Card. Biffi inviato speciale di Benedetto XVI per sant'Anselmo

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Caterina63
00mercoledì 22 aprile 2009 12:44
Solenne Eucaristia nell’ambito delle Celebrazioni del IX centenario della morte di S.Anselmo

Inviato Speciale di S.S. Benedetto XVI nella Cattedrale di Aosta

Mi è caro e doveroso manifestare la mia riconoscenza al Padre del cielo, elargitore di ogni “buon regalo e ogni dono perfetto (cf. Gc 1,17), per la gioia che mi è data di essere qui con voi e di presiedere questo rito che ricorda ed esalta un uomo di Dio straordinario e affascinante come sant’Anselmo, gloria inalienabile di questa Chiesa e di questa città, nel nono centenario del suo beato transito alla vita eterna.
E sono grato al nostro papa Benedetto, che mi ha riservato il privilegio di rappresentarlo, come suo inviato speciale, in questa bella circostanza, affidandomi insieme il compito di portare il suo saluto, affettuoso e benedicente, al carissimo vostro vescovo, Monsignor Giuseppe Anfossi, a tutte le autorità di ogni ordine e grado, a quanti oggi sono qui convenuti e con la loro presenza accrescono il calore e la solennità di questa celebrazione.

* * *

La splendente e fervida avventura umana di Anselmo, pur connotata sempre da un’assoluta coerenza interiore, si sviluppa in tre tempi, tra loro dissimili e lontani per diversità di compiti, di attenzioni, di responsabilità.
All’inizio ci sono gli anni vissuti in questa sua terra natale, gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima giovinezza. In essi egli si rivela già un instancabile ricercatore di Dio, anelante a un’esistenza ricca di senso e soprannaturalmente motivata.
Il secondo periodo, che si protrae per trent’anni, si colloca nell’abbazia di Bec, in Normandia, dove è prima di tutto un monaco esemplare. Poi, come priore e come abate, ha modo di manifestare le sue doti di educatore e pedagogo originale, di sapiente maestro nella vita di preghiera, di formidabile ragionatore, oltre che di indagatore intelligente e geniale della verità rivelata.
Infine, negli ultimi sedici anni, divenuto arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra, si rivela pastore coraggioso e saggio, innamorato della sua Chiesa, che egli difende dalle prepotenze e dall’avidità dei re normanni Guglielmo il Rosso ed Enrico I, eredi in questo e degni figli di Guglielmo il Conquistatore.
L’intero suo pellegrinaggio terreno è stato fecondo di insegnamenti mirabili e di esempi preziosi.
E’ naturale perciò formulare oggi l’auspicio che questo centenario sia occasione per quanti aspirino a essere davvero “teologi”, per la multiforme schiera degli uomini di cultura, per l’intero popolo dei credenti, di tornare ad ascoltare con nuova diligenza il suo magistero e di esplorarne con cura i tesori di verità e di grazia che egli ci offre.
Noi però, nel breve spazio di un’omelia, dobbiamo limitarci a considerare solo tre ammonimenti, dei quali Anselmo ci può oggi gratificare, uno per ogni tratto del suo itinerario ecclesiale: quasi tre “doni”, singolarmente opportuni per questa nostra epoca confusa e inquieta.

