La Preghiera liturgica nell'Ordine Domenicano del P. M.V. Bernadot o.p.

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Caterina63
00venerdì 12 giugno 2009 22:43
Quanto segue è un prezioso servizio reso dal sito AMICI DOMENICANI
che ha voluto offrirci in rete quanto segue:


L'Ordine dei Frati Predicatori del P. M.V. Bernadot o.p.

Crediamo fare cosa graditi agli “amici domenicani” presentare a puntate l’opera di M. V. Bernadot L’Ordine dei Frati Predicatori, pubblicata in italiano dalle edizioni “IL ROSARIO”, Firenze, nel 1958.
La versione che presentiamo non è più quella del P. G. Nivoli o.p., ma è stata ampiamente ritoccata.


Nel collegamento ad Amici Domenicani troverete il testo (Prima parte) integrale, e dl quale riporto la parte della Preghiera Liturgica

Buona meditazione.....

§ 4. La preghiera liturgica
     
      Un frate domandava al B. Giordano di Sassonia: “È meglio attendere alla preghiera o applicarsi allo studio?”. E il Maestro gli rispondeva: “Che cosa è meglio, mangiar sempre o bere sempre? Evidentemente è preferibile far l’uno e l’altro successivamente. Ugualmente anche per quanto mi chiedi”.
      Il Frate Predicatore infatti non si determinerebbe mai all’apostolato senza la preghiera.
      A che gli servirebbe la scienza, se non fosse vivificata e fecondata dalla carità? I dotti sono numerosi e i santi sono scarsi, perché molti dotti imprigionano la verità nella loro mente senza permetterle di penetrare il cuore. Per sé, la scienza non determina all’azione, e meno ancora al dono di sé. Senza la carità, essa non farà mai un apostolo. 

      E non basta neppure a fare un contemplativo. La contemplazione religiosa, benché risieda essenzialmente nell’intelletto, comincia e finisce nella volontà. Perché si ama Dio, si vuol conoscerlo: perché si conosce, si ama di più. L’amore è il principio e il fine, ed è l’amore, quaggiù almeno, che forma la perfezione ultima della vita. 

      Il Frate Predicatore non entrerà dunque pienamente nella sua vocazione a meno che la conoscenza ch’egli ha di Dio per mezzo dello studio cessi d’esser astratta, per divenire una scienza viva e attiva, una scienza che ama e per conseguenza si dedica e si dona.
      Ma la carità è un dono di Dio, per la sua stessa natura, fuori della nostra portata; e si ottiene con la preghiera. Ecco perché la preghiera, nella vita religiosa, e nella vita domenicana in particolare, tiene un così largo posto. Essa ha per scopo di attirare la carità che vivificherà e feconderà la scienza. 

      Ora le Costituzioni c’impongono la preghiera sotto una doppia forma: ufficiale e privata. La prima, determinata dalla Chiesa, è la preghiera liturgica; la seconda era designata dai nostri Padri col nome di orationes secretae.


§ 4. La preghiera liturgica

1. La liturgia e la vita quotidiana

     
      S. Domenico, benché destinasse i suoi figli a tutte le opere dell’apostolato, non pensò mai a scioglierli da quello che S. Benedetto chiama l’opus Dei. Egli considerava la preghiera liturgica come la preghiera propria del religioso. Avrebbe temuto di diminuire il suo Ordine, se non avesse scritto in capo alle Costituzioni il testo: De Officio Ecclesiae. Pare a lui che un chierico regolare, che non faccia della preghiera liturgica il suo primo dovere, non meriti affatto il suo nome. E tutto quanto il popolo cristiano allora pensava come lui. La pietà conservava ancora le sue forme tradizionali.
      Le Declarationes che spiegano le Costituzioni primitive parlano della Solemnis divini officii recitatio; e ciò indica che S. Domenico voleva il culto esterno circondato di bellezza. Egli adottò l’Ufficio canonicale con tutti i suoi riti e col suo cerimoniale tradizionale, col canto, manifestazione necessaria dell’amore: cantare amantis est29. Volle che dai conventi del suo Ordine salisse perpetuamente una vera lode di gloria. Perché prima di tutto, l’uffizio corale, preparazione o complemento del sacrificio eucaristico, da cui non dev’essere separato, è la solenne espressione del culto divino, la voce del popolo cristiano interpretata dalla Chiesa, voce d’adorazione, di lode, di preghiera e di perdono.
      Infatti è la Liturgia che regola la vita quotidiana del Frate Predicatore. Studi, ricreazioni, perfino il riposo si svolgono nei limiti determinati dall’economia dei divini uffici. 

