Arrivederci

Arrivederci

Lo stesso sguardo,
lucido, disperato,sperduto e spaventato.
La stessa paura, di esser soli o di morire
oppure di morire, soli.

Mi ricordava il nonno,
aveva i capelli bianchi e spettinati,
la barba lunga di chi ha altro per la testa.
Stava seduto li, ai piedi del letto
il solito pigiama, le pantofole nere.
Per un po’ gli ho fatto compagnia,
mi ha parlato della guerra,
dei fascisti, dei tedeschi
dei partigiani e degli americani.

Assomigliava a mio padre,
era vicino alla finestra, da li mi sorrideva.
La flebo appesa gocciolava lentamente,
sulle braccia consumate dal lavoro.
non so per quanto, sono stato li con lui
mi ha raccontato dell’emigrazione
degli scioperi e le lotte per la terra
dei figli ormai lontani, dei suoi ulivi,
del suo vino e del diabete.

Il suo volto, mi era famigliare,
andava su e giù in corridoio
seduto, sulla sedia con le ruote,
la busta con l’urina gialla dondolava,
si capiva appena quello che diceva,
mi ha detto delle sue poesie
dei suoi mille sogni infranti
della sua valigia di cartone,
e di cose che non ho capito.

Quella volta mi piangeva il cuore,
era un bambino o poco più,
non so chi fosse e nemmeno lo voglio sapere.
Le ossa gli bucavano la pelle, tenera e bianca,
un tubicino trasparente gli andava per il naso.
Ero triste, invece lui, mi ha rincuorato,
mi ha parlato dei suoi giochi,
di internet, di auto velocissime
dello sport e dei suoi campioni preferiti.

Avevano gli occhi azzurri, neri o marroni
ma lo stesso identico sguardo.
Quel giorno non lo visto,
disteso, lo portavan fuori dalla stanza,
un lenzuolo lo copriva, dalla testa fino ai piedi.
Una mano gli è caduta come se mi volesse salutare.
Arrivederci.


Giuseppe Pompò 28.02.2006

Complimenti a Peppe per questa poesia, è la mia preferita!!!
Ciao a tutti
Maria

[Modificato da ma.basta 05/12/2006 11.14]