LOTTA PER LE MALATTIE IN ETA' PEDIATRICA

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00lunedì 12 maggio 2008 21:17
tumore in eta' adolescenziale 15-19 anni

Informazioni sui Tumori nei Bambini Informazioni Mediche Il tumore in età adolescenziale - 15-19 anni .


Il tumore in età adolescenziale - 15-19 anni
Ogni anno, in Italia, si ammalano di cancro circa 700 adolescenti. Ecco alcune informazioni essenziali sul tema.

Ogni anno, in Italia, si ammalano di cancro circa 700 adolescenti. Le forme sono diverse da quelle del cancro infantile, e diversa è la prognosi globale.

Alcune statistiche: vi è una minore incidenza di casi tipicamente infantili, ad esempio, le leucemie, che costituiscono soltanto il 10% dei tumori in adolescenza, e un aumento di linfomi e di tumori tipici dell’adulto, quali varie forme di carcinoma. Aumenta, inoltre, l’incidenza complessiva dei tumori. Mentre l’80% dei bambini viene curato presso i Centri AIEOP, soltanto il 25% degli adolescenti usufruisce di questa possibilità. Gli altri vengono riferiti ai centri per gli adulti. I dati dicono, invece, che gli adolescenti hanno una migliore possibilità di sopravvivenza quando sono trattati con protocolli pediatrici.

In genere, si può dire che i tumori in adolescenza vanno curati con protocolli pediatrici quando sono del tipo pediatrico e con protocolli per gli adulti quando sono del tipo adulto, e quindi che sarebbe necessaria una stretta collaborazione tra medici per gli adulti e medici pediatri quando si curano i tumori che insorgono in adolescenza. In molti paesi si stanno sviluppando, negli ultimi anni, specifici centri di oncologia per gli adolescenti, anche per potere dare il giusto supporto psicologico per una età che è a cavallo tra l’infanzia e l’essere adulto.

Le percentuali di guarigione negli adolescenti sono più basse rispetto ai bambini per vari motivi. Infatti, la diagnosi è spesso tardiva perché gli adolescenti seguono da sé le loro condizioni di salute e hanno un particolare pudore che li porta non volere ammettere i sintomi e, quindi, ad andare dal medico molto più tardi. I loro tumori non sono più aggressivi dei tumori infantili, ma piuttosto sono curati male per le difficoltà di pediatri a trattare i tumori degli adulti e di oncologi per gli adulti a curare i tumori infantili.

Il motivo principale per cui gli adolescenti sono curati meglio in centri pediatrici è perché accedono ai molti protocolli sperimentali in atto presso questi centri, mentre nei centri di oncologia per gli adulti, i minori non sono arruolati nei protocolli sperimentali.

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00lunedì 12 maggio 2008 21:21
linee guida per l'oncologia pediatrica

Informazioni sui Tumori nei Bambini Informazioni Mediche Linee guida per l'Oncologia Pediatrica .




Linee guida per l'Oncologia Pediatrica


Le Linee Guida per l’Oncoematologia Pediatrica, dopo un lungo percorso elaborativo, sono state pubblicate nel 1999 e messe a disposizione delle Regioni, responsabili per la realizzazione di un servizio di assistenza ottimale secondo i criteri definiti, e di tutte le forze che si adoperano per migliorare la qualità del servizio offerto ai bambini oncologici e alle loro famiglie.

Le Linee Guida propongono una razionalizzazione del servizio di Oncologia Pediatrica a livello di ogni singola Regione e quindi sull’intero territorio nazionale. Questo percorso dovrà portare non soltanto a migliorare le offerte assistenziali in ogni territorio, riducendo i "viaggi della speranza", ma permettere un migliore utilizzo delle risorse disponibili.

Foto by nicholaslaughlin con licenza Creative Commons

7-10-1999 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Serie generale n. 236

MINISTERO DELLA SANITÀ
DIPARTIMENTO DELLA PREVENZIONE
COMMISSIONE ONCOLOGICA NAZIONALE
Linee guida per l’oncoematologia pediatrica

PREMESSA

La promozione della salute è l’obiettivo principale del Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1998\2000. Un sistema di servizi sanitari equo ed efficace, la garanzia di uguali opportunità di accesso agli stessi, rappresentano un elemento basilare per la fruizione del diritto alla salute. Al fine di uniformare e migliorare l’assistenza su tutto il territorio nazionale, il Ministero della sanità, ha individuato nella produzione e diffusione di linee guida un valido strumento attraverso cui fornire alle amministrazioni regionali indicazioni idonee per la realizzazione ed il monitoraggio degli obiettivi prioritari di salute.

Tra le strategie di intervento indicate dal Piano per l’attuazione dell’obiettivo relativo all’infanzia-adolescenza, con particolare riferimento alla riorganizzazione della rete oncologica, figura la razionalizzazione dell’assistenza in età pediatrica, da perseguirsi tramite il coordinamento e l’integrazione dell’assistenza ospedaliera con l’offerta di servizi distrettuali e la valorizzazione del pediatra di famiglia.La riorganizzazione e l’adeguamento delle strutture pediatriche territoriali devono essere valutati tenuto conto che:

Nei paesi industrializzati, il cancro rappresenta la prima causa di morte per malattia nella fascia di età 1 – 15 anni;
Le neoplasie in età pediatrica rappresentano una patologia rara, infatti l’atteso in Italia è di 1450 nuovi casi per anno, in soggetti di età inferiore ai 15 anni;
La mortalità per tumore si riduce in rapporto alla qualità degli interventi. Nei centri con larga esperienza si ottiene attualmente la guarigione del 70% dei piccoli pazienti;
Un ottimale intervento terapeutico si realizza attraverso una strategia multidisciplinare, attuabile preferibilmente presso grandi aziende ospedaliere, grandi Policlinici o IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) dove operano, in maniera integrata e transdisciplinare: pediatri esperti in oncoematologia, chirurghi, biologi, radioterapisti, patologi, radiologi, microbiologi, trasfusionalisti, specialisti d’organo o di apparati, nonché epidemiologi, statistici ed informatici e psicologi.
L’OMS ha definito i criteri, in termine di personale e di strutture, per la realizzazione dei presidi di oncoematologia pediatrica, definendo come ottimale un centro ogni 4-5 milioni di abitanti.

PRINCIPI ORGANIZZATIVI

E’ prerogativa delle regioni definire, neI proprio territorio, principi organizzativi, caratteristiche e distribuzione territoriale delle strutture e loro numero anche in rapporto a:

• caratteristiche epidemiologiche;
• realtà già operanti;
• priorità locali.
L’oganizzazione dell’oncoematologia pediatrica deve garantire, ad ogni livello, il coordinamento di tutte le attività ed iniziative regionali. Per raggiungere questo obiettivo è opportuno che sia attuato un coordinamento regionale o interregionale, in caso di presidi a valenza multiregionale.

Per riorganizzare in maniera integrata i servizi, che si occupano di diagnosi e terapia nel settore dell’oncoematologia pediatrica e trapianto emopoietico, al fine di fornire prestazioni qualitativamente elevate ed economicamente convenienti, devono essere rispettati alcuni presupposti irrinunciabili attuali quali:

coordinamento nazionale, nel rispetto delle realtà già operanti, per mantenere uniformità sul territorio nazionale, rispetto alle procedure relative a programmi di diagnosi e terapia;
coordinamento e potenziamento dei programmi di aggiornamento ed educazione permanente del personale medico ed infermieristico;
partecipazione integrata di varie competenze alla programmazione delle attività dei servizi;
sviluppo di programmi per la verifica e la revisione della qualità delle prestazioni fornite.
Si raccomanda fortemente che, nelle regioni, in cui è presente un Centro di oncoematologia pediatrica e trapianto emopoietico di riferimento, sia inserita, nell’ambito della Commissione Oncologica Regionale, una figura di riferimento per l’oncoematologia pediatrica ed il trapianto emopoietico.

Le attività assistenziali al bambino con malattia oncoematologica o sottoposto a trapianto emopoietico, sono garantite attraverso i livelli di assistenza previsti dal Piano sanitario Nazionale 1998-2000, con le priorità indicate e con particolare riferimento a:

assistenza sanitaria di base e specialistica;
assistenza integrata in Aziende USL;
assistenza integrata in Aziende Ospedaliere e\o Policlinici Universitari;¨
IRCCS.
Sono previsti, a diversi livelli e con programmazione graduale, interventi di assistenza e prevenzione, tenuto conto delle figure professionali presenti, delle strutture disponibili e del loro impiego ottimale. Gli interventi che dovranno essere integrati tra i diversi livelli riguardano diagnosi, trattamento, follow-up, riabilitazione, assistenza domiciliare, prevenzione primaria e secondaria.

1. Assistenza sanitaria di base e specialistica

A) Il pediatra di base, nell’ambito della specifica attività clinica prevista dagli accordi collettivi nazionali e regionali, interagisce con le strutture oncoematologiche pediatriche del territorio e dei presidi ospedalieri che, a vario titolo, sono coinvolti nell’assistenza in oncoematologia pediatrica. Ad esso vanno affidati i seguenti compiti:

¨ attività clinica, finalizzata alla diagnosi tempestiva ed alla collaborazione con i medici dei presidi ospedalieri, nel corso della stadiazione e delle fasi della terapia e del follow-up;
¨ assistenza domiciliare prevista nei presidi sociosanitari dalle Aziende USL;
¨ attività clinica finalizzata al monitoraggio ed alla diagnosi tempestiva nei gruppi di soggetti a rischio.
B) I Presidi sociosanitari delle Aziende USL si configurano come strutture di tipo ambulatoriale o consultoriale, con funzioni di filtro ed indirizzo per specifici percorsi assistenziali della popolazione in età pediatrica, dei soggetti lungo sopravviventi o malati cronici, verso i servizi specialistici degli stessi distretti o yerso strutture specialistiche non solo pediatriche. Compiti dell’assistenza sarntaria di base e specialistica sono:

¨ Diagnosi tempestiva in soggetti sintomatici;
¨ Monitoraggio dei gruppi a rischio.
2. Assistenza integrata in Presidi Ospedalieri di Aziende USL ed Ospedaliere Le Unità satelliti (U.S.)

Presso i Presidi di Aziende USL e ospedaliere va attivata una rete di U.S. composta da reparti\divisioni di pediatria, ematologia od oncologia (che potranno coincidere, laddove già esistenti, con i poli oncologici o dipartimenti oncologici, secondo quanto indicato dalle Linee Guida pubblicate da questo dicastero sulla Gazzetta Ufficiale n0 42 del 20\2\1996).

Partecipano altresì alle U.S. i servizi di diagnostica strumentale e di laboratorio, immunoterapia e trasfusione, assistenza sanitaria e sociale.La U.S. deve essere dotata di posti letto in degenza a ciclo continuo, ed a ciclo diurno, adeguati per un ottimale svolgimento delle attività.Compiti delle U.S. sono la realizzazione del programma terapeutico e di monitoraggio, secondo i protocolli nazionali ed in sintonia con le indicazioni del Centro Oncoematologico Pediatrico di Riferimento.

3. Assistenza integrata in Aziende Ospedaliere e\o Policlinici Universitari Centro Oncoematologico Pediatrico di Riferimento (COPR)

Deve essere garantito almeno un COPR per un bacino d’utenza intorno ai 4 milioni di abitanti. Il COPR deve essere inserito in ambito pediatrico e deve comprendere reparti\divisioni di oncoematologia pediatrica, chirurgie generai e specialistiche, servizi di radioterapia, collocati in modo tale da garantire una effettiva attività integrata.

Partecipano altresì al COPR i servizi di diagnostica strumentale e di laboratorio, anestesia e rianimazione, di immunoematologia e trasfusionali, di anatomia patologica, psicologia, assistenza sanitaria e sociale.

Il COPR deve essere dotato di posti letto in degenza a ciclo continuo ed a ciclo diurno, nonché di una unità di trapianto emopoietico, adeguati per un ottimale svolgimento delle attività. Compiti del COPR sono:

A) provvedere al coordinamento delle attività assistenziali e scientifiche attraverso:

Adozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni;
Anagrafe e monitoraggio dell’attività di sperimentazione clinica;
Pianificazione e programmazione di studi epidemiologici, biologici e di verifiche cliniche comparative attraverso la collaborazione con enti nazionali ed internazionali;
Identificazione di opportune risorse e consulenze territoriali per interventi riabilitativi fisici, psicologici e sociali, come parte del trattamento globale, in collaborazione con i familiari;
Organizzazione di specifici corsi, stage, seminari per la formazione e l’aggiornamento del personale;
Identificazione dei nuclei familiari con bambini con particolari anomalie congenite o genetiche o con immunodeficienze a rischio di sviluppare tumori;
Organizzazione di incontri programmati con le locali associazioni di genitori per promuovere l’attività educativa dei familiari e dei pazienti;
Istituzione di specifiche iniziative periferiche per la promozione delle attività di educazione oncologica pediatrica nel territorio;
Verifica delle richieste di migrazione sanitaria.
B) ricevere i nuovi pazienti per la registrazione, la stadiazione diagnostica ed il piano di trattamento, che sarà attuato, in rapporto alla complessità del programma clinico terapeutico ed alle esigenze dei familiari, presso il centro stesso o in una U.S. o al domicilio.

C) provvedere all’attuazione dei programmi terapeutici comprendenti il trapianto emopoietico o di cellule staminali da donatore, favorendo ed interagendo con le strutture territoriali nazionali ed internazionali per la promozione della donazione di cellule staminali midollari, cordonali o periferiche.

D) coinvolgere attivamente i servizi territoriali nella gestione domiciliare del paziente oncologioco e nella sorveglianza degli effetti tardivi del trattamento e della malattia, attraverso la presa in carico dei pazienti, al fine di valutare l’inserimento scolastico e sociale, l’idoneità sportiva e l’avvio alla attività lavorativa.

E) pilotare il passaggio dei pazienti ai servizi della medicina di base, per consentire successivamente la verifica delle conseguenze tardive, che possono manifestarsi anche dopo molti anni dalla sospensione dei trattamenti.

4. Centro Oncoematologico Pediatrico di Riferimento Regionale (COPRRe)

E’ raccomandata la costituzione a livello regionale o interregionale, per regioni limitrofe, di un COPRRe. Oltre a svolgere i compiti COPR questa entità deve farsi carico delle seguenti funzioni:

Supporto organizzativo alle attività svolte dai presidi esistenti sul territorio di competenza;
Verifica delle richieste di migrazione sanitaria; Anagrafe e monitoraggio dell’attività di sperimentazione clinica;
Osservatorio degli interventi di prevenzione.
In mancanza di costituzione di COPRRe le competenze e le funzioni saranno acquisite da un centro COPR, competente per territorio limitrofo.

5. IRCCS

Gli IRCCS possono assolvere, ove esistenti, alle funzioni di COPR, purché dotati delle competenze e delle strutture specificatamente richieste per i COPR.

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00lunedì 12 maggio 2008 21:25
e' giusto usare la parola guarigione?

Informazioni sui Tumori nei Bambini Informazioni Mediche Approfondimento: è giusto usare la parola "guarigione"?


Approfondimento: è giusto usare la parola "guarigione"?
Chi è di fatto un soggetto "guarito"? Quando è giusto considerarlo tale? Proprio i medici possono avere maggiori difficoltà ad usare il termine di "guarito" per i soggetti che interrompono le cure per un pregresso tumore.

Uno studio di AIEOP su se e quando i pediatri-oncologi Europei (e oltre oceano) usano il termine "guarito" nella loro pratica quotidiana (Download).

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00lunedì 12 maggio 2008 21:28
il futuro del paziente oncologico


Informazioni sui Tumori nei Bambini Informazioni Mediche Off Therapy: il futuro del paziente oncologico (Convegno di Torino) Monday 12 May 2008




Off Therapy: il futuro del paziente oncologico (Convegno di Torino)
Il convegno di Torino su Il paziente oncologico e il suo futuro e il progetto OFF THERAPY.
IL PAZIENTE ONCOLOGICO E IL SUO FUTURO - RELAZIONE
Febbraio 1999, Relazione del Convegno di Torino organizzato da UGI e dalla Clinica di Torino del prof. Enrico Madon in occasione dell'8° GIORNATA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI E LE LEUCEMIE DELL’INFANZIA, Meeting annuale di FIAGOP

l Convegno, intitolato “Il Paziente Oncoematologico e il suo Futuro”, ha presentato e discusso le problematiche dei ragazzi che sono usciti dalle terapie (Off Therapy), della loro situazione medica e della qualità di vita che li attende. I dati AIEOP (vedere l’articolo precedente), sono confortanti: essi hanno innestato un dibattito in ambiente medico, negli ultimi anni, sull’uso della parola “lungosopravvivente”, in quanto il grande numero di ragazzi e giovani adulti che sono fuori terapia da anni e che si trova in normale condizioni di salute, indica che queste persone sono effettivamente “guarite” dal tumore o dalla leucemia, cioè che hanno le stesse probabilità di riammalarsi da tumore del resto della popolazione.

Una certa percentuale dei giovani guariti soffre di esiti negativi permanenti che possono costituire uno stato di handicap effettivo. In oncologia pediatrica non viene rilasciato un attestato di guarigione, come ad esempio i certificati rilasciati dopo una malattia infettiva per permettere ai bambini il rientro a scuola.

Questi ragazzi devono invece “rientrare nella vita” e crescere, diventando gli adulti normali che, in effetti, sono. Ma le persone che li circondano - la famiglia stessa, insegnanti, medici ed altri professionisti da cui dipende la possibilità di accedere al lavoro o alle attività sportive, o di ottenere una patente di guida, o di avere una assicurazione sulla vita - stentano ad accettare l’idea che sono guariti. Temono effetti tardivi delle passate terapie, che possono costituire “fattori di rischio”, temono un ritorno della malattia o di un nuovo tumore, e pensano che il ragazzo sia fisicamente compromesso e fragile. I dati AIEOP dimostrano che, in buona parte dei casi, queste paure sono infondate, perciò la considerazione di essere “malato a vita” non può che incidere sullo stato psicologico della persona.

I medici che sono intervenuti durante il convegno, specialisti in Medicina del Lavoro, dello Sport, e dalla Medicina Legale, testimoniavano la loro difficoltà nel superare la bollatura della “lungosopravvivenza” per potere rilasciare attestati di idoneità, certificati per cui sono legalmente responsabili. Non è venuto nessun rappresentante delle Assicurazioni, ma dalle testimonianze dei ragazzi e dei genitori presenti sappiamo che le Assicurazioni difficilmente accettano di sottoscrivere una polizza sulla vita e che spesso fanno difficoltà a sottoscrivere polizze contro infortuni, polizze necessarie per poter essere assunti da dipendente. E’ necessario rivalutare il significato di “fattore di rischio” in quanto i dati sui ragazzi fuori terapia da anni dimostrano che i “rischi” sono in realtà assai bassi. E’ quindi necessario promuovere una nuova cultura attorno alla situazione di queste persone: un “fattore di rischio” non è una malattia. Un ragazzo guarito non è, ad esempio, “a rischio di cardiopatia”. E’ cardiopatico oppure no, ed accertamenti annuali possono individuare il suo stato di salute. I ragazzi guariti non sono costituzionalmente fragili e quindi genericamente “a rischio”.

I dati del Registro Italiano Off Therapy dimostrano che sebbene le terapie praticate rallentino la crescita ed indeboliscano l’organismo durante il periodo di cura, in un intervallo abbastanza breve dopo la sospensione delle terapie la crescita riprende fino a livelli normali e l’organismo ritorna ad una condizione di salute normale per l’età.

E’ evidente che è necessaria una grande opera di sensibilizzazione che deve partire dai medici di basi per raggiungere i medici specialisti, e la Federazione sta sviluppando una collaborazione con l’AIEOP per realizzare una campagna in questi ambienti (PROGETTO OFF THERAPY). E’ inoltre necessario sensibilizzare le famiglie riguardo alle conseguenze che possano derivare dall’accertamento di uno stato di invalidità.

L’invalidità civile, assegnata a percentuale di handicap, e concretizzata tramite un piccolo assegno di accompagnamento, viene data di diritto ai bambini oncologici, ma può rendere difficile il futuro inserimento lavorativo. La pensione di invalidità totale, invece, chiude tutte le porte al mondo del lavoro. Anche la richiesta della “non idoneità al servizio militare” può lasciare un ombra discriminante. E’ necessario che i genitori considerino se il figlio soffre di esiti negativi permanenti che determinano uno stato effettivo di handicap e la necessità di una assistenza economica. Se, invece, il ragazzo si trova in buona salute, è importante che si informino bene prima di fare queste richieste per non rischiare di creare una situazione di disagio nella vita per un giovane adulto che handicappato non è.

La psicologa intervenuta durante il Convegno evidenzia l’importanza che questi giovani si considerino dei guariti e non dei lungosopravviventi. Un ragazzo che continua a considerarsi lungosopravvivente, fragile ed impotente e con una vita a rischio, ha una cattiva immagine di sé che può compromettere il suo inserimento sociale e l’entrata nel mondo del lavoro. Le cause di quest’immagine di sé vanno ricercate nella sua esperienza della malattia passata, nella presenza di esiti permanenti, nella struttura dei suoi rapporti familiari ed extrafamiliari, nel suo inserimento sociale. Gli Atti completi del Convegno di Torino possono essere ottenuti contattando la Segreteria della Federazione o la propria Associazione Genitori.

Suzanne Cappello

IL PROGETTO "OFF THERAPY"
Dal Convegno del 8.10.99 dell’Ospedale “San Luigi” di Orbassano II
Sede Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Torino
Intervento di Emma Sarlo Postiglione, responsabile FIAGOP del Progetto “Off Therapy”

Durante l’Assemblea della Federazione, è stata delegata ad occuparsi del Progetto “Off Therapy” la Sig.ra Postiglione, incaricata a mettere a punto una serie di iniziative volte a facilitare il futuro dei nostri ragazzi. Al Convegno Medico di agosto presso l’Ospedale “San Luigi”, descrive quanto sinora progettato.

“Qual è il ruolo delle associazioni di volontariato come le nostre nel programma “Off Therapy”? E’ un ruolo che abbiamo già cominciato a svolgere:

1. Sottolineare che esiste “il problema”, se pure un nuovo e felice problema, in tutte le sedi opportune;
2. Evidenziare le necessità di genitori ed ex pazienti, e quindi esplicitare le richieste cui i nostri specialisti, il mondo medico in generale, gli amministratori, sono chiamati a fornire risposte;
3. Produrre noi stessi modelli di soluzioni, da confrontare con la realtà, o meglio con le diverse realtà in cui sorgono i nostri Centri e vivono gli ex pazienti;
4. Cercare il confronto ed il dialogo con i medici e gli amministratori perché quei modelli diventino realtà operative, ottimizzando nel frattempo le risorse economiche a disposizione e, soprattutto, evitando le ricadute negative che iniziative non accuratamente ponderate possono determinare.
Questo è dunque il nostro ruolo, ruolo che intendiamo svolgere per conseguire degli obiettivi. Quali sono, dunque, i nostri obbiettivi? L’obiettivo principale che noi associazioni di genitori ci prefiggiamo nell’affrontare il problema dei ragazzi ex pazienti oncoematologici, e ormai fuori del periodo a rischio di ricadute, è il completo inserimento sociale senza condizionamenti derivanti dal loro essere ex ammalati e con tutti i necessari supporti, soprattutto nel caso di handicap residui.

Riteniamo che un buon progetto per i ragazzi usciti dalla terapia oncoematologica debba prendere in considerazione tutto il percorso fin dalla diagnosi della malattia. Occorrono:

• interventi precoci di sostegno scolastico e sociale
• buon controllo della situazione sanitaria al termine del periodo post terapia
• riabilitazione fisica ed avviamento alla pratica sportiva
• una situazione assicurativa che permetta ai ragazzi di affrontare la vita adulta con serenità
• l’abolizione di barriere non giustificate per l’ingresso al mondo del lavoro.
Dall’esperienza comune di genitori che assistono all’ingresso dei loro figli nell’età adulta è scaturita la necessità di organizzare il Convegno di Torino. Il Convegno non solo ha confermato che, nella sostanza, le preoccupazioni dei genitori erano giustificate, ma le ha provate con il parere autorevole del Prof. Vigilino, medico legale, e del Prof. Scansetti, medico del lavoro, ambedue relatori partecipanti al Convegno.