* * *

Fin dalla sua prima età Anselmo ebbe acutissima la percezione del mondo invisibile, cioè di quella realtà che vive e palpita di là dalla scena appariscente e chiassosa delle cose e degli accadimenti di quaggiù: è il mondo dove regna la Trinità augustissima; è il mondo affollato da schiere di creature felici; è il mondo che ci trascende, ma anche ci è vicino e dà senso e scopo alla nostra vicenda di creature mortali.
Egli era - nota il suo biografo Eadmero - “un fanciullo cresciuto tra i monti” (“inter montes nutritus”), e si figurava che le alte cime innevate che circondavano la sua città fossero i fondamenti e i pilastri di sostegno della casa misteriosa dove il Signore dimorava con i suoi angeli e con tutti i santi. Una notte sognò addirittura di essere riuscito ad ascendere fin lassù e di essere arrivato al cospetto della maestà divina.
Questa è la prima lezione che vogliamo raccogliere. Quando nel Credo affermiamo che Dio è creatore di tutte le cose “visibili e invisibili”, richiamiamo non solo la verità di fede dell’origine di ogni essere da colui che è causa di tutto, ma anche esprimiamo una persuasione, per così dire, preliminare e complessiva: e cioè che la realtà totale è molto più vasta di quella che attingiamo con la semplice conoscenza naturale, sostanziata solo di esperienza sensibile, di ragionamento induttivo e deduttivo, di calcolo matematico.
Anselmo oggi dunque ci dice: è indispensabile che non vi sfuggano mai le vere dimensioni dell’esistente.
Per chi sa mantenere vivace e pungente nella sua consapevolezza l’idea del mondo invisibile, diventa naturale un abituale atteggiamento di ascolto: ascolto della divina Rivelazione su quanto sta di là dalla ridda di ombre, di figure, di casi fortuiti, di aberrazioni, nella quale siamo immersi; e, più ampiamente, ascolto di ciò che ci viene detto in vari modi dallo Spirito Santo, che è l’attore nascosto ma primario della nostra storia più vera.
Quando ci prende, come può capitare, la depressione e lo scoraggiamento alla vista di ciò che avviene sotto il cielo, dentro e fuori la cristianità, il rimedio più decisivo davanti a tale spettacolo deludente sta proprio nel ripensare all’effettiva estensione dell’universo, che comprende appunto il mondo invisibile; quel mondo invisibile che è già vittorioso sul male ed è già nostro; quel mondo invisibile che è colmo ed esuberante di una sovrumana energia da cui (anche quando non ce ne accorgiamo) viene senza soste investita la terra.

* * *

Un secondo non trascurabile insegnamento concerne il rapporto tra fede e ragione.
Ai nostri giorni non sono pochi - e non sono tra i meno sicuri di sé e i meno loquaci - quelli che giudicano fede e ragione due forme di cognizione tra loro incompatibili e del tutto alternative: chi ragiona (essi affermano) non ha bisogno di credere; e chi crede per ciò stesso esce dall’ambito della razionalità (così ritengono con irremovibile e dogmatica convinzione).
Anselmo rabbrividirebbe davanti a questo atteggiamento mentale. Per lui - e per ogni cristiano adeguatamente informato - la fede non solo non è separabile dalla ragione e non la mortifica, ma è addirittura l’esercizio estremo e più alto della nostra facoltà intellettiva.
D’altro canto nella cultura odierna, condizionata e dominata da un soggettivismo assoluto, si va affermando altresì una visione pessimistica della naturale conoscenza umana. L’uomo (così pensano in molti) non è in grado di approdare a nessuna verità, che non sia provvisoria e intrinsecamente relativa.
Quando si tratta delle questioni che contano - sulla nostra origine, sulla sorte ultima dell’uomo, su una qualche persuasiva ragione del nostro esistere - le certezze oggi vengono addirittura irrise e persino colpevolizzate. Le domande più serie, quando non sono censurate sul nascere dalle varie ideologie dominanti, sono consentite solo come premessa e impulso alla proliferazione dei dubbi. Ma così si estingue nell’uomo ogni necessaria fiducia: come possiamo rassegnarci ad aggrappare la nostra unica vita ai punti interrogativi che non hanno risposta?
Anselmo invece riconosce la dignità e l’efficacia della ragione. Per lui - e per tutti i discepoli di Gesù - la ragione va onorata già per se stessa come un grande dono di Dio. In più, essa entra come elemento costitutivo indispensabile nell’atto di fede, e resta come elemento costitutivo indispensabile di quella “intelligenza della fede” nella quale Anselmo è riconosciuto maestro.

