2008
di Umberto Galimberti

Giuliano Ferrara, non so se in accordo preventivo con le gerarchie ecclesiastiche, o con le gerarchie ecclesiasti­che subito al seguito della sua iniziativa, ha approfittato della re­cente approvazione all'Onu della mora­toria sulla pena di morte per estendere analoga moratoria alla pratica dell'abor­to. In questo modo ha rimesso in discus­sione la legge 194, approvata con un re­ferendum degli italiani trent'anni fa, tra­scurando il fatto che questa legge, oltre a rendere drasticamente marginali gli aborti clandestini, ha ridotto del 40 per cento le pratiche abortive. Ora, se consideriamo che compito dello Stato non è costruire la " città ideale ", ma ridurre il più possibile il male nella "cit­tà reale", dobbiamo dire che questa leg­ge ha funzionato ed è entrata nella sensi­bilità comune degli italiani e soprattutto nel vissuto delle donne, sul cui corpo lo Stato non può decidere, né nella forma dell'aborto forzato come accade in Cina, né nella forma della proibizione del­l'aborto come si vorrebbe da noi, perché in entrambi i casi significa considerare la donna non come "persona" e quindi co­me soggetto di libere scelte, ma come semplice "funzionaria della specie", quindi sotto un profilo che non esitiamo a definire di "bieco materialismo", in barba a tutti i valori spirituali che si vor­rebbero difendere con la proibizione ge­neralizzata della pratica dell'aborto. La grande contraddizione. Per rendercene conto è sufficiente considerare l'insanabile contraddizione che esiste tra la "natura" e l'"individuo". La natura quasi sempre rifiuta l'aborto perché, per la conservazione della specie, ha bisogno di tanta vita. Non perché la vita sia "sacra". Alla natura non appartengono giudizi di valore. Per questo essa spreca tante vite senza rimpianto. Nel suo ciclo crudele e innocente di vita e di morte, alla natura i singoli individui in­teressano solo in quanto riproduttivi. Le loro biografie, le loro storie, i loro proget­ti, i loro sogni, il senso che essi cercano nel breve tragitto della loro esistenza, alla na­tura non interessano proprio nulla perché, come vuole l'immagine di Goethe: «Nel vortice della sua danza sfrenata la natura si lascia andare con noi, finché siamo stan­chi e le cadiamo dalle braccia. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere moka vita. Sembra che abbia puntato tutto sull'indivi­dualità, eppure niente le importa de­gli individui».



