L'alcol si agitava ancora nelle mie vene. L'effetto potenziante di cui mi ero vantato i sabati precedenti aveva ceduto il posto a spossatezza e fatica. Il sudore sgorgava piano dai pori della fronte, per condensarsi subito dopo al contatto con i 18 gradi dell'ambiente circostante.
Il torpore rendeva scattosi e imprecisi i movimenti, rendendo il mio compito decisamente più difficoltoso. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Quella che ora definirei la tempesta più fragorosa del secolo per fortuna è solo un ricordo di qualche giorno fa, ma quei momenti fanno davvero riflettere sul significato di sfiga.
Dapprima lampi, tuoni, un'irreale silenzio. Qualche goccia umidiccia che solca, con movimento irregolare e schizzofrenico, il vetro del parabrezza. E poi giù, giù di brutto, con forza, con violenza... La strada che in pochi attimi si riempie d'un mare d'acqua dolce. Con attenzione scendo dal furgone, ma ad ogni fermata del giro che mi compete risulta sempre più difficile evitare le pozzanghere. Ormai è un mare. Accetto a malincuore di immergere completamente i piedi in quello che era diventato un fiume urbano. A peggiorare il tutto, la totale inadeguatezza della merce che trasporto quando incontra l'acqua: il pane mollo se lo mangiano solo cani e galline. Tento una consegna, l'hotel è distante. Corro. Il guardiano mi osserva, non mi viene incontro. Sento la carta dei sacchi di pane rammollirsi sotto le mie dita ad ogni passo. Non ce la faccio a raggiungere le scale.. la carta si strappa, il pane cade a terra, lo osservo mentre galleggia in più di 10 cm d'acqua...
Sotto ai ponti e sottopassaggi, l'incapacità dei tombini di assorbire quel putiferio di Ossigeno e Idrogeno. Io stesso vittima, nei primi 20 minuti di tempesta, di un impatto con quella massa, osservo ora una Fiat Punto giungere baldanzosa e ignara nel sottopassaggio che conduce alle Navi di Cattolica. E poi lo schianto. Si ferma. Era ovvio. I conducenti escono e con orrore osservano il metro d'acqua che penetra e riempie l'abitacolo. Urla e richieste di aiuto. Cellulare alla mano, richieste di soccorso con parole incerte e visibile nervosismo. Nell'altra corsia intanto, un Ducato delle Lavanderie aspira, invece di gasolio, sempre quel maledetto metro d'acqua. L'autista capelluto sporge dal finestrino senza dire parola, osservandomi mentre faccio inversione con le quattro frecce azionate. Vigili del fuoco. Girano per la città inondata. Non so che fare. Non posso lavorare. Sono fradicio d'acqua dentro le scarpe, nelle mutande. Non ho ripari, solo un vecchio K-Way incapace di proteggermi da quella furia. La città è in allarme, le fronde cadono, i tombini espellono liquami.
E io c'ero. La sotto io DOVEVO lavorare.
Davvero una fottutissima, maledetta tempesta perfetta.