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L'apparenza inganna

Ultimo Aggiornamento: 13/04/2007 20:51
31/01/2007 23:24
 
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L'ANTEFATTO

Tutto è cominciato quando sul quotidiano Libero un anonimo articolista sosteneva che nel brano L'APPARENZA si celasse una poesia sulla "fellatio".
A suggello di questa inquietante ipotesi, la sua totale sicurezza che nei versetti del cofanetto uscito da poco si rivelasse il mistero, con la conferma appunto di quanto anonimo pensava, o forse come ancora qualcuno crede. Però, il sottoscritto insieme ad un altro ardito mica si sono arresi a quell'idea.
Il teatro è il leit -motiv di questo album , e non credendo come me per principio alla versione porno, quel gran genio del mio amico scopre delle sorprendenti coincidenze, avvertendomi che nel Teatro dei Pupi è rappresentata anche una donna guerriero. Ma certo!
Bradamante, che assieme ad Angelica forniscono le due principali figure femminili dell'Orlando Furioso, due donne "a tutto tondo" per chi non lo sapesse !
Forse qualcuno di noi ricorda solamente i classici come L’Odissea e L’Iliade d'Omero.
Ma tra i grandi miti dell'antichità che hanno attraversato i secoli, non potremo certo dimenticarci di Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto.
Il poema di Ariosto s'impone come una della più rappresentative opere italiane ed è secondo solo alla Divina Commedia, come ordine d'importanza.
Ma prima di addentrarci nel brano di Battisti e Panella, torniamo per un momento indietro nel tempo, ripercorrendo i fatti storici che precedettero questo racconto epico- cavalleresco venuto alla luce durante il periodo rinascimentale.

