X. - L'IMPRESA
Il mondo economico è dominato dall'impresa, l'organismo, semplice o complesso, piccolo o grande, che presiede alla produzione della ricchezza. Dell'impresa oggi tutti sentono parlare e, giustamente, s'interessano; in un'impresa, di ridotte o di straordinarie dimensioni, una gran parte dell'umanità esercita la sua attività di lavoro. È perciò utilissimo, anzi necessario, avere una visione cristiana dell'impresa.
Bontà dell'impresa.
L'impresa - detta un tempo anche intrapresa, parola che, dal verbo « intraprendere », metteva in rilievo il senso attivistico che essa ha va anzitutto riconosciuta nella sua insostituibilità e nel suo valore.
Essa può essere definita (secondo le conclusioni della XXV Settimana sociale dei Cattolici Italiani: 1953): « l'armonica combinazione dei fattori della produzione - attività imprenditrice, capitale, lavoro - in vista della più efficiente attuazione ed espansione dell'economia sul piano della convivenza sociale ». Una tale armonica combinazione dei fattori della produzione è, evidentemente, utilissima, anzi necessaria.
Un organismo tendente a produrre i beni, a produrli in gran numero e col minimo sforzo, ad armonizzare i fattori della produzione, non può che essere considerato, in sé, come buono; naturalmente, se ha dei difetti, questi vanno individuati e corretti.
L'impresa artigianale.
Una prima considerazione va data all'impresa artigianale, nella quale lavora, un maestro artigiano, eventualmente con qualche collaboratore e apprendista.
Si pensava che il progresso tecnico avrebbe distrutto l'artigianato; esso però sopravvive, e spesso assai bene:
a) perché l'artigianato, con la sua inventiva, il suo senso artistico e la sua abilità fa cose che la produzione in serie non può realizzare;
b) perché molti uomini amano gli oggetti che, hanno una originalità e rivelano una personalità;
c) perché in certe regioni determinate tradizioni sono profondamente radicate;
d) perché molti lavoratori amano in modo speciale il lavoro libero, costruttivo, personale, della bottega artigiana. L'artigianato è utile ed è benemerito della società: esso va rispettato, incoraggiato, aiutato. Particolarmente:
1) favorendo l'apprendistato;
2) rendendo facili i piccoli crediti e l'accesso alle necessarie materie prime;
3) favorendo il commercio all'interno e l'esportazione dei prodotti artigiani.
L'impresa agricolo familiare.
Altra piccola impresa è quella agricola a dimensioni familiari. Essa è particolarmente diffusa e corrisponde profondamente alle possibilità e alla psicologia di larghi strati della popolazione. Anch'essa sopravvive, nonostante l'avvento delle macchine e della grande impresa agricola; ciò particolarmente:
-- per la situazione caratteristica di determinati appezzamenti di terra (specie nella nostra Italia, così montuosa);
- per l'attaccamento di molte famiglie alla terra propria;
- per il contributo intelligente, tempestivo, interessato, che un nucleo familiare dà al podere.
Una famiglia può lavorare in un podere: proprio, o in fitto, o in mezzadria, o solo dando lavoratori braccianti. Ognuna di queste forme può avere la sua giustificazione storica e, qua e là, la sua necessità. Il pensiero sociale cristiano vuole che la condizione dei semplici braccianti sia oggetto di specialissime provvidenze e tenda a sparire. La mezzadria e il fitto, ben regolati, sono forme d'azienda certamente buone. L'ideale, evidentemente, è che ogni famiglia contadina possa giungere al possesso d'una parte, almeno, della terra che lavora.
Perché oggi l'impresa agricola familiare possa convenientemente affermarsi, è necessario:
a) che sia in grado di fornire le possibilità di una vita sufficientemente decorosa alla famiglia;
b) che il coltivatore diretto sia sufficientemente istruito, con i necessari aggiornamenti intorno alle conquiste della scienza e della tecnica;
c) che le famiglie coltivatrici abbiano un sistema di assicurazioni sociali.