Come Federazione che unisce le Associazioni dei Genitori dei ragazzi oncoematologici, abbiamo avvertito la necessità di intervenire a livello nazionale per mettere in atto tutti quegli interventi che possono contribuire ad un adeguato inserimento sociale e lavorativo dei nostri figli. Il percorso:

• Analisi della situazione attraverso l’esame del materiale raccolto presso i Centri.
• Se già non esiste, eventuale stesura di un questionario per avere dati che possono essere elaborati.
• Partecipazione con relazioni sulla materia ai convegni dei medici di base, pediatri di base, medici del lavoro, medici legali, medici sportivi, ecc.
• Organizzazione presso tutti i Centri di ambulatori dei guariti.
• Sostegno scolastico fin dalla diagnosi con interventi presso tutti i Provveditorati agli Studi.
• Orientamento scolastico per adeguare le scelte negli studi alle effettive capacità e risorse.
• Formazione di una corretta opinione pubblica agendo sui mezzi di comunicazione di massa e sul mondo della scuola.
E’ un percorso in cui si mescolano responsabilità e competenze diverse. E’ chiaro che un percorso di questo genere non può essere compiuto dai genitori e dalle loro associazioni da soli; esso deve ottenere la stretta collaborazione dei medici curanti e delle istituzioni per avere autorevolezza scientifica, risorse economiche e progetti legislativi. Dal canto nostro, mettiamo a disposizione tutta la nostra capacità di coinvolgere le istituzioni ed il sostegno economico che riusciremo a reperire. In conclusione voglio ribadire un concetto già espresso: “ un buon percorso Off Therapy comincia dalla diagnosi.”

PER CONTRIBUIRE
00martedì 13 maggio 2008 19:13
PER CONTRIBUIRE
Partecipa

Anche quest’anno, grazie alla legge finanziaria , puoi devolvere il 5 per mille delle imposte sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) a sostegno dell’attività sociale e di ricerca scientifica promossa da “Ali di Scorta”
Ali di Scorta è una ONLUS (Organizzazione non Lucrativa di Utilità Sociale) che è impegnata dal 1999 nella lotta contro le malformazioni ed i tumori cerebrali infantili presso i reparti di Oncologia Pediatrica e Neurochirurgia Infantile del Policlinico “A. Gemelli” di Roma.
Sostenerla oggi è ancora più facile, è sufficiente apporre la tua firma nel riquadro relativo alle ONLUS e no profit presente sul modello della tua dichiarazione dei redditi (CUD – 730/1 bis redditi – UNICO persone fisiche ) ed indicare nello spazio sottostante il codice fiscale dell’Associazione 96402000580


Questo contributo non comporta nessun costo ed è complementare, non alternativo all’opzione dell’8 per mille.

Sostieni la ricerca scientifica, sostieni la solidarietà,
devolvi il tuo 5‰ ad “Ali di Scorta”
TUTTE LE MALATTIE POSSONO ESSERE SCONFITTE SE PRIMA RIUSCIAMO A SCONFIGGERE L’INDIFFERENZA



PER CONDIVIDERE QUESTI NOSTRI IMPEGNI E PER CONSENTIRCI DI AGGIUGGERNE ALTRI,
AIUTATECI COMPILANDO IL BOLLETTINO POSTALE.
TUTTE LE MALATTIE POSSONO ESSERE SCONFITTE SE PRIMA RIUSCIAMO A
SCONFIGGERE L’INDIFFERENZA.
C/C POSTALE N° 882001
Associazione “ALI di SCORTA”
Policlinico “A. Gemelli”
00168 ROMA
COME CONTATTARCI
00martedì 13 maggio 2008 19:17
COME CONTATTARCI
Come contattarci

Telefono 06\30156660
Fax 06\30156660

Indirizzo postale: Associazione ALI DI SCORTA c\o reparto di Neuropediatria infantile del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" di Roma, Largo A. Gemelli 8 - 00168 ROMA


segreteria@alidiscorta.it - E-MAIL


OBIETTIVI
00martedì 13 maggio 2008 19:25
OBIETTIVI
Obiettivi
L'intenzione dell'Associazione "ALI di SCORTA" è quella di rappresentare un punto di riferimento certo, per tutti i bambini malati, i genitori, i medici, il personale paramedico, l'ospedale e l'opinione pubblica



Obiettivi raggiunti

◊ Una prima Casa Accoglienza per i genitori dei bambini ricoverati nei reparti di Neurochirurgia Infantile ed Oncologia Pediatrica del Policlinico "A. Gemelli"di Roma;

◊ Assistenza totale della famiglia e del bambino attraverso un sostegno psicologico, economico e burocratico;

◊ Reparto di Neurochirurgia Infantile del Policlinico "A. Gemelli" completamente ristrutturato a misura di bambino;

◊ Finanziamento di progetti di ricerca;

◊ Borse di studio per medici, psicologi, ricercatori;

◊ Finanziamento di seminari nazionali e congressi internazionali.

Obiettivi futuri

◊ Una seconda Casa Accoglienza per le famiglie, in grado di soddisfare il crescente fabbisogno dei reparti di Neurochirurgia Infantile ed Oncologia Pediatrica del Policlinico "A. Gemelli"di Roma;

◊ Un pulmino di nove posti per soddisfare le esigenze di trasporto e organizzare gite per i bambini;

◊ Stage di aggiornamento, specializzazione e scambio per medici e ricercatori provenienti da altri centri di cura;

◊ Campagna informativa relativa al Centro di Neuroncologia del Policlinico Universitario "A. Gemelli" di Roma quale centro di riferimento di eccellenza internazionale, per le esigenze di diagnosi, intervento chirurgico, cure post-operatorie e riabilitazione nelle patologie oncologiche e del sistema nervoso centrale.









CHI SIAMO
00martedì 13 maggio 2008 19:27
CHI SIAMO
Chi Siamo

L’Associazione “ALI di SCORTA” per la lotta ai tumori in età pediatrica, è un'Associazione nata dall'iniziativa di alcuni genitori di piccoli ricoverati nei reparti di Neurochirurgia Infantile ed Oncologia Pediatrica del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" di Roma diretti rispettivamente dal Prof. Concezio Di Rocco e dal Prof. Riccardo Riccardi. L'Associazione è stata fondata il 26 Novembre 1999 ed attualmente iscritta nel registro delle Organizzazioni non lucrative di Utilità Sociale (D1862 del 20-05-04).

"Ali di Scorta" ha aderito alla Federazione Italiana Associazioni Genitori Oncologia Pediatrica (www.fiagop.it) che rappresenta l'interlocutore unico a livello nazionale nei confronti delle strutture pubbliche e private; Il Presidente dell'Associazione, Sandro Massimo, è stato eletto membro del Consiglio Direttivo della FIAGOP.

Abbiamo ritenuto opportuno indicare qui di seguito la sintesi delle attività dei due reparti sopraindicati.

Divisione di Neurochirurgia Infantile Divisione di Oncologia Pediatrica



___________________________________________________



Oggi l’Associazione “ALI di SCORTA” conta:


10 Soci Fondatori:


Presidente: Massimo Sandro

Vice Presidente: Fedele Sandro


Tesoriere: Mione Fabrizio


Consiglieri: Cimatti Guido, Galluzzo Lia, Guerra Duilio, Mazza Agostino, Papili Costanzo, Riccardi Silvia.


Collaboratori:
Tutto il personale medico e paramedico dei Reparti di Neurochirurgia Infantile e di Oncologia Pediatrica del Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma.


185 Soci Onorari:
Tra i quali numerosi esponenti di riguardo del mondo dello Spettacolo, dello Sport, della Scuola e delle Amministrazioni Pubbliche.


Oltre 1.200 Soci Sostenitori:
Ed inoltre importanti collaborazioni con altre Associazioni, Comunità, Scuole, Parrocchie, Gruppi di lavoro, Società, Enti e Professionisti.













=========ALI DI SCORTA===
00martedì 13 maggio 2008 19:36
========== INFORMAZIONI E CONOSCENZE ===================
CARO LETTORE,
CON LE PRECEDENTI PAGINE , SI E' VOLUTO APPROFONDIRE I PROBLEMI DEI BAMBINI MALATI , DEI LORO GENITORI , DEI MEDICI , INFERMIERI ..........

INOLTRE SI E' EVIDENZIATO LA STRUTTURA DI "ALI DI SCORTA" E PER CHI LO VOGLIA , ANCHE LA POSSIBILITA' DI EFFETTUARE IL 5X1000 .

TI RINGRAZIAMO ANTICIPATAMENTE.
MAURO
00martedì 13 maggio 2008 20:16
PARTE IL PRIMO TORNEO
SI STA' PERFEZIONANDO IL PRIMO TORNEO "ALI DI SCORTA" .
SARA' UN QUADRANGOLARE TRA LE PRIME ARRIVATE NEI QUATTRO GIRONI DEL CAMPIONATO DI PROMOZIONE E CHE IL PROSSIMO ANNO PARTECIPERANNO AL CAMPIONATO DI ECCELLENZA .
FRA QUALCHE GIORNO NE SAPRETE DI PIU' .

SONO IN CANTIERE ANCHE ALTRI TORNEI "ALI DI SCORTA" PER RAGAZZI E PICCOLI AMICI .
VI TERREMO INFORMATI .
cobra
00mercoledì 14 maggio 2008 09:31
torneo " ali di scorta "
ottima iniziativa... speriamo che anche tutti gli altri possano capirne l'importanza.... aiutiamooo !!!!
McGuiver1958
00mercoledì 14 maggio 2008 10:04
Fare qualcosa per la solidatietà è sempre indice di sensibilità e rispetto di chi sta peggio di noi bravi a tutti coloro che sostengono questa iniziativa. Anche io nel mio piccolo cercherò di dare un contributo attivo sia nella divulgazione che nel sostegno.
Vi sarò grato se mi fate avere i riferimenti per diventare socio.
Questo è il mio indirizzo e-mail mauro@romacc.it
Grazie a tutti
mauro
00mercoledì 14 maggio 2008 19:09
======== RINGRAZIAMENTO=================
VOGLIO RINGRAZIARE MAURO E. PER IL SOSTEGNO A FAVORE DI QUESTA ASSOCIAZIONE .

PER DIVENTARE SOCIO BISOGNA CONTRIBUIRE CON UN VERSAMENTO AL C/C POSTALE O BANCARIO ED IN AUTOMATICO TI SARA' RECAPITATA LA TESSERA E UNA LETTERA DI RINGRAZIAMENTO .

SPERO CHE TU POSSA DIVULGARE QUESTO SOSTEGNO E CONTRIBUZIONE ANCHE NELLA TUA PICCOLA , MA GRANDE AZIENDA , E TRA I TUOI IMPIEGATI .

GRAZIE .

=========ALI DI SCORTA===
00mercoledì 14 maggio 2008 23:29
========== POESIE ====================

L’ANGOLO DELLA POESIA

Ve porto dentr’ar core!
Grazie a voi,
capaci de soffrì la mancanza;
me state ggia a ffa sentì la lontananza!
Ve devo confessà che,
a rilegge ‘na poesiola così caruccia,
me stava già a partì la lacrimuccia.
Perché ce potete crede,
che dentro a ‘sta scorza,
ce sta pure er sentimento,
alla riscossa.
Co’ vvoi vicino
me sentivo forte;
cor vostro fare un po’ professionale,
ma con un grand’amore sempre dentr’ar core!
Co’ ‘sta tenacia che c’avete dentro,
capaci de scrollà ‘sti musi ar vento!
Siete più tosti voi
de un coccio de Martina;
tanto che posso dì
che siete de pietra viva!
E come tali
portate con orgoglio
il vostro fa assistenza
in tutt’er monno.
De pietra viva, dico,
e lo riaffermo,
de quella che nun crolla ar primo inverno.
Me sento forte d’avè creduto,
perché così io ho potuto
costruì con voi er gran futuro
de la Neurochirurgia dentro a ‘sto muro!
E a tutti l’artri ci verranno
me permetto de dì: nun fate inganno
nun ve permetto de rovinà la salute
a ste fijette c’ho cresciute!
Guai a chi tocca e a chi me le rovina;
sarò presente qui ogni mattina,
co la preghiera rivorta ar mio Signore
che vve protegga da ogni marfattore!
E all’unico omo che stà tra voi
chiedo de sorvegliavve come li pastori
e de fa in ogni modo e in ogni maniera
che nun ve sorprenda la bufera.
Ve abbraccio tutti!
(Antonia Sileno)



APRI LE TUE ALI
Aquila o Pegaso che tu sia
Apri le tue ali.
Non temere il sole,
tu non sei Icaro.
L’universo che non ha confini
Ti sembrerà poco,
ma, a non aver paura
si resta soli,
e il vento delle parole
confonde voci
di uomini e intriganti.
Diomedea,
da quella rupe di scogliera
e il are mosso,
il tuo non è un canto d’amore,
e ad aspettare
quello che il tempo
ancora non mi ha dato.
(Nunzio Gambuti)

Orme sulla sabbia
Ho sognato che camminavo
in riva al mare con il Signore
e rivedevo sullo schermo del cielo
tutti i giorni della mia vita passata.
E per ogni giorno trascorso
apparivano sulla sabbia die orme:
le mie e quelle del Signore.
Ma in alcuni tratti ho visto
una sola orma, proprio nei giorni
più difficili della mia vita.
Allora ho detto: “Signore,
io ho scelto di vivere con te
e tu mi avevi promesso
che saresti stato sempre
con me.
Perché mi hai lasciato solo
proprio nei momenti
più difficili?”
E lui mi ha risposto:
“ Figlio, tu lo sai che io ti amo
e non ti ho abbandonato mai:
i giorni nei quali
c’è soltanto un’orma
sulla sabbia
sono proprio quelli
in cui ti ho portato in braccio”.



PER NON ESSERE MAI SOLI
Vivere in silenzio senza dialogare
Solo il tuo male, ti può accompagnare,
Non aver calore di qualcuno e parlare,
dei sogni che avresti voluto realizzare.
Ma a volte i sogni si possono avverare,
da qualcuno che problemi non ha provare,
si qualcuno, cui la vita ha voluto regalare,
momenti di cui non potrà dimenticare.
Ma succede che, Sandro Massimo vuol provare,
e la S.S. Lazio vuol far partecipare,
tutti a pensare che ciò non si possa fare,
ma Sergio Cragnotti, si lui ha voluto donare.
Tutti sanno che gli atleti son bravi nel calcolare,
ma sapendo che quei bambini vogliono giocare,
subito hanno rinunciato a guadagnare,
pensando al bel sorriso nei bambini a brillare.
Inizialmente la meta non è realizzata,
qualcosa si è fatto ma è finalizzata,
il progetto non è al capolinea ma alla fermata,
proseguendo sarà come pescare ci sarà una bella retata.
Sta arrivando il Natale e si pensa a cosa fare,
Sandro Massimo qualcosa saprà combinare,
Cragnotti e i giocatori doni a portare,
ai bambini tanto sole per scaldare.
Insieme ai più ricchi anche noi dovremo dare,
dolcezza affetto e calore senza far pensare,
chi sta male vicino a noi non possa stare,
un sorriso di un bambino per non dimenticare.
Un grazie a Massimo che ha potuto realizzare,
con Cragnotti ha potuto finalizzare,
e noi che di Sergio avevamo di che pensare,
con umiltà chiediamo scusa e a te diciamo….
Continua così e non ti fermare!!!!
Pierpaolo Piselli



Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta (BA) e presidente nazionale di Pax Christi, ha dedicato la sua vita ed il suo apostolato al servizio ed alla difesa dei poveri e dei più deboli, con gesti concreti, a volte clamorosi, di condivisione. Una lunga e dolorosa malattia, che lo ha portato alla morte nel 1993, non gli ha impedito di continuare fino alla fine il suo impegno per la pace e la giustizia; a pochi mesi dalla morte, nel dicembre 1992, ha guidato una missione di pace a Sarajevo. Questa è una delle sue preghiere, forse la più bella.

Dammi, Signore, un’ala di riserva
(Preghiera)
Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con
un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore,
che anche tu abbia un’ala soltanto. L’altra la tieni nascosta: forse per farmi capire che anche tu non vuoi volare
senza di me.
Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi
tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con te.
Perché vivere non è “trascinare la vita”,
non è “strappare la vita”,
non è “rosicchiare la vita”
Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano,
all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi
sa di avere nel volo un partner grande come te!
Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita.
Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero.
Sono ali spezzate. Sono voli che avevi progettato di fare e
ti sono stati impediti. Viaggi annullati per sempre.
Sogni troncati sull’alba.
Ma ti chiedo perdono, Signore, anche per tutte le ali che
non ho aiutato a distendersi.
Per i voli che non ho saputo incoraggiare.
Per l’indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile,
con l’ala penzolante,
il fratello infelice che avevi destinato a navigare nel cielo.
E tu l’hai atteso invano,
per crociere che non si faranno mai più.
Aiutami ora a planare, Signore.
A dire, terra terra,
che l’aborto è un oltraggio grave alla tua fantasia.
E’ un crimine contro il tuo genio.
E’ un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano.
E’ l’antigenesi più delittuosa.
E’ la “decreazione” più desolante.
Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto.
Bisogna mettere in luce.
E che antipasqua non è solo l’aborto,
ma è ogni accoglienza mancata.
E’ ogni rifiuto del pane, della casa, del lavoro, dell’istruzione, dei diritti primari.
Antipasqua è la guerra: ogni guerra.
Antipasqua è lasciare il prossimo
nel vestibolo malinconico della vita,
dove “si tira a campare”, dove si vegeta solo.
Antipasqua è passare indifferenti vicino al fratello
che è rimasto con l’ala, l’unica ala,
inesorabilmente impigliata nella rete della miseria
e della solitudine.
E si è persuaso di non essere più degno di volare con te.
Soprattutto per questo fratello sfortunato dammi,
o Signore, un’ala di riserva.

UN RAGGIO DI SOLE
Sentire dentro noi, tanta dolcezza,
curando il male, donando una carezza,
due persone, dall’animo pieno di purezza,
prendersi cura, di bambini con grande tenerezza.
Che amici Massimo e Di Rocco di grande qualità,
per loro prestarsi, non è novità,
visitare tanti bambini, non è notorietà,
ma solo perché la fiamma della vita devono ravvivà.
Alle volte viè da domandà, che vita è questa qua,
vedè quell’angeli che non possono giocà,
e grazie a questi due amici il sorriso continuano a provà,
e con l’impegno forte, qualche difficoltà vanno a superà.
“Ali di Scorta” nome di fantasia, pensarlo è sentimentale,
trascurare casa e famiglia, per loro molto normale,
da due anni, il pensiero è per i bimbi… naturale,
collaborare, impegnarsi a fondo per sconfiggere il male.
Io non conosco, questi signori dall’animo generoso,
sono poeta, ma per me loro hanno del valoroso,
io pensate, loro a creare qualcosa di fantasioso,
per far tornare nei cuoricini il più bello e gioioso.
Sandro Massimo,la tua opera farà apprezzare la tua persona,
Concezio Di Rocco, le tue mani a tanti bimbi la vita dona,
la gratitudine non si farà attendere, per voi gente alla buona,
i genitori, sanno che con voi il male non sempre la fa da padrona.
Aver scritto per voi questo madrigale,
ho sentito dentro me quacosa di speciale,
pensare ai bimbi, è più che normale,
dedicare a Massimo e Di Rocco ha del sensazionale.
E a fin di questa mia a voi voglio ringraziare,
tutto il mondo intero, insieme a partecipare……
si sa che il denaro e l’oro ha valore……
…… .ma se la gente ti sorride qualcosa può significare!!!!
Pierpaolo Piselli



Poesie scritte da l’infermieri della Neurochirurgia Infantile per
Salutare la Ex Caposala Sig.ra Antonia Sileno


Grazie Antonia
Antonia cara,
oggi l’occasione è più unica che rara:
dopo tanti anni di servizio e devozione,
finalmente è arrivata la pensione.
Certo ce n’avrai tante de memorie,
tante vite, tante facce, tante storie,
ma a questo punto quel che è stato è stato!
Accetta ste du righe de commiato.
Ci mancherà la tua presenza quotidiana
E farà l’effetto di una cosa strana
Non sentire i rimbrotti mattutini,
non vedere appesi in giro i bigliettini.
Perdona arrabbiature ed incomprensioni,
gli screzi vari e le nostre confusioni
che, di sicuro non abbiamo fatto apposta,
certo, però, che pure tu sei tosta!
“ Ahò, qui non se fuma, andate fori,
me fa specie che ce fate li dottori!!”
“Ragazze, qui la cassa piange; è inutile che dica quel che voglio;
forza, mettete mano al portafoglio!”
Non te la prendere, dai stiamo scherzando,
perché sei ancora qui e ci stai mancando.
Ma vai serena e goditi la pensione,
e questo è il nostro augurio:
che chiusa questa porta si apra un bel portone.




Io lavoro e penso a.… che?


Me ne vado la mattina a lavorare.
Quando vedo la caposala arrivare
Il passo sicuro, la faccia severa
“ Aioh, oggi è na giornata nera”
Forza che le notturne c’hanno sonno
“ Sapessi chi ti sente, porco monno”
Pure il caffè è venuto schifoso
“ Ma non era megkio se facevo riposo?”
Una pillola, un prelievo, una supposta
“ Anche oggi è na mattinata tosta!”
Arrivano i dottori a spicciolata
“ Ecco, s’è finita de rovinà la mattinata!”
Facciamo il giro, entriamo nelle stanze
Io guardo fuori e penso alle vacanze”
Bisogna fare le medicazioni
“ Ma quandi finisce sta rottura de meloni?”
Arriva il vitto e, forse, un po’ di pace
“ Signorina, il pranzo ar pupo nu je piace”
Finalmente arriva il cambio e vado via
“ pure sta mattinata è stata na poesia”











=== ALI DI SCORTA ======
00mercoledì 14 maggio 2008 23:39
============ POSTA==================
L’angolo della posta


Spero che leggendo le lettere di questa rubrica, anche altri genitori, bambini, infermieri e medici decidano di comunicare a tutti i lettori il loro pensiero e le loro emozioni.
La redazione di “oltre il DECIMO PIANO” sarà ben felice di offrire uno spazio in questa rubrica.