IL MITO DI ORLANDO

In ogni atlante storico del Medioevo c'era una cartina in cui, colorate di solito in viola, erano segnate le conquiste di Carlomagno re dei Franchi e poi imperatore.
Una grande nube violetta s'allargava sull'Europa, dilagava fin oltre l'Elba e il Danubio, ma ad occidente s'arrestava al confine della Spagna ancora saracena.
Fra tante guerre che Carlomagno combatté e vinse, quelle contro gli Arabi occupano nella storia dell'imperatore poco posto, mentre nella letteratura s'ingigantirono e riempirono le pagine di biblioteche intere. Nell'immaginazione dei poeti - e prima ancora nell'immaginazione popolare - i fatti si disposero in una prospettiva diversa da quella della storia, causa la ricerca ostinata del mito. Per rintracciare questa straordinaria proliferazioene mitologica, ci si deve rifare a un episodio oscuro e sfortunato: nel 778 Carlomagno tentò una spedizione per espugnare Saragozza, ma fu rapidamente costretto a ripassare i Pirenei. Durante la ritirata, la retroguardia dell'esercito franco fu assalita dalle popolazione basche della montagna e distrutta, presso Roncisvalle. Le cronache ufficiali carolinge riportano tra i dignitari franchi uccisi, quello d'un certo Hruodlandus. Fin qui la storia, ma la verità dei fatti ha poco a che vedere con l'epopea ." La chanson de Roland " fu scritta circa tre secoli dopo Roncisvalle, attorno al 1100, all'epoca della prima crociata. In questa Europa pervasa da un forte senso di appartenenza tra mondo cristiano e mondo musulmano, cominciò la leggenda di Orlando. I giullari, i poeti-cantastorie, girando di castello in castello ne narravano le gesta scritte in rima o in prosa, tanto da varcare i confini, attraversare le Alpi e arrivare in Italia. Alcuni cantastorie veneti manipolando quei versi, li avvicinarono ad un linguaggio più vicino ai dialetti della pianura padana. Poi fu la volta delle traduzioni in toscano: alle monotone lasse a una sola rima, i toscani sostituirono una strofa narrativa dal ritmo ampio e movimentato quale l'ottava. Il tempo in cui si svolsero le gesta dei cantari fu insomma un concentrato di tutti i tempi e le guerre, soprattutto tra quelli della sfida tra Islam ed Europa cristiana. Ed è proprio quando le crociate con la loro pressione propagandistica non facevano più parte dell'attualità, che i duelli e le battaglie tra paladini e infedeli diventarono una pura materia narrativa, emblema di ogni contesa e d'ogni avventura, e l'assedio dei mori a Parigi un mito, come quello della guerra di Troia. Man mano che queste gesta si estendevano nei castelli e nelle città italiane ad un pubblico capace di leggere, e che non fosse formato solo di dotti e di prelati, si diffusero anche brevi romanzi in prosa che non riferivano solo delle vicende del ciclo carolingio, ma pure del ciclo di Bretagna. Si trattava di Re Artù e della tavola rotonda, della ricerca del Santo Graal, degli incantesimi del Mago Merlino, degli amori di Ginevra, di Isotta. Questo mondo di storie magiche e amorose ebbe in Francia grande popolarità ( come in Inghilterra ) tanto da soppiantare l'austero ciclo carolingio. Ma non in Italia, dove il popolo restava fedele a Orlando, a Gano, a Rinaldo. I duelli tra paladini e mori erano entrati da noi in quel deposito culturale estremamente conservatore che è il folklore. Tanto, che un dignitario della corte estense, Matteo Maria Boiardo, conte di Scandiano, si appropriò attorno al 1450 della saga dell'Orlando e lo trasformò con uno spirito distaccato venato da una melanconica nostalgia, in Innamorato .
Un italiano incerto il suo, che sconfinava di continuo nei dialetti, tanto che nel Cinquecento, ristabilitosi il primato dell'uso toscano nella lingua letteraria, il Berni lo riscrisse tutto in lingua " buona " e per tre secoli L'Orlando Innamorato non fu ristampato che in questo rifacimento.
Fu però Ludovico Ariosto, dopo la morte di Boiardo, a operare la continuazione del mito e trasformarlo nel Cinquecento, dalla ruvida scorza quattrocentesca, in una lussureggiante vegetazione carica di fiori e di frutti. L'Orlando Innamorato di Boiardo sembra ancor oggi confinato come un antefatto del Furioso, tanto da apparire come « un riassunto delle puntate precedenti ». L'Orlando per le esigenze dell'epoca doveva ritornare guerriero e casto, immune dalle tentazioni amorose. Ariosto era nativo di Ferrara, la quale per più di un secolo fu la capitale della poesia epica.
I tre maggiori poemi del rinascimento - L'Orlando Innamorato, L'Orlando Furioso, e pure la Gerusalemme Liberata del sorrentino Torquato Tasso - nacquero alla corte degli estensi. Questa terra padana fu molto feconda in fatto di ottave risonanti di colpi di lancia e scalpitio di destrieri. Era una società ricca e gaudente, una società colta, che aveva fatto della propria università un importante centro di studi umanistici, ma soprattutto era una società militare, che s'era costruita e difeso un suo stato tra Venezia e Stato della Chiesa e ducato di Milano. Una fetta di territorio ragguardevole, situata nel cuore di quel campo di perpetua guerra europea che era allora la pianura del Po, e perciò parte in causa di tutte le contese tra Francia e Spagna per la supremazia sul continente. L'Orlando Furioso nasce quindi in una Ferrara in cui la gloria guerriera è ancora il fondamento di ogni valore. Il poema si sdoppia tra la favola cavalleresca e quello del presente politico- militare, dal tempo dei paladini e dell'arabesco fantastico, alle guerre cinquecentesche, con gli strazi dell'Italia invasa. Figlio di un ufficiale del duca di Ferrara e di una gentildonna reggiana, Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia nel 1474, studiò a Ferrara, e sui trent'anni s'impiegò come segretario del Cardinale Ippolito D'Este. Compì per il Cardinale frequenti viaggi e ambascerie nelle capitali vicine, Mantova, Modena, Milano, Firenze, e fu varie volte a Roma per trattare le questioni dei difficili rapporti di Ferrara con il Papa. Anni movimentati e faticosi, in mezzo ai quali Ariosto seppe ricavare il tempo e la concentrazione per comporre L'Orlando Furioso, oltre a liriche, commedie e sette satire, che offrono il miglior ritratto del carattere del poeta e raccontano le delusioni e le parche soddisfazioni della sua vita. Solo dal 1525 al 1533, anno della sua morte, riuscì ad avere un'esistenza più tranquilla, diventando sovrintendente agli spettacoli di Corte.
Per trent'anni la sua vera vita fu il Furioso. Cominciò a scriverlo verso il 1504, e si può dire che continuò sempre a lavorarci, perchè un poema come questo non può mai dirsi finito. Ariosto continuò ad allargarlo fino alla vigilia della sua morte: l'edizione definitiva, in quarantasei canti, è del 1532. Gli storici della letteratura hanno molto discusso sull'atteggiamento di Ariosto verso il passato medievale ( che è la materia del suo poema ) e in particolare verso la cavalleria. Pur vedendo le gesta dei suoi eroi attraverso l'ironia e la trasfigurazione favolosa, in realtà egli non ne ha mai sminuito le virtù cavalleresche, prendendoli tutti come pretesto per un gioco grandioso e appassionante. Nella sua ostinata maestria a costruire e macinare ottave su ottave, Ariosto è ben lontano dalla tragica profondità che avrà Cervantes, quando un secolo dopo nel suo Don Chisciotte compirà la dissoluzione della letteratura cavalleresca.