* * *

C’è un terzo ammonimento che Anselmo rivolge alla vita ecclesiale dei nostri giorni: non perdete mai di vista, egli ci esorta, la funzione primaria e insostituibile della Sede di Pietro.
Durante la lunga e aspra lotta per salvare la “libertas Ecclesiae” dalle invadenze arbitrarie del potere politico, il Primate d’Inghilterra rimane solo. “Anche i miei vescovi suffraganei - egli scrive con qualche malinconia - non mi davano altri consigli che quelli conformi alla volontà del re” (Epistola 210). Allora cerca, e ottiene, l’appoggio, l’incoraggiamento, la difesa del vescovo di Roma, cui fiduciosamente ricorre.
Anselmo sa che a Pietro e ai suoi successori (e non ad altri) Gesù ha detto: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32); sa che a Pietro e ai suoi successori (e non ai vari opinionisti nella “sacra doctrina”, per quanto dotti e geniali) Gesù ha promesso: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19); sa che a Pietro e ai suoi successori (e non all’una o all’altra colleganza ecclesiastica o culturale) Gesù ha dato il compito di pascere l’intero suo gregge (cf Gv 21,17).
Egli lo sa, e anche noi non dobbiamo mai dimenticarlo: la Sede Apostolica è sempre il normale punto di riferimento e l’ultimo insindacabile giudizio per ogni problema che riguarda la verità rivelata, la disciplina ecclesiale, l’indirizzo pastorale da scegliere.
L’arcivescovo di Canterbury ricambiò poi l’aiuto ricevuto dal Romano Pontefice con una fedeltà intemerata, che tra l’altro gli costò a più riprese il disagio e l’amarezza dell’esilio.

* * *

Anselmo d’Aosta, come si vede, ha un posto prestigioso e benefico nella storia della Chiesa, nella storia della santità, nella storia del pensiero umano; e noi diciamo grazie al Signore che ce lo ha suscitato.
Oggi ancora è una figura e una personalità davvero attuale. Sicché ci viene spontaneo contare sulla sua intercessione presso Dio a favore di questi nostri tempi; di questi nostri tempi che così spesso sono costretti ad ascoltare dai più diversi pulpiti la voce baldanzosa dei molti profeti del niente e i discorsi dei compiaciuti assertori di un destino umano senza plausibilità, senza significato, senza speranza.

Dal sito dell'Arcidiocesi di Bologna


 



Due messaggi del Papa per il IX centenario della morte

Anselmo d'Aosta maestro dell'intelligenza della fede


L'intelligenza della fede, la chiarezza della verità, la ragionevolezza del mistero di Dio.

Nel pensiero di sant'Anselmo - il grande monaco, teologo e vescovo di cui ricorre il 21 aprile il nono centenario della morte - la ricerca dell'intelletto è orientata costantemente a "innalzare la mente alla contemplazione di Dio".
Lo ricorda Benedetto XVI in due messaggi indirizzati
all'abate primate dei benedettini confederati, Notker Wolf, e al cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna e suo inviato speciale alle celebrazioni in corso in questi giorni ad Aosta.

Riproponendo quello che può definirsi il motto metodologico della ricerca teologica di Anselmo - "non cerco di capire per credere, ma credo per capire" - il Papa sottolinea il valore del suo "metodo originale nel ripensare il mistero cristiano", evidenziandone in particolare l'impegno per la "liberazione della Chiesa dai condizionamenti temporali e dalle servitù di calcoli non compatibili con la sua natura spirituale". Fu pastore d'anime - rileva Benedetto XVI - ma nel suo intimo rimase sempre monaco benedettino. Egli stesso si definiva fratello, peccatore per vita, monaco per abito e, per ordine e per concessione di Dio, chiamato a essere arcivescovo di Canterbury.

Anselmo fu tra i primi a comprendere pienamente il significato della lectio divina, uno dei cardini della vita benedettina. Guardando al suo insegnamento, il Papa ricorda come il collegio a lui dedicato - fondato da Papa Leone XIII - fu concepito proprio per coltivare i principi della dottrina anselmiana, in particolare quelli che riguardano la vita monastica e l'azione dell'intelletto. L'ateneo - nota il Pontefice - è frequentato anche da non cattolici e questo rivela la sua autentica dimensione internazionale.

(©L'Osservatore Romano - 22 aprile 2009)



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Caterina63
00mercoledì 22 aprile 2009 19:48
Messaggio del Papa al cardinale Biffi,
suo inviato speciale alle celebrazioni ad Aosta per il IX centenario della morte di sant'Anselmo

L'intelligenza della fede
per avvicinarsi a Dio



In occasione delle celebrazioni ad Aosta per il IX centenario della morte di sant'Anselmo, il Papa ha affidato un messaggio al suo inviato speciale, il cardinale Giacomo Biffi, che ne ha dato lettura nella serata di martedì 21 aprile.