E’ dolce la speranza negli occhi dei bimbi, ancor più bella quella di coloro che sono malati e vivranno la maggior parte dei loro giorni in un letto di ospedale, a cui basterebbe un piccolo gesto… La soddisfazione è immensa, pensare di aver fatto sorridere una persona o addirittura avergli avverato un sogno, è stupendo.
Nonostante questo, c’è gente incredula, senza fiducia nei volontari e nelle Associazioni che permettono la realizzazione di questi piccoli miracoli.
Si, forse è difficile se non ci si rende conto della sofferenza altrui, se non la si immagina, se non si prova ad immedesimarsi in essa. Sarà solo una “non conoscenza”, l’assenza di un “reale contatto” ?
Fortunatamente il sentimento di fratellanza, di vicendevole aiuto, non solo materiale, ma anche morale è forte. C’è solo da ricordare: l’amore tutto può… è semplice rendere ricca e magica una giornata come “tante”.
Io ne so pochissimo, ma quando per la prima volta grazie al Sig. Sandro, ho visto questo “nuovo mondo” che non conoscevo, un forte sentimento mi ha rapito ed ho provato una intensa emozione. Quel giorno mi sono accorta di quanto potrei fare e di quanto tutti insieme potremmo fare…
Sara Savoca - Roma

Cari lettori,
sono un mamma di una meravigliosa bambina di nome ILEANA, operata dal Prof. Di Rocco per ben tre volte: a due anni, a tre anni e quest’anno a nove anni. Sono dunque un’ospite con una “cadenza fissa” del reparto di Neurochirurgia Infantile del Gemelli.
Ebbene si, un’ospite, dal momento che quel reparto si trasforma magicamente in una casa accoglienza dove tutti hanno una protezione da offrirti. Senza far torti a nessuno poiché tutto il personale andrebbe positivamente citato, sento l’esigenza affettiva di sottolineare la particolare presenza di qualcuno.
Andiamo per ordine e naturalmente non posso sottacere la speciale umanità e professionalità della ex caposala Antonia Sileno (l’attuale non è da meno !!!) donna energica, e determinata ma dal viso benevolo che anche di fronte ad un cinico dramma sa addolcire ed ammorbidire il triste momento di cui molti genitori sono “fagocitati”.
Il personale infermieristico sembra aver fatto poi corsi di umanità e disponibilità. Da Delia implacabile nel sostenere tutte le cadute emotive dei genitori, a Sofia professionista seria e di indubbio valore, Piera, Loreana, Irene, Costanza, Paola, Ausilia, Gina ed Anna, soccorrevoli e pazienti; Carla la bella e rassicurante e… mi scuso se sicuramente ho dimenticato qualcuno; infine la figura carismatica del reparto, Amedeo, sempre una parola ed un sorriso per tutti; insuperabile sostenitore della causa umana altrui; con il ciondolare dei suoi zoccoli è capace anche a distanza di far avvertire la sua presenza.
Uomo di una carica umana di tutto rispetto che alleggerisce la sofferenza con un gesto, una pacca sulla spalla, un sorriso; il suo atteggiamento comunica vicinanza, dimezza l’angoscia, asciuga la lacrima. Grazie Amedeo a nome di tutte le mamme a cui hai donato il tuo prezioso sostegno.
Grazie a tutti e naturalmente anche al personale medico di grosso spessore professionale, con a capo il suo primario Prof. Concezio Di Rocco, capace di dare una speranza a tutti che quasi sempre tramuta in certezza.
Le sue mani, come si dice, “benedette da Dio”, lottano contro le avversità di un destino poco fortunato e donano tutte le possibilità di riscatto di una vita che torna alla vita. Grazie Prof, la sua esistenza è troppo preziosa, se Dio ha creato questa infanzia che soffre da un lato ci ha messo a disposizione la sua straordinaria competenza nell’assicurare una condizione di vita accettabile. GRAZIE.
Elsa di Ferdinando
Mamma di Ileana Di Carlo –Teramo



E’ Natale,
Il solito versamento sul c/c mi sembra insufficiente a Natale.
Forse qualche giocattolo e qualche torroncino faranno sicuramente piacere ai bambini che in un periodo che dovrebbe essere di festa stanno affrontando un momento difficile della loro vita.
Colgo l’occasione per augurare a tutto il reparto i migliori auguri per il Natale e per un anno 2001 che spero sia migliore per tutti.
Stefano Boezi - Roma



Il Circo degli Angeli,
fiaba di Ferdinando Albertazzi.


Narratore, Ferdinando Albertazzi ha raccontato la sovversione della follia in “La casa del Barbiere” (Garzanti) e la reclusione estrema in Rudolf Hess, “L’inganno del destino”.
Ai bambini racconta fiabe per sognare e ai ragazzi thriller per avere paura “Doppio Sgarro” (Piemme)
L’illustrazione è di Federica De Castro in collaborazione con Laura Anna Regge, sua compagna nella 1° O del Liceo Berti di Torino e sua “ala di scorta”.
L’affettuosa solidarietà di Maria Adelaide Volante, dirigente scolastico ai bambini di “oltre il DECIMO PIANO”: “che possano presto dimenticare”IL CIRCO DEGLI ANGELI
“ Se ti dico che è così è così” insisteva Esterina.
Ma Tommaso no, mica riusciva a credere che gli angeli si divertissero a oscillare sull’altalena, avantindietro avantindietro come facevano lui ed Esterina nel parco giochi.
Perciò Tommaso girò la testa, fingendo di guardare chissà cosa. Poi si voltò di scatto per sorprendere, negli occhi della sua amica del cuore, il lampo birichino di quando esterina gliele raccontava proprio grosse, più grosse di un mondo che non sta nel mappamondo. Allora la bimba scoppiava a ridere, e subito anche Tommaso giù a ridere, fino a non poterne più.
Tuttavia quella volta macchè, Esterina non rideva affatto. Non sorrideva neppure. Aveva anzi, lo sguardo cocciuto e le gote gonfie, indispettita perché Tommaso non la prendeva sul serio.
“ E va bene, racconta” sospirò allora Tommaso.
Esterina non se lo fece ripetere. Narrò a lingua sciolta che il sogno era cominciato accanto a un albero, montato su quattro ruote e con un uccelletto che ogni tanto si chinava per cinguettare a una foglia dove si dovesse andare.
“ Questa non la bevo!” scosse la testa Tommaso.
Esterina non gli badò. E seguitò dicendo che un colpo di bacchetta magica aveva d’improvviso appeso un’altalena, ai rami dell’albero. E sull’altalena un angioletto, che oscillava fischiettando contentofelice.
“ Un angioletto vero’, un angioletto con… con le ali’” chiese Tommaso, che ormai pendeva dalle labbra di Esterina.
“ l’hai detto!” esclamò la bimba. E aggiunse che in un batter d’occhi quel tronco e quelle foglie erano diventate l’albero di una barchetta a zonzo per il mare.
“ Un mare di nuvole sorvolato da nuvole di mare, sai” raccontò Esterina. “Con un viavai da perderci la testa, sui pioli della scala di raggi di sole. Difatti mentre le gocce d’acqua si spingevano per salire in cielo e trasformarsi in nuvole, una cascata di coriandoli di nuvole scendeva formando delle onde del mare.
Di un marenuvola che stava in un catino. E sul bordo un balcone piccolo piccolo, con un micetto che miagolava a una seggiolina la favola di…”
“ Un gatto che racconta favole a una sedia è troppo, Esterina” sbottò Tommaso.
Esterina alzò le spalle. Poi disse che il micetto stava raccontando la favola dell’angelo che traghetta i colori del tramonto sulle prime sfumature dell’alba, intanto che un secondo angioletto caprioleggia agli anelli e un terzo si infila nel vento a cavallo di un manico di scopa.
“ Ma allora… allora hai assistito allo spettacolo del Circo degli Angeli. Hai fatto “bingo”, Esterina” si illuminò Tommaso. E proprio in quel momento si accorse che sulla punta del naso di Esterina era sbocciata un’arancia e che la sua amica del cuore calzava dei ciabattoni formato portaerei.
Ed ecco giù a ridere, Tommaso. E giù a ridere forte anche Esterina, piegata in due nel vedersi davanti uno sbrindellatissimo vestito da clown con dentro Tommaso.
“ Tocca a voi, tocca a voi!” corse a prenderli per mano l’angelo annunciatore. E li guidò nel bel mezzo della pista del Circo.
All’idea di fare un numero, e chissà quale poi!, per la platea del Paradiso, Esterina e Tommaso tremarellarono così tanto che fu d’improvviso buio, nel sogno che stavano sognando. Però i due bambini non smisero del tutto, di sognare. Così a poco a poco la pista si riaccese, e gli Angeli diedero lo spettacolo più sensazionale del loro Circo, con numeri talmente strabilianti da regalare al cuore quel sorriso leggero che si accoccola lì e non se ne va più. Come soltanto succede appena prima o poco dopo un sogno.
Ferdinando Albertazzi.



Lettera del 17/03/2001 inviataci dagli amici della Scuola Elementare di Fiuggi:
Cari amici di “ALI di SCORTA”,
vi mandiamo questi disegni per abbellire di più il vostro reparto. Noi non ci scorderemo mai di voi e faremo di tutto per aiutarvi. Vi vorremmo chiedere una cosa: “Diteci come stanno i bambini e se qualcuno è guarito”. Vogliamo che il nostro ponte con voi non si rompa mai. Stiamo facendo il possibile per aiutarvi a guarire questi bambini. Noi vi salutiamo.
Tanti baci e abbracci dalla quarta A/B della Scuola Elementare di Fiuggi.
Lucarelli Lorenzo, Federica Mattei, Giorgia Pannone, Alessandra Sarti, Martina Bonomi, De Lucia Valeria, Ferraro Marcello, Achille Terrinoni, Anghetti Rachele, Aida Shehi, Giorgilli Serena, Nardi Rachele, Maria Jessica Pirozzi, Paris Simone, Carlo D’Amico, Federico Mallia, Silvia Ticconi, Ciocchetti Tamara, Andrea Girolami, Dario Piccioni, Mugnano Tommaso, Manuel Corsi, Diletta Monti, Polidori Christian, Pierfrancesco Pastorelli, Brigida Crucitti, Chiara Coccia, Terrinoni Simone, Francesca Scaramastro, Conti Francesca, Giorgia Trinti, Sorrentino Andrea, Martina Salvatori, Nicola Fontana, Asconi Graziano, Giorgia De Santis, Michele Colazzo, Infussi Severa Valentina, Giulia Felici, Iori Simone, Marta Limodio, Iacopo Maggi.
Colgo ancora una volta l’occasione offertami dagli amici di Fiuggi per ribadire che esistono numerosi problemi legati alle malattie di questi sfortunati bambini, di cui si ha persino paura di parlare, ma che hanno bisogno di tutti per consentire un maggior impiego di risorse che porteranno alla conoscenza sempre più approfondita delle malattie che ancora rappresentano un dramma ed una incognita per molti di essi.
La spontaneità e il coinvolgimento dei piccoli amici di Fiuggi, unita alla generosità di tutti quelli che ci offrono il loro sostegno, ci aiuta e ci stimola a lavorare per rendere concreta la speranza e la promessa di un futuro più sereno da offrire a tutti quei bambini che stanno vivendo un periodo della loro vita particolarmente delicato.
Vorrei sottolineare però che i progressi fatti nel campo della chirurgia e della cura sono enormi, una percentuale sempre maggiore di bambini oggi affronta queste malattie e ne esce rapidamente e senza alcun problema residuo, la parentesi della malattia, si apre e si chiude in breve tempo, grazie a medici che sono alla continua ricerca di nuove soluzioni tecniche e scientifiche. Il compito di “ALI di SCORTA” è quello di rappresentare un valore aggiunto al lavoro dei numerosi medici e ricercatori per fare in modo che nel più breve tempo possibile quella percentuale aumenti, fino a raggiungere il definitivo traguardo della guarigione totale di tutti, stimolando i medici a mettere in atto interventi sempre più sicuri, mirati e meno devastanti e cure sempre più adeguate ed efficaci.
(Massimo Sandro)



Con sommo piacere pubblichiamo la lettera inviata da “Anna” in data 11 Giugno 2001al Sindaco di Roma Sig. Valter Veltroni durante il periodo di ricovero al Policlinico Gemelli di Roma.
In conseguenza di questa lettera, il Sindaco Sig. Valter Veltroni, ha visitato il reparto di Neurochirurgia Infantile del Policlinico Gemelli, dimostrando enorme sensibilità.

Signor Sindaco,
mi chiamo Anna, ho 12 anni ed ho frequentato la classe II° media dell’Istituto comprensivo di Rotonda in provincia di Potenza. Da quasi un mese, però, sono ricoverata nel reparto di Neurochirurgia Infantile del Policlinico “A. Gemelli”.
Attraverso la televisione ho avuto modo di sapere del suo ricovero in questo stesso ospedale, così ho pensato di scriverle per augurarle una buona permanenza ed una pronta guarigione. In virtù dell’incarico di Sindaco che le è stato da poco conferito, le chiedo di avere un’attenzione particolare nei confronti di questo ospedale. Nel reparto in cui mi trovo, il personale medico e paramedico si è mostrato abbastanza disponibile ad ascoltare noi “piccoli” pazienti e a soddisfare ogni nostra esigenza. Durante questa interminabile “avventura ho avuto il piacere di conoscere ragazzi e ragazze volontari che ogni tanto sono venuti a farci compagnia. Esiste inoltre un’associazione fondata da alcuni genitori di bambini qui ricoverati che hanno messo a disposizione per i genitori che, come i miei, non sono residenti qui a Roma una “Casa Accoglienza” dove poter alloggiare. Infine, io vorrei invitarla a farmi visita prima di essere dimesso così potrà constatare di persona ciò che ho scritto. E così finito il mio periodo di degenza, sarò lusingata di raccontare ai miei amici questa esperienza.
A presto
Anna


Sempre “Anna”, si è fatta portavoce di tutti i suoi piccoli amici del reparto, sintetizzando in 20 punti i
“ Consigli per sopportare una degenza lunga”
1) Mai scoraggiarsi.
2) Mai contare i giorni.
3) Mai sentirsi abbandonati.
4) Mai essere tristi.
5) Mai dire “Beati gli altri”.
6) Mai sentirsi diversi dagli altri.
7) Mai sentirsi minori rispetto agli altri.
8) Non incantarsi davanti l’orologio.
9) Non dubitare sui dottori (xke non sanno quello che fanno).
10) Mai chiudersi in se stessi.
11) Aprirsi verso gli altri.
12) Scambiarsi gli indirizzi e i numeri di cellulare con i degenti.
13) Fare squilli durante gli attacchi di noia.
14) Fare amicizia con i mini degenti del reparto.
15) Inviarsi bigliettini tra i degenti.
16) Essere pazienti (in tutti i sensi).
17) Leggere libri (di qualsiasi genere).
18) Essere ottimisti.
19) Rendersi simpatici.
20) Cercare di affezionarsi ai bimbi piccoli anke se a volte vorresti dire addio alla tua vecchia CAMERA.
Buona degenza a tutti.
Anna
Sono sicuro che questo piccolo decalogo aiuterà tutti i bambini a trascorrere quanto più serenamente possibile il proprio periodo di ricovero nel reparto di Neurochirurgia Infantile e soprattutto aiuterà noi dell’Associazione a capire meglio come fare i volontari



Lettera inviataci da Daniele B. e Gianluca S.
UNA GIORNATA NEL REPARTO DI NEUROCHIRURGIA INFANTILE.
La giornata inizia alle ore 7.00/7.30, orario flessibile.
Daniele viene svegliato dal papà e Gianluca si sveglia da solo.
Poco dopo sentono arrivare il carrello della colazione: Daniele riconosce il rumore delle ruote del carrello e Gianluca si alza per aprire la porta. La colazione viene portata dall’infermiera o dall’Ota, che dice “buon giorno, come state oggi? Cosa volete per colazione?” Latte e caffè con fette biscottate per Gianluca, solo latte per Daniele che poi aggiunge il Nesquik. Ed ecco pronte due grosse tazze gialle per questi ragazzi. Daniele e Gianluca si siedono sul letto e i genitori aprono il vassoio del comodino. Dopo aver fatto colazione, i genitori riportano le tazze sul carrello…ma sorpresa! C’è la colazione anche per i genitori. Il papà di Daniele e la mamma di Gianluca prendono un caffè zuccherato con fette biscottate. La colazione dura poco e per fortuna la televisione è ancora spenta, ma ancora per poco!
Poi arriva il momento di andarsi a lavare, bisogna fare in fretta prima che arrivi Anita, la signora delle pulizie. Gianluca è il primo ad andare in bagno, Daniele è così gentile che gli cede ben volentieri il posto. Dopo di che, ritornano a letto, abbandonandosi “come due sacchi di patate” stanchi e stremati… per non aver fatto niente!
La mamma di Gianluca propone di fare una passeggiata in corridoio, di sentire un po’ di radio o di fare un puzzle. Ma niente da fare, la stanchezza (e la noia) prevale su tutto.
Quindi… non rimane che accendere la televisione e aspettare il momento clou della giornata: il pranzo.
Per i genitori, invece, è l’incontro con i medici il momento più importante: la visita medica passa ad orari diversi.
Improvvisamente, un gruppo di dottori e infermieri circonda il letto di Daniele e Gianluca, facendo loro domande dirette, perché sono grandi! Gianluca e Daniele vorrebbero che i dottori parlassero di più con loro, che dessero loro più spiegazioni e soprattutto che gli dessero una risposta ben precisa ad una domanda che li assilla: “quando possono ritornare a casa?”
Quando è conclusa la visita Daniele e Gianluca ri-sprofondano nel letto continuando a vedere la televisione.
Dopo la visita arrivano le infermiere a rifare il letto. A quel punto Daniele e Gianluca sono costretti ad uscire dal letargo e ad accomodarsi nella poltrona posta accanto al letto. Dopo essere ritornati sul letto, indovinate cosa fanno? Guardano la televisione. Il massimo del divertimento e delle sforzo è quando vengono chiamati per fare una visita specialistica, una TAC ecc. Questa è l’unica occasione per uscire dal reparto. Daniele e Gianluca si dispiacciono che non possono scendere con le ”proprie gambe” e sono costretti ad avvalersi di una sedia a rotelle. Gianluca se potesse, ne farebbe a meno volentieri.
Una volta ritornati in stanza, il letto diventa un miraggio e di nuovo la televisione prende il sopravvento.
Finalmente arriva l’ora del pranzo, sentono subito il rumore del carrello e quell’odore inconfondibile. Dalle 11 di mattina Gianluca aspetta questo momento e in pochi minuti il pranzo è terminato. Un voto al cibo: Buono!
Finito il pranzo, si lavano le mani e ripiombano nel letto per fare un lungo pisolino di due ore, d’altronde dice Gianluca, “non abbiamo niente da fare”.
Arriva così quella parte della giornata che non passa mai: il pomeriggio.
L’unico vero diversivo sono le telefonate degli amici, dei parenti e qualche visita. Poi basta, non succede più nulla. A questo punto, qualsiasi programma televisivo va bene e Gianluca si rimette alle scelte televisive di Daniele.
Poi finalmente arriva la cena. Anche questo pasto viene consumato rapidamente.
In realtà questo appetito è dovuto ai farmaci che vengono loro somministrati. La mamma di Gianluca precisa che in ospedale il figlio mangia anche le mele, cosa che a casa non è mai successo!
La televisione li accompagna durante e dopo la cena fino al sopraggiungere del sonno. Daniele e Gianluca dormono tranquillamente ma i genitori riferiscono che la notte non è così tranquilla e silenziosa. Il pianto dei bambini e il camminare degli infermieri movimentano la notte. Anche l’occhio del genitore per controllare la flebo impedisce di fare un sonno continuo.
E poi arrivano le 7.00 di mattina… e la sveglia.



Abbiamo ricevuto dal nostro amico Andy Luotto

la lettera che riportiamo integralmente
(La redazione di “oltre IL DECIMO PIANO” ringrazia commossa non avendo alcun commento da fare)


Il primo pensiero che mi venne in mente dopo essere stato informato ed istruito su “ali di scorta” e’ stato l’elenco di john lennon nella canzone “imagine”.
“ Ali di Scorta” dovrebbe stare in quell’elenco.
Il raduno per l’associazione a’ stato piacevole per tutti noi: mio figlio ha subito il suo primo concerto classico, mia moglie ha incontrato vecchi amici, e non ha dovuto preparare la cena, io ho strappato qualche risata rendendomi utile ad una buona causa.
Andando via tanti sorrisi, abbracci e promesse, ognuno di noi si e’ sentito piu’ responsabilizzato, piu’ buono, piu’ protetto.
Tutti noi insieme abbiamo realizzato…….
Tornando a casa ho ascoltato “imagine” 35 volte di seguito e mi sono convinto che “ali di scorta” e’ in quell’elenco.
Non so che interpretazione dare a questo mio pensiero, se vi va ascoltate la canzone e mettetevi in contatto con me!!!
Sicuramente ci sara’ da discutere, male che va avrete ascoltato della buona musica.
Vostro amico
ANDY



Abbiamo ricevuto dalla Ex Caposala della Neurochirurgia Infantile,
Sig.ra Antonia Sileno
la lettera che riportiamo integralmente
(La redazione di “oltre IL DECIMO PIANO” ringrazia commossa)
Gentilissima Associazione “Ali di Scorta”,
sono davvero lusingata di essere stata insignita del titolo “Socio Onorario” della vostra, o meglio, ormai nostra Associazione.
Da quando “Ali di Scorta” esiste è nato, per la Neurochirurgia Infantile, un nuovo e vivo interesse che rinfranca ed incoraggia chi, come noi, ha lavorato, lavora e continuerà a lavorare per ed a fianco dei bambini e dei loro genitori.
Io “vado”, perché questa è l’evoluzione naturale della mia vita. Vado, lasciando un po’ del mio cuore che, in fondo, è il cuore di una mamma; la mamma di questo reparto. L’ho cresciuto, in questi anni, con tutto l’amore e l’impegno che ho potuto profondere. Adesso questa mamma sa che è giunto il momento che il figlio intraprenda la propria strada, ed il grande disagio causato dal distacco, che pure è presente, è lenito dal sapere che “il mio figliolo” avrà dei buoni compagni di strada: voi. Le necessità di chi soffre sono, difatti, innumerevoli e non c’è mai numero di mani “Ali” sufficiente a soddisfarle.
Grazie di vero cuore, infine, per la stima che avete sempre dimostrato nei miei riguardi; mi ha consentito di superare ogni fatica.
Un caldo abbraccio. Antonia Sileno
Roma, 2 Giugno 2000



Abbiamo ricevuto dal Sig. Ferruccio Amendola
Il messaggio che riportiamo integralmente
(La redazione di “oltre IL DECIMO PIANO” ringrazia commossa)

Nel cinema quando un attore è gradito al pubblico si usa l’espressione: “buca lo schermo”. Nel doppiaggio diciamo: “una voce che arriva al cuore”. Io spero di avere questo tipo di voce perché più volte mi sono prestato per campagne in favore di persone che soffrono, che hanno bisogno del nostro aiuto, della nostra presenza. Se riuscirò ad arrivare al cuore anche di un solo spettatore fra tutti quelli che mi ascoltano, sarò felice; Vorrà dire che anch’io avrò aggiunto una piuma a quell’ala di scorta.
Ferruccio Amendola



Vite che si intrecciano
Ci troviamo oltre il decimo piano, reparto oncologia pediatrica del policlinico Gemelli.
Prima esperienza di volontariato, curiosi di conoscere, curiosi di sapere a cosa saremo andati incontro.
Primeggia il blu cobalto… L’ambiente è caldo e confortevole.
Conosciamo Sofia, malata di tumore. Ha circa nove anni.
Siamo tutti nervosi, non riusciamo a parlare, restiamo in silenzio.
Le domande sono tante: ne sono all’altezza? Riuscirò a capirlo ?
Vorrei sentire il suo dolore per aiutarlo.
Gli altri si dirigono altrove. Cerchiamo i vari reparti, un’impresa ardua !
Ci troviamo di fronte ad un “corteo di cuccioli impazziti” ci hanno incaricati di farli divertire.
Che facciamo ?
Improvvisiamo un teatrino scadente, a dire il vero poco divertente… però…. I bambini ridono !
Continuiamo a preoccuparci quando invece loro vogliono solo evadere e sognare.
Basta poco: la semplicità e la genuinità.
E’ un’esperienza profonda, loro amano ogni singolo gesto o sguardo, ci guardano attoniti, come se avessimo
Il teatro nel sangue.
Ci hanno resi più grandi.
Ogni uomo nella propria vita ha delle aspettative e cerca di non deluderle.
Noi avevamo delle aspettative…. Anche i bambini.
Sono aspettative differenti, noi speriamo di avere gli “eventi” favorevoli, loro “sperano” di cambiarli.
Classe 3° Liceo Linguistico Europeo
Sacro Cuore
Trinità dei Monti



Abbiamo ricevuto da Simona Izzo
Il messaggio che riportiamo integralmente
(La redazione di “oltre IL DECIMO PIANO” ringrazia commossa) Voglio ringraziarvi per aver dato le ali alla mia voce, per averla resa utile, permettendomi così di fare qualcosa per gli altri.
A presto.
Simona Izzo



Lettera inviataci da Assunta Canada-Scepì (mamma di Maria Letizia)

Il mio grazie di cuore va a tutto il reparto di Neurochirurgia Infantile dell'Ospedale "A. Gemelli" di Roma.
Solo un anno fa cominciava il mio terribile incubo: in un impercettibile attimo la mia vita è stata stravolta dalla malattia che ha colpito la mia Maria Letizia. Niente più è stato come prima; l'unico pensiero che occupava la mia mente era costantemente rivolto a mia figlia: tutto il resto aveva perso importanza. Il dolore e la paura di perderla immobilizzavano ogni cellula del mio corpo, eppure una forza nuova ed inesauribile mi permetteva di andare avanti con caparbietà, senza mai fermarmi. Dopo tante angosce e diagnosi inaccettabili, finalmente siamo approdati al Gemelli di Roma, dove, per noi, si è riaccesa la flebile fiamma della speranza. Durante l'intervento e il periodo di degenza post-operatoria tutto il personale, medico ed ausiliario, è stato fondamentale per la guarigione di Maria Letizia. La insuperabile competenza professionale dell'équipe medica l'ha aiutata a stare meglio fisicamente, mentre gli affettuosi sorrisi, che ogni giorno ci regalavano gli infermieri, e non solo, ci ha dato conforto e sollievo nei momenti difficili che abbiamo dovuto affrontare: non ci siamo mai sentiti soli! Ora il peggio è passato, come si suol dire, ma io sento forte il bisogno di ringraziare tutti coloro che mi hanno regalato l'impagabile possibilità di poter ancora godere della voce, dei sorrisi e della melodiosa musica della mia dolce Maria Letizia. Mio grande desiderio è che queste mie parole possano dare conforto e soprattutto riescano ad accendere la speranza e la fiducia nella vita in tutti coloro che stanno vivendo una esperienza simile alla mia.
GRAZIE!!!