Particolarmente utili saranno ancora
1) una buona organizzazione sindacale;
2) il ricorso, in parecchi casi, alle forme cooperative.
L'impresa cooperativa.
Mediatrice tra l'impresa familiare e la grande impresa, si presenta l'impresa a forma cooperativa. In essa coloro che ne fanno parte sono, insieme, possessori del capitale, imprenditori e lavoratori; hanno gli stessi interessi; uniscono le proprie forze. In tale modo è facile mantenere i pregi dell'azienda familiare con l'aggiunta di alcune delle possibilità dell'azienda di grande dimensione. Si pensi, ad es.:
- alla possibilità di avere delle macchine;
- alla facilità di conservare bene i prodotti;
- alla organizzazione non tanto dispendiosa della propaganda;
- ad una migliore impostazione della distribuzione del prodotto;
- all'interesse particolare che ciascun cooperatore porta alla cooperativa;
- alla minima incidenza delle spese di direzione e gestione, ecc.
Naturalmente i benefici variano a seconda che si tratti di cooperative di lavoro, dai produzione, di consumo, di credito, o di carattere mutualistico, e a seconda dei luoghi, dei generi, dell'entità dell'impresa: essi, comunque, sono, in genere, notevoli.
Per il suo rispetto della personalità dell'uomo e del nucleo familiare, nonché per la sua anima di cooperazione e fraternità, l'impresa cooperativa gode tutte le simpatie del pensiero sociale cristiano e va, dovunque si prospetti possibile ed utile, incoraggiata.
La grande impresa.
Caratteristica del mondo economico moderno, sia in agricoltura che, specialmente, nell'industria, è la grande impresa. Essa apporta tanti benefici cui non è minimamente possibile rinunciare; occorre solo sforzarsi di eliminarne gli inconvenienti. L'impresa a grandi dimensioni dà lavoro a numerosi lavoratori, produce molti beni e a basso costo, va incontro alle necessità, alle comodità, ai desideri di enormi masse di popolazione. Essa è caratterizzata dal fatto che i fattori della produzione si trovano in persone diverse: i fornitori dei capitali, gli imprenditori, i dirigenti, gli operai.
Sorge il problema: a quale principio ci si deve ispirare nel regolare i loro rapporti?
Tra il principio della libera concorrenza, asserito dall'ideologia libéral-capitalista e quello della lotta di classe, affermato dall'ideologia social-comunista, la dottrina sociale cristiana afferma il principio della solidarietà e della collaborazione.
Tale principio deriva
a) dalla natura dell'impresa, nella quale, per il raggiungimento dei suoi fini, capitale, attività imprenditrice e lavoro, direttivo o esecutivo, devono essere intimamente coordinati.
Il lavoro, infatti, senza capitale, può fare ben poco; il capitale senza lavoro è improduttivo; il lavoro materiale senza chi organizza e dirige non può aspirare a grandi realizzazioni;
b) dalla società umana, che si rivela anche, e in modo importantissimo, nelle imprese economiche. Perciò Leone XIII dichiara « uno sconcio » il « supporre l'una classe sociale nemica naturalmente dell'altra » (« Rerum Novarum »);
c) dal comune interesse, di tutti coloro che fanno parte dell'azienda, alla sua vitalità, al pacifico svolgersi del suo lavoro, al miglior rendimento;
d) dall'interesse dei capitalisti e degli imprenditori al fatto che le grandi masse sociali siano fornite di mezzi finanziari tali che permettano loro non solo di procurarsi il necessario per vivere ma anche per potersi comprare le cose non strettamente necessarie e che l'industria tende a produrre sempre più: ad es. l'automobile, la radio, la televisione, la macchina da cucire, la macchina da scrivere, il frigorifero.