Al Signor Cardinale
Giacomo Biffi
Inviato Speciale alle celebrazioni
del IX centenario
della morte di sant'Anselmo


In vista delle celebrazioni a cui Ella, venerato Fratello, prenderà parte come mio Legato nella illustre città di Aosta per il IX centenario della morte di sant'Anselmo, avvenuta a Canterbury il 21 aprile 1109, mi è caro affidarLe uno speciale messaggio nel quale desidero richiamare i tratti salienti di questo grande monaco, teologo e pastore d'anime, la cui opera ha lasciato una traccia profonda nella storia della Chiesa. La ricorrenza costituisce infatti un'opportunità da non perdere per rinnovare la memoria di una tra le figure più luminose nella tradizione della Chiesa e nella stessa storia del pensiero occidentale europeo.

L'esemplare esperienza monastica di Anselmo, il suo metodo originale nel ripensare il mistero cristiano, la sua sottile dottrina teologica e filosofica, il suo insegnamento sul valore inviolabile della coscienza e sulla libertà come responsabile adesione alla verità e al bene, la sua appassionata opera di pastore d'anime, dedito con tutte le forze alla promozione della "libertà della Chiesa", non hanno mai cessato di suscitare nel passato il più vivo interesse, che il ricordo della morte sta felicemente riaccendendo e favorendo in diversi modi e in vari luoghi.

In questa memoria del "Dottore magnifico" - come sant'Anselmo è chiamato - non può non distinguersi in modo particolare la Chiesa di Aosta, nella quale egli ebbe i natali e che giustamente si compiace di considerarlo il suo figlio più illustre. Anche quando lascerà Aosta nel tempo della sua giovinezza, egli continuerà a portare nella memoria e nel cuore un fascio di ricordi che non mancheranno di riaffiorare alla sua coscienza nei momenti più importanti della vita. Tra questi ricordi, un posto particolare avevano certamente l'immagine dolcissima della madre e quella maestosa dei monti della sua Valle con le loro cime altissime e perennemente innevate, in cui egli vedeva raffigurata, come in un simbolo avvincente e suggestivo, la sublimità di Dio.

Ad Anselmo - "un fanciullo cresciuto tra i monti", come lo definisce il suo biografo Eadmero (Vita Sancti Anselmi, i, 2) - Dio appare come ciò di cui non è possibile pensare qualcosa di più grande:  forse a questa sua intuizione non era estraneo lo sguardo volto fin dalla fanciullezza a quelle vette inaccessibili. Già da bambino infatti riteneva che per incontrare Dio occorreva "salire sul vertice della montagna" (ibid.). Di fatto, sempre meglio egli si renderà conto che Dio si trova a una altezza inaccessibile, situata oltre i traguardi a cui l'uomo può arrivare, dal momento che Dio sta al di là del pensabile. Per questo il viaggio alla ricerca di Dio, almeno su questa terra, non si concluderà mai, ma sarà sempre pensiero e anelito, rigoroso procedimento dell'intelletto e implorante domanda del cuore.

L'intensa brama di sapere e l'innata propensione alla chiarezza e al rigore logico spingeranno Anselmo verso le scholae del suo tempo. Egli approderà così al monastero di Le Bec, dove verrà soddisfatta la sua inclinazione per la dialettica, e soprattutto si accenderà la sua vocazione claustrale. Soffermarsi sugli anni della vita monastica di Anselmo significa incontrare un religioso fedele, "costantemente occupato in Dio solo e nelle discipline celesti" - come scrive il suo biografo - tanto da raggiungere "un tale vertice di speculazione divina, da essere in grado, per la via aperta da Dio, di penetrare e, una volta penetrate, di spiegare le questioni più oscure, e in precedenza insolute, riguardanti la divinità di Dio e la nostra fede, e di provare con chiare ragioni che quanto affermava apparteneva alla sicura dottrina cattolica" (Vita Sancti Anselmi, i, 7).