Questa, tra natura e individuo, è la grande contraddizione che nel corpo della donna, dove le esigenze della na­tura e quelle della propria soggettivi­tà confliggono, diventa la grande lacerazione che non consente sempre alla donna di coincidere con l'istanza materna e all'istanza materna di esse­re sempre compatibile con la realizza­zione della propria individualità. L'aborto è solo il drammatico epilogo di questa lacerante contraddizione, che viene prima di tutte quelle giustifica­zioni razionali, assolutamente da non tra­scurare, che sono l'età in cui si resta incin­te, il numero dei figli già nati, le risorse economiche della fami­glia, il costo delle abi­tazioni, la scarsa di­sponibilità di nidi e di asili, la sempre mag­gior difficoltà delle fa­miglie nucleari di oggi di farsi aiutare. Tutte queste ragioni vengono dopo, mol­to dopo. Prima di queste, inconfessatamente, segretamen­te, inconsciamente, c'è il rifiuto della donna di consegnarsi ineluttabilmente e incondizionatamente alle richieste della natura, che guarda gli individui esclusi­vamente come fattori riproduttivi per la sua autoconservazione. Nella donna, in­fatti, tra la sua soggettività e il suo essere madre può non esserci coincidenza, e l'aborto è il gesto drammatico che sanci­sce questa lacerante distanza. I rappresentanti dei vari "movimenti per la vita", oggi impegnati nei consultori a di­spensare i loro consigli, non conoscono questa lacerazione. Con la parola "vita" essi pensano alla vita della "natura" non a quella dell'"individuo", dimenticando che è stato proprio il cristianesimo a far nasce­re e a far crescere il concetto di "indivi­duo" . E lo ha fatto emancipando la persona dall'ordine naturale, per instaurarla come compiuta soggettività, a cui compe-te capacità di discernimento e libero arbitrio. Si è dimenticata la Chiesa di questo suo principio che ha dato forma alla cultu­ra occidentale, rendendola riconoscibile e differenziandola dalle altre culture proprio a partire da questo suo dettato? Non è chi non vede, infatti, che la vita e gli interessi dell'individuo non coincidono sempre e in ogni caso con la vita e l'interes­se della specie. Non è una faccenda di egoismo, quindi una faccenda morale. È il segno di una contraddizione insanabile tra la vita della natura e la vita dell'uomo che, a differenza dell'animale, non coincide per­fettamente con l'ordine naturale. L'aborto, che gli animali non praticano, è uno dei se­gni evidenti di questa non coincidenza. Per una morale laica. Si dirà: non è necessa­rio arrivare all'aborto, ci sono i contraccet­tivi o la pillola del giorno dopo per evitare gravidanze indesiderate. È vero. L'obiezione è ineccepibile e, a parte la riprovazione della morale cattolica anche in ordine all'uso dei contraccettivi e della pillola RU486, un'adeguata informazione e una corretta educazione sessuale nelle nostre scuole sarebbe davvero auspicabile. Certa­mente più utile delle crociate anti-abortiste, che servono solo a colpevolizzare chi non trova una via d'uscita nella morsa del conflitto tra individuo e natura. Ma neppure questo in Italia si riesce a fare per l'intollerabile ossequio della nostra po­litica alle indicazioni che provengono dal­la gerarchia ecclesiastica. Per un deficit in­sopportabile di laicità. E quindi di demo­crazia . Perché come è vero che un laico non obbliga un cattolico a divorziare, ad assu­mere contraccettivi, ad abortire, così un cattolico non può obbligare chi non la pen­sa come lui ad attenersi ai suoi principi. Cosa dice il Partito democratico in propo­sito? Che posizione ha preso in ordine al te­stamento biologico, alla pillola del giorno dopo, alla fecondazione assistita omologa ed eterologa, alla diagnosi preventiva, al ri­fiuto della tecnica quando si deve nascere per rispetto della "procreazione naturale" e il ricorso massiccio alla tecnica quando "per natura" si dovrebbe morire, come nel caso Welby? Non rischia questo partito di implodere proprio sulle questioni etiche, non assumendo posizione su nessuno dei problemi qui elencati per non lacerare se stesso? E non è in vista di questa implosio­ne che Giuliano Ferrara ha sollevato di proposito la questione dell'aborto, subito affiancato dalle gerarchie ecclesiastiche, più interessate alla difesa dei loro principi che alle sorti dell'uomo? Per sentirmi in un paese democratico chie­derei alla politica e, se non a tutta, al­meno a quanti si riconoscono nel par­tito democratico, una chiara presa di posizione in ordine alla laicità, sma­scherando la sottile persuasione che si va diffondendo secondo la quale, sen­za religione, non è possibile darsi una morale. Non è così. Basta rifarsi a due fondamentali insegnamenti di Kant. Il primo recita: «La morale è fatta per l'uomo, non l'uomo per la morale». Che è quanto basta per far piazza pulita di tut­te quelle morali fondate sui principi reli­giosi, che nel nostro tempo sono inappli­cabili, perché formulati quando la natura era considerata im­mutabile e non co­me oggi in ogni suo aspetto modifica­bile. I progressi della scienza e del­la tecnica, che la chiesa non ha mai smesso di contra­stare, rendono quei principi del tutto inutilizzabili. Il secondo dettato che Kant pone alla base della morale laica recita: «L'uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo». Un princi­pio questo che, applicato alla questione dell'aborto, significa: non trattare la don­na solo come un "mezzo" riproduttivo, imponendole in ogni caso la procreazione, ma come un "fi­ne", e quindi co­me persona libe­ra e responsabile delle sue scelte. Credo che basti­no questi due principi difficil­mente contesta­bili per ispirare un'etica laica, come deve esse­re quella dello Stato se vuoi essere rispet­toso di tutte le opinioni e le credenze, comprese quella cristiana, perché nep­pure il cristiano può accettare di tratta­re la donna come un "mezzo" e non co­me una "persona", dal momento che fu proprio il cristianesimo, lo ripetiamo, a introdurre nella nostra cultura il concet­to di "persona".


Un'ultima parola agli uomini di religio­ne. Se avete bisogno degli strumenti giu­ridici per difendere la vostra morale imponendola a tutti, dimostrate solo la de­bolezza della vostra fede che, se ricorre al dispositivo legislativo, vuol dire che più non si fida del convincimento delle co­scienze. A me questo pare un problema grave. Ma è un problema vostro, che pe­rò non potete far pagare anche a chi non aderisce al vostro credo.
lemiemanisudite2.
00giovedì 24 gennaio 2008 13:28