      Nel cuore della notte la campana chiama i Frati all’ufficio di Mattutino: mentre le tenebre coprono il mondo, essi vegliano e pregano per far salire la lode a Dio, riparare i delitti e i disordini notturni: ufficio commovente che scuote l’anima nelle sue profondità. All’alba essi ritornano ad offrire le primizie del giorno nuovo cantando Prima. Sette volte al giorno, il ritorno regolare delle Ore li fa inginocchiare periodicamente a piedi dell’altare: Terza, Sesta, Nona, Vespri alternativamente li ritemprano nel fervore ed impediscono loro di scordarsi di Dio. Finalmente, ritornato il momento del riposo, è ancora la preghiera liturgica che chiude, con la Compieta, sempre solennemente cantata, la giornata ch’essa aprì col Mattutino.
      Come si vede, la preghiera liturgica forma la trama della vita domenicana. I nostri Padri la regolarono in modo ch’essa avvolgesse i lavori del religioso. Ciò essi fecero con un disegno ben definito. 

      Oggi, in certi conventi, dove si è smussato il senso liturgico, s’inclina a raggruppare la recita di parecchie parti dell’ufficio a fine di avere poi lunghe ore di studio non interrotto e quindi, si crede, più utile. Ma ciò è un deviare dallo spirito primitivo e un cambiare gli antichi costumi.
      I nostri Padri seguivano le tradizioni apostoliche e recitavano ciascuna Ora nei diversi momenti del giorno e della notte. Vedevano essi meglio di noi la stretta relazione della preghiera e dello studio. Se frapponevano regolarmente lo studio con la preghiera liturgica, non intendevano sacrificarlo: sapevano che per questo sarebbe stato più fruttuoso.
      Il ritorno frequente al Coro impedisce allo studio di essere un semplice lavoro intellettuale, una speculazione astratta e fredda; e mantiene il contatto intimo con Dio e trattiene i Frati nella contemplazione. Se il religioso si dedica allo studio raccomandato dalla sua Regola, quello delle scienze sacre, l’Ufficio, lungi dall’interrompere il suo lavoro, ne è il complemento; esso lo compie fecondandolo; perché la verità che il Predicatore cerca nei libri, la trova in Coro, nelle formule liturgiche, non più astratta, ma viva, avvolta d’amore, più suggestiva, più penetrante. 

      In realtà, è con una psicologia finissima che i nostri Padri procuravano queste frequenti interruzioni dello studio propriamente detto. Certo essi avevano per il lavoro intellettuale un gusto tanto vivo, quanto si può avere oggi, e nello studio delle scienze sacre ottenevano dei successi che noi difficilmente riusciamo ad uguagliare. Essi non disprezzavano dunque lo studio; ma l’esperienza aveva loro insegnato che appunto durante quelle stazioni liturgiche l’anima assimila il frutto del lavoro, e la verità dalla testa scende al cuore, dov’essa si riscalda e suscita le risoluzioni che governano la vita.
      “Quando studi, - diceva S. Vincenzo Ferreri - ogni tanto mettiti in ginocchio e fa salire a Dio una breve e ardente preghiera, oppure esci dalla cella, va in chiesa, nel chiostro, là dove lo Spirito Santo ti guiderà: con una preghiera vocale o semplicemente coi tuoi gemiti e cogli ardenti sospiri del tuo cuore, implora il soccorso divino, presenta all’Altissimo i tuoi voti e i tuoi desideri, chiama i Santi in tuo aiuto... Poi richiama alla memoria quello che stavi studiando, e allora ne avrai un’intelligenza più chiara. Ritorna allo studio e di nuovo alla preghiera, combinando i due servizi. Con quest’alternativa, tu avrai il cuore più fervente nella preghiera e la mente più illuminata nello studio”.
      Così studiava S. Tommaso. Il grande dottore faceva il minor uso possibile delle dispense, a cui gli davano diritto le sue lezioni e la composizione delle numerose opere. E non contento d’essere assiduo al Coro, vi giungeva prima degli altri e vi faceva delle lunghe dimore. Quando gli si domandava perchè interrompesse il suo lavoro, rispondeva: “Rinnovo la mia devozione per elevarmi poi più facilmente alla speculazione”.