Con queste parole il suo biografo delinea il metodo teologico di sant'Anselmo, il cui pensiero si accendeva e illuminava nell'orazione. È lui stesso a confessare, in una sua opera famosa, che l'intelligenza della fede è un avvicinarsi alla visione, alla quale tutti aneliamo e della quale speriamo di godere alla fine del nostro pellegrinaggio terreno:  "Quoniam inter fidem et speciem intellectum quem in hac vita capimus esse medium intelligo:  quanto aliquis ad illum proficit, tanto eum propinquare speciei, ad quam omnes anhelamus, existimo" (Cur Deus homo, Commendatio). Il Santo mirava a raggiungere la visione dei nessi logici intrinseci al mistero, a percepire la "chiarezza della verità", e perciò a cogliere l'evidenza delle "ragioni necessarie", intimamente sottese al mistero. Un intento certamente audace, sul cui esito si soffermano ancora oggi gli studiosi di Anselmo.

In realtà, la sua ricerca dell'"intelletto (intellectus)" disposto tra la "fede (fides)" e la "visione (species)" proviene, come fonte, dalla stessa fede ed è sostenuta dalla confidenza nella ragione, mediante la quale la fede in certa misura si illumina. L'intento di Anselmo è chiaro:  "innalzare la mente alla contemplazione di Dio" (Proslogion, Proemium). Rimangono, in ogni caso, programmatiche per ogni ricerca teologica le sue parole:  "Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino a un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire"(Non quaero intelligere ut credam, sed credo ut intelligam)" (Proslogion, 1).

In Anselmo, priore ed abate di Le Bec, rileviamo poi alcune caratteristiche che ne definiscono ulteriormente il profilo personale. Colpisce innanzitutto, in lui, il carisma di esperto maestro di vita spirituale, che conosce e illustra sapientemente le vie della perfezione monastica. Al tempo stesso, si resta affascinati dalla sua genialità educativa, che si esprime in quel metodo del discernimento - lui lo qualifica via discretionis (Ep. 61) - che è lo stile un po' di tutta la sua vita, uno stile in cui si compongono la misericordia e la fermezza. Peculiare è infine la capacità che egli dimostra nell'iniziare i discepoli all'esperienza dell'autentica preghiera:  in particolare, le sue Orationes sive Meditationes, avidamente richieste e largamente usate, hanno contribuito a fare di tante persone del suo tempo delle "anime oranti", così come le altre sue opere si sono rivelate un prezioso coefficiente per rendere il medioevo un periodo "pensante" e, possiamo aggiungere, "coscienzioso". Si direbbe che l'Anselmo più autentico lo si ritrovi a Le Bec, dove rimase trentatré anni, e dove fu molto amato. Grazie alla maturazione acquisita in un simile ambiente di riflessione e preghiera, egli potrà anche in mezzo alle successive tribolazioni episcopali dichiarare:  "Non conserverò nel cuore alcun rancore per nessuno" (Ep. 321).

La nostalgia del monastero lo accompagnerà per il resto della sua vita. Lo confessò egli stesso quando fu costretto, con vivissimo dolore suo e dei suoi monaci, a lasciare il monastero per assumere il ministero episcopale al quale non si sentiva adatto:  "È noto a molti - scrisse al Papa Urbano ii - quale violenza mi sia stata fatta, e quanto fossi restio e contrario, quando venni trattenuto come vescovo in Inghilterra e come abbia esposto le ragioni di natura, età, debolezza e ignoranza, che si opponevano a questo ufficio e che rifuggono e detestano assolutamente gli impegni secolari, che non posso affatto svolgere senza mettere in pericolo la salvezza dell'anima mia" (Ep. 206).

Con i suoi monaci poi si confida in questi termini:  "Sono vissuto per trentatré anni da monaco - tre anni senza incarichi, quindici come priore, e altrettanti come abate -, in modo tale che tutti i buoni che mi hanno conosciuto mi volevano bene, certo non per merito mio ma per la grazia di Dio, e più mi volevano bene quelli che mi conoscevano più intimamente e con maggiore familiarità" (Ep. 156). Ed aggiungeva:  "Siete stati in molti a venire al Bec... Molti tra voi circondavo d'un affetto così tenero e soave che ciascuno poteva aver l'impressione che io non amassi nessun altro in uguale misura" (ibid.).

