Visioni #1: "Ha ancora senso dannarsi?Il mio sangue non servirà a non svegliarsi!"
Il caldo sguscia fastidioso fra la folla, che si spintona per cercare di trovarsi il posto migliore per assistere all’evento.
Schiere di guardie del corpo proteggono le transenne che dividono le persone accorse in massa dal palco dove si svolgerà la cerimonia.
Il sole è il vero protagonista per ora, e la gente inizia a sudare, il caldo e la tensione rendono faticose anche il respirare, ma nessuno sembra arrendersi, a qualsiasi costo ognuno di loro vuole assistere ad un evento che potranno raccontare ai propri figli, nipoti, un giorno che i posteri ricorderanno, invidiando chi ora sfida il caldo e l’attesa per esserci.
Il palco è decorato in maniera davvero suggestiva, i colori bianco, blu e rosso impazzano dovunque, e una fantasia composta da cinquanta stelline bianche caratterizza l’imponente leggio che compare al centro della struttura.
Immagini che rendono ancora più orgogliosi i tanti presenti, che si perdono con lo sguardo in quei colori, che dritti arrivano al loro cuore, li rende fieri di poterli sentire propri, fieri di appartenere alla nazione più grande e potente del mondo, ma soprattutto più giusta, la nazione della libertà.
I principi per quali i loro antenati hanno lottato è versato sangue ora si rispecchiano valorosi in quei colori, il rosso del palcoscenico da un senso al rosso che per anni colorò i campi di battaglia.
Manca ormai poco all’evento, il brusio è assordante, l’eccitazione si respira nell’aria, la folla è in fermento, come pronta ad esplodere.
Ad interrompere il tutto però ci pensano gli altoparlanti, che rombanti intonano l’inno americano, che fa impazzire i vari presenti.
Mano al cuore per la maggior parte delle persone, e forse qualcuno si fa anche scappare una lacrima, figlia dell’emozione del momento.
Il chiasso fa da padrone in questo frangente, milioni di voci stanno tutti intonando lo stesso canto, milioni di uomini liberi stanno rendendo omaggio al loro più grande amore, la loro nazione, la patria della libertà, la patria della vita.
Le note vanno scemando, ed ecco che il momento che tutti aspettavano increduli diviene realtà.
Dalla destra del palco, in abiti eleganti si fa spazio un uomo, capelli lunghi e ricci e di un nero pece, raccolti in una coda che ricorda molto i samurai di antico stampo orientale.
Un look decisamente insolito per la sua carica e importanza sociale, ma che dimostra quanto sia un uomo e una persona, un amico della popolazione, prima di un autorità.
Stretto nella sua giacca nera, che porta non senza qualche difficoltà, a grandi passi raggiunge il leggio, ed è ora che la folla decide di non contenersi più.
“Ramon!!Ramon!!”
Grida si innalzano liberando la gioia dei presenti, mentre l’uomo risponde con un sorriso, compiaciuto dell’affetto che la sua gente riserva a lui, e pronto per ricambiarlo.
Ancora qualche minuto di approvazione e applausi per l’uomo, ma presto il tutto si placa, è arrivato il momento solenne.
L’uomo si avvicina al microfono, dà uno sguardo ai fogli presenti sul leggio e finalmente degna il pubblico festante della sua voce.
“Buongiorno, americani!!”
Boato immenso, tutta la quiete che a fatica aveva trovato spazio in quel caldo pomeriggio, sembra sconfitta in un attimo, la folla sembra quasi lievitare in aria per quanto è frenetica e in festa.
“Calma, calma, risparmiate la voce per dopo, siamo solo all’inizio!!”
“Ramon, Ramon”
“Eh,eh!Sapete certe volte ancora non mi capacito di quello che siamo riusciti ad ottenere, fratelli miei, abbiamo fatto la più grande rivoluzione della storia!Gli Stati Uniti D’america, la prima nazione al mondo…libera!Libera per tutti i nostri fratelli, che siano neri o bianchi, ebrei o protestanti, senza nazionalità o con, noi ora possiamo stringerci in un grande abbraccio, un abbraccio a stelle strisce!!”
Ovazione incredibile, il discorso di Ramon viene interrotto dalla gente, che fa fatica ad ascoltare tali parole senza esprimere la loro gioia.
I loro occhi colmi di emozione sono lo specchio che riflette l’unita e l’integrità di una nazione che non ha pari ora, portata alla libertà di pensiero da un denigrato,da uno sporco zingaro.
Uno sporco zingaro che ora tutti vorrebbero abbracciare, un negro capace di ottenere la vittoria più grande di tutte: la libertà.