Lettera inviataci da Anna Rita Speranza (mamma di Flavia)


Succede così, all'improvviso, che il destino ti recida le ALI, con cui io e la mia famiglia volavamo tranquilli nel cielo della vita. Una vita senza grandi pretese, semplice, scandita da ritmi abitudinari, ma preziosa perché consapevoli che, una vita così semplice era il segreto per un "vivere felici". Poi ad un tratto, la malattia della nostra piccola Flavia ci catapulta in un mondo lontano dal resto della famiglia, un mondo fatto di dolore, di sofferenza e di piccole speranze troppo spesso deluse. Così tutti i momenti trascorsi prima della disgrazia diventano di colpo importanti: la colazione veloce la mattina, la scuola, il lavoro, il ritrovarsi insieme per la cena, le liti, le preoccupazioni; sono attimi della vita che acquistano un gran valore perché la croce da portare in quel momento è mille volte più pesante. E la vita diventa un calvario fatto di sale operatorie, sale di rianimazione, medicazioni, chemioterapie e complicanze varie e soprattutto diventa un continuo chiedersi che senso abbia tutta quella malinconia in fondo agli occhi di quei bambini. Ma....anche se ci siamo sentiti come dei piccoli uccelli feriti, in mezzo a tutta quella sofferenza, abbiamo trovato che ci ha donato un paio di "ALI di SCORTA". Abbiamo trovato una casa, che più che un posto dove poter dormire, era un luogo dove quando ci si ritrovava insieme, il dolore di ognuno era condiviso con gli altri, cos' da sentirsi un po' sollevati dal proprio fardello. Ci sentivamo di essere come a casa propria: una cena da preparare, i panni da lavare e così via. Abbiamo trovato persone disposte ad ascoltarci e comprendere alcuni dei tanti perché, senza farci andare fuori di testa. Abbiamo trovato personale e medici disponibili, umani, sempre pronti a infonderci coraggio. Ma soprattutto abbiamo trovato in queste persone la forza per andare avanti e non autocommiserarci. Io insieme a mio marito e alle mie figlie voglio ringraziare dal profondo del cuore queste persone... Grazie per averci donato un nuovo paio di "ALI" che anche se di "Scorta" ci hanno permesso (in maniera un po' goffa) di continuare a volare nel cielo della vita e poter così un giorno giungere in quel posto bellissimo dove si trova ora "il mio piccolo Angelo".



Lettera indirizzata ad "Ali di Scorta" da Settimio Braghetti e Donatella Miconi (genitori di Daniele).
(Brecciarola, 26 agosto 2003)
Non avendolo potuto fare nella serata del 7 luglio 2003 alla quale avete presenziato vi rimettiamo un resoconto dettagliato dello svolgimento della manifestazione con un breve pensiero composto da un'amica sul conto del nostro Daniele. Con l'occasione inviamo anche un personale ricordo da noi composto nell'agosto dello scorso anno nel quale è evidenziato il modo con cui Daniele ha vissuto la sua breve esistenza e il modo con cui ha affrontato la malattia. Ringraziandovi per la partecipazione, porgiamo affettuosi saluti.
Brecciarola (CH) 7 luglio 2003










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00venerdì 16 maggio 2008 23:28
Medici


I tumori cerebrali del bambino


I tumori cerebrali dell’età pediatrica continuano a rappresentare una delle più difficili sfide terapeutiche. Questi tumori sono stati a lungo accompagnati -ed in parte ancora lo sono- da un diffuso pessimismo poiché nell’opinione generale essi erano associati ad una morte precoce o a sopravvivenze gravate da significative alterazioni dello sviluppo psico-motorio. Tale atteggiamento negativo da parte dei familiari e dei sanitari, appariva giustificato da varie ragioni come, ad esempio, le difficoltà diagnostiche di questo tipo di lesione, la loro natura eterogenea, da forme benigne, ai confini della malformazione congenita, a forme estremamente aggressive, i limiti del trattamento chirurgico, la relativa inefficacia della chemioterapia, ed infine i danni conseguenti l’applicazione della radioterapia su un cervello in via di maturazione.
Per certi aspetti le difficoltà appena descritte sussistono ancora ma la loro relativa gravità è in genere diminuita così da poter permettere oggi una valutazione più consapevole del problema.
I progressi delle tecniche di indagine morfologica dell’encefalo (ecoencelografia, tomografia computerizzata, risonanza magnetica) hanno reso la diagnosi precoce dei tumori cerebrali infantili possibile in molti casi. Il risultato più evidente è stato lo spostamento verso le prime età dell’infanzia dei pazienti che vengono trattati, con ormai oltre il 10% di questi operati nei primi 12 mesi di vita (oltre il 13% nella casistica di oltre 700 tumori cerebrali pediatrici operati presso l’Unità Operativa di Neurochirurgia Infantile del Policlinico A. Gemelli).
Paradossalmente, l’abbassamento dell’età della diagnosi e quindi del trattamento non si è associata ad un peggioramento dei risultati ma, al contrario, ad un aumento delle sopravvivenze a lungo termine ed a un miglioramento, nei bambini sopravvissuti, della qualità di vita. Il riconoscimento precoce del tumore si è infatti tradotto in operazioni effettuate in bambini in condizioni generali ancora soddisfacenti e specificatamente per i neonati ed i lattanti, nell’indirizzo dei pazienti verso strutture di neurochirurgia e neurooncologica squisitamente pediatriche, verso cioè strutture di maggiore esperienza.
L’affinamento delle tecniche operatorie è stato nelle ultime due decadi straordinario, parallelamente all’esplosione tecnologica registrata in altri campi. L’introduzione del microscopio operativo, dell’aspiratore ad ultrasuoni e recentemente dalla neuronavigazione, ha permesso al neurochirurgo di realizzare operazioni impensabili solo alcuni anni fa, di aggredire lesioni in sedi tradizionalmente considerate inaccessibili, risparmiando al massimo l’integrità delle strutture nervose adiacenti. Parallelamente allo sviluppo della neurochirurgia, un contributo enorme al miglioramento dei risultati è stato dato dal contemporaneo sviluppo delle tecniche di anestesia e di assistenza intraoperatoria e di terapia intensiva.
E’ evidente che i progressi appena descritti abbiano interessato soprattutto le neoplasie cerebrali di tipo benigno, quelle cioè la cui guarigione dipende essenzialmente dall’atto chirurgico. L’incidenza di tali tumori è particolarmente alta in età pediatrica, anche se con significative variazioni nei neonati, nei lattanti e nei bambini più grandi decisamente maggiore rispetto all’età adulta. L’astrocitoma, il tumore cerebrale più comune si presenta, nella popolazione pediatrica, nella maggior parte dei casi nella sua forma di minore aggressività, con scarsa tendenza alla recidiva, dopo l’asportazione chirurgica. Tipici del bambino sono altri tumori benigni, come i teratomi o i papillomi. I teratomi, in pratica errori dello sviluppo dell’embrione, possono costituire quasi la metà dei tumori cerebrali riscontrati alla nascita, un terzo dei tumori riconosciuti nei primi due mesi di vita ed il 5% di quelli del primo anno. I papillomi rappresentano il 10% delle neoplasie operate nei primi due anni di vita. Rispetto ai tumori benigni, quelli maligni si sono avvantaggiati solo in minore misura dello sviluppo tecnologico, ma anche essi presentano oggi una prognosi migliore del passato. La rimozione chirurgica totale o subtotale di questi tumori si è dimostrata influenzare positivamente la percentuale di sopravvivenza a lungo termine, anche se purtroppo l’esito finale rimane ancora oggi infausto nella maggioranza dei casi. Per questo tipo di tumori la speranza di guarigione resta ancora basata sullo sviluppo di adeguati trattamenti chemioterapici ed immunologici e di più raffinate modalità di somministrazione della radioterapia (radio-chirurgia, radioterapia conformazionale). Tuttavia, anche se con ritmi che per il singolo paziente appaiono purtroppo drammaticamente lenti, le percentuali di sopravvivenza a lungo termine della popolazione pediatrica con tumori cerebrali appaiono costantemente aumentate in relazione all’ininterrotta immissione di nuove molecole nel prontuario terapeutico o all’individuazione di più efficaci protocolli combinati (chirurgia, chemioterapia, radioterapia). Resta ancora da sottolineare, a sostegno dell’importanza della ricerca in neurooncologia e di un maggiore coinvolgimento generale, come i tumori cerebrali pediatrici, a differenza di quelli dell’adulto o di altre neoplasie infantili, ad esempio, le leucemie, i linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin, i tumori renali o quelli oculari, che sembrano in via di diminuzione, continuino costantemente ad aumentare in incidenza, con un incremento percentuale annuale dell’1 per cento. Attualmente i tumori dell’infanzia superano per frequenza come causa di morte neoplastica nel bambino le leucemie. Un dato che indurrebbe a riflessione è che l’aumentata incidenza caratterizza proprio i paesi evoluti, come quelli europei o dell’America del Nord, dove attualmente vengono registrati 32-34 nuovi casi per anno su un milione di abitanti.

Prof. Concezio Di Rocco
Primario dell’Unità Operativa di Neurochirurgia Infantile
Policlinico A. Gemelli




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00venerdì 16 maggio 2008 23:29
Medici

Il trauma cranico in età pediatrica

Nei giorni 10-13 Maggio 2001 si è tenuta, presso la suggestiva cornice offerta dalla città di Assisi e grazie anche al sostegno dell’ associazione “Ali di scorta” , la Consensus Conference on Pediatric Neurosurgery sul trauma cranico pediatrico, organizzata dal Prof. Di Rocco e dal Dr. Velardi, che ha visto riuniti i maggiori esperti mondiali del settore. Nei tre giorni del congresso sono stati dibattuti tutti i principali aspetti fisiopatologici e clinici di questa importante condizione morbosa, che è gravata, ancora oggi, di elevata mortalità e morbilità. Nei paesi occidentali, infatti, la patologia traumatica rappresenta la causa più frequente di morte nella fascia di età compresa tra 0 e 14 anni, ed è responsabile di lesioni neurologiche spesso invalidanti nei bambini sopravvissuti, con costi sociali ed affettivi enormi per la collettività e le famiglie colpite. Negli Stati Uniti ogni anno si registrano circa 600.000 accessi al pronto soccorso per trauma cranico pediatrico e circa 95.000 bambini sono ricoverati per tale patologia, per una spesa sanitaria di circa 1 bilione di dollari/anno. Fortunatamente circa il 90% dei casi di trauma cranico pediatrico non è gravato da lesioni cerebrali importanti, mentre il restante 10% è caratterizzato da lesioni endocraniche che, spesso, richiedono un intervento neurochirurgico immediato o, comunque, l’ assistenza in terapia intensiva pediatrica. Nel caso del trauma cranico grave la mortalità può variare, in base alle diverse casistiche ed alle diverse realtà sociali, dal 15 al 30%, mentre gli esiti neurologici a distanza possono essere caratterizzati da una grave disabilità fino ad uno stato vegetativo persistente, fortunatamente poco frequente in età pediatrica. In Italia non esistono delle casistiche aggiornate riguardo l’ incidenza di tale patologia, in quanto i dati dell’ Istat, riferiti a tale condizione morbosa, sono fermi al 1994. Comunque, dati recenti della letteratura riferiscono che circa 3 bambini su 10 sono trasportati in pronto soccorso per un trauma cranico ed 1 bambino ogni 600 nati muore in conseguenza di un trauma cranico grave. Tale condizione morbosa colpisce più frequentemente i bambini rispetto alle bambine, in conseguenza delle diverse attività sociali e sportive dei primi. La causa più comune di trauma cranico è rappresentata dagli incidenti automobilistici, in cui i bambini sono coinvolti come occupanti del veicolo o sono investiti come pedoni o ciclisti. Nella fascia di età sopra i 14 anni, invece, la causa più frequente è rappresentata dagli incidenti motociclistici, anche se la recente istituzione del casco sta conseguendo dei risultati molto importanti nel limitare i danni cerebrali. Altre cause importanti sono rappresentate dagli incidenti domestici e dalle cadute, mentre i casi di bambino maltrattato sono relativamente pochi, a differenza degli Stati Uniti. Il trauma cranico è responsabile di un danno cerebrale primario (che si realizza al momento dell’ impatto) e di un danno cerebrale secondario, che dipende da una serie di reazioni biochimiche, molecolari e neuroormonali che determinano la morte dei neuroni, a distanza dal trauma. La prognosi dei bambini con trauma cranico dipenderà strettamente dalla natura e dalla estensione del danno neurologico primario e dalla efficacia dei diversi trattamenti per prevenire e/o limitare il danno cerebrale secondario. Purtroppo l’ unica possibilità per limitare il danno primario è rappresentata dalla prevenzione, per cui assume un’ importanza fondamentale la diffusione e la conoscenza di tutti i presidii fondamentali per la protezione dei bambini, sia nell’ ambiente domestico che, soprattutto, quando trasportati in automobile. Da una nostra recente indagine, condotta su 30 bambini con trauma cranico grave coinvolti in incidenti automobilistici, abbiamo appurato che solo 3 di essi erano legati alle cinture di sicurezza e solo 2 erano fissati al seggiolino, per cui è evidente quanto ancora ci si debba impegnare nel diffondere le più elementari misure di prevenzione e di sicurezza. La prevenzione ed il trattamento del danno cerebrale secondario, invece, possono giovarsi di tutta una serie di interventi da attuare sia al momento dell’ incidente che nella successiva fase del trattamento ospedaliero. Nel primo caso assume importanza fondamentale una adeguata assistenza al bambino traumatizzato sulla scena stessa dell’ incidente, dove, mediante l’ intervento di personale qualificato, si possano ridurre il più possibile i danni causati da alcune complicanze precoci, come l’ ipossia e l’ ipotensione post-traumatiche. Purtroppo ancora oggi, e non solo in Italia, la gran parte dei bambini con trauma cranico grave non è gestita in maniera adeguata sulla scena dell’ incidente, poiché solo il 40% di essi viene intubato precocemente e stabilizzato dal punto di vista emodinamico, con ovvie ripercussioni sullo stato di ossigenazione cerebrale e di perfusione periferica. La conoscenza di queste complicanze post-traumatiche precoci, associata ad un loro adeguato trattamento, nonchè un pronto trasferimento del bambino verso un centro ospedaliero dotato di un servizio di neurochirurgia infantile (“scoop and run” degli autori anglosassoni) ha permesso di ridurre, negli Stati Uniti, la mortalità del 40% negli ultimi venti anni. Purtroppo la realtà italiana è lungi dall’ essere soddisfacente. Un nostro studio recente, condotto sui bambini della regione Lazio con trauma cranico grave, ha evidenziato come, sia il trattamento iniziale che i tempi di trasferimento dei bambini dagli ospedali periferici al nostro centro, siano poco adeguati alla gravità di tale condizione morbosa. Infatti i tempi medi di ingresso sono stati superiori alle quattro ore, mentre il tempo trascorso dal momento del trauma all’ intervento neurochirurgico (il più delle volte salvavita), è stato di circa quattro ore e mezzo. Sebbene i nostri dati siano riferiti ad un solo centro riteniamo, comunque, che il management iniziale del bambino con neurotrauma, almeno nella nostra regione, sia inadeguato e che sia necessario attuare tutta una serie di interventi, preventivi e terapeutici, per migliorare tale situazione. Infatti, parafrasando le parole di un collega francese, ci sentiamo di affermare che migliorare la qualità dell’ assistenza al bambino traumatizzato sulla scena dell’ incidente deve rappresentare il “first goal”, l’ obiettivo principale dei prossimi anni. In conclusione la prognosi dei bambini con trauma cranico può essere migliorata dalla conoscenza dei più importanti fattori di rischio legati a tale patologia, nonché dalla attuazione di algoritmi terapeutici da applicare nei centri di neurochirurgia e di terapia intensiva pediatriche, in accordo con linee guida internazionali standardizzate. Infatti una corretta stabilizzazione e sedazione, un accurato monitoraggio della pressione intracranica e della ossigenazione cerebrale, la profilassi delle crisi convulsive post-traumatiche, un costante monitoraggio della temperatura corporea, un rigido controllo metabolico, sono tutte procedure che hanno permesso di migliorare, negli ultimi anni, la prognosi dei bambini con trauma cranico, riducendo sia i danni neurologici a distanza che la mortalità, legate a tale patologia.
Se l’aggiornamento medico spetta alle istituzioni ed agli stessi operatori sanitari, alla Società compete il compito di informare e di assicurare tutte le misure preventive che possano ridurre l’incidenza dei traumi cranioencefalici. In questa direzione le associazioni laiche, come Ali di Scorta ha dimostrato contribuendo all’organizzazione del convegno di Assisi, possono avere un ruolo estremamente interessante



Dott. Antonio Chiaretti
Terapia Intensiva Pediatrica
Policlinico “A. Gemelli”, Roma.




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00venerdì 16 maggio 2008 23:31
Medici

Il mutismo cerebellare

Tra le complicazioni della chirurgia in fossa cranica posteriore, il mutismo cerebellare colpisce particolarmente per l’evidenza della manifestazione clinica, l’insorgenza relativamente tardiva e l’evoluzione spontaneamente favorevole.
Si tratta di una complicazione rara (1,5% dei casi) che generalmente si presenta in bambini di età inferiore ai 10 anni dopo un intervento chirurgico di asportazione di un tumore cerebellare (medulloblastoma e più raramente ependimoma e astrocitoma) localizzato sulla linea mediana, quasi sempre di grandi dimensioni e spesso associato ad idrocefalo ostruttivo. Il disturbo del linguaggio insorge caratteristicamente a distanza di 24-72 ore dopo un intervento apparentemente ad esito favorevole, in modo improvviso, senza alterazioni dello stato di coscienza, con integrità della capacità di comprensione e senza la comparsa di deficit dei nervi cranici che innervano i muscoli della faccia, bocca, lingua e faringe.
Il mutismo può essere completo o parziale. Nel primo caso il bambino non è in grado di emettere alcun suono mentre, nel secondo, il paziente riesce a pronunciare qualche semplice parola o frase o a lamentarsi. All’alterazione del linguaggio può associarsi un disturbo del comportamento caratterizzato da irritabilità, aggressività ed apatia. Questa sindrome dura generalmente da 2 settimane a 3-4 mesi per poi regredire spontaneamente. In alcuni bambini, la ripresa della parola è preceduta da un periodo di alcune settimane caratterizzato da disartria cioè da un’alterazione del linguaggio conseguente ad una imperfetta articolazione della parola.
La reversibilità della sindrome distingue il mutismo cerebellare dai deficit del linguaggio di espressione che possono essere osservati dopo lesioni cerebrali dell’emisfero dominante (area frontale di Broca). La capacità di comprendere il linguaggio che viene mantenuta, d’altra parte, distingue il mutismo cerebellare dal deficit di comprensione del linguaggio che segue a lesioni dell’emisfero dominante (area parietale di Wernicke).

Ruolo del cervelletto
Il cervelletto svolge diverse funzioni: controlla i movimenti oculari e l’equilibrio del capo durante la stazione eretta e la deambulazione; coordina il movimento degli arti e partecipa alla pianificazione ed all’apprendimento dei movimenti complessi. Nel bambino fino al quindicesimo anno di età circa, il cervelletto svolge un ruolo fondamentale nei processi cognitivi di elaborazione e pianificazione del linguaggio ed è coinvolto in alcuni processi emozionali e comportamentali. Si ipotizza, in particolare che gli emisferi cerebellari e i nuclei dentato ed emboliforme, tramite le connessioni con alcune aree della corteccia frontale e parietale, siano le strutture nervose cerebellari preposte a svolgere i processi di elaborazione di attività mentali come il linguaggio e la capacità di organizzare un’azione. Il verme, invece, funge da “processore” di emozioni quali l’aggressività.


Cenni di fisiologia del linguaggio
Il linguaggio è il risultato dell’integrazione di un processo cognitivo e di uno motorio. Una parola o una frase che viene “pensata” deve essere trasformata in un suono attraverso l’apparato della fonazione. Dalle aree cerebrali cognitive in cui prende forma la frase da pronunciare gli impulsi elettrici vengono trasferiti ad un’area del lobo frontale chiamata area di Broca da cui partono i segnali per i muscoli della bocca, lingua, faringe e dell’apparato respiratorio che servono a pronunciare le parole. Tali muscoli devono contrarsi in modo coordinato e con una esatta sequenza specifica per ogni parola. Il cervelletto, ha proprio questa funzione. In particolare si pensa che i nuclei dentato ed emboliforme e alcune aree del verme siano deputate a raccogliere ed elaborare le informazioni motorie generatesi nel lobo frontale, di coordinarle ed organizzarle prima di essere inviate ai muscoli dell’apparato della fonazione. Per ragioni ancora non chiare, questo processo sembra essere particolarmente importante nel bambino rispetto all’adulto.

Patogenesi
La causa dell’insorgenza del mutismo non è ancora stata completamente chiarita. Si pensa che il trauma chirurgico sul verme e sugli emisferi cerebellari possa causare l’interruzione dei circuiti neuronali deputati all’elaborazione del linguaggio. Non si tratta però di un’interruzione anatomica, poiché la complicazione evolve spontaneamente in maniera favorevole, ma piuttosto di una lesione di tipo funzionale. Ciò è confermato dal fatto che il disturbo insorge a distanza di diverse ore dall’intervento e quindi in probabile relazione con fenomeni transitori come il rigonfiamento cerebellare, l’edema, l’idrocefalo ed eventuali disturbi dell’irrorazione ematica. L’osservazione che i bambini affetti da mutismo cerebellare migliorano velocemente dopo la dimissione dall’ospedale suggerisce il possibile ruolo anche di un’importante componente funzionale della sfera emotiva / psicologica.

Terapia ed evoluzione
Il mutismo cerebellare è una sindrome transitoria che si risolve spontaneamente e gradualmente in alcune settimane. Le conoscenze relative alla patogenesi di questa sindrome non sono sufficienti per potere attuare un’efficace prevenzione del disturbo né una terapia specifica. E’ stato comunque osservato che la dimissione del paziente accelera il miglioramento dei sintomi, così come un adeguato atteggiamento non ansiogeno da parte dei familiari, che possono piuttosto tendere a tranquillizzare il bambino una volta consapevoli che, comunque, si tratta di un fenomeno destinato alla regressione spontanea.


Luca Denaro







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00venerdì 16 maggio 2008 23:32
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Derivazione liquorale spinale


La derivazione liquorale spinale (D.L.S.) è una metodica chirurgica di drenaggio del liquido cerebrospinale all’esterno che si ottiene con apposizione di un catetere derivativo nello spazio subaracnoideo spinale, in genere mediante puntura lombare, connesso ad un reservoir esterno per la raccolta del fluido drenato.

Scopi: l’indicazione principale è quella di diminuire la pressione liquorale intracranica, “divertendo” la circolazione liquorale verso lo spazio spinale allo scopo di permettere la guarigione spontanea di lacerazioni durali: esempio tipico fistole liquorali a seguito di interventi chirurgici o di traumi.
Meno comunemente la D.L.S. viene utilizzata per mantenere bassa la pressione intracranica per un periodo relativamente prolungato: esempio tipico edema cerebrale post-traumatico, ipertensione endocranica benigna (se la pressione deve essere mantenuta costantemente bassa la D.L.S. può essere sostituita da una derivazione interna spino-peritoneale).
Ancora più raramente la D.L.S. può essere utilizzata per il trattamento di infezioni cerebro-meningee.

Tecnica: la D.L.S. viene in genere realizzata tramite puntura lombare con ago apposito. Nel bambino è preferibile l’anestesia generale. Il catetere di drenaggio di calibro assai sottile e flessibile viene fatto passare per qualche centimetro sotto la cute prima della sua fuoriuscita all’esterno (per evitare fistole lungo il drenaggio stesso per capillarità, diminuire il rischio infettivo e aumentare la stabilità del sistema). Per evitare l’asportazione accidentale il catetere viene fissato, dopo aver fatto un’ansa ad otto, alla cute con punti di sutura. Un rubinetto a tre vie consente la fuoriuscita del liquor, l’iniezione di fluidi per la terapia antibiotica e l’esecuzione di prelievi per il monitoraggio delle colture liquorali (in genere ogni secondo giorno per assicurarsi del mantenimento della sterilità, più frequentemente in caso di infezione).


\Regolazione del flusso: per evitare una perdita liquorale eccessiva e troppo rapida ( soprattutto nel paziente in posizione seduta o ortostatica). Il sistema per la D.L.S. è munito di un deflussore con dial-a-flo che regola un flusso costante di liquor anche di fronte a pressioni liquorali alte. In genere il drenaggio esterno è fissato su valori di VI gtt./m ( pari a circa 10ml/h l’equivalente cioè della metà circa della produzione liquorale in condizioni normali).
Mantenimento: come per tutte le derivazioni liquorali ogni manipolazione della derivazione deve essere fatta nelle condizioni migliori di sterilità (l’uso di guanti è obbligatorio). In genere la medicazione della cute a livello della fuoriuscita del catetere viene effettuata ogni 3° giorno (soluzioni di Betadine). Il paziente può giacere in posizione supina anche se il decubito laterale è preferibile. Per la presenza della valvola di drenaggio, è possibile anche la posizione seduta, senza cioè la necessità di sospendere il drenaggio liquorale e, quando indispensabile, anche quella eretta (ad esempio necessità fisiologiche, in questo caso ci si deve assicurare che il catetere derivativo non si disconnetta dal reservoir durante la deambulazione del paziente).
Durata: in genere la D.L.S. viene mantenuta per il tempo sufficiente alla riparazione durale 6-10-14 gg., dopo i quali il catetere spinale viene rimosso in reparto ed il punto di fuoriuscita chiuso con una singola sutura.
Complicazioni: la possibilità di un’infezione secondaria è il rischio maggiore associato alla tecnica. L’incidenza di tale complicazione può essere ridotta con un’accurata sorveglianza infermieristica, mentre il valore di un’antibiotico-terapia profilattica è ancora discusso ( per la possibilità di selezionare germi resistenti). Una complicanza abbastanza frequente è la perdita liquorale da risalita capillare lungo la superficie esterna del catetere (in tale caso è da escludere una chiusura più o meno completa della derivazione stessa. Manovre possibili: dislocazione esterna di qualche millimetro del catetere, eventuali lavaggi con soluzioni sterili ed antibiotici). Eccezionalmente il catetere spinale può rompersi a seguito di movimenti bruschi del paziente o durante la manovra di rimozione. (La porzione di catetere in situ deve essere rimossa chirurgicamente). Non raramente il bambino può lamentarsi specie nei primi giorni di dolori agli arti inferiori, dovuti alla manovra chirurgica o ad un intimo contatto del catetere intratecale con le radici nervose). In genere, i sintomi sono transitori e comunque risolvibili con la rimozione del catetere (da escludere infezioni secondarie).




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00venerdì 16 maggio 2008 23:37
Medici

ALI DI SCORTA: un’iniziativa a favore del bambino maltrattato


Tra le emergenze socio-sanitarie dei paesi ad alto tasso di sviluppo, i traumi cranio-encefalici costituiscono un problema particolare per la loro elevata incidenza (1% della popolazione), l’alta mortalità ad essi associata (da 10 a 30 casi per 100.000 abitanti), il coinvolgimento sempre crescente delle fasce d’età più fragili, da un lato bambini sotto i 5 anni di età , dall’altro persone di età superiore ai 65 anni, e di soggetti con alta potenzialità di vita, come adolescenti e giovani adulti. In altri termini, i traumi cranio-encefalici rappresentano una patologia ad altissimo costo sociale e giustificano quindi le numerose iniziative intraprese nei vari paesi per diminuirne l’incidenza e minimizzarne le conseguenze.
Non deve perciò sorprendere se Ali di Scorta, pur essendo un’associazione il cui interesse è maggiormente indirizzato verso i tumori del sistema nervoso centrale del bambino, abbia creduto opportuno contribuire ad un’iniziativa scientifica – Consensus Conference on Pediatric Neurosurgery: Head Injuries: management of primary damage – secondary damage prevention (Traumi cranici: il trattamento del danno primario- la prevenzione del danno secondario) che si svolgerà ad Assisi, 10-13 Maggio 2001. La Conferenza riunirà esperti dei vari paesi e riguarderà diversi aspetti, dalla rilevanza del design ambientale nel favorire gli incidenti all’importanza di un appropriato trattamento “sul teatro” dell’incidente stesso, dalla necessità di un’adeguata assistenza ospedaliera iniziale alle modalità medico-chirurgiche atte a prevenire le complicazioni secondarie e ridurre l’entità degli esiti a distanza.
L’intervento di Ali di Scorta in particolare riguarderà un problema nel problema, quello del “bambino percosso”, uno specifico quadro clinico caratterizzato dall’evidenza di traumi multipli e ripetuti nei bambini di pochi mesi di vita (nella maggior parte sotto l’anno) causati da maltrattamento da parte dei familiari o delle persone che ne dovrebbero avere cura. Su questo particolare quadro clinico (danni cerebrali, emorragie retiniche, fratture degli arti), provocato in genere indirettamente da violenti scossoni o addirittura da traumi diretti, è stata richiamata l’attenzione negli Stati Uniti fin dal 1974 (Shaken Baby Syndrome, Caffey J: Pediatrics 54:396-403, 1974). L’incidenza del maltrattamento come causa di danno cerebrale in età pediatrica è difficilmente valutabile. Molti casi rimangono infatti nascosti o, nell’evenienza di un ricovero ospedaliero, vengono riportati dai familiari, come esiti di cadute spontanee o comunque di un accidente. Dipenderà perciò dall’educazione del medico e dalla sua attenzione al problema la capacità di riconoscere l’esatta natura della lesione e di predisporre quindi le misure atte ad evitare il ripetersi dell’accidente. E’ noto in effetti come un bambino percosso correrà un rischio assai elevato di ulteriori maltrattamenti una volta riammesso in famiglia.
Per sottolineare l’importanza del problema, bisogna ricordare che circa la metà dei bambini maltrattati in famiglia presentano lesioni cerebrali, le quali, nel 95% dei casi, sono di entità severa. L’80% delle morti da lesione traumatica cerebrale nel bambino sotto i 2 anni è ritenuta essere causata da maltrattamento familiare (American Academy of Pediatrics Committee on Child Abuse and Neglect: Pediatrics 92:872-875, 1993).
L’esatta natura delle cause che portano al maltrattamento o la natura delle lesioni è stato oggetto di numerose discussioni: lo scuotimento violento del bambino, afferrato per il braccio, nel tentativo, ad esempio, di interrompere un pianto o di insistere perché un ordine sia eseguito ha portato alla definizione di “bambino scosso” ed all’individuazione del meccanismo di realizzazione del danno cerebrale nel violento scuotimento del capo, con dislocazione delle strutture nervose in esso contenute, in relazione al suo alto peso, in paragone al resto del corpo, ed alla debole muscolatura del collo in questa fascia d’età. La presenza di fratture craniche ha invece indirizzato l’attenzione verso lesioni da impatto diretto (ad esempio, schiaffo, pugno o spinta violenta contro un muro, etc.) e giustificato la dizione di “trauma inflitto”. Altri Autori hanno sottolineato relazioni più difficili da individuare, come danni sostenuti dal bambino a seguito della negligenza più o meno voluta del tutore, da cui il termine “bambino negletto”.
Qualsiasi sia il meccanismo del danno, alcune caratteristiche sono comuni, ad esempio la prevalenza del sesso maschile sia fra le vittime (60% bambini, 40% bambine) così come fra gli agenti (il padre o il patrigno è responsabile nel doppio dei casi rispetto alla madre). Più specificatamente, le madri sono responsabili in circa un sesto e la baby-sitter in circa il 17% dei casi, quest’ultima essendo una cifra particolarmente allarmante se si considera il sempre crescente coinvolgimento della madre in attività lavorative extra domestiche.
Il maltrattamento del bambino è comunque un fenomeno che interessa tutte le classi sociali, indipendentemente dal livello socio-economico o educativo. Esso può rappresentare la risposta ad uno stato di frustrazione o a tensioni sociali che trova la sua causa immediata nell’irritazione indotta dal pianto incessante del bambino o in una sua eccessiva vivacità. In alcuni casi lo “scuotimento” violento del bambino può essere visto dal familiare come un trauma minore rispetto ad una percossa diretta, anche se purtroppo il danno cerebrale inflitto può essere molto più grave. Si tratta infatti di lesioni emorragiche, di lacerazioni cerebrali, di danni assonali diffusi che portano ad esiti gravi con altissimi costi sociali, come atrofie cerebrali focali o generalizzate, deficit neurologici, crisi epilettiche, ritardo dell’apprendimento, spasticità, cecità.
Come in molti campi della medicina, anche per quanto riguarda questo specifico argomento, appare evidente che l’educazione e la maggiore consapevolezza pubblica del problema costituiscono l’unica possibilità per una reale prevenzione, da qui l’interesse di Ali di Scorta. L’intervento “medico” rischia infatti di essere quasi sempre necessariamente tardivo ed in molti casi insufficiente per la gravità delle lesioni indotte.
Prof. Concezio Di Rocco







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00venerdì 16 maggio 2008 23:38
Medici

Un anno dopo…


E’ trascorso un anno dall’inizio della mia esperienza nel Reparto di Neurochirurgia Infantile del Policlinico A. Gemelli di Roma. Non sono entrata sola all’undicesimo piano. Ero affiancata come oggi d’altronde, dall’Associazione “Ali di Scorta”. Insieme, forti anche dell’esperienza accumulata in un altro reparto pediatrico, abbiamo cominciato ad affiancare il lavoro del personale medico ed infermieristico del reparto, per migliorare la “qualità della vita” dei piccoli pazienti e delle loro famiglie. Questo reparto è l’unico a Roma dove si eseguono esclusivamente interventi neurochirurgici su bambini. Ci sono 14 letti sempre costantemente occupati. La lista di attesa purtroppo è molto lunga, sia il cospicuo numero di pazienti sia per un accesso alla sala operatoria limitato a 2-3 giorni la settimana. I casi urgenti hanno la, priorità. Per urgenti s’intendono, in linea di massima, i tumori cerebrali e i traumi cranici. In questo reparto accedono anche tanti bambini portatori di malformazioni congenite cerebrali, come la spina bifida, l’idrocefalo ecc. Prima di addentrarmi nello specifico, penso che sia necessario descrivere la mia funzione di psicologa all’interno di un reparto ospedaliero, dove le famiglie accedono, non perché hanno qualche problema psicologico, bensì per far curare il bambino da una malattia organica. Dall’esperienza mia e di colleghi più esperti, in altri reparti pediatrici, ho consolidato l’idea che se uno psicologo si propone in maniera tradizionale, ovvero in una stanza-studio, con un linguaggio simbolico-interpretativo, con una scansione temporale degli incontri, ha poche possibilità di svolgere una funzione terapeutica. Ciò è dovuto principalmente alla mancanza di domanda di aiuto da parte di queste famiglie. L’atteggiamento iniziale delle famiglie nei confronti dello psicologo è spesso di distacco, per il timore di essere giudicati e valutati come individui e soprattutto come genitori. E’ per superare questa paura e stereotipo associato spesso alla mia professione, che mi propongo in maniera molto informale. Questo non per bluffare, bensì per il rispetto della sofferenza dei genitori e del bambino. La mia entrata nella famiglia avviene in punta di piedi. Giorno dopo giorno mi propongo come accompagnatore del lungo viaggio della malattia, con l’obiettivo, in primis, di contenere l’angoscia provocata dall’avere un bambino gravemente malato. Non ho bacchette magiche per risolvere i problemi, ma attraverso la condivisione, è possibile alleggerire il peso psicologico della malattia. Poi, con il trascorrere dei giorni, quando i genitori si sentono più rassicurati nei miei confronti, mi permetto di addentrarmi, sempre con rispetto e con il loro permesso, nelle modalità relazionali familiari. E’ in questa fase che le problematiche si differenziano secondo la malattia del bambino. Da una parte, abbiamo le patologie che evocano un’angoscia di morte, dall’altra quelle che comportano un handicap permanente. Di fronte ad una patologia tumorale, che colpisce un bambino fino ad allora sano, le difficoltà nascono principalmente dai seguenti temi: cosa dire al bambino o adolescente riguardo alla malattia, come vivere nell’incertezza della prognosi, la diversità tra marito-moglie-figli nel convivere con la sofferenza, cosa dire ai fratelli, come gestire la separazione e l’assenza prolungata da casa, ecc. In neurochirurgia si assiste essenzialmente alla fase della diagnosi della malattia tumorale. Lo shock, l’incredulità, la disperazione, la sensazione di non farcela, sono sentimenti inevitabili. Il mio compito è di porre le basi affinché la famiglia possa imparare a gestire la malattia. Diverse sono le difficoltà che le famiglie devono affrontare con un figlio affetto da una patologia congenita ed invalidante. In molte di queste famiglie, il tempo si è fermato e tutto ruota attorno alla malattia che crea un arresto del processo di sviluppo. Questi bambini hanno bisogno di una costante assistenza e di una neuroriabilitazione quotidiana. La fase di shock, avviene in genere, al momento della nascita del bambino e i sensi di colpa, di iperprotettività o di negazione, possono ostacolare il raggiungimento di un nuovo equilibrio. Accanto a questi vissuti della malattia, le difficoltà lavorative, economiche sono molto frequenti. I genitori, inoltre, si trovano ad affrontare anche l’impatto con termini medici, nuovi e incomprensibili. A volte, la sudditanza che la famiglia prova nei confronti del medico può far aumentare la confusione e l’ansia. In questi casi, la mia funzione sarà quella di mediare tra la cultura medica e quella della famiglia, aiutando il genitore a capire meglio e incoraggiandolo a non temere di fare domande chiarificatrici ai medici. Dopo un anno di lavoro c’è la voglia di fare qualcosa di nuovo per superare tanti limiti che si presentano tutti i giorni. Il tempo da dedicare ai bambini e ai loro genitori non è mai sufficiente. Diverse volte entro in contatto con ragazzi intenzionati a spendere alcune ore nell’intrattenimento dei bambini. Faccio riferimento a ragazzi e ragazze perché da esperienze passate si è evidenziato che questi sono capaci, più degli adulti, a rapportarsi con un bambino mettendo da parte la malattia di cui è colpito. I ragazzi trattano quindi il piccolo paziente come un qualsiasi altro bambino, senza proteggerlo o assecondandolo in tutto, perché malato. Per i bambini diventa un’esperienza da cui ricevere un feedback di normalità. I ragazzi che con entusiasmo si propongono per l’attività ludica in reparto, però, con molta frequenza non continuano questa iniziativa. Mi sono interrogata su questi “abbandoni” e penso che forse sarebbe necessario preparare i volontari, attraverso un piccolo corso, per evitare o almeno ridurre questo fenomeno. Colgo l’occasione per lanciare un appello a chi fosse interessato a questa iniziativa e chiedo l’immancabile partecipazione dell’Associazione “Ali di Scorta”, con l’augurio di volare sempre più in alto.
Dr.ssa Simona Di Giovanni



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00venerdì 16 maggio 2008 23:40
Medici

GLI ANNI DELLA PRIMA INFANZIA (DAL PRIMO AL TERZO ANNO DI VITA):
CENNI SULLO SVILUPPO COGNITIVO E MOTORIO
(Dr.ssa Simona Di Giovanni)

La preoccupazione sui possibili esiti cognitivi e/o motori legati alla presenza di una patologia cerebro-spinale è un pensiero che accomuna molti genitori con un figlio affetto da una di tali malattie. Spesso i genitori mi domandano quanto le acquisizioni raggiunte fino ad allora dal proprio bambino rientra o si discosta dallo sviluppo di un bambino coetaneo sano. Questo articolo prende quindi spunto da questa esigenza dei genitori di conoscere i parametri di riferimento entro cui osservare e leggere lo sviluppo del proprio figlio. Se per alcuni è doloroso vedere che il proprio bambino è indietro rispetto alle normali tappe dello sviluppo, per altri, la precocità e la versatilità d’ingegno vengono vissute come compenso rispetto alla patologia che assume sempre più un aspetto alchemico.
Gli anni della prima infanzia (da 0 a 3 anni di età) sono caratterizzati da cambiamenti rapidi.
Dal punto di vista motorio, le abilità grossolane si sviluppano rapidamente durante la prima infanzia. La maggior parte dei bambini cammina senza aiuto entro i 18 mesi, per poi camminare sempre più rapidamente con meno cadute. A circa 36 mesi, il bambino sviluppa l’equilibrio e si poggia brevemente su un piede solo. La progressione delle capacità di avvicinarsi ad un piccolo oggetto, di coglierlo e di manipolarlo è il risultato del miglioramento delle abilità di motricità fine.
Da un punto di vista cognitivo, la prima infanzia è caratterizzata dal passaggio dal pensiero sensomotorio al pensiero simbolico (fra i 18 e i 24 mesi). Durante il periodo sensomotorio il bambino assimila gli elementi dell’ambiente soprattutto mediante il tatto, l’osservazione e l’ascolto. Fino ad un anno, i comportamenti del bambino sono finalizzati alla conservazione delle condotte: il bambino trascura ciò che vi è di nuovo nelle cose e negli avvenimenti e cerca sempre di assimilarli ai vecchi schemi. Ma, a partire dai 12-18 mesi, il bambino diventa capace di cercare e scoprire mezzi nuovi mediante una sperimentazione attiva dei propri spostamenti e dei rapporti che esistono tra gli oggetti come tali. La ricerca di un oggetto precedentemente nascosto avviene ancora seguendo gli spostamenti visibili delle posizioni in cui l’oggetto è stato effettivamente visto. Sia gli oggetti sia le persone vengono concepiti d'ora in poi come fonti permanenti e autonome di azioni. Il bambino impara a dissociare il suo io dal mondo esterno. La sua azione diventa semplicemente una causa tra le altre cause esterne indipendenti da sé e smette di concepire la propria attività come centro del mondo.
Un bambino di 18 mesi di abilità medie può fare una torre di quattro cubi. Dopo circa un anno a seguito della ripetizione del gioco e con un maggior controllo, il bambino ne potrà impilare otto. La maggior parte dei bambini ad un anno e mezzo mostrano interesse per i pastelli e potranno prenderne uno con la mano chiusa a pugno per scarabocchiare spontaneamente su una superficie, con l’obiettivo di lasciare una traccia. Ma solo attorno ai tre anni il bambino apprende a tenere correttamente il pastello in mano per disegnare un cerchio. Fra i tre e i quattro anni il bambino cerca di raffigurare qualcosa, in genere una persona, anzi la persona, perché con un unico schema grafico rappresenta chiunque.
Dai due anni in poi il bambino accede all’intelligenza rappresentativa attraverso il pensiero simbolico, man mano che diventa capace di formare immagini mentali (e quindi di evocare un aggetto anche in sua assenza) e a risolvere problemi mediante tentativi ed errori mentali. Dai 18 mesi il riconoscimento da parte del bambino che un oggetto può rappresentarne un altro diventa molto esplicito nel gioco. Un cubo può diventare una macchina e un secchio un cappello. Sempre a quest’età il bambino usa anche simboli o azioni per imitare eventi passati. Per esempio, ore dopo che ha visto la mamma cucinare, il bambino può iniziare a imitare l’evento con le sue pentoline giocattolo.
In questo periodo diventa possibile una rievocazione vera e propria della sua azione tra gli altri avvenimenti, collocandola in un tempo che determina il ricordo della propria attività. Inoltre, ora che ha raggiunto la permanenza completa dell’oggetto, può trovare un oggetto nascosto nonostante non abbia assistito al momento in cui è scomparso l’oggetto. Il bambino quindi prevede in anticipo quali azioni avranno successo e quali falliranno e la sua ricerca non ha più bisogno di essere controllata ad ogni tappa dall’esperienza ma viene guidata a livello di combinazione mentale. Egli modifica dentro di sé la cosa che guarda per raggiungere delle soluzioni non visibili del suo campo visivo, per esempio, ingrandire in anticipo una fessura per togliere un oggetto nascosto.
Tuttavia attorno ai 3 anni, il bambino rimane incapace di adottare il punto di vista di un’altra persona, continuando a considerare il mondo in maniera egocentrica e dando per scontato che gli altri la pensino e sentano le cose esattamente come lui.
Vorrei concludere questa rapida carrellata sullo sviluppo cognitivo e motorio della prima infanzia, (omettendo volutamente un’area importante, quella del linguaggio che tratterò nel prossimo numero del giornalino), sottolineando l’importanza del gioco per la crescita del bambino. Il gioco e l’attività di imitazione che lo caratterizza, consentono un processo di interiorizzazione e quindi di formazione dell’immagine mentale dell’oggetto esterno, fondamentali per la nascita dell’intelligenza e della costruzione della realtà del bambino.


MOTRICITA’

GROSSOLANA
MOTRICITA’

FINE
ABILITA’

SOCIALI/EMOTIVE
CAPACITA’

INTELLETTUALI

18 MESI 18 MESI 18 MESI 18 MESI
Cammina rapidamente

Cade di rado

Corre rigidamente

Sale le scale tenendosi con una mano

Si siede in una seggiolina

Si arrampica su una sedia per adulti

Tira una palla


Costruisce una torre di quattro tubi

Fa cadere 10 cubi in un contenitore

Scribacchia Spontaneamente

Imita un tratto verticale

Infila tre cubi in una
tavola a stampo
Si toglie un indumento

Si alimenta da solo e rovescia il cibo

Offre un piatto vuoto

Abbraccia una bambola

Tira un giocattolo




Indica parti del corpo nominate

Sviluppa una comprensione della permanenza dell’oggetto

Inizia a capire causa ed effetto

24 MESI 24 MESI 24 MESI 24 MESI
Corre bene senza cadere

Sale e scende le scale

Da calci al pallone








Costruisce una torre Di sei o sette blocchi

Allinea due o più cubi per formare un treno

Imita un tratto orizzontale con la matita

Comincia a fare segni circolari

Inserisce un blocco quadrato in una scatola di performance
Usa un cucchiaio rovescia poco cibo

Segnala a voce il bisogno del bagno

Si mette un indumento semplice

Verbalizza esperienze immediate

Si riferisce a se medesimo per nome




Forma immagini mentali di oggetti

Risolve problemi per tentativi di errori

Comprende un semplice concetto di tempo







36 MESI 36 MESI 36 MESI 36 MESI
Sale le scale alternando i piedi

Cammina bene sulle punte

Pedala su un triciclo

Salta da un gradino salta due o tre volte
Copia un cerchio

Copia i ponti con i cubi

Costruisce una torre di 9 o 10 cubi

Disegna la testa di una persona
Si preoccupa delle azioni degli altri

Gioca in maniera cooperativa in piccoli gruppi

Sviluppa l’inizio delle vere amicizie

Gioca con amici immaginari
Chiede “perché”

Comprende la routine quotidiana

Apprezza eventi speciali quali i compleanni

Si ricorda e recita poesie per bambini

Ripete tre numeri








INFORMAZIONI
00venerdì 16 maggio 2008 23:42
Medici

COMBATTERE LA GRANDE “C”
Un’esperienza inglese nel mondo dell’Oncologia Pediatrica
(Dr.ssa Simona Di Giovanni)

In Gran Bretagna, ogni giorno a 5 bambini viene diagnosticata un malattia tumorale. A Londra, città che conta un totale di abitanti pari a quelli di Roma e di Milano messi insieme, ci sono quattro centri di Oncologia Pediatrica: The Royal Marsden Hospital, The Great Ormond Street Hospital for Sick Children, The University College Hospital e The Royal London Hospital. Ogni centro ha la sua associazione (Charity) di genitori di bambini malati di cancro, che lavora a fianco di altre associazioni operanti a livello nazionale.
Quelle più direttamente impegnate nell’ambito pediatrico sono: la CLIC – (Cancer and Leukaemia in Childhood) e la Sargent Cancer Care for Children. Oltre a queste ci sono più di 50 associazioni, che pur rivolgendosi prevalentemente al malato adulto, si occupano anche di bambini.
Tutte hanno come obiettivo l’informazione e il sostegno emotivo e finanziario al malato e alla sua famiglia.