Nominato arcivescovo di Cantebury e iniziatosi, così, il suo cammino più tribolato, appariranno in tutta la loro luce il suo "amore della verità" (Ep. 327), la sua rettitudine, la sua rigorosa fedeltà alla coscienza, la sua "libertà episcopale" (Ep. 206), la sua "onestà episcopale" (Ep. 314), la sua insonne opera per la liberazione della Chiesa dai condizionamenti temporali e dalle servitù di calcoli non compatibili con la sua natura spirituale. Rimangono esemplari, a questo proposito, le sue parole al re Enrico:  "Rispondo che né nel battesimo né in nessun'altra mia ordinazione ho promesso di osservare la legge o la consuetudine di vostro padre o dell'arcivescovo Lanfranco, ma la legge di Dio e di tutti gli ordini ricevuti" (Ep. 319).

Per Anselmo primate della Chiesa d'Inghilterra vale il principio:  "Sono cristiano, sono monaco, sono vescovo:  voglio quindi essere a tutti fedele, secondo il debito che ho verso ciascuno" (Ep. 314). In quest'ottica egli non esita ad affermare:  "Preferisco essere in disaccordo con gli uomini che, d'accordo con loro, essere in disaccordo con Dio" (Ep. 314). Proprio per questo egli si sente disposto anche al sacrificio supremo:  "Non ho paura di effondere il mio sangue; non temo nessuna ferita nel mio corpo né la perdita dei beni" (Ep. 311).

Si comprende come, per tutte queste ragioni, Anselmo conservi tuttora una grande attualità e un forte fascino, e quanto possa essere proficuo rivisitare e ripubblicare i suoi scritti, e insieme rimeditare sulla sua vita. Ho appreso perciò con gioia che Aosta, nella ricorrenza del IX centenario della morte del Santo, si stia distinguendo per un insieme di opportune e intelligenti iniziative - specialmente con l'accurata edizione delle sue opere - nell'intento di far conoscere e amare gli insegnamenti e gli esempi di questo illustre suo figlio.

Affido a Lei, venerato Fratello, il compito di recare ai fedeli dell'antica e cara Città di Aosta l'esortazione a guardare con ammirazione e affetto a questo grande loro concittadino, la cui luce continua a brillare in tutta la Chiesa, soprattutto là dove sono coltivati l'amore per le verità della fede e il gusto per il loro approfondimento mediante la ragione. E, infatti, la fede e la ragione - fides et ratio - si trovano in Anselmo mirabilmente unite.

Con questi sentimenti invio di cuore per Suo tramite, venerato Fratello, al Vescovo, Mons. Giuseppe Anfossi, al clero, ai religiosi e ai fedeli di Aosta e a quanti prendono parte alla celebrazioni in onore del "Dottore magnifico" una speciale Benedizione Apostolica, propiziatrice di copiose effusioni di favori celesti.

Dal Vaticano, 15 aprile 2009




(©L'Osservatore Romano - 23 aprile 2009)
Caterina63
00mercoledì 23 settembre 2009 18:02
L’Udienza Generale di questa mattina, 23.9.2009, si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su Sant’Anselmo d’Aosta.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

Al termine il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

a Roma, sul colle dell’Aventino, si trova l'Abbazia benedettina di Sant’Anselmo. Come sede di un Istituto di studi superiori e dell'Abate Primate dei Benedettini Confederati, essa è un luogo che unisce in sé la preghiera, lo studio e il governo, proprio le tre attività che caratterizzarono la vita del Santo al quale è dedicata: Anselmo d’Aosta di cui ricorre quest’anno il IX centenario della morte. Le molteplici iniziative, promosse specialmente dalla diocesi di Aosta per questa fausta ricorrenza hanno evidenziato l’interesse che continua a suscitare questo pensatore medievale. Egli è noto anche come Anselmo di Bec e Anselmo di Canterbury a motivo delle città con le quali è stato in rapporto. Chi è questo personaggio al quale tre località, lontane tra loro e collocate in tre Nazioni diverse – Italia, Francia, Inghilterra –, si sentono particolarmente legate? Monaco di intensa vita spirituale, eccellente educatore di giovani, teologo con una straordinaria capacità speculativa, saggio uomo di governo ed intransigente difensore della libertas Ecclesiae, della libertà della Chiesa. Anselmo é una delle personalità eminenti del Medioevo, che seppe armonizzare tutte queste qualità grazie a una profonda esperienza mistica, che sempre ebbe a guidarne il pensiero e l’azione.

