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Come precedentemente riportato, è stata confermata la notizia dell'improvvisa morte di Solomon Burke, una delle maggiori figure della scena solul di ogni tempo. L'artista, settantenne, era stato uno dei pilastri dell'età più fulgida del genere per l'etichetta Atlantic nei primi anni Sessanta e, oltre che per la caratteristica mole, era riconoscibile per l'altrettanto ingombrante nomignolo di "King of rock and soul", lo stesso che troneggia tuttora sul suo sito (altro appellativo era quello di "Bishop of Soul"). Burke solo qualche giorno fa aveva rilasciato un'intervista al Guardian, dichiarando: "Canterò fino a che avrò fiato, con l'aiuto di Dio". L'artista, che aveva sposato cinque mogli e dichiarato 21 figli, 90 nipoti e 19 bisnipoti, si sarebbe esibito al club Paradiso di Amsterdam martedì 12 ottobre. Il suo ultimo album, "Nothing's impossible" (Earmusic), era stato prodotto da Willie Mitchell, famoso per la sua collaborazione di lunga durata con un'altra leggenda del soul, Al Green. Burke viveva a Inglewood, un quartiere dell'area urbana di Los Angeles, dove da 30 anni esercitata le sue prerogative religiose, essendo un ministro del culto; collateralmente, svolgeva un'attività imprenditoriale nel business delle pompe funebri.
Solomon Burke era nato a Filadelfia il 21 marzo 1940 e dalla sua città aveva cominciato una carriera religiosa come predicatore, restando spesso in contatto con l'illustre collega Martin Luther King. Il gospel era stato il suo genere elettivo, che avrebbe presto contaminato con il soul: nel 1962, con "Cry to me", ebbe il primo assaggio di un successo che, nei decenni, sarebbe stato maggiore come autore e interprete che non come figura di riferimento di un movimento che avrebbe illuminato altri personaggi, come Sam Cooke e Otis Redding tra gli altri. Nel 1964 Burke scrisse una pagina di storia del soul firmando e interpretando "Everybody need somebody to love", che sarebbe diventata un classico nelle intepretazioni di Steve Winwood, dei Rolling Stones e dei Blues Brothers tra gli altri. Nel 2001 fu accolto nella "Rock and Roll Hall of Fame", nel 2002 vinse un Grammy Award e, tra una visita in Vaticano e l'altra (la sua forte relazione con la chiesa Cattolica lo portò a incontrare sia Papa Giovanni Paolo II che Benedetto XVI), nel 2004 registrò un duetto con Zucchero, "Diavolo in me" ("Devil in me"), sull'album di duetti "Zu. & Co." dell'artista italiano.
Nell'ottobre di quest'anno era giusto prevista la pubblicazione di un album per la Universal, "Hold on tight", ricavato da 13 pezzi della band olandese De Dijk tradotti e interpretati da Burke: proprio con i De Dijk Burke avrebbe suonato al Paradiso tra due giorni.
http://www.rockol.it/news-165806/La-morte-di-Solomon-Burke.-Un-profilo-dell'artista.
King David