Perché ora ogni uomo è libero di essere ciò che è negli Stati Uniti d’America,è un suo diritto, ogni uomo può godersi la propria vita, ne ha il dovere di questo.
“Non è stato facile, ma alla fine siamo tutti qui, sotto lo stesso cielo, un cielo sereno, senza nuvole all’orizzonte. La bufera è passata, definitivamente, non ci sono più pregiudizi all’orizzonte, discriminazioni, non pioverà più sangue umano da queste nubi piene di oppressione e ingiustizia, saranno solo nuvole chiare e limpide, libere, come noi, saranno soltanto dolci tramonti quelli che verranno e che lasceremo in eredità ai nostri figli, non più tetri e cupi epiloghi tragici. Dovete essere orgogliosi di voi stessi, fratelli, dovete essere orgogliosi di questa nazione, oggi è un grande giorno, cerchiamo di rendere il domani ancora più grande, la vita, su questa terra, inizia adesso!!”
“Bravo Ramon!”
“Grazie Ramon!”
“Libertà!”
“Grazieeee!”
Diversi urli si alternano, è la voce di gente commossa, è la voce del popolo, è la voce di uomini liberi, di uomini veri.
“Ma come sapete, questa conferenza non è stata istituita solo per bearci della nostra impresa, dico nostra perché senza di voi non sarei mai arrivato a questo traguardo. Sono qui per presentarvi il primo atto importante di questa mia legislatura, vogliono che la chiami così. Preferirei chiamare definire questo mio compito come una pena. Perché per arrivare abbiamo dovuto combattere, abbiamo dovuto anche macchiarci di reati, questa è la nostra pena, la libertà è la nostra pena, i nostri abbracci le nostre sbarre. Godiamoci questa galera, ce lo meritiamo. E da responsabile di questo carcere di gioia, ho dei compiti da svolgere. Per questo, oggi, in carica di Presidente degli Stati Uniti D’america, vi presenterò in diretta la nuova costituzione americana!!”
“WOOOOOOOOOOW”
Un boato si espande per tutta la nazione, un urlo di gioia.
Il sogno continua per milioni di americani, entra nel momento più bello.
Degli addetti portano sul palco un grande schermo, coperto da un telo rosso, è giunto il momento più importante della cerimonia.
Ora tocca al presidente togliere l’ultimo ostacolo verso la salvezza degli uomini, basta togliere un telo, rosso.
Rosso come il sangue versato, pesante come i cadaveri caduti per la libertà.
Ma una vota tolto, non ci sarà piu sangue, non ci saranno più sacrifici.
La bandiera americana potrà sventolare accarezzata dal vento, ogni singola parte di essa rappresenterà un americano fiero di se, un americano libero, un uomo.
“E’ arrivato il momento, compagni. Ma prima di regalarvi questa vostra conquista, prima di darvi la ricompensa, voglio che vi stringiate in un grande abbraccio, bianchi e neri, zingari e americani, ebrei e non, ricchi e poveri, uomini e donne, dovete essere una cosa sola…fratelli….abbracciatevi!”
La folla si muove, creando un gran trambusto attorno al luogo della cerimonia, le braccia e i corpi si uniscono, ora c’è solo un grande paese, un paese unito , un paese che ha saputo cambiarsi, un paese in cui la persone condivideranno lo stesso cielo, amorevolmente.
Fuuuuuuuusssh…
Un soffio di vento, gelido, tagliente entrò deciso dalla finestra e andò quasi a perforare il corpo di Ramon, permettendo al gitano di riprendere i sensi.
Sergio aprì gli occhi con difficoltà inumana, e sfocato riconobbe il luogo dove si trovava.
Una camera d’albergo, fredda per via della finestra lasciata aperta dallo stesso inquilino della stanza.
La vista lentamente gli tornò, cosi come i suoi arti, inizialmente paralizzati dopo il risveglio.
Si alzò, e spense l’incenso, ormai quasi consumato, il quale profumo si dava battaglia con il profumo del freddo e del gelo, che girava in circolo per quel luogo confortante ma cupo.
Luci spente, tutto sembrava fermo, come trasportato solo da quei soffi di vento, troppo deboli per muovere qualcosa però, costretti quindi a lasciare tutto immobile, gelandolo fino a costruire un atmosfera ambigua, quasi spettrale.
Altri due passi di Ramon e si ritrovo di fronte alla finestra, e sporse il suo volto al di là di quella monotona stanza, al di là di quella stasi massacrante, i suoi occhi andarono ad esplorare l’esteso mondo al di fuori di quelle mura, ormai gelide, e profumate d’incenso.
Ma l’aria che respirava all’interno, era la stessa dell’esterno.
La città sembrava paralizzata, nessun avvenimento era all’orizzonte, mentre il sole tramontava.