Sant’Anselmo nacque nel 1033 (o all’inizio del 1034) ad Aosta, primogenito di una famiglia nobile. Il padre era uomo rude, dedito ai piaceri della vita e dissipatore dei suoi beni; la madre, invece, era donna di elevati costumi e di profonda religiosità (cfr Eadmero, Vita s. Anselmi, PL 159, col 49). Fu lei, la mamma, a prendersi cura della prima formazione umana e religiosa del figlio, che affidò, poi, ai Benedettini di un priorato di Aosta. Anselmo, che da bambino – come narra il suo biografo - immaginava l’abitazione del buon Dio tra le alte e innevate vette delle Alpi, sognò una notte di essere invitato in questa reggia splendida da Dio stesso, che si intrattenne a lungo ed affabilmente con lui e alla fine gli offrì da mangiare "un pane candidissimo" (ibid., col 51). Questo sogno gli lasciò la convinzione di essere chiamato a compiere un’alta missione. All’età di quindici anni, chiese di essere ammesso nell’Ordine benedettino, ma il padre si oppose con tutta la sua autorità e non cedette neppure quando il figlio gravemente malato, sentendosi vicino alla morte, implorò l'abito religioso come supremo conforto. Dopo la guarigione e la scomparsa prematura della madre, Anselmo attraversò un periodo di dissipazione morale: trascurò gli studi e, sopraffatto dalle passioni terrene, diventò sordo al richiamo di Dio. Se ne andò da casa e cominciò a girare per la Francia in cerca di nuove esperienze. Dopo tre anni, giunto in Normandia, si recò nell’Abbazia benedettina di Bec, attirato dalla fama di Lanfranco da Pavia, priore del monastero. Fu per lui un incontro provvidenziale e decisivo per il resto della sua vita. Sotto la guida di Lanfranco, Anselmo riprese infatti con vigore gli studi e, in breve tempo, diventò non solo l’allievo prediletto, ma anche il confidente del maestro. La sua vocazione monastica si riaccese e, dopo attenta valutazione, all’età di 27 anni, entrò nell’Ordine monastico e venne ordinato sacerdote. L’ascesi e lo studio gli aprirono nuovi orizzonti, facendogli ritrovare, in grado ben più alto, quella familiarità con Dio che aveva avuto da bambino.

Quando, nel 1063, Lanfranco diventò abate di Caen, Anselmo, dopo appena tre anni di vita monastica, fu nominato priore del monastero di Bec e maestro della scuola claustrale, rivelando doti di raffinato educatore. Non amava i metodi autoritari; paragonava i giovani a piccole piante che si sviluppano meglio se non sono chiuse in serra e concedeva loro una "sana" libertà. Era molto esigente con se stesso e con gli altri nell’osservanza monastica, ma anziché imporre la disciplina si impegnava a farla seguire con la persuasione. Alla morte dell’abate Erluino, fondatore dell’abbazia di Bec, Anselmo venne eletto unanimemente a succedergli: era il febbraio 1079. Intanto numerosi monaci erano stati chiamati a Canterbury per portare ai fratelli d’oltre Manica il rinnovamento in atto nel Continente. La loro opera fu ben accetta, al punto che Lanfranco da Pavia, abate di Caen, divenne il nuovo Arcivescovo di Canterbury e chiese ad Anselmo di trascorrere un certo tempo con lui per istruire i monaci e aiutarlo nella difficile situazione in cui si trovava la sua comunità ecclesiale dopo l’invasione dei Normanni. La permanenza di Anselmo si rivelò molto fruttuosa; egli guadagnò simpatia e stima, tanto che, alla morte di Lanfranco, fu scelto a succedergli nella sede arcivescovile di Canterbury. Ricevette la solenne consacrazione episcopale nel dicembre del 1093.