§ 4. La preghiera liturgica

2. Liturgia, apostolato, vita interiore

     
      Parimenti essi non videro mai nella preghiera liturgica un ostacolo all’apostolato. Anzi, ad esempio di S. Domenico, giudicarono che la vita attiva trovasse nell’incessante preghiera liturgica la sua più solida base. E chi meglio di questi infaticabili apostoli poteva conoscere le affinità della preghiera e dell’azione?
      I figli di S. Domenico ricevettero la solenne recita dell’Ufficio come un mezzo d’Apostolato. La liturgia è per loro una potenza d’intercessione e il metodo autentico di santificazione che li prepara all’esercizio del ministero.
      Il Frate Predicatore, chierico regolare e apostolo, è costituito mediatore tra Dio e l’uomo. Ebbene è anzitutto in Coro ch’egli compie questa gran funzione. Ivi egli rappresenta l’umanità ed è dalla Chiesa deputato per offrire in nome di tutti il tributo necessario di lode.
      “Magistrato della preghiera”, egli adora, prega, domanda perdono. E perché, in quel momento, egli è la voce della Chiesa, la sua supplica acquista un’efficacia sovrana. Nuovo Mosè, disarma la collera di Dio. Quando in seno alla notte il figlio di S. Domenico lascia il suo duro letto e attraverso i chiostri oscuri si reca in Coro per recitare Mattutino, egli ha coscienza di meritare il suo titolo di Predicatore. Capisce che anche in quell’ora distribuisce la verità alle anime e che le sue preghiere, simili alle onde misteriose della telegrafia senza fili, se ne vanno attraverso il mondo, effluvi viventi e guaritori, a seminar la vita e a risuscitar i morti. 

      Per un ammirabile contraccambio, nel medesimo tempo ch’egli santifica è santificato. Quando si compenetra dei riti, delle cerimonie, delle parole sacre, sente subito la vita divina crescere nell’anima sua e il suo essere soprannaturale svolgersi secondo i disegni di Dio. Alla sua intelligenza la preghiera liturgica fornisce un alimento abbondante e scelto. Continuamente il suo cuore è stimolato dalle formule sante, tutte ardenti di fervore, la sua volontà spronata dagli esempi di Gesù e dei Santi ogni giorno ricordati. Giorno e notte, la preghiera liturgica lo mette in contatto con l’Autore e col Modello d’ogni santità. Infatti la missione della Liturgia è di continuare e di dare Gesù, tal quale ce lo fa conoscere l’Apostolo: Christus heri et hodie et ipse in saecula

