MUARO, di Gerardo Rosci
Ome sincéro, semplice, leale,
forte, votato tutto alla famiglia
e a jo lavoro; tu, ‘sto capitale,
‘sti mui, te ji trattivi a brusca e striglia.
T’erano ‘n pò compagni della vita,
pe fa du sordi o pe fa cunti pari.
Mo che st’attivita è ‘n po’ sparita,
pe vedè i mui s’hao da fa i safari.
Quanto se tribboleva a icci appresso!
ma non te spaventeva la fatica;
tempo cattivo o bono era lo stesso,
pe ti ch’iri temprato ‘n po’ all’antica.
T’arizzivi allo scuro ogni mmatina,
sia co jo vento che t’entréa pe’ l’ossa,
sia co jo tempo bono o co la brina;
fa lo muaro era fatica ròssa.
‘Na lavata de faccia ‘n po’ alla méglio
versenno ‘na cria d’acqua de copella,
te reveglivi e te sentivi béglio,
e via, partivi ‘n po’ alla chetichella.
Girenno tacchi tacchi pe facciate,
pe valli e macchie, te guardivi ‘n torno
pe retrovà le béstie sparpagliate;
‘ntramenti s’era fatto bene giorno.
E ‘n tanto se senteva la campana
della cavalla e allora, a póco a póco,
le radunivi a beve alla fontana;
po’ revenivi e rappiccivi ‘o fóco.
Quando arriveano i mui della mmasciata,
a recchie ritte e allonghenno i mucchi,
nitrevano, sentènno già la biada
che steva bell’ e pronta dentro i bucchi.
A ogni muo ci divi la razione,
jo ‘ncapezzivi e ci mettivi jo mmasto;
po t’ascitivi pe la collazione:
‘na brava panontella; che gran pasto!
‘Na frasca bella liscia e appezzutata
co jo cortejio, diventea ‘no sticco;
mpegnènno comenzivi la magnata,
co ‘n po’ de vino …’no magnà da ricco.
“Ma è ‘n pò pesante” diceria la gente
“la panontella fatta a colazione”;
quasso pesante! Quissi ‘on ne sao gnente!
…Pesevano le balle de carbone!...
Quand’era brutto tempo, te portivi
‘na brav’ ombrella grossa e la giacchetta
de pelle de diavolo e nsivìvi
le scarpe e ji gambali de vacchetta.
L’ombrella era de quele da muari
che quando ivi a cavaglio, l’apertura
te raccappeva sotto pari pari
j’ome, jo mmasto e la cavarcatura.
Pe pranzo te portivi, ogni mmatina,
du scoppole, ‘na fetta de ventresca
bella paccuta e, nzema alla mmotina,
‘no copellitto pino d’acqua fresca.
Levivi i bucchi e po’ ji rezzelìvi;
pó, co jo pete alla carecatora,
azzecchivi a cavaglio e abbiìvi,
da tipico muaro che lavora.
E ‘ntanto tutta quanta la mmasciata
se comenzeva a move in fila indiana
e te veneva arète ‘n po’ allongata
fino a j’urdimo muo colla campana.
(Questo era, grosso modo, il ritornello che, in altre parole, il giovane mulattiere si sentiva spesso ripetere.)
Arizzate vajó, ch’è giorno fatto,
ché gli muari s’hao d’arizzà cétto,
Mo che si diventato giovenitto
non ci sta più chi te prepara ‘o piatto.
A ‘na cert’ora, se remani a létto,
te mpuzzonisci comme ‘no porchitto.
Si bejo rosso, non si più varzitto;
arizzate vaglió, ch’è giorno fatto.
TRADUZIONE
Mulattiere
Uomo sincero, semplice, leale,
forte, votato tutto alla famiglia
ed al lavoro; questo capitale,
i muli, li trattavi a brusca e striglia.
T’erano un po’ compagni della vita
per far due soldi o fare conti pari.
Ora che quest’attività e sparita,
i muli puoi vederli in un safari .
Quanto si tribolava a starci appresso!
Ma non ti spaventava la fatica;
tempo cattivo o buono era lo stesso,
per te ch’eri temprato un po’ all’antica.
T’alzavi che era buio ogni mattina:
sia col vento ch’entrava nelle ossa,
sia con il tempo buono o con la brina;
esser mularo era fatica grossa.
Una lavata al viso un po’ alla meglio
versando un poco d’acqua di copella
e allora ti sentivi bello e sveglio,
e via, partivi un po’ alla chetichella.
In giro, gambe in spalla, per facciate,
per valli e boschi, ti guardavi intorno
per ritrovar le bestie sparpagliate;
intanto s’era fatto pieno giorno.
Ed ecco, si sentiva la campana
della cavalla, e allora, a poco a poco,
le radunavi a bere alla fontana;
poi ritornavi ed accendevi il fuoco.
Appena che arrivava, la mmasciata,(1)
a orecchie dritte ed allungando i musi
nitriva ché sentiva già la biada
ch’era là, pronta nei sacchetti sfusi.
Ad ogni mulo davi la razione,
lo incavezzavi e gli mettevi il basto;
poi ti sedevi per la colazione:
…la buona panontella; che gran pasto!
Una fraschetta liscia ed affilata
col coltello facevi uno spiedino;
intingendo iniziavi la mangiata
…da gran signore, con un po’ di vino.
“Ma è un po’ pesante” dice certa gente
“farsi la panontella a colazione”;
ma che pesante! Non capite niente!
…Pesavano le balle di carbone!…
Quand’era brutto tempo ti portavi
un bell’ombrello grande e la giacchetta
di pelle di diavolo e ingrassavi
le scarpe ed i gambali di vacchetta.
L’ombrello era di quelli da mulari,
che quand’eri a cavallo, l’apertura
ti ricopriva sotto, pari pari,
l’uomo, il basto e la cavalcatura.
Per pranzo ti portavi, ogni mattina:
due fettone di pane e la ventresca
tagliata grossa e, insieme alla “mmotina” (2)
un barilotto pieno d’acqua fresca.
Tolte le museruole, le posavi;
mettevi il piede alla carecatora (3)
montavi su a cavallo ed t’avviavi
tipico mulattiere che lavora.
e intanto, tutta quanta la “mmasciata” (1)
pian piano si muoveva in fila indiana
e ti veniva dietro un po’ allungata
fino all mulo che aveva la campana.
(1) la mmasciata e la squadra di muli con i quali il mulattiere lavora.
(2) la mmotìna è il fagotto con le vettovaglie che il mulattiere o l’operaio in genere si portava per il pranzo.
(3) la carecatora è una breve corda che unisce i due arcioni alla base del basto che oltre alla sua funzione di lavoro, serve anche da staffa.
[Modificato da ale3000 06/07/2015 16:46]
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Cappadocia (Aq), località turistica estiva ed invernale ad un'ora da Roma:
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