Anselmo si impegnò immediatamente in un’energica lotta per la libertà della Chiesa, sostenendo con coraggio l’indipendenza del potere spirituale da quello temporale. Difese la Chiesa dalle indebite ingerenze delle autorità politiche, soprattutto dei re Guglielmo il Rosso ed Enrico I, trovando incoraggiamento e appoggio nel Romano Pontefice, al quale Anselmo dimostrò sempre una coraggiosa e cordiale adesione. Questa fedeltà gli costò, nel 1103, anche l’amarezza dell’esilio dalla sua sede di Canterbury. E soltanto quando, nel 1106, il re Enrico I rinunciò alla pretesa di conferire le investiture ecclesiastiche, come pure alla riscossione delle tasse e alla confisca dei beni della Chiesa, Anselmo poté far ritorno in Inghilterra, accolto festosamente dal clero e dal popolo. Si era così felicemente conclusa la lunga lotta da lui combattuta con le armi della perseveranza, della fierezza e della bontà.

Questo santo Arcivescovo che tanta ammirazione suscitava intorno a sé, dovunque si recasse, dedicò gli ultimi anni della sua vita soprattutto alla formazione morale del clero e alla ricerca intellettuale su argomenti teologici. Morì il 21 aprile 1109, accompagnato dalle parole del Vangelo proclamato nella Santa Messa di quel giorno: "Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno…" (Lc 22,28-30). Il sogno di quel misterioso banchetto, che da piccolo aveva avuto proprio all’inizio del suo cammino spirituale, trovava così la sua realizzazione. Gesù, che lo aveva invitato a sedersi alla sua mensa, accolse sant’Anselmo, alla sua morte, nel regno eterno del Padre.

"Dio, ti prego, voglio conoscerti, voglio amarti e poterti godere. E se in questa vita non sono capace di ciò in misura piena, possa almeno ogni giorno progredire fino a quando giunga alla pienezza" (Proslogion, cap.14).

Questa preghiera lascia comprendere l’anima mistica di questo grande Santo dell’epoca medievale, fondatore della teologia scolastica, al quale la tradizione cristiana ha dato il titolo di "Dottore Magnifico" perché coltivò un intenso desiderio di approfondire i Misteri divini, nella piena consapevolezza, però, che il cammino di ricerca di Dio non è mai concluso, almeno su questa terra. La chiarezza e il rigore logico del suo pensiero hanno avuto sempre come fine di "innalzare la mente alla contemplazione di Dio" (Ivi, Proemium). Egli afferma chiaramente che chi intende fare teologia non può contare solo sulla sua intelligenza, ma deve coltivare al tempo stesso una profonda esperienza di fede.

L’attività del teologo, secondo sant’Anselmo, si sviluppa così in tre stadi:
- la fede, dono gratuito di Dio da accogliere con umiltà;
- l’esperienza, che consiste nell’incarnare la parola di Dio nella propria esistenza quotidiana;
- e quindi la vera conoscenza, che non è mai frutto di asettici ragionamenti, bensì di un’intuizione contemplativa.

Restano, in proposito, quanto mai utili anche oggi, per una sana ricerca teologica e per chiunque voglia approfondire le verità della fede, le sue celebri parole: "Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino ad un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire" (Ivi, 1).

Cari fratelli e sorelle, l’amore per la verità e la costante sete di Dio, che hanno segnato l’intera esistenza di sant’Anselmo, siano uno stimolo per ogni cristiano a ricercare senza mai stancarsi una unione sempre più intima con Cristo, Via, Verità e Vita. Inoltre, lo zelo pieno di coraggio che ha contraddistinto la sua azione pastorale, e che gli ha procurato talora incomprensioni, amarezze e perfino l’esilio, sia un incoraggiamento per i Pastori, per le persone consacrate e per tutti i fedeli ad amare la Chiesa di Cristo, a pregare, a lavorare e soffrire per essa, senza mai abbandonarla o tradirla. Ci ottenga questa grazia la Vergine Madre di Dio, verso la quale sant’Anselmo nutrì tenera e filiale devozione. "Maria, te il mio cuore vuole amare – scrive san’Anselmo – te la lingua mia desidera ardentemente lodare".


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