      Questa triplice esistenza di Cristo nel seno del Padre, nella sua vita mortale in mezzo agli uomini e nella Chiesa attraverso i secoli, la Liturgia la manifesta e la comunica. Durante tutto il ciclo liturgico, al Frate Predicatore che segue con intelligenza e con fede le cerimonie sante, Gesù apparse sull’altare come è in realtà, vivente, e nell’atto di rinnovare i misteri della sua immolazione sotto il velo dei riti sacri: a grado a grado si svolgono i misteri della sua nascita e della sua infanzia, della sua vita privata e della sua vita pubblica, della sua Passione e della sua morte, della sua gloria e della sua vita mistica nella Chiesa e nei Santi. E per celebrar questi misteri, si presentano le più belle formule, le più ardenti d’amore, le più suggestive, le più commoventi, e il più delle volte anche formule divine, poiché sono tolte dalla Scrittura.
      Senza sforzo, l’anima fa suoi questi pensieri e questi sentimenti; s’appropria le ammirabili preghiere delle più nobili, delle più sante anime, riunite dalla Chiesa nel Breviario e nel Messale. Segue Gesù, l’ammira, l’ama, partecipa al suo sacrificio, s’unisce a lui; e a forza di rinnovare notte e giorno questo commercio coi misteri divini, finisce col non più vivere se non con Gesù e per mezzo di Gesù. Nutrita ad ogni ora di alimenti divini dalla Liturgia, i suoi sentimenti, i suoi pensieri e la sua vita son diventati divini30

      Così per lunghi secoli si formarono tutti i Santi: essi seguirono le vie liturgiche.
      In queste anime, qual potenza d’intercessione e d’espansione! Esse operano in tutto ciò che le circonda, focolari che riscaldano e illuminano. Basta un’anima contemplativa per convertire ambienti ribelli alla pietà, come a volte bastò un convento, dove fioriva la preghiera liturgica fervente, per trasformare intere regioni. Si moltiplichino questi luoghi della preghiera liturgica, in cui si è rifugiato l’antico spirito della Chiesa, sorgenti abbondanti da cui la vita soprannaturale a fitte ondate si espanderà sul mondo!31.


§ 5. Le orazioni segrete

     
      Questo è il nome che il B. Umberto, nel Commento alla Regola, dà ad un altro genere di preghiera: le orazioni in cui ciascuno, prostrato davanti a Dio, può versare in una completa libertà la sovrabbondanza dell’anima sua.
      La storia ci dice quanto nei primi tempi dell’Ordine queste preghiere fossero in onore.
      “Il nostro Beato Padre era solito rimanere in chiesa dopo la Compieta. Fatti rientrare i Frati nel dormitorio, egli trascorreva la notte in preghiera piangendo e gemendo. A volte i suoi singhiozzi e i suoi gridi destavano i Frati che riposavano in vicinanza e li commovevano fino alle lacrime”.
      “Il B. Giordano di Sassonia aveva dal Signore ricevuto una grazia speciale d’orazione che nulla poteva fargli trascurare, né le cure della sua funzione di Maestro dell’Ordine, né le fatiche dei viaggi; né alcuna sollecitudine. In convento egli aveva l’abitudine di pregare a lungo, in piedi, colle mani giunte, cogli occhi alzati al cielo. Restava così, senza sedersi né muoversi affatto, per lunghe ore, specialmente dopo il canto della Compieta e del Mattutino. In viaggio come in convento, era tutto immerso in una contemplazione che l’inondava di delizie. Tutto il tempo che non impiegava nel recitare l’ufficio o nel trattare affari seri coi Frati, lo consacrava alla contemplazione. 

      Tale era il fervore dei primi Frati che nulla può darne un’idea. Essi prolungavano la loro preghiera dalla notte all’aurora. Di rado, anzi mai la chiesa era senza qualche Frate in orazione, a tal punto che, per essere sicuri di trovarli subito, i portinai andavano a cercarli in chiesa. Attendevano l’ora della Compieta come una festa. Finito l’ufficio, dopo aver salutata la Regina ed Avvocata del nostro Ordine, essi prendevano dure discipline, poi ciascuno faceva come dei pellegrinaggi di altare in altare, prostrandosi con umiltà e piangendo con tanta compunzione che le loro grida d’amore s’udivano di fuori. Dopo il Mattutino pochi ritornavano ai loro libri, meno ancora a letto; essi preferivano correre all’altare della beata Vergine, attorno al quale si vedeva talvolta una triplice fila di Frati, che con slanci di fervore ammirabile raccomandavano e l’Ordine e se stessi. Nessuno potrebbe dire la loro devozione alla Madonna. In cella si tenevano dinanzi la sua immagine e quella di Gesù Crocifisso, affinché sia leggendo, sia pregando, sia addormentandosi, fosse loro facile rimirarle e ottenere uno sguardo di misericordia” (Vitae Fratrum). 

