Archita
00mercoledì 3 maggio 2017 12:58
Diablo 3 al momento della sua uscita ha scosso profondamente la comunità dei giocatori più affezionati al gotico universo del celebre capostipite. La polemica ha posto sopratutto in rilievo la scelta fatta dalla Blizzard di inserire lo stile di World of Warcraft e seguire la generale tendenza alla semplificazione del gameplay che caratterizza ormai molti recenti titoli mainstream.
La comunità dei fans si è subito spaccata evidenziando anche il carattere generazionale del quale in parte ha pesato sulla scelta presa dalla Blizzard. I giocatori più "anziani" hanno espresso molte critiche rimanendo affezionati allo stile realistico e cupo del titolo originale ( parte del suo grande successo, a mio parere, dovuto agli eccezionali accompagnamenti musicali e sonori ) mentre i giocatori di più recente data hanno invece apprezzato il gameplay competitivo e la grafica colorata e brillante.
La polemica su Diablo 3 permette di capire anche come i videogiochi, una volta divenuti prodotti di massa con rilevanti interessi economici, subiscono inevitabili compromessi fra l'arte e profitto come in ogni altra forma di produzione. I videogiochi, come i film e romanzi e altre forme d'arte, devono fare sempre i conti con i tempi e le generazioni che cambiano. I gusti di una generazione non sono sempre facili da cambiare e difatti i più grandi successi che possono anche resistere al tempo sono frutto di grandissimo coraggio e accettazione del rischio che non tutti possono permettersi indipendentemente dalla volontà.
Diablo 1, come il primo Shogun, erano ai loro tempi grandi scommesse e affrontate con grandissima serietà e genio e difatti rimangono nel Pantheon della Storia dei Videogiochi ma insieme a loro ci sono stati e ci saranno sempre titoli altrettanto coraggiosi ed innovativi che non hanno superato la durissima legge della selezione naturale del Mercato con conseguenze anche importanti sulla vita professionale di chi ci ha lavorato.