I suoi occhi seguivano il lento rincasare dell’astro maggiore, un sole che sembrava faticare a splendere, un tramonto scuro e noioso, quasi non adeguato al nome.
Era la fine di un giorno, non era il tramonto.
Un tramonto risplende nelle anime della gente, le cattura e le fa innamorare, colpite dalla bellezza che il sole tiene nascosta per scoprirla tutta insieme quando arriva il momento di far arrossire il firmamento, forse anche lui innamorato di quegli attimi.
Nel tramonto si crea una dolce cupola sul mondo, un mondo che diviene improvvisamente dolce, come se fosse zuccherato.
E i suoi colori, i suoi sapori, le sue atmosfere vengono respirate e gustate dalle persone, i loro animi si cibano di quella dolcezza, fino a che il sole non scompaia definitivamente al di sotto dell’orizzonte, lasciandoli insoddisfatti, dandogli voglia di aspettare un altro giorno per innamorarsi di nuovo di quegli attimi, attimi che sono della vita di ognuno, che tutti amano, che aumentano la voglia di vivere un altro giorno, perché in fondo la vita è dolce.
Niente di tutto questo vedevano gli occhi di Ramon, ne tantomeno catturava la sua anima.
Colori spenti, atmosfere fredde, soffi di vento che provocano ferite come spade, questo non era un tramonto, era semplicemente un tragico epilogo.
Era un conto alla rovescia che segnalava quanto mancava all’ultimo di quei tristi tramonti, cosciente che forse la morte non sarebbe stata così brutta, visto che non c’era niente per cui rimpiangere la vita, niente di dolce e zuccherato da gustare.
Ramon tolse la sua attenzione da quell'ibrido tramonto, per meravigliarsi quando i suoi occhi, ormai pienamente funzionanti, incrociarono le lancette di un orologio.
-18.25-
Era ora di lasciare quel luogo.
Con movimenti lenti e rassegnati cercò il necessario per spostarsi da quel luogo statico e freddo, in un altro ancora più umido, umido di vita, più che di acqua.
Un luogo dove la vita si respirava in piccole parti, piccole e insignificanti, e a volte fastidiose per quanto inutili, come un umidità in pieno autunno.
Improvvisamente però si blocco, e barcollò, facendo fatica e ritrovare la posizione eretta.
Il suo corpo era provato, le troppe sostanze allucinogeni e in parte dannose abusate dal suo organismo non gli facevano vantare una condizione ottimale di salute.
Si arrestò e si sedette su di una sedia, accorgendosi presto che però era occupata da qualcosa.
Si alzò e noto un quaderno, il suo quaderno.
Lo usava poco ormai, ma dentro vi erano testimonianza in prima persona di gran parte della sua vita, racchiuse in goccioline di umidità, vi era la sua esistenza all’interno di quel quaderno.
Lo prese e lo aprì e vi trovò un poster, della EWF, ormai ne era pieno.
Ovviamente vi era lui all’interno del poster, piegato in quattro parti, ma aperto facilmente dal gitano.
Vi era lui, poi altri cinque uomini.
Una cintura e una gabbia.
Il suo prossimo impegno, il suo prossimo scalino di una scala che voleva scalare anche con la forza, convinto che in cima ci fosse un dolce tramonto, un premio di libertà, una materializazione delle sue visioni.
Ma davverò bastava solo imporsi in EWF per cambiare un paese?
Non aveva la risposta, ma era il minimo che poteva fare, per cercare di colorare i suo grigi tramonti.
Gettò il poster a terra, e prese una penna, cominciando a scrivere, gettando ulteriore umidità su quel quaderno.
Non sapeva come descrivere le emozioni in quel momento, ma si accorse che intanto l’orologio segnava che erano passati cinque minuti, e lui era in ritardo.
Cominciò a scrivere, glie ne importava poco.
I miei occhi un grigio tramonto hanno appena assaporato,
i miei sogni un dolce paese mi han donato,
la mia vita in due colori ho divisa.
Umido è il mio esistere,
zuccherati i miei sonni,
ma purtroppo la triste realtà
mi ricorda che gli occhi non vedono
quello che le mie gambe inseguono.
Ha ancora senso dannarsi?
Il mio sangue non servirà a non svegliarsi!
A volte penso di addormentarmi,
Chiudere gli occhi per l’ultima volta
Abbandonare i miei intenti di svolta.
Salutare con improvvisa veemenza
Questa terra che neanche noterà la differenza.
Lasciò cadere la penna, stanco.
Si alzò, e uscì dalla stanza, lo aspettavano in palestra, aveva il turno serale quella sera.
Umidità lo aspettava, quanto avrebbe resistito ancora senza i suoi dolci tramonti?