"Caro direttore, in questi giorni un gruppo di ergastolani, cioè di esseri umani condannati a stare in carcere per tutta la durata della loro vita, fino alla morte, si è rivolto al Paese e alle autorità della nostra Repubblica per sollevare il problema della loro condizione esistenziale.
Chi sono? Che chiedono questi reclusi così distanti da noi? Attualmente essi vivono in una condizione che a me sembra terribile. Sono segregati in un luogo di detenzione per una decisione pubblica, che, a punizione dei loro crimini, li condanna a stare rinchiusi in una galera sino alla loro scomparsa dalla Terra. È dunque azione dello Stato che muta tragicamente tutto il loro esistere. È la prigione che dura fino allo spegnersi della vita.
Spesso, nelle vicende tempestose che ho attraversato e dinanzi alla sorte di tanti miei compagni finiti nella galera, mi sono trovato a riflettere sulla durezza rovinosa del carcere: dell'essere costretti dallo Stato a vivere rinchiusi come in una tana. E nonostante la gravità dei loro crimini, che avevano motivato quella decisione, essa mi appariva grave e devastante.
Eppure in quella reclusione agiva pur sempre la speranza che la gabbia del carcere si aprisse e il prigioniero potesse tornare nel fluttuare vasto e mutante del mondo libero. Questa speranza del detenuto, con la condanna all'ergastolo, viene stroncata alla radice.
È come il morire? No. È l'esistere, l'esperire umano nel vasto mondo che si restringe paurosamente: nel suo potere di cognizione e di relazione. Vengono mozzati l'azione e l'ascolto dell'essere umano: e il conoscere. E l'amare: non solo per il presente, ma per il domani, e per il domani ancora, fino alla morte, alla scomparsa dal vivere umano.
Perché ricorriamo a questa mutilazione così grave, così distruttiva e che incide su tutta la vita? Per fermare il crimine? Come questa motivazione mi ricorda l'illusione, così fragile, di realizzare l'innocenza con la paura… Sento che qui si apre il discorso così grave sulla punizione, e a che essa serva: se soltanto a fermare chi delinque o a riconquistarlo a una fratellanza. E s'allarga il pensiero sull'uso così largo che, ancora oggi, si fa della condanna a morte e che è come il segno della nostra incapacità o non volontà di salvare i nostri simili. Tornano tutte le aspre, complesse domande sulla funzione della pena: e se essa punti a punire, o anche a recuperare chi è caduto nel delinquere.
Quando mi unisco alla schiera che invoca una riflessione nuova sulla pena, e sul punire, scelgo la schiera della speranza. Non faccio opera di misericordia verso il peccatore. Lavoro per i miei fratelli viventi, per una dilatazione dell'umano. Tento un recupero dell'umano anche in chi ha ucciso.
È tutta l'idea della carcerazione e del punire che entra in discussione. Non rinuncio a punire. Ma mi interrogo cosa è e a che valga quella decisione del giudice: la punizione; e se essa è solo vendetta o misura di protezione, o vuole, tenta di aprire un dialogo con il reo, e non vuole mai dimenticare che anche il reo è un essere umano. E tento un recupero dell'umano anche in chi ha ucciso. E qui il discorso si dilata. Va all'uso risorto, fiorente dell'uccidere "statale", se è vero che oggi nelle diverse plaghe del globo hanno ritrovato spazio e legittimazione gli stermini delle guerre e le abbiamo ancora oggi dinanzi ai nostri occhi dolenti e spaventati.
E mi turba molto negare anche solo un grammo di speranza all'ergastolano e tacere dinanzi al pubblico massacro di migliaia e migliaia: in Iraq e altrove"

Pietro Ingrao

Repubblica
CorContritumQuasiCinis
00lunedì 28 gennaio 2008 11:48
"leggete" i due video.





Assurdo e mostruoso che un adulto abbia potuto macchinare dietro a tutto questo.

Non ho altro da aggiungere.
..kiara
00lunedì 28 gennaio 2008 12:04
sono sconcertata... non posso credere..
frasi da adulti che escono dalle bocche di bambini. Dovrebbero parlare delle Winx e di Dragon Ball... E' assurdo e mi fa piangere.

poi scusa.. con una situazione del genere:

"i magistrati avevano anche capito che dietro quelle bugie c'era una situazione familiare disastrosa. Uno dei minori aveva anche minacciato di buttarsi dalla finestra per le violenti liti tra i genitori."

bella merda
..kiara
00mercoledì 30 gennaio 2008 14:03
NO COMMENT
"Il falso in bilancio non è più reato"

Udienza lampo di appena 15 minuti, l'accusa aveva chiesto la prescrizione
La depenalizzazione era stata varata dal governo presieduto dall'imputato
Processo Sme, Berlusconi assolto



Silvio Berlusconi
MILANO - "Il fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta.

All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici.

I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie.

La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi.

La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale".

Lo scorso ottobre la Cassazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunita per le cinque più alte cariche dello Stato.
emi.
00mercoledì 30 gennaio 2008 14:55
Finalmente l'Italia fa un passo verso la minor durata dei processi...
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