L’informazione
La parola d’ordine di queste associazioni è l’informazione. E’ possibile trovare con grande facilità opuscoli riportanti un elenco di tutte le associazioni a sostegno del malato di cancro e della sua famiglia.
L’importanza della divulgazione dell’informazione nasce come risposta ad un bisogno di sapere e di comprendere da parte di tutte le persone coinvolte, primo fra tutti il paziente. Infatti, anche il piccolo paziente è a conoscenza della sua diagnosi. In ospedale, nelle sale giochi e nelle stanze di svago per gli adolescenti, ci sono opuscoli per comprendere meglio la malattia, il trattamento e consigli su come affrontare le diverse situazioni cui andranno incontro. Il fatto che i piccoli pazienti siano a conoscenza della propria diagnosi permette agli operatori di affrontare apertamente le paure del bambino e dell’adolescente e di aiutarli in modo specifico attraverso diverse attività.
Ogni associazione fornisce agli interessati materiale informativo, volto a far conoscere la malattia da un punto di vista medico, con le sue possibili reazioni psicologiche ed emotive. Le associazioni si avvalgono di giornalini per divulgare ricerche e studi importanti sulla malattia, attività svolte, storie di pazienti e della loro malattia, scambi di informazioni, etc. A richiesta, è possibile ricevere per posta, entro 24 ore, tutto il materiale informativo.
Le associazioni mettono inoltre a disposizione una “helpline”, ovvero una linea telefonica, a cui poter chiamare per ricevere sostegno.

Le pagine Web
Ogni associazione ha il suo sito web, dove è possibile trovare informazioni sulla malattia e sulle associazioni stesse.
I siti Web delle associazioni pediatriche meritano di essere visitati(www.clic.uk.com – www.sargent.org). Appaiono graficamente ben fatti e facili da “navigare”. Le informazioni contenute nelle pagine Web sono destinate a tutte le età e ai diversi interessi.
I siti includono aree interattive. C’è lo spazio per i giovanissimi (sotto gli undici anni) in cui è possibile chattare con altri pazienti, raccontare storie e la propria esperienza di malattia. C’è la discussione on line per gli adolescenti, attraverso la quale potersi scambiare idee, mantenere contatti e portare avanti iniziative.
Un cartone animato interattivo, chiamato “Capitan Chemio”, permette ad ogni bambino di identificarsi nel super eroe, e di combattere per la propria guarigione con l’aiuto di validi compagni di avventura, chiamati Vincristina, Etoposide, Prednisone! (www.royalmarsden.org/captchemo)

Attività finanziate
Le attività che queste associazioni finanziano sono principalmente:
- terapie domiciliari da parte di personale medico e infermieristico;
- ricerca scientifica;
- sostegno per gli aspetti emotivi e sociali della malattia e organizzazione di gruppi di auto-aiuto da parte di assistenti sociali;
- attività di gioco terapeutico da parte di terapisti del gioco (play therapist);
- sostegno finanziario alle famiglie, secondo la necessità;
- soggiorni in case vicino all’ospedale per le necessità di cura del bambino;
- soggiorni in case di villeggiatura;
- viaggi ed escursioni per bambini e adolescenti malati.

L’assistenza domiciliare
Le associazioni mettono a disposizione infermieri professionali, per eseguire, quando possibile, esami di controllo a domicilio, limitando così le visite del bambino in ospedale e consentendogli una continuità con la scuola e una maggiore permanenza a casa.
L’assistenza domiciliare al bambino terminale è garantita, oltre che da un’équipe di Cure Palliative dell’ospedale, da personale arruolato dalle associazioni, quali medici, infermieri e terapisti del gioco, per le famiglie che scelgono di trascorrere la fase terminale della malattia a casa.

La ricerca scientifica
La ricerca scientifica è implementata attraverso aggiornamenti, borse di studio, attività di connessione tra i diversi Centri.

Assistenti sociali e terapisti del gioco
Pur disponendo l’ospedale di proprio personale, quali psicologi, assistenti sociali e terapisti del gioco, le associazioni finanziano altre figure stabili, quali assistenti sociali e terapisti del gioco.
Le attività svolte da questi operatori, in collaborazione con il personale ospedaliero, sono:
- supporto agli aspetti emotivi, sociali e finanziari, secondo i bisogni delle famiglie;
- attività di gioco finalizzate ad alleviare le paure del bambino e a familiarizzare con le procedure del trattamento, attraverso giocattoli che riproducono gli strumenti medici più temuti (siringhe, macchine per esami radiologici):
- organizzazione di gruppi di auto-aiuto per genitori, pazienti e fratelli di pazienti.

Gruppi di auto aiuto
I gruppi di auto aiuto sono molto numerosi e si basano sul concetto che la condivisione e lo scambio di informazioni sono un valido strumento per ricevere un aiuto emotivo e pratico, nel difficile momento della malattia. Esistono gruppi per genitori di bambini in cura, per bambini guariti e per genitori cui è morto un bambino. Esistono inoltre gruppi per adolescenti che hanno o che hanno avuto un tumore, che prevedono, oltre al reciproco supporto, anche attività di svago e ricreative da svolgere insieme. Ci sono anche gruppi di sostegno specifici per fratelli di pazienti, con relative attività.

Le case
Ogni associazione dispone di diverse case vicino agli ospedali, dove le famiglie possono soggiornare durante il periodo di trattamento, ma anche case situate in località di villeggiatura, per offrire un periodo di distrazione e di riposo.

Gite e vacanze
Le associazioni organizzano gite, escursioni e vacanze gratuite per i pazienti. Questi momenti rappresentano degli appuntamenti annuali per mantenere contatti tra chi ha o ha avuto una stessa esperienza di malattia. Sono previsti anche soggiorni vacanza, dove i pazienti adolescenti possono seguire programmi educativi, ricreativi e psicoterapeutici, secondo le necessità.

Attività promosse per recuperare fondi

Per sostenere tutte queste attività, le associazioni chiedono di essere aiutate attraverso:
- l’organizzazione di eventi di beneficenza;
- la partecipazione e l’acquisto di biglietti per gli eventi di beneficenza;
- le donazioni da parte di privati;
- le donazioni da parte di aziende, incentivate dai benefici fiscali e pubblicitari;
- il sostegno all’attività commerciale dei negozi di proprietà delle associazioni. Si tratta di punti vendita di oggetti e capi di abbigliamento, spesso di seconda mano. Questi negozi sono numerosissimi e distribuiti su tutto il territorio nazionale;
- la vendita di oggetti di produzione delle associazioni, quali biglietti di auguri, CD, etc;
- l’organizzazione di viaggi come “tour-operator”;
- la creazione di una carta di credito;
- l’attività di volontariato a sostegno delle diverse attività.






INFORMAZIONI
00venerdì 16 maggio 2008 23:43
Medici

“Bloodless surgery” in chirurgia
Tecniche per il risparmio di sangue in chirurgia.
(Del Dott. Francesco Velardi)

Nella storia della chirurgia ogni progresso nello sviluppo di complesse tecniche chirurgiche è stato sostenuto dall’acquisizione di metodi più affidabili ed efficienti per il controllo delle perdite ematiche e per il loro reintegro nella fase intra e post-operatoria. Per numerosi anni, infatti, il rischio di provocare emorragie incontrollabili e l’insorgenza di infezioni hanno rappresentato i limiti più difficilmente sormontabili e la causa più frequente del fallimento di procedure terapeutiche peraltro efficacemente sviluppate. Nella fase storica attuale i limiti che vengono riconosciuti alla possibilità di pianificare ed eseguire un intervento chirurgico si sono notevolmente ampliati, grazie ai progressi realizzati nella diagnostica, nelle tecniche chirurgiche e nell’assistenza pre e post-operatoria dei pazienti. Una preoccupazione, comunque persiste, tra le altre, ed è riferita ai rischi che la trasfusione di sangue allogenico (derivante da donatore diverso dal paziente stesso) comporta, soprattutto se notevoli volumi sono richiesti durante e subito dopo l’intervento. Una trasfusione di sangue allogenico va, infatti, considerata alla stregua di un trapianto di organo, del trapianto di un organo liquido. Fino a pochi anni orsono un qualunque medico esperto avrebbe considerato una trasfusione ematica allogenica come una procedura virtualmente esente da rischi. Nonostante nel corso degli ultimi anni i progressi nelle tecniche di laboratorio riferite alle procedure di raccolta, catalogazione, conservazione e trasporto delle unità di sangue siano stati notevoli, riducendo drasticamente gli incidenti riferibili alla procedura di trasfusione ematica, attualmente un paziente che riceva una trasfusione allogenica affronta ancora il rischio (3 possibilità su 10.000) di contrarre una malattia grave e probabilmente fatale. I rischi possono essere di tipo infettivo (infezioni batteriche = 1:2.500 casi; epatite virale =1:5.000 casi; infezione da virus della leucemia-linfoma umano a cellule T = 1:420.000 casi) o non-infettivo (reazione emolitica acuta =1:25.000 unità trasfuse; alloimmunizzazione riferita ai globuli rossi = circa l’8% dei pazienti trasfusi con globuli rossi allogenici, febbre, reazione non emolitica o brividi senza febbre = 1:100 unità di globuli rossi trasfuse). Ancora più recentemente è stato posto l’accento sugli effetti immunosoppressivi che una trasfusione allogenica comporta, come dimostrato dall’incremento di episodi di infezioni post-operatorie in pazienti che avevano ricevuto una trasfusione allogenica. Ragioni mediche, implicazioni etiche, medico-legali, economiche, nonché il rispetto di convinzioni religiose hanno incrementato l’attenzione dei chirurghi verso un più razionale utilizzo delle trasfusioni ematiche allogeniche e favorito la ricerca di tecnologie e metodologie chirurgiche che permettessero di ridurre o addirittura escludere il ricorso all’utilizzazione di sangue eterologo. Nonostante le preoccupazioni espresse dagli esperti, i tentativi di ridurre le procedure trasfusionali nel corso di interventi chirurgici effettuati in età infantile sono stati rari. La difficoltà di controllare e gestire perdite ematiche anche relativamente modeste in pazienti in giovane età, quindi di bassa massa corporea e conseguentemente, di ridotta volemia, giustificano la riluttanza di chirurghi, anestesisti e terapisti intensivi, ad intraprendere complesse procedure chirurgiche senza il supporto di un’adeguata trasfusione ematica.
Al momento, tuttavia, grazie ai progressi ottenuti nelle tecniche di terapia intensiva, allo sviluppo di adeguate apparecchiature sanitarie e di tecniche chirurgiche specifiche, la possibilità di effettuare interventi chirurgici anche complessi in paziente in età precoce senza dover ricorrere alla pratica della trasfusione allogenica, è divenuta reale. Questi progressi sono stati determinati principalmente:
- dalla possibilità di ottimizzare le condizioni ematologiche preoperatorie del piccolo paziente grazie alla somministrazione di “Eritropoietina Umana Ricombinante” (r-HuEPO). Questa sostanza, individuata nel 1977, è stata resa disponibile per uso clinico recentemente dopo che la sua sequenza aminoacida è stata determinata e riprodotta con metodi di ingegneria genetica. Essa è in grado di stimolare elettivamente la maturazione degli eritrociti e può essere utilizzata in fase pre-operatoria e post-operatoria, sia per correggere eventuali stati anemici, sia per accelerare il recupero post-operatorio;
- dall’introduzione e la diffusione di sofisticati strumenti chirurgici (elettrobisturi ad alta potenza, che permettono di eseguire l’incisione cutanea e la dissezione in maniera praticamente esangue, osteotomi ad alta velocità, che permettono di eseguire craniotomie ed osteotomie in genere in maniera altrettanto esangue, aspiratori ad ultrasuoni, che permettono di emulsionare e quindi asportare più rapidamente le masse neoplastiche, sistemi di fissaggio rapido dell’osso, in titanio o in materiali riassorbibili, che permettono di ridurre drasticamente i tempi dell’intervento chirurgico);
- dai progressi ottenuti nella comprensione della fisiopatologia dell’anemia nel bambino, che ha permesso di meglio conoscere i limiti ai quali era possibile spingere, in tutta sicurezza, il paziente nella fase intra e post-operatoria;
- dal miglioramento delle metodologie di applicazione ai pazienti pediatrici delle cosiddette tecniche di auto-trasfusione. Queste tecniche consistono nella sottrazione pre o intra-operatoria di volumi predeterminati di sangue autologo (dello stesso paziente), sostituito da volumi equivalenti di soluzioni isotoniche. La somministrazione, alla fine dell’intervento o in qualsiasi momento le condizioni emodinamiche del paziente lo rendano necessario, dei volumi di sangue sottratto in fase pre-operatoria o all’inizio dell’intervento chirurgico permetterebbe di ridurre o anche escludere la necessità di fare ricorso alla trasfusione di volumi equivalenti di sangue omologo (di un altro uomo, allogenico). L’applicazione delle tecniche di auto-trasfusione richiede una specifica esperienza da parte dell’anestesista e del chirurgo, perché entrambi si trovano ad operare su un paziente che è stato condotto alla fase operatoria in stato di emodiluizione bilanciata, allo scopo di minimizzare le perdite di elementi corpuscolati del sangue (in particolare i globuli rossi). Da qui la necessità di una specifica ed approfondita conoscenza della fisiopatologia dell’anemia nel bambino, allo scopo di evitare, da una parte il fallimento della procedura, dall’altra l’esposizione del piccolo paziente ai rischi di ipovolemia, ipossia, anomalie della coagulazione;
- dallo sviluppo di efficienti ed affidabili apparati per il recupero intraoperatorio del sangue e della loro introduzione nella pratica chirurgica pediatrica. Tale procedura consiste nell'aspirazione dal campo operatorio del sangue e dei liquidi di lavaggio, con successivo lavaggio, filtrazione e concentrazione per centrifugazione, allo scopo di recuperare i globuli rossi. Nel corso della procedura i globuli bianchi, le piastrine, il plasma ed i fattori della coagulazione vanno persi nella fase.

Sebbene le procedure descritte permettano di ridurre, ed in molti casi abolire, la necessità di una trasfusione allogenica anche nel corso di interventi chirurgici complessi, effettuati in pazienti in età pediatrica, numerosi limiti sono ancora presenti. L’applicazione di tali tecniche, infatti, necessita della perfetta condizione cardiaca e respiratoria del paziente, richiede spesso tempi lunghi per la programmazione della terapia con r_HuEPO e la stabilizzazione delle normali condizioni ematologiche dopo l’eventuale prelievo ematico pre-operatorio, per cui tali tecniche non sono applicabili quando i tempi per il trattamento chirurgico sono stringenti, può causare un’alterazione delle capacità coagulativa del sangue, in conseguenza della deplezione di piastrine e fattori della coagulazione che si determina nelle fasi di recupero intraoperatorio del sangue; le tecniche di recupero intraoperatorio del sangue, in particolare, non possono essere applicate nel caso di interventi chirurgici mirati all’asportazione di neoplasie, in quanto non vi è ancora totale sicurezza che, durante il processo di filtrazione e centrifugazione, le cellule neoplastiche, liberate nei liquidi di lavaggio e nel sangue recuperato dal campo operatorio durante l’intervento, siano selettivamente e totalmente rimosse dal sangue preparato per la reinfusione.
Entusiasmanti prospettive sono attese per il prossimo futuro, e probabilmente molti di questi limiti verranno superati attraverso l’ulteriore perfezionamento delle tecniche e delle attrezzature.





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00venerdì 16 maggio 2008 23:43
Medici

Vivere con un bambino disabile: alcuni spunti di riflessione

Cosa succede da un punto di vista psicologico nei genitori prima, e nella famiglia allargata poi, quando nasce un figlio von una patologia congenita che comporta una disabili? Questa è la domanda a cui questo articolo tenterà di rispondere non con l’intenzione di individuare pensieri rigidamente costruiti, quanto con la speranza che, chi vive in prima linea questo problema possa in minima parte ritrovarsi.
Ritrovarsi proprio perché la prima reazione alla diagnosi di una malattia organica spesso cronica e invalidante ad esordio neonatale o postnatale è quella di perdere ogni certezza che si aveva precedentemente. Questa fase iniziale acuta di shock e di incredulità, con conseguenti reazioni emotive (pianti, esplosive variazioni d’umore) viene superata entrando in una fase post-acuta che avrà in genere, insieme alla prima, un suo svolgimento in un reparto ospedaliero.
Il primo ricovero di solito, tra i più lunghi di tutta la “carriera”, ha un onere sia operativo, derivante dai compiti dell’assistenza – che un onere soggettivo legato alla ricerca di efficaci meccanismi di difesa che permettono di elaborare la perdita di validità del bambino e dell’intero sistema familiare.
Immediato è l’impatto sulle aspettative che un genitore ha nei confronti del proprio figlio. Quello che un genitore si aspetta da un figlio viene deciso spesso molto prima del concepimento e sovente non lo decide neanche solo lui. Queste aspettative possono essere costruite dai suoi stessi genitori (i nonni del bambino) in maniera tale che lui potesse generare un figlio capace di portare avanti un bagaglio antico di aspettative che vengono quindi trasmesse di generazione in generazione.
Quando il figlio reale non corrisponde al figlio ideale si possono vivere diversi sentimenti – di vergogna, di fallimento per essere stato incapace a generare un figlio perfetto (soprattutto nei confronti della famiglia d’origine, propria e acquisita), di rifiuto, di desiderare di “rimettersi il bambino dentro la pancia per poterlo a questo punto far nascere sano”.
A questo tumulto di emozioni e pensieri fa seguito quasi inevitabilmente una fase di depressione mista a sensi di colpa, di ansia e di negazione.
La matrice di queste reazioni è spesso la rabbia e l’aggressività che la malattia suscita per le numerose rinunce ad ogni spazio di tempo per la realizzazione di una propria vita personale e familiare. Ma appena ci si accorge (a livello inconscio) di provare rabbia nei confronti di quell’”esserino piccolo e indifeso, che dopo tutto è nostro figlio e a volte nonostante, imperfezioni fisiche ci assomiglia” scattano sensi di colpa che possono portare ad un atteggiamento di iperprotezione. Un’altra possibile reazione al sentimento di rabbia prodotta da questa situazione è la negazione di qualsiasi differenza tra il proprio bambino e i bambini sani. In questi casi la sottovalutazione dei problemi e la minimizzazione dell’handicap porta ad una eccessiva responsabilizzazione del bambino; si pretende che il bambino sia come gli altri.
Un genitore con atteggiamento iperprotettivo nei confronti del proprio figlio (per es. non pretendere che mangi cibi solidi, o che mangi seduto o in maniera autonoma oppure sottoporlo ad una adeguata neuroriabilitazione) spesso ha paura che il figlio cresca. In questo modo eviterà o prorogherà il confronto con i suoi limiti e con i suoi coetanei. La crescita infatti, evidenzia sempre più il divario, la “forbice” tra il bambino sano e quello con disabilità; negli anni successivi, lo scarto tra i due, per quanto riguarda l’acquisizione delle tappe di sviluppo psicomotorio, diventa sempre più grande.
Il genitore sempre pronto a fare qualcosa al posto del figlio, non si accorge di ciò che il bambino non può fare e ad un livello più profondo, “ripara” la non perfezione del figlio. Il rischio è che il bambino perda delle grosse occasioni di crescita e di espressione (anche se con tempi più lunghi delle proprie potenzialità. Il genitore si accontenta di una parte del bambino per timore di affrontare il dolore che si prova nel guardare il proprio figlio non perfetto.
Se crescere ed educare un essere umano è per un adulto responsabile un compito molto difficile, questo percorso, in presenza di una malattia con disabilità, può risultare ancora più complesso.
Spesso lo stato di sofferenza che la malattia impone al bambino porta il genitore a risparmiare al piccolo qualsiasi tipo di irritazione. Questa situazione “perfetta” crea però nel bambino una scarsissima tolleranza alla frustrazione. Nel corso del tempo questa ostacolerà la capacità di trovare una propria soluzione ai problemi, “di cavarsela da solo”, e contribuirà a sviluppare un senso di onnipotenza con l’illusione di poter fare a meno dell’appoggio dei genitori. Il genitore “perfetto” che interpreta troppo presto i bisogni del bambino, non gli dà il tempo di attribuire un significato al proprio bisogno. Per proteggere il proprio figlio finisce per sottrarlo alle sue stesse esperienze. Compito del genitore quindi non è quello di evitare al bambino tutte le frustrazioni ma di aiutarlo a superarle, stimolandolo ad attingere alle proprie risorse. Per diventare forti bisogna riconoscere di non poter fare tutto immediatamente.
I bambini che hanno vissuto lunghe e frequenti ospedalizzazioni possono manifestare le proprie ansie e paure attraverso attacchi di rabbia e di ira. Il genitore, anche lui carico degli stessi sentimenti, spesso non sa come affrontare questi attacchi. Il bambino ha bisogno di essere tranquillizzato e contenuto: spesso un abbraccio stretto e contenitivo fa sentire che il genitore è lì con loro e può calmare ansie e paure.
Simona Di Giovanni
www.sidigi@libero.it
Psicologa presso il reparto di NCH Infantile
Policlinico A. Gemelli


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00venerdì 16 maggio 2008 23:46
Gli ependimomi


I tumori cerebrali nei bambini rappresentano, dopo la leucemia, la patologia neoplastica di più frequente riscontro. Tali tumori possono trarre origine da qualsiasi parte del sistema nervoso, inclusi il midollo spinale ed i nervi: attualmente se ne conoscono circa settanta tipi diversi. Essi possono presentare un comportamento benigno o più o meno aggressivo. La conoscenza della natura della neoplasia si ottiene soltanto attraverso l’esame istologico (esame microscopico diretto del tumore asportato chirurgicamente). Le neoplasie del sistema nervoso più frequentemente riscontrate nei bambini sono l’astrocitoma (sede più comuni: ipotalamo-vie ottiche, cervelletto, troncoencefalo), il medulloblastoma, l’ependimoma e il craniofaringioma.
L’ependimoma è uno dei tumori di più difficile trattamento e con prognosi meno favorevole tra quelli del sistema nervoso centrale (8-10% dei tumori nei pazienti pediatrici). Questo tipo di neoformazione può essere localizzato sia a livello cerebrale (90% dei casi) che midollare (10%). Dal punto di vista istologico si distinguono forme meno aggressive (ependimoma) e forme maligne (ependimoma anaplastico, ependimoblastoma). I bambini affetti possono presentare sintomi e segni spesso aspecifici: cefalea episodica o persistente, associata a nausea, vomito, sonnolenza, difficoltà nel mantenere l’equilibrio e alterazioni della vista. Per tale motivo spesso è necessaria una consulenza specialistica per chiarire la natura del problema. La diagnosi di malattia si realizza generalmente attraverso le immagini radiologiche (tomografia computerizzata e risonanza magnetica) mentre lo studio del liquor può aiutare nel determinarne l’eventuale diffusione metastatica nelle vie liquorali. La terapia più efficace per l’ependimoma è rappresentata dalla chirurgia. Nella maggior parte dei casi in cui il tumore è situato nel midollo spinale la guarigione può essere ottenuta con la sua completa asportazione. In quest’evenienza l’intervento chirurgico risulta, di solito, tecnicamente meno impegnativo rispetto ai casi in cui la lesione si trova nel cervello. Anche per i bambini con ependimomi intracranici la chirurgia rappresenta la terapia di scelta e l’obbiettivo consiste nell’asportazione completa della neoplasia senza causare o aggiungere nuovi deficit al piccolo paziente. Tuttavia, a causa della frequente localizzazione in aree critiche, non sempre il tumore può essere rimosso totalmente. In questi casi si richiede l’applicazione di terapie adiuvanti quali radioterapia e chemioterapia, eventualmente in associazione.
La radioterapia viene comunemente utilizzata nei bambini con età superiore ai 3 anni, come trattamento adiuvante alla chirurgia, nel momento in cui non è stato possibile effettuare un’asportazione radicale della neoplasia oppure quando è stata posta diagnosi istologica di ependimoma maligno. Questo tipo di trattamento consiste nell’uso di radiazioni sul residuo tumorale sia esso intracranico che midollare. Il trattamento radiante può essere, al contrario, molto rischioso per un tessuto nervoso in corso di sviluppo, quale quello dei pazienti d’età inferiore ai 3 anni: questi bambini, infatti, se sottoposti a radioterapia, possono sviluppare, nel tempo, disturbi neurologici particolarmente gravi. Poiché però al momento attuale la radioterapia sembra solo allungare il periodo “libero” da recidiva della malattia ma non la sopravvivenza globale, in molti centri nel mondo si preferisce rinunciare a qualsiasi tipo di terapia adiuvante nei casi in cui l’asportazione del tumore è stata radicale. La chirurgia, infatti, rimane il presidio terapeutico più efficace anche in caso di recidiva.
La chemioterapia è un’alternativa per i bambini più piccoli o per quelli con tumori particolarmente resistenti e/o aggressivi. Questo trattamento consiste nella somministrazione di farmaci per via endovenosa o, in alcune circostanze, per via orale. L’obiettivo della chemioterapia è quello di ridurre il ritmo di crescita del tumore ottenendo il suo arresto o, addirittura, una regressione della massa neoplastica. In questo modo si può riuscire a controllare il tumore fino al momento più opportuno per l’esecuzione della radioterapia. Il trattamento con chemioterapici presenta una scarsa tossicità cerebrale rispetto alla radioterapia che si estrinsecano prevalentemente a livello renale, epatico e sul sistema emopoietico. Purtroppo i risultati relativi all’efficacia della chemioterapia sono contrastanti.
Nuove alternative in corso di sviluppo riguardano soluzioni farmacologiche più efficaci e l’utilizzo della radiochirurgia (intera dose di radiazioni convogliata sul tumore senza coinvolgere il tessuto cerebrale sano).
Proprio per le caratteristiche particolari di queste neoplasie ed il significato specifico della terapia chirurgica nel loro trattamento, sono grato all’Associazione “Ali di Scorta” per l’opportunità datami di analizzare la casistica della Neurochirurgia Infantile di questo Policlinico, con la speranza di potere ottenere informazione da trasferire nel mio Paese.