Motivi di urto e diversità d'interessi ci sono, senza dubbio, tra i rappresentanti dei diversi fattori della grande impresa; ma la convergenza degli interessi e, quindi, la necessità della cooperazione sono di gran lunga più importanti.
Salari e stipendi.
Nella grande impresa moderna ha larghissima applicazione il regime della retribuzione fissa: il salario degli operai, lo stipendio degli impiegati, l'interesse degli obbligazionisti.
Il sistema del guadagno prefissato non è immorale; esso si basa su tre grandi ragioni:
a) l'incertezza del guadagno e del « quanto » del guadagno dell'azienda;
b) l'impossibilità per la quasi totalità dei lavoratori - operai ed impiegati - di partecipare ai rischi (sia pure con la prospettiva di maggiori guadagni) dell'impresa;
e) il bisogno di operai e di impiegati di avere subito - ogni settimana o ogni mese - la retribuzione del lavoro.
Ove, perciò, nello stabilire la retribuzione si tengano presenti le condizioni che la fanno giusta - esposte nel cap. VIII - la retribuzione fissa non è immorale. Essa è spesso, poi, l'unica praticamente possibile; essa è, in molti casi, la più ricercata. Valga per tutti il fatto delle obbligazioni. Perché molte persone che hanno capitali non comprano « azioni » - che li farebbero comproprietari delle aziende e partecipi, proporzionalmente, dei loro guadagni - e comprano, invece, « obbligazioni »? Perché queste non danno rischio - o quasi - e assicurano un reddito fisso (in genere dal 5 al 6,5 per cento).
Il principio della compartecipazione.
Affermata la liceità e, spesso, la convenienza del reddito fisso e assicurato, la dottrina sociale cristiana vede però con simpatia un più intimo inserimento degli operai nella vita e nella struttura delle aziende. « Nelle odierne condizioni - scriveva già Pio XI nella « Quadragesimo Anno » del 1931 - stimiamo sia cosa prudente che, per quanto è possibile, il contratto di lavoro venga temperato alquanto col contratto di società, come già si è cominciato a fare in diverse maniere con non poco vantaggio degli operai stessi e dei padroni. Così gli operai divengono cointeressati o nella proprietà o nella amministrazione, e compartecipi, in certa misura, dei guadagni percepiti ».
In concreto una più intima partecipazione degli operai alla vita dell'azienda si può realizzare in varie forme; esse non mancano, tuttavia, d'incontrare varie difficoltà, per cui trovano negli stessi ambienti, sostenitori entusiasti, uomini dubbiosi, avversari tenaci. Sarà bene comunque, con spirito solidaristico, continuare nella via delle esperienze e degli studi. In modo particolare vanno tenuti presenti
a) il conferimento di premi di produzione e di incremento dell'azienda;
b) la vera e propria compartecipazione agli utili;
c) il favore degli imprenditori e dei dirigenti ai consigli degli, operai (per lo snellimento del lavoro, il miglioramento della produzione, le condizioni igieniche dell'ambiente, i dispositivi di sicurezza, ecc.), con proporzionate ricompense;
d) l'accesso degli operai alle « azioni » della « Società » presso cui lavorano;
e) la partecipazione alla stessa gestione dell'azienda. L'impresa comunità di lavoro.
Tutto quanto è stato detto a proposito della impresa - dalla bottega artigiana alla cooperativa e alla grande azienda sarà utile e porterà, anzi, benefici. d'eccezione, solo se si guarderà all'impresa come ad una « comunità di lavoro ». Ciò è imposto dall'umana ragione, per motivi di dovere come per motivi di interesse; ciò è soprattutto imposto da una visione cristiana della realtà e della vita.
Solo realizzando una tale solidarietà, anzi un'autentica fraternità fra tutti gli uomini che operano in un'azienda, e, poi, in tutta la vita associata, si otterrà un sicuro progresso ed una vera e durevole pace sociale.