      Si metteva in pratica il consiglio del B. Umberto: “I Frati s’applichino alle orazioni segrete con fervore, perchè esse sono un segno manifesto di santità”.


§ 5. Le orazioni segrete (segue)

     
      Ma, si dirà, che metodo usa il Frate Predicatore per far orazione? Nessuno, risponderemo noi. E per buona fortuna. Noi pensiamo come il santo Abate di Solesmes, Don Guéranger: “Dio ci liberi dagli uomini di sistemi e d’idee convenzionali!”. E come Santa Giovanna di Chantal che scriveva: “Il gran metodo d’orazione è non averne nessuno... Se andando all’orazione fosse possibile rendersi una pura capacità per ricevere lo spirito di Dio, questo basterebbe per ogni metodo, l’orazione si deve fare per grazia e non per artifizio”32

      Che certi metodi recenti, che hanno dei santi per autori e che del resto la Chiesa ha lodati, meritino rispetto e rendano servizio a tante anime, nulla di più certo; ma essi sono fatti per anime che vivono in condizioni che non sono le nostre e rispondono a tutt’altri bisogni. Lo svolgimento normale della nostra spiritualità segue una diversa tendenza.
      Abbiamo veduto come S. Domenico organizzò la vita quotidiana di suoi figli: tutto in essa converge verso la contemplazione. Non avrebbe certo avuta l’idea di ridurre l’orazione ad alcuni istanti determinati. Trattenersi con Dio, contemplare, doveva essere il fondo stesso dell’esistenza. È tutta quanta la giornata che le Costituzioni consacrano a Dio. 

      Quando il Frate Predicatore è obbligato al silenzio, è perchè egli dimentichi il mondo e se stesso, e perchè nel raccoglimento ascolti Iddio; quando per ubbidienza deve studiare a lungo la “Sacra Scrittura e i libri teologici”, non si tratta certo d’uno studio arido e astratto, ma d’un lavoro in cui il cuore avrà il suo posto come l’intelletto, in cui l’anima si nutrirà, si immergerà nella bellezza dei divini misteri; lavoro che dev’essere una preghiera esso stesso. La preghiera deve sostenere e tutto penetrare. Preghiera liturgica, orazioni segrete, lectio divina si suppongono a vicenda, si chiamano, si compenetrano e quasi si confondono. Isolarle, metterle in un geloso parallelo sarebbe un falsare l’economia domenicana. Lo studio sia pio, la preghiera sia nutrita di verità, e l’amore verrà, l’amore che conduce all’unione, scopo supremo della vita soprannaturale. 
     
Così per la preghiera e per lo studio che si sostengono reciprocamente, studiando per meglio amare, pregando per meglio studiare, l’anima domenicana si solleva a Dio, senza scosse e senza rumore, giunge alla vera contemplazione.



§ 5. Le orazioni segrete (segue)

     
      Si noti bene che, se la spiritualità domenicana non usa metodo sistematico, non si deve dire che essa non si conformi ad un ordine e che non osservi una disciplina. I nostri Santi ci lasciarono delle raccolte di meditazioni fatte per intero. Eppure quale unità nelle loro vedute! Qual sicurezza nella loro ubbidienza alla grande tradizione mistica che già Dionigi il Mistico chiamava “la tradizione sacerdotale”! 

      Se si vuole, essi hanno un metodo, ma largo, libero, giocondo: quello della Chiesa, che sempre santificò le anime con la liturgia, quello che si poté definire con pari giustezza e forza: “il metodo autenticamente istituito dalla Chiesa per assimilare le anime a Gesù”33. Essi pensarono che le verità, approfondite nello studio, assimilate nell’orazione, cantate senza fine nella preghiera liturgica avevano una grazia somma per sollevare a Dio un’anima già purificata dal silenzio e dalle austerità del chiostro e per farla entrar nel mistero di Cristo e dell’adorabile Trinità.
      Come si vede, l’ascetica domenicana non cerca di formare dei santi secondo una formula unica imposta a tutte le anime. Essa non vuole dar una piega, né imporre una data formazione.
      Un giorno Nostro Signore disse a Santa Caterina da Siena: “Sai che cosa sei tu e che cosa sono io? Se impari queste due cose, sarai felice: tu sei quella che non sei, e io sono Colui che sono!”.
      La spiritualità domenicana è in germe in queste parole, che indicano la sua pratica fondamentale: stabilire l’anima di fronte a Gesù, modello d’ogni santità, affinché lo conosca e si trasformi mediante la vista di lui; applicarla alle grandi e profonde verità, sorgenti dell’azione; riempirla di luce per infiammarla d’amore. 

      Qui ancora l’Ordine applica il suo motto: Veritas. Anzitutto ci vogliono idee, idee forti, idee piene, perchè dalle idee nascono gli atti e perché una verità, quand’è veramente padrona dell’intelligenza, finisce col governare la vita.
      Di qui i caratteri della pietà domenicana:
      Eminentemente disciplinata e forte, perché essa è satura di dogma e sempre appoggiata sulla verità che la preserva dagli errori; umile, di un’umiltà tanto più sicura in quanto che nasce, non dai ritorni incessanti su se stesso, ma dalla considerazione della divina maestà: “Io sono Colui che sono, tu sei quella che non sei”. 

      Nondimeno, eminentemente libera. Perchè il conoscimento fa nascere l’amore. E che cosa c’è di più libero che l’amore? Giacché la sensibilità è domata e sottomessa all’amore divino, perché non lasciarle i suoi slanci, non permettere di dare ali all’amore? Di qui una mirabile varietà nei Santi domenicani. Ciascuno conserva la sua fisionomia distinta, le sue tendenze personali, le sue virtù preferite, e, sotto le medesime fattezze di famiglia, tradisce le differenze della schiatta, dell’ambiente, dell’educazione. Sono tutti segnati della grande nota domenicana: lo zelo delle anime mediante l’apostolato dottrinale; ma ciascuno aggiunge la sua nota personale: un Vincenzo Ferreri, la foga e l’intransigenza spagnola; un Enrico Susone, la dolcezza e la malinconia renana; una Caterina da Siena, l’armonia e gli ardori della terra italiana. 

      Finalmente, pietà eminentemente confidente e gioconda

      Dalla grande idea tomista: Dio anzitutto! nasce una mistica confidente, che dilata le facoltà umane e le dispone mirabilmente all’apostolato. La formazione teologica del Frate Predicatore lo abitua a considerare la perfezione soprannaturale da un alto punto di vista, a “vivere soprattutto mediante le sommità dell’anima”. Dio ci ama, ci ama infinitamente e in tutti i modi ci attrae a sé. Un solo mezzo efficace di rispondere a quest’amore: la confidenza, l’abbandono. Bando pertanto a quei mezzucci che mantengono l’anima fissa sopra se stessa! Bando a quei ritorni incessanti sopra se stesso, il cui più chiaro risultato è il mantenere l'egoismo. Sursum! In alto! l'anima domenicana si slanci, quale allodola che spicca il suo volo, che sale con celere sbattere d’ali nella luce, più in alto, sempre più in alto! “Mio Dio, dilatate l'anima mia!” supplicava Santa Caterina da Siena. 

      Questa è la preghiera del Frate Predicatore egli desidera la dilatazione della vita. Nell’intelletto, una dottrina forte e piena; nel cuore, un amore ardente, profondo; fuori, opere vigorose, leali, ardite.



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