« Prenda la signoria vostra, signor curato, e benedica questa stanza affinché non resti qui alcuno degl'incantatori dei quali sono zeppi, cotesti libri, e non ci facciano addosso qualche incantesimo per vendetta di quello che noi vogliam fare di loro cacciandoli dal mondo.»

Ma tra i libri dati alle fiamme dal barbiere e il curato del paese per la follia arrecata all'hidalgo della Mancia, ben pochi si salveranno.
Uno di questi sarà proprio il Furioso ...

L'ORLANDO FURIOSO

Tema principale del poema di Ariosto, è come Orlando diventa, da sfortunato innamorato non corrisposto dalla bella e capricciosa principessa Angelica, matto furioso, e come le armate cristiane per l'assenza del loro primo campione, rischiano di perdere la Francia per la sua ragione smarrita, la quale grazie all'intervento divino, viene ritrovata da Astolfo sulla Luna ( un vaso contenente il suo senno )
Astolfo sulla luna
Ricacciata successivamente in corpo al legittimo propietario, consentirà a Orlando di riprendere il suo posto tra i ranghi e trionfare grazie alla sua leggendaria spada, la Durindana. Il parallelismo tra L'Innamorato e il Furioso rimane quello degli ostacoli che si sovrappongono al destino nuziale di Ruggiero e Bradamante, finchè il primo non riesce a passare dal campo saraceno a quello franco, a ricevere il battesimo e sposare l'eroina, dalla cui unione discenderà la Casa d’Este.
I due motivi principali si intrecciano alla guerra tra Carlo e Agramante in Francia e in Africa, alle stragi di Rodomonte in Parigi assediata dai Mori, fino alla resa dei conti tra il fior fiore dei campioni dell'uno e dell'altro campo.