Dr Charles Kondageski
Neurochirurgia INC – Instituto de Neurologia\Neurochirurgia - Curitiba - Brasile






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00venerdì 16 maggio 2008 23:47
Medici

LE CISTI ARACNOIDEE


Considerazioni generali
Il tessuto nervoso è delimitato da tre membrane che vengono accomunate da un’unica definizione: meningi cerebrali. La membrana più esterna, a contatto con la faccia interna della scatola cranica o della colonna vertebrale, è chiamata Dura Madre per la sua maggiore consistenza, quella più interna, assai sottile, subito al di sopra delle strutture nervose, Pia Madre. L’aracnoide è la membrana intermedia tra le due appena descritte e delimita all’esterno gli spazi dove si raccoglie il liquor cerebro-spinale che circola sulla superficie degli emisferi cerebrali. È una membrana assai sottile, trasparente, priva di vasi.
Le cisti aracnoidee sono oggi ritenute il risultato di un’alterazione minore dello sviluppo della membrana aracnoidea che ne determina la duplicazione o la separazione in due strati all’interno dei quali si verifica un progressivo accumulo di fluido con le caratteristiche del liquido cerebrospinale (LCS).
L’ipotesi malformativa è sostenuta, oltre che da evidenze morfologiche, da una serie di fattori, come la simile distribuzione negli adulti e nei bambini, la sporadica presenza in coppie di gemelli, la relazione topografica con i normali spazi cisternali, la presenza di anomalie congenite (specialmente l’agenesia del corpo calloso) o con sindromi note (in particolare la sindrome di Marfan).
Si tratta di lesioni rare, che possono svilupparsi, in qualsiasi regione dello spazio subaracnoideo sia cerebrale che spinale. Le cisti aracnoidee diventano sintomatiche quando esercitano un effetto massa sulle strutture nervose circostanti (ipertensione endocranica, deficit neurologici, ritardo dello sviluppo psicomotorio, epilessia) o quando interferiscono con la normale circolazione liquorale (idrocefalo secondario).
L’apparente aumentata incidenza riportata negli ultimi anni e la maggiore frequenza in età pediatrica sono da riferire all’efficacia delle attuali metodiche diagnostiche – ecoencefalografia, TAC e Risonanza Magnetica – nel riconoscimento precoce di queste lesioni e nella loro individuazione anche in soggetti esaminati per altri motivi, ad esempio per un’aspecifica macrocrania, per un generico ritardo psicomotorio o per un trauma cranico accidentale.
Le cisti aracnoidee sono quasi sempre sporadiche ed isolate; in due terzi dei casi è il sesso maschile ad essere coinvolto. La storia naturale di queste lesioni non è ben conosciuta: alcune cisti aracnoidee rimangono silenti per tutta la durata della vita, altre diventano sintomatiche dopo un periodo più o meno lungo di quiescenza, altre invece determinano sintomi e segni neurologici già nella primissima infanzia. Sono anche stati descritti casi eccezionali di cisti “scomparse” a seguito di una rottura spontanea della loro parete.
Le manifestazioni cliniche delle cisti aracnoidee dipendono ovviamente dalla sede e dalle dimensioni della lesione. A parte i segni aspecifici di un processo occupante spazio intracranico o intraspinale o di una dilatazione ventricolare secondaria, che accomunano le cisti aracnoidee a qualsiasi massa intratecale, sono stati descritti quadri tipici di alcune localizzazioni, come ad esempio, disturbi endocrinologici nel caso di cisti della regione chiasmatica, ematomi subdurali acuti a seguito di traumi cranici apparentemente insignificanti in pazienti con cisti della regione silviana, movimenti anomali e continui di va e vieni del capo dei bambini con cisti della regione soprasellare e del terzo ventricolo.
Il meccanismo alla base dell’espansione di una cisti aracnoidea è ancora oggetto di discussione. Scartata l’ipotesi di un gradiente pressorio in base alla sostanziale somiglianza del fluido contenuto all’interno della cisti con il LCS, le teorie patogenetiche più accreditate sono quelle di una produzione di fluido da parte delle stesse cellule che costituiscono la parete della cisti o di una comunicazione anatomica tra la cisti e gli spazi liquorali che permette il passaggio unidirezionale di fluido all’interno della cisti stessa, ma non la sua fuoriuscita, a seguito delle pulsazioni liquorali.
La TAC e la RM oltre a dimostrare la presenza della cisti forniscono anche criteri per valutare la dinamica del fluido in esse contenuto. La TAC si avvale della somministrazione di mezzo di contrasto nello spazio subaracnoideo o nella cisti per distinguere le lesioni “comunicanti” da quelle non comunicanti. La RM utilizza allo stesso scopo fasi di sequenza rapida capaci di cogliere il movimento pulsatile del LCS.
Oggetto di discussione è anche il trattamento richiesto da queste lesioni. Alcuni autori favoriscono infatti un atteggiamento conservativo in pazienti sicuramente asintomatici in cui la diagnosi di cisti aracnoidea è stato un reperto accidentale a seguito di esami neuroradiologici eseguiti per altri motivi; altri invece suggeriscono una terapia chirurgica anche in assenza di sintomi in base ad osservazioni di un rapido deterioramento delle condizioni cliniche in alcuni pazienti dopo episodi traumatici lievi. Nei casi dubbi, la registrazione prolungata della pressione intracranica può differenziare le cisti non associate ad alterazioni della dinamica liquorale da quelle che esercitano, per un aumento della pressione al loro interno o un ostacolo alla circolazione liquorale, una compressione sulle strutture nervose adiacenti. L’indicazione operatoria non viene invece discussa in caso di lesioni sintomatiche dove l’intervento chirurgico è considerato necessario per eliminare la pressione esercitata dalla cisti sulle strutture cerebrospinali circostanti e/o l’ostacolo da essa determinata nella circolazione liquorale. Le opzioni chirurgiche comprendono un’escissione diretta della cisti dopo craniotomia, una marsupializzazione della cisti nello spazio subaracnoideo o nei ventricoli crerebrali sotto diretto controllo visivo o attraverso l’utilizzazione di procedure stereotassiche od endoscopiche ed infine l’applicazione di sistemi derivativi intratecali (drenaggio del fluido cistico nel sistema ventricolare) o extratecali (drenaggio del fluido cistico nella cavità peritoneale, meno frequentemente, pleurica o nella circolazione ematica).
L’asportazione diretta della cisti appare la modalità più logica di trattamento poiché elimina la stessa causa della lesione; tale tipo di procedura è però associato in circa il 20% dei casi ad un rischio di recidiva o di persistenza di un’anomala condizione di circolazione liquorale in pazienti in cui sia associata un’incompetenza dello spazio liquorale. Una simile percentuale di recidiva può essere osservata dopo “marsupializzazione” della parete di una cisti aracnoidea nello spazio subaracnoideo generalmente a seguito della cicatrizzazione della stomia. Si deve però sottolineare che il rischio di un’obliterazione secondaria dopo marsupializzazione è trascurabile nei casi in cui la cisti può essere “aperta” nel sistema ventricolare. Il drenaggio della cisti con l’utilizzazione di sistemi derivativi offre un’alta percentuale di successo con il limite però della dipendenza del risultato dalla funzionalità del sistema derivativo stesso.
L’atteggiamento della nostra Neurochirurgia Pediatrica è quello di utilizzare un approccio chirurgico diretto con escissione della membrana cistica in tutti i casi in cui questo appare possibile cercando, là dove realizzabile, di creare nello stesso tempo un’ampia comunicazione con gli spazi cisternali o con i ventricoli cerebrali. Riserviamo invece gli interventi derivativi alle sole lesioni di difficile accesso chirurgico o ai soggetti che, dopo intervento chirurgico diretto, dimostrano un insufficiente assorbimento liquorale. La mortalità e la morbilità associate al trattamento chirurgico delle cisti aracnoidee sono praticamente trascurabili. Nessun decesso è stato osservato nella nostra casistica operatoria di oltre 200 casi; le complicazioni osservate sono state solo quelle legate ad un’alterata dinamica liquorale che hanno determinato in alcuni casi l’utilizzazione di procedure derivative liquorali in una seconda fase del trattamento.
Complicazioni
Il trattamento delle cisti aracnoidee dirette (craniotomia, asportazione delle membrane delle cisti, creazione di vie per la circolazione liquorale) presenta i rischi generali (infezioni, convulsioni postoperatorie, fistole liquorali) degli interventi chirurgici sull’encefalo. Quest’ultimo però non è generalmente interessato, ed i rischi di un suo danno chirurgico perciò sono estremamente bassi, poiché la cisti si sviluppa in uno spazio extracerebrale. Una possibile, in genere transitoria, complicazione è che il liquido, prima confinato nella cisti, si accumuli nello spazio tra l’aracnoide e la dura madre (spazio subdurale), continuando, per l’insufficiente assorbimento a tale livello, ad esercitare un effetto pressorio sul sottostante emisfero cerebrale. Ciò può comportare la necessità di un drenaggio temporaneo o persistente del fluido accumulato.
Distribuzione
Tre quarti delle cisti aracnoidee riscontrate in età pediatrica sono localizzati nel compartimento sopratentoriale, un quarto in quello sottotentoriale.
Tra le cisti sopratentoriali, la sede silviana è la più comune rappresentando un terzo dei casi totali; le cisti sellari e quelle della convessità corrispondono ognuna al 15% delle lesioni; quella interemisferica all’8% e quella quadrigeminale al 5%. Delle cisti sottotentoriali (23% dei casi totali) la grande maggioranza (17,5% dei casi totali) è localizzata in sede mediana, sopra o retrovermiana, il 5% al di sopra degli emisferi cerebellari, lo 0,5% in sede retroclivale.Caratteristiche specifiche in relazione alla localizzazione


a. Cisti della scissura silviana (cisti temporali)
La scissura di Silvio rappresenta la localizzazione più frequente delle cisti subaracnoidee sopratentoriali (metà dei casi riscontrati nell’adulto, un terzo dell’età pediatrica). I maschi sono interessati 3 volte più delle femmine ed il lato sinistro più del destro.
Più frequentemente di piccolo o medio volume, queste cisti possono anche raggiungere grandi dimensioni determinando un caratteristico rigonfiamento della teca cranica sovrastante in sede temporale. Clinicamente, oltre alla deformità cranica, le manifestazioni cliniche includono cefalea, lieve proptosi ed epilessia. Nel 10% dei casi può essere osservato un ritardo mentale. Il maggiore rischio legato a questo tipo di cisti è quello di un’emorragia da lacerazione dei fini vasi presenti sulla parete delle cisti che possono andare incontro a facile rottura privi come sono di un adeguato tessuto di sostegno. In soggetti con epilessia, un intervento chirurgico precoce è spesso associato alla scomparsa delle manifestazioni comiziali.


b. Cisti della regione sellare
Delle due varietà di questo tipo di cisti, quella endosellare e quella soprasellare, solo la seconda è riscontrabile in età pediatrica. La maggior parte di queste cisti è trattata in bambini al di sotto dell’anno di vita, a seguito di un riconoscimento precoce determinato dalla associata macrocrania ed idrocefalo. Le cisti soprasellari possono espandersi in tutte le direzioni: l’idrocefalo si realizza in genere per l’ostruzione della parte anteriore del 3’ ventricolo e dei forami di Monro. I nervi ottici ed il chiasma sono stirati in circa un terzo dei casi con possibile danno della funzione visiva.
Lo stiramento o più raramente la rottura del peduncolo ipofisario e la compressione del talamo, del tuber cinereum e dei corpi mammillari sono responsabili della sintomatologia endocrinologica associata: ritardo di crescita, pubertà precoce isosessuale, ipopituitarismo. Tipica di queste cisti è la sindrome del “capo di bambola” movimenti ritmici ma irregolari ed involontari del capo (e a volte del tronco) che si realizzano in direzione antero-posteriore due o tre volte al secondo. Nei casi associati ad idrocefalo, tra le manifestazioni cliniche può essere spesso evidenziata un’atassia della marcia.


c. Cisti delle convessità cerebrali
Si tratta di lesioni che variano da pochi millimetri di diametro a cisti che ricoprono tutto l’intero emisfero dislocandolo medialmente. In questa seconda evenienza, il quadro clinico può restare a lungo sorprendentemente povero, limitato alla sola macrocrania o asimmetria del cranio. Anche le cisti focali tendono nel bambino a restare asintomatiche a lungo determinando solo un caratteristico assottigliamento e rigonfiamento localizzato della teca cranica sovrastante. Ciò distingue queste lesioni dalle analoghe cisti dell’adulto che quasi sempre si associano invece ad epilessia.


d. Cisti interemisferiche
Le cisti aracnoidee che si sviluppano tra i due emisferi cerebellari possono svilupparsi a livello del terzo anteriore del corpo calloso, del terzo medio o del terzo posteriore o impedire per intero lo sviluppo di questa commisura causando quindi un’apparente agenesia. In realtà più che di una distruzione si tratta di una dislocazione delle fibre che costituiscono il corpo calloso come suggerito dall’assenza di deficit dello sviluppo psicomotorio. Il migliore trattamento è la marsupializzazione di queste cisti nel sistema ventricolare.

e. Cisti della regione della lamina quadrigemina
Le cisti localizzate a livello della grande vena di Galeno e dell’incisura tentoriale tendono a dare precocemente segni neurologici e di ipertensione endocranica per il limitato spazio utilizzabile per la loro crescita. Sono stati descritti in associazione a queste lesioni alterazioni di movimenti oculari, dello sguardo coniugato, delle pupille, atassia, deficit motori a carico degli arti inferiori, epilessia e sordità. Nella maggior parte dei casi la diagnosi è ottenuta in età pediatrica, anche se può essere difficile differenziare le cisti aracnoidee di questa regione da altre anomalie cistiche acquisite o congenite, come, ad esempio, dilatazione della cisterna ambiens o cisti glio-ependimali.


f. Cisti sottotentoriali mediane
La presenza di un quarto ventricolo, compresso e dislocato anteriormente o superiormente distingue le cisti aracnoidee vermiane da altre malformazioni complesse come la cisti di Dandy-Walker, la “Dandy-Walker variant”, le “Blake’s pouch”, o le megacisterne che richiedono un approccio completamente differente. Le manifestazioni cliniche nel primo anno di vita sono essenzialmente macrocrania, ritardo delle acquisizioni, segni di ipertensione endocranica per l’idrocefalo ostruttivo secondario. In casi eccezionali una cisti aracnoidea sottotentoriale si può sviluppare all’interno del IV ventricolo: in tal caso il quadro clinico è di solito sovrapponibile a quello di un idrocefalo a pressione normale.


g. Cisti intraspinali
Relativamente rare a sviluppo intra o extra-durale, dipendono da un’anomala proliferazione o distribuzione delle trabecule che attraversano lo spazio subaracnoideo in epoca fetale oppure rappresentano una dilatazione del septum posticum che divide lo spazio subaracnoideo posteriore spinale a livello cervicale e dorsale. La sintomatologia clinica è variabile, ma in genere dominata da dolore locale o a distribuzione radicolare, disestesia, deficit motori e, in circa metà dei casi, disturbi dello sfintere vescicale. In circa un sesto dei casi l’andamento clinico è intermittente, con periodi di remissione che ricordano le malattie demilienizzanti. Poiché tali cisti sono spesso riconosciute solo tardivamente non è raro dimostrare anomalie vertebrali associate, soprattutto di tipo cifoscoliotico, al momento della diagnosi.





INFORMAZIONI
00venerdì 16 maggio 2008 23:48
Medici

LE CISTI ARACNOIDEE


Considerazioni generali
Il tessuto nervoso è delimitato da tre membrane che vengono accomunate da un’unica definizione: meningi cerebrali. La membrana più esterna, a contatto con la faccia interna della scatola cranica o della colonna vertebrale, è chiamata Dura Madre per la sua maggiore consistenza, quella più interna, assai sottile, subito al di sopra delle strutture nervose, Pia Madre. L’aracnoide è la membrana intermedia tra le due appena descritte e delimita all’esterno gli spazi dove si raccoglie il liquor cerebro-spinale che circola sulla superficie degli emisferi cerebrali. È una membrana assai sottile, trasparente, priva di vasi.
Le cisti aracnoidee sono oggi ritenute il risultato di un’alterazione minore dello sviluppo della membrana aracnoidea che ne determina la duplicazione o la separazione in due strati all’interno dei quali si verifica un progressivo accumulo di fluido con le caratteristiche del liquido cerebrospinale (LCS).
L’ipotesi malformativa è sostenuta, oltre che da evidenze morfologiche, da una serie di fattori, come la simile distribuzione negli adulti e nei bambini, la sporadica presenza in coppie di gemelli, la relazione topografica con i normali spazi cisternali, la presenza di anomalie congenite (specialmente l’agenesia del corpo calloso) o con sindromi note (in particolare la sindrome di Marfan).
Si tratta di lesioni rare, che possono svilupparsi, in qualsiasi regione dello spazio subaracnoideo sia cerebrale che spinale. Le cisti aracnoidee diventano sintomatiche quando esercitano un effetto massa sulle strutture nervose circostanti (ipertensione endocranica, deficit neurologici, ritardo dello sviluppo psicomotorio, epilessia) o quando interferiscono con la normale circolazione liquorale (idrocefalo secondario).
L’apparente aumentata incidenza riportata negli ultimi anni e la maggiore frequenza in età pediatrica sono da riferire all’efficacia delle attuali metodiche diagnostiche – ecoencefalografia, TAC e Risonanza Magnetica – nel riconoscimento precoce di queste lesioni e nella loro individuazione anche in soggetti esaminati per altri motivi, ad esempio per un’aspecifica macrocrania, per un generico ritardo psicomotorio o per un trauma cranico accidentale.
Le cisti aracnoidee sono quasi sempre sporadiche ed isolate; in due terzi dei casi è il sesso maschile ad essere coinvolto. La storia naturale di queste lesioni non è ben conosciuta: alcune cisti aracnoidee rimangono silenti per tutta la durata della vita, altre diventano sintomatiche dopo un periodo più o meno lungo di quiescenza, altre invece determinano sintomi e segni neurologici già nella primissima infanzia. Sono anche stati descritti casi eccezionali di cisti “scomparse” a seguito di una rottura spontanea della loro parete.
Le manifestazioni cliniche delle cisti aracnoidee dipendono ovviamente dalla sede e dalle dimensioni della lesione. A parte i segni aspecifici di un processo occupante spazio intracranico o intraspinale o di una dilatazione ventricolare secondaria, che accomunano le cisti aracnoidee a qualsiasi massa intratecale, sono stati descritti quadri tipici di alcune localizzazioni, come ad esempio, disturbi endocrinologici nel caso di cisti della regione chiasmatica, ematomi subdurali acuti a seguito di traumi cranici apparentemente insignificanti in pazienti con cisti della regione silviana, movimenti anomali e continui di va e vieni del capo dei bambini con cisti della regione soprasellare e del terzo ventricolo.
Il meccanismo alla base dell’espansione di una cisti aracnoidea è ancora oggetto di discussione. Scartata l’ipotesi di un gradiente pressorio in base alla sostanziale somiglianza del fluido contenuto all’interno della cisti con il LCS, le teorie patogenetiche più accreditate sono quelle di una produzione di fluido da parte delle stesse cellule che costituiscono la parete della cisti o di una comunicazione anatomica tra la cisti e gli spazi liquorali che permette il passaggio unidirezionale di fluido all’interno della cisti stessa, ma non la sua fuoriuscita, a seguito delle pulsazioni liquorali.
La TAC e la RM oltre a dimostrare la presenza della cisti forniscono anche criteri per valutare la dinamica del fluido in esse contenuto. La TAC si avvale della somministrazione di mezzo di contrasto nello spazio subaracnoideo o nella cisti per distinguere le lesioni “comunicanti” da quelle non comunicanti. La RM utilizza allo stesso scopo fasi di sequenza rapida capaci di cogliere il movimento pulsatile del LCS.
Oggetto di discussione è anche il trattamento richiesto da queste lesioni. Alcuni autori favoriscono infatti un atteggiamento conservativo in pazienti sicuramente asintomatici in cui la diagnosi di cisti aracnoidea è stato un reperto accidentale a seguito di esami neuroradiologici eseguiti per altri motivi; altri invece suggeriscono una terapia chirurgica anche in assenza di sintomi in base ad osservazioni di un rapido deterioramento delle condizioni cliniche in alcuni pazienti dopo episodi traumatici lievi. Nei casi dubbi, la registrazione prolungata della pressione intracranica può differenziare le cisti non associate ad alterazioni della dinamica liquorale da quelle che esercitano, per un aumento della pressione al loro interno o un ostacolo alla circolazione liquorale, una compressione sulle strutture nervose adiacenti. L’indicazione operatoria non viene invece discussa in caso di lesioni sintomatiche dove l’intervento chirurgico è considerato necessario per eliminare la pressione esercitata dalla cisti sulle strutture cerebrospinali circostanti e/o l’ostacolo da essa determinata nella circolazione liquorale. Le opzioni chirurgiche comprendono un’escissione diretta della cisti dopo craniotomia, una marsupializzazione della cisti nello spazio subaracnoideo o nei ventricoli crerebrali sotto diretto controllo visivo o attraverso l’utilizzazione di procedure stereotassiche od endoscopiche ed infine l’applicazione di sistemi derivativi intratecali (drenaggio del fluido cistico nel sistema ventricolare) o extratecali (drenaggio del fluido cistico nella cavità peritoneale, meno frequentemente, pleurica o nella circolazione ematica).
L’asportazione diretta della cisti appare la modalità più logica di trattamento poiché elimina la stessa causa della lesione; tale tipo di procedura è però associato in circa il 20% dei casi ad un rischio di recidiva o di persistenza di un’anomala condizione di circolazione liquorale in pazienti in cui sia associata un’incompetenza dello spazio liquorale. Una simile percentuale di recidiva può essere osservata dopo “marsupializzazione” della parete di una cisti aracnoidea nello spazio subaracnoideo generalmente a seguito della cicatrizzazione della stomia. Si deve però sottolineare che il rischio di un’obliterazione secondaria dopo marsupializzazione è trascurabile nei casi in cui la cisti può essere “aperta” nel sistema ventricolare. Il drenaggio della cisti con l’utilizzazione di sistemi derivativi offre un’alta percentuale di successo con il limite però della dipendenza del risultato dalla funzionalità del sistema derivativo stesso.
L’atteggiamento della nostra Neurochirurgia Pediatrica è quello di utilizzare un approccio chirurgico diretto con escissione della membrana cistica in tutti i casi in cui questo appare possibile cercando, là dove realizzabile, di creare nello stesso tempo un’ampia comunicazione con gli spazi cisternali o con i ventricoli cerebrali. Riserviamo invece gli interventi derivativi alle sole lesioni di difficile accesso chirurgico o ai soggetti che, dopo intervento chirurgico diretto, dimostrano un insufficiente assorbimento liquorale. La mortalità e la morbilità associate al trattamento chirurgico delle cisti aracnoidee sono praticamente trascurabili. Nessun decesso è stato osservato nella nostra casistica operatoria di oltre 200 casi; le complicazioni osservate sono state solo quelle legate ad un’alterata dinamica liquorale che hanno determinato in alcuni casi l’utilizzazione di procedure derivative liquorali in una seconda fase del trattamento.
Complicazioni
Il trattamento delle cisti aracnoidee dirette (craniotomia, asportazione delle membrane delle cisti, creazione di vie per la circolazione liquorale) presenta i rischi generali (infezioni, convulsioni postoperatorie, fistole liquorali) degli interventi chirurgici sull’encefalo. Quest’ultimo però non è generalmente interessato, ed i rischi di un suo danno chirurgico perciò sono estremamente bassi, poiché la cisti si sviluppa in uno spazio extracerebrale. Una possibile, in genere transitoria, complicazione è che il liquido, prima confinato nella cisti, si accumuli nello spazio tra l’aracnoide e la dura madre (spazio subdurale), continuando, per l’insufficiente assorbimento a tale livello, ad esercitare un effetto pressorio sul sottostante emisfero cerebrale. Ciò può comportare la necessità di un drenaggio temporaneo o persistente del fluido accumulato.
Distribuzione
Tre quarti delle cisti aracnoidee riscontrate in età pediatrica sono localizzati nel compartimento sopratentoriale, un quarto in quello sottotentoriale.
Tra le cisti sopratentoriali, la sede silviana è la più comune rappresentando un terzo dei casi totali; le cisti sellari e quelle della convessità corrispondono ognuna al 15% delle lesioni; quella interemisferica all’8% e quella quadrigeminale al 5%. Delle cisti sottotentoriali (23% dei casi totali) la grande maggioranza (17,5% dei casi totali) è localizzata in sede mediana, sopra o retrovermiana, il 5% al di sopra degli emisferi cerebellari, lo 0,5% in sede retroclivale.Caratteristiche specifiche in relazione alla localizzazione


a. Cisti della scissura silviana (cisti temporali)
La scissura di Silvio rappresenta la localizzazione più frequente delle cisti subaracnoidee sopratentoriali (metà dei casi riscontrati nell’adulto, un terzo dell’età pediatrica). I maschi sono interessati 3 volte più delle femmine ed il lato sinistro più del destro.
Più frequentemente di piccolo o medio volume, queste cisti possono anche raggiungere grandi dimensioni determinando un caratteristico rigonfiamento della teca cranica sovrastante in sede temporale. Clinicamente, oltre alla deformità cranica, le manifestazioni cliniche includono cefalea, lieve proptosi ed epilessia. Nel 10% dei casi può essere osservato un ritardo mentale. Il maggiore rischio legato a questo tipo di cisti è quello di un’emorragia da lacerazione dei fini vasi presenti sulla parete delle cisti che possono andare incontro a facile rottura privi come sono di un adeguato tessuto di sostegno. In soggetti con epilessia, un intervento chirurgico precoce è spesso associato alla scomparsa delle manifestazioni comiziali.


b. Cisti della regione sellare
Delle due varietà di questo tipo di cisti, quella endosellare e quella soprasellare, solo la seconda è riscontrabile in età pediatrica. La maggior parte di queste cisti è trattata in bambini al di sotto dell’anno di vita, a seguito di un riconoscimento precoce determinato dalla associata macrocrania ed idrocefalo. Le cisti soprasellari possono espandersi in tutte le direzioni: l’idrocefalo si realizza in genere per l’ostruzione della parte anteriore del 3’ ventricolo e dei forami di Monro. I nervi ottici ed il chiasma sono stirati in circa un terzo dei casi con possibile danno della funzione visiva.
Lo stiramento o più raramente la rottura del peduncolo ipofisario e la compressione del talamo, del tuber cinereum e dei corpi mammillari sono responsabili della sintomatologia endocrinologica associata: ritardo di crescita, pubertà precoce isosessuale, ipopituitarismo. Tipica di queste cisti è la sindrome del “capo di bambola” movimenti ritmici ma irregolari ed involontari del capo (e a volte del tronco) che si realizzano in direzione antero-posteriore due o tre volte al secondo. Nei casi associati ad idrocefalo, tra le manifestazioni cliniche può essere spesso evidenziata un’atassia della marcia.


c. Cisti delle convessità cerebrali
Si tratta di lesioni che variano da pochi millimetri di diametro a cisti che ricoprono tutto l’intero emisfero dislocandolo medialmente. In questa seconda evenienza, il quadro clinico può restare a lungo sorprendentemente povero, limitato alla sola macrocrania o asimmetria del cranio. Anche le cisti focali tendono nel bambino a restare asintomatiche a lungo determinando solo un caratteristico assottigliamento e rigonfiamento localizzato della teca cranica sovrastante. Ciò distingue queste lesioni dalle analoghe cisti dell’adulto che quasi sempre si associano invece ad epilessia.


d. Cisti interemisferiche
Le cisti aracnoidee che si sviluppano tra i due emisferi cerebellari possono svilupparsi a livello del terzo anteriore del corpo calloso, del terzo medio o del terzo posteriore o impedire per intero lo sviluppo di questa commisura causando quindi un’apparente agenesia. In realtà più che di una distruzione si tratta di una dislocazione delle fibre che costituiscono il corpo calloso come suggerito dall’assenza di deficit dello sviluppo psicomotorio. Il migliore trattamento è la marsupializzazione di queste cisti nel sistema ventricolare.

e. Cisti della regione della lamina quadrigemina
Le cisti localizzate a livello della grande vena di Galeno e dell’incisura tentoriale tendono a dare precocemente segni neurologici e di ipertensione endocranica per il limitato spazio utilizzabile per la loro crescita. Sono stati descritti in associazione a queste lesioni alterazioni di movimenti oculari, dello sguardo coniugato, delle pupille, atassia, deficit motori a carico degli arti inferiori, epilessia e sordità. Nella maggior parte dei casi la diagnosi è ottenuta in età pediatrica, anche se può essere difficile differenziare le cisti aracnoidee di questa regione da altre anomalie cistiche acquisite o congenite, come, ad esempio, dilatazione della cisterna ambiens o cisti glio-ependimali.


f. Cisti sottotentoriali mediane
La presenza di un quarto ventricolo, compresso e dislocato anteriormente o superiormente distingue le cisti aracnoidee vermiane da altre malformazioni complesse come la cisti di Dandy-Walker, la “Dandy-Walker variant”, le “Blake’s pouch”, o le megacisterne che richiedono un approccio completamente differente. Le manifestazioni cliniche nel primo anno di vita sono essenzialmente macrocrania, ritardo delle acquisizioni, segni di ipertensione endocranica per l’idrocefalo ostruttivo secondario. In casi eccezionali una cisti aracnoidea sottotentoriale si può sviluppare all’interno del IV ventricolo: in tal caso il quadro clinico è di solito sovrapponibile a quello di un idrocefalo a pressione normale.


g. Cisti intraspinali
Relativamente rare a sviluppo intra o extra-durale, dipendono da un’anomala proliferazione o distribuzione delle trabecule che attraversano lo spazio subaracnoideo in epoca fetale oppure rappresentano una dilatazione del septum posticum che divide lo spazio subaracnoideo posteriore spinale a livello cervicale e dorsale. La sintomatologia clinica è variabile, ma in genere dominata da dolore locale o a distribuzione radicolare, disestesia, deficit motori e, in circa metà dei casi, disturbi dello sfintere vescicale. In circa un sesto dei casi l’andamento clinico è intermittente, con periodi di remissione che ricordano le malattie demilienizzanti. Poiché tali cisti sono spesso riconosciute solo tardivamente non è raro dimostrare anomalie vertebrali associate, soprattutto di tipo cifoscoliotico, al momento della diagnosi.





INFORMAZIONI
00venerdì 16 maggio 2008 23:49
Medici

Meccanismi di difesa e informazioni mediche in NCH infantile
(Dr.ssa Simona Di Giovanni)


La scoperta di una malattia potenzialmente mortale al proprio figlio induce i genitori a ricercare ciò che precedentemente era quasi impensabile, “mio figlio può morire: perché è capitato a me?”. Spesso nello sforzo di darsi una ragione si cercano i motivi di una sorta di nemesi del fato per qualche precedente colpa. Terapie assunte nel periodo antecedente o contemporaneo alla gravidanza oppure problemi personali o relazionali, ritornano come “scheletri nell’armadio”, come se avessero potuto contaminare la vita del proprio figlio.
Il sentimento di “partecipazione” alla malattia del bambino rende questa esperienza doppiamente dolorosa provocando una dispersione nel pozzo del passato di energie che invece sarebbero necessarie per affrontare la malattia.
La paura della morte conseguente alla consapevolezza della gravità della malattia costituisce una minaccia, che viene evitata attraverso meccanismi di difesa. Le difese inducono una sorta di anestesia, per evitare o sopportare il continuo confronto con la morte attraverso una fuga dal piano emotivo e/o cognitivo e dell’agire. Se è impossibile “non sapere”, almeno “non sentire” può apparire istintivamente una via di fuga più accettabile per salvaguardare uno pseudo-equilibrio.
Le reazioni emotive dei genitori possono quindi apparire incongrue alla gravità dell’informazione comunicata dal medico. Tali incongruità sono dovute proprio alla messa in atto di meccanismi di difesa cioè di risposte automatiche di cui spesso si è inconsapevoli. Le difese possono svolgere una funzione adattativa o difensiva secondo la loro gravità, la loro rigidità e il contesto nel quale si verificano. Per esempio, l’attenzione selettiva può essere utilizzata sia a livello adattivo per favorire la concentrazione, sia a livello difensivo in funzione di diniego.
I meccanismi di difesa agiscono influenzando la rielaborazione dell’informazione del soggetto, tanto da poter distorcere percezioni, falsificare ricordi e bloccare azioni. Le difese più facilmente riscontrabili in coloro che si trovano di fronte ad una minaccia di vita sono:
Negazione. Il soggetto nega attivamente che un sentimento, un comportamento o un’intenzione (riguardante il passato o il presente) sia stata o sia presente, anche se l’evidenza afferma il contrario. Questa difesa consente di non ammettere o di non prendere coscienza di un’idea o di un sentimento che ritiene potrebbe causargli conseguenze negative (come vergogna, rammarico o altri affetti dolorosi). Il soggetto è del tutto inconsapevole dei pensieri e delle emozioni inerenti alla sua esperienza. E’ proprio il diniego o la negazione ad essere la difesa che compare comunemente in pazienti gravemente malati con una funzione protettiva soprattutto nella prima fase di adattamento alla minaccia di morte. E’ una sorta di facciata che permette di sopravvivere allontanando da sé la vera percezione dei sentimenti e delle nozioni. Nei genitori sono frequenti, esempio, minimizzazioni dei deficit o del ritardo cognitivo o motorio del bambino.
Rimozione E’ una difesa che protegge il soggetto dalla consapevolezza di ciò che prova o ha provato in passato. A differenza della negazione dove sia l’idea che l’affetto sono al di fuori della consapevolezza, nella rimozione gli aspetti emotivi sono chiaramente presenti e percepiti mentre quelli cognitivi restano al di fuori della coscienza. Esempi di rimozione sono, uno o due lapsus linguae mentre si dice qualcosa che poi si nega o che è l’opposto di ciò che si afferma di voler dire, oppure il dimenticare più volte quanto sta dicendo nel mezzo di una discussione, dimenticare particolari significativi di eventi traumatici. Nel contesto medico, i genitori possono “dimenticare” i rischi dell’intervento del bambino dei quali sono stati informati con precisione dal chirurgo.
Dissociazione L’individuo affronta conflitti emotivi e stress interni o esterni attraverso un’alterazione temporanea del proprio stato psichico o della propria identità, che gli consente di sentirsi meno colpevole o minacciato.Un particolare affetto o impulso vissuto come troppo minaccioso, troppo conflittuale, o troppo ansiogeno viene reso inconscio e contemporaneamente espresso attraverso un’alterazione della coscienza. Nel contesto medico, una lunga degenza del proprio figlio, ad es. in condizione di coma vigile, obbliga un costante contatto con la paura della morte. Il genitore può parlare della malattia del bambino con “indifferenza”, dando al medico il messaggio affettivo che l’evento in questione sembra quasi non essere stato registrato nel suo significato, pur non negandone l’esistenza.
Anticipazione L’uso di questa difesa permette all’individuo di mitigare gli effetti delle tensioni o dei conflitti futuri. Essa implica la capacità di tollerare l’ansia che si manifesta quando il soggetto immagina quanto possa essere angosciante una situazione futura. Attraverso tale prova affettiva, ad esempio, “come mi sentirò quando morirà mio figlio” e la pianificazione delle risposte future, il soggetto diminuisce gli aspetti angoscianti del futuro fattore stressante. Sono i genitori che partecipano attivamente al funerale di un bambino conosciuto durante la malattia, mettendosi al primo banco accanto al genitore del bambino morto.
Aggressione passiva. E’ caratterizzata dal modo indiretto, velato e passivo con il quale vengono espressi l’ostilità e i sentimenti di rancore nei confronti degli altri. La persona che fa uso di questa difesa ha imparato ad attendersi una punizione, una frustrazione o un rifiuto se esprime bisogni o sentimenti direttamente a qualcuno che ha potere o autorità su di lui. Il soggetto si sente impotente e pieno di risentimento. Le richieste di attenzione, di aiuto o il desiderio di esprimere sentimenti sono presenti ma non vengono verbalizzati o sono verbalizzati troppo tardi, mentre il risentimento viene espresso tramite l’inettitudine, i ritardi ecc. come mezzo per irritare gli altri. Questo meccanismo di difesa è molto frequente nei genitori del bambino malato rispetto alla propria famiglia d’origine. Ci sono genitori che non hanno mai “permesso” loro di ricevere una visita in ospedale anche a seguito di lunghi ricoveri, per poi a tempo debito lamentarsene
Scissione. L’individuo affronta conflitti emotivi e stress interni o esterni considerando se stesso o gli altri come completamente buoni o completamente cattivi, non riuscendo a integrare le caratteristiche positive e negative di sé e degli altri in immagini coese; spesso lo stesso individuo sarà alternativamente idealizzato e svalutato. I genitori che adottano tale difesa possono mutare rapidamente l’opinione del proprio medico lodandolo o biasimandolo sulla base di informazioni parziali o incomplete.
Ipocondria. Comporta l’uso ripetuto di una o più lamentele nelle quali il soggetto chiede apparentemente aiuto. Contemporaneamente, poi, il soggetto, rifiutando suggerimenti, consigli o qualsiasi cosa gli altri gli offrano, esprime sentimenti nascosti di ostilità e risentimento. E’ dunque una difesa contro la rabbia che il soggetto prova ogni volta che sente la necessità di dipendere emotivamente dagli altri. La rabbia sorge dalla convinzione, o spesso dall’esperienza passata, che nessuno soddisferà realmente i suoi bisogni. E’ il tipico soggetto che si lamenta sempre con il medico o inscena una pantomima su tutti i suoi acciacchi fisici eludendo i tentativi di indagare a fondo un disturbo, di affrontarlo e capirlo efficacemente e contemporaneamente si lamenta della mancanza di aiuto. Oppure è il soggetto che si lamenta spontaneamente di come gli altri (medici, parenti) non si preoccupino realmente o abbiano di fatto peggiorato il problema, anche quando il suo resoconto dimostra il contrario.
In questi casi, il medico dopo aver eseguito un difficile e delicato intervento verrà investito da tutta una serie di preoccupazioni del genitore su aspetti evidentemente secondari, tralasciando gli importanti risultati raggiunti.
Fantasia L’individuo affronta conflitti emotivi e stress passando tempi eccessivi a sognare ad occhi aperti, evitando così le relazioni umane, un agire più diretto ed efficace o la soluzione dei problemi. La fantasia diventa un mezzo per non affrontare o risolvere problemi esterni o per esprimere e soddisfare i propri sentimenti e desideri; permette di ottenere una qualche transitoria e sostitutiva gratificazione fantasticando una soluzione a un conflitto con il mondo reale. Il soggetto, mentre utilizza la fantasia, si sente bene e allontana momentaneamente la convinzione di essere impotente; infatti mentre fantastica può essere attiva la convinzione opposta di essere onnipotente, di poter fare qualsiasi cosa. Nel contesto medico, sono frequenti “innamoramenti” da parte delle bambine nei confronti del medico curante e chiacchierate serali “goliardiche” tra le mamme.
L’incapacità di accettare la morte del proprio figlio è stata paragonata all’incapacità da parte dei pazienti psicotici di accettare la propria morte. Entrambi infatti hanno bisogno di creare un’area di illusione parziale che ha in comune con il delirio psicotico il bisogno di mantenere un’illusione di immortalità e di vivere una condizione di diversità dagli altri malati, ma si differenzia dal delirio, per la continua e stretta interazione con l’area vicina alla realtà (in quest’ultimi si parla infatti di area di illusione totale). E’ quindi priva delle estreme distorsioni che connotano il delirio e non diviene mai sostitutiva della realtà; piuttosto, consente di affrontare meglio quest’ultima.
Il bisogno del genitore è dunque di poter avere un’area di illusione, nella quale e per mezzo della quale evitare l’impatto diretto con l’evento della morte. In quest’area di illusione parziale coesistono entrambe le componenti: quella che sa che la morte è imminente e quella che s’illude di poter avere ancora tempo di vivere e di fare le cose che non ha fatto nel passato. L’area illusionale si pone quindi come una delle risorse più valide per mediare con una realtà così drammatica, e al tempo stesso diviene il mezzo con cui un genitore può accettare di identificare le sue risorse, per trascorrere il tempo che rimane al proprio figlio nel modo più costruttivo possibile.
L’illusione di essere eterno, quando interagisce costantemente con la realtà, diviene un rifugio consolatorio dalla realtà dell’impotenza e della frustrazione e permette di tollerare la propria reale situazione di perdita. Diviene, di fronte alla morte, un patrimonio di risorse interne ed emotive, che si contrappone all’irreparabile, ovvero la morte nel presente o nel futuro, gli errori, i fallimenti, le colpe, le occasioni perdute, consentendo di dar valore e significato a ciò che di positivo e di possibile esiste anche di fronte alla realtà più tragica.




UNA MAMMA
00venerdì 16 maggio 2008 23:56
DAL DIARIO DI UNA MAMMA


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Dal diario di una mamma


Sono la mamma di una bambina di nome Sara che ha undici anni.

Ricordo il giorno in cui tutto è cominciato ... era un triste giorno di primavera. Sara tornò a casa da scuola prima del termine delle lezioni, io ero al lavoro e quando tornai a casa la vidi gonfia in viso. La portai al Pronto Soccorso, dove la ricoverarono nella pediatria dell'ospedale in cui presto servizio. Rimase ricoverata per una settimana. Diagnosi: mononucleosi! I medici dissero ... passerà col tempo.

Trascorsero due settimane ma non vedevo alcun miglioramento. Consultai un pediatra che mi mandò a fare una visita al Burlo di Trieste. Quando io e mio marito arrivammo a Trieste ci indirizzarono al reparto di emato-oncologia. Davanti alla porta d'ingresso il sangue mi si ghiacciò, mi bloccai e dissi a mio marito: "No, non è possibile che questo sia il reparto dove dobbiamo entrare". Volevo tornare indietro. Invece entrammo. Mi guardai attorno e vidi bambini senza capelli, guardai Sara e pensai: "No, lei non può avere quella malattia, è impossibile". Sara venne visitata dal professore e cominciò a fare una lunga serie di esami e visite. Ogni quindici giorni una visita di controllo, fino al 19 giugno. Nel frattempo Sara frequentava regolarmente la quinta elementare, studiava con impegno e fece gli esami "stupendamente", come dissero le maestre. Anche gli esami medici erano buoni, almeno fino al 22 luglio.

La settimana prima del ricovero andammo in montagna a Paluzza e ci facemmo tante passeggiate. Sara fece amicizia con una bambina di nome Clio, con la quale legò immediatamente e anche con un cagnolino di nome Gigetto. Amando gli animali, Sara lo portava a spasso come fossero stati amici da sempre.

Ma torniamo a quel triste 22 luglio. La bambina venne operata di tonsille e adenoidi. Ero tranquilla perché pensavo di poter tornare a casa, quando venni improvvisamente chiamata dall'oncologo che aveva assistito all'intervento. Mi sentii un brivido lungo la schiena, avevo tanta paura, oserei dire che ero terrorizzata; con le gambe tremanti, anziché prendere l'ascensore decisi di fare le scale per salire in oncologia. Nella testa mi frullavano mille pensieri e non sarei mai voluta arrivare al terzo piano, dove mi aspettava una brutta notizia. Il medico mi disse: "Mi dispiace, ma dobbiamo trasferire Sara in Oncologia il più presto possibile". Il sangue mi si gelò nelle vene e mi sentii svenire. Chiesi al medico se almeno potevo andare a casa a prendere la biancheria e ritornare, ma lui mi rispose che Sara aveva pochi globuli bianchi e poche piastrine e che rischiava un'emorragia da un momento all'altro e continuò dicendomi che doveva fare una TAC e poi mettere un catetere venosa per fare i vari cicli di terapia. Anche se immaginavo, io non volevo pensarla quella diagnosi: "leucemia mieloide"! Avrei voluto morire in quel momento assieme a Sara! Guardai in alto e mi domandai perché proprio a Sara dovesse toccare quella malattia. Il medico mi confortò dicendomi che si poteva curare, che erano tempi lunghi di terapia. Telefonai in reparto dove lavoro per dire che non sarei tornata a lavorare per il momento, poi chiamai mio marito e tutto d'un fiato gli diede l'orribile notizia. Passai alcuni giorni in uno stato di torpore in cui mi domandavo se quello che stavo vivendo era un sogno o realtà.

Siamo in una piccola stanza d'isolamento. Dalla finestra della mia stanza posso vedere un bel panorama di Trieste: uno scorcio di mare, le navi che passano, una parte del porto; la notte è tutta illuminata ed il panorama è ancora più bello, guardandolo mi dimentico per un attimo di essere in un ospedale. Ho la finestra un po' aperta visto che fa tanto caldo ed in lontananza sento la musica, sicuramente c'è qualche festa, chissà quanta gente spensierata e felice si diverte, io invece sono qui in un ospedale in una situazione che non so come andrà a finire e mi assale nello stesso tempo rabbia e tristezza.


Una dolce mamma

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