ANGELICA INSEGUITA

In principio c'è solo una fanciulla che fugge per un bosco in sella al suo destriero. Sapere chi sia importa fino a un certo punto: è la protagonista di un poema rimasto incompiuto, che sta correndo per entrare in un poema appena cominciato. Quelli che ne sanno più di noi - Italo Calvino, ad esempio - possono spiegare
che trattasi di Angelica principessa del Catai, un po'civettuola e oggetto del desiderio, era venuta con tutti i suoi incantesimi in mezzo ai paladini di Carlo Magno re di Francia, per farli innamorare e ingelosire e così distoglierli dalla guerra contro i mori d'Africa e di Spagna. In questo bosco, tra suoni di zoccoli e d'armi di cavalieri che appaiono e scompaiono, Angelica galoppa per un giorno e una notte. Giunge vicino ad un ruscello, smonta di sella e cerca il più morbido giaciglio vegetale per coricarsi. Ora, nascosta tra un cespuglio di rose, dorme e sospira. Ossia, sogna di sospirare, e al sospiro si risveglia. Ossia, sente, sveglia, un sospiro che non è il suo sospiro. Angelica scruta tra gli arbusti e vede un guerriero enorme dai lunghi baffi spioventi, armato di tutto punto, che se ne sta sdraiato come lei dall'altra parte del cespuglio, la guancia posata su una mano, e lamentandosi mormora delle frasi senza senso: la verginella...la rosa... Sta parlando di rose questo soldataccio...
A questo punto Angelica lo riconosce: è un altro dei suoi spasimanti, Sacripante re di Circassia. Egli crede che la bella Angelica, mentre lui era in Oriente in missione militare, Orlando l'abbia fatta sua. Sacripante la vede e tremante d'amore si avvicina a lei, per coglierla, come una rosa. Ma proprio sul più bello, mentre crede ormai d'averla in mano, si ode un rumore di zoccoli e appare sulla scena un cavaliere bianco vestito. Duellano, il cavallo di Sacripante cade morto; l'avversario sconosciuto, pago di tale vittoria, corre via. Sacripante apprenderà con grande scorno d'essere stato disarcionato non da un guerriero, ma da una guerriera.

Canto I 60-70

Ecco pel bosco un cavalier venire,
il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero
candido come nieve è il suo vestire,
un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire
che quel con l'importuno suo sentiero
gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,
con vista il guarda disdegnosa e rea.

Ella è gagliarda ed è più bella molto;
né il suo famoso nome anco t'ascondo:
fu Bradamante quella che t'ha tolto
quanto onor mai tu guadagnasti al mondo.
Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto
il Saracin lasciò poco giocondo,
che non sa che si dica o che si faccia,
tutto avvampato di vergogna in faccia.

La salvezza d'Angelica, dipende immediatamente da interventi imprevedibili. Tra tanti paladini che pretendono di proteggerla, chi sopravviene ora a liberarla dalle insidie ? L'amazzone dal bianco pennacchio, altri non era che l'invincibile Bradamante, cugina di Orlando.

IL CASTELLO DI ATLANTE

I cavalli al pari dei loro cavalieri svolgono un ruolo di primordine e sconfinano spesso dalla loro natura equina.
Un animale straordinario era l'Ippogrifo, che di caratteristiche equine ne aveva poche, ma veniva condotto in queste avventure fantastiche a servire docilmente da cavallo, ancorchè volante. Mentre la guerra infuria per le terre di Francia, lo scenario ora si sposta in una locanda presso i Pirenei, dove viene servita una cena a due clienti. Tutt'auntratto, si ode un gran rumore: l'oste e i suoi garzoni corrono, chi alle finestre, chi per strada, e guardano verso il cielo a bocca aperta.
- Che diavolo succede ? un'eclisse ? una cometa ? - I due avventori non sembrano tipi da perdere la calma: uno è un cavaliere dalla splendida armatura, dal viso radioso e dalle lunghe chiome d'oro; l'altro è un brutto ceffo in calzamaglia, basso e nero nero. L'oste si affretta a scusarsi: - Niente, niente, è già passato. Passa volando tutte le sere, non bisogna fargli caso. E' un cavallo, un cavallo con le ali, con un mago sopra. Se vede una bella donna cala giù e la rapisce. Per quello scappano le donne: le belle e quelle che credono d'esserlo, cioè tutte. Le porta in un castello incantato su per i Pirenei, e le tiene lì. Anche i cavalieri li chiude, quelli che vince in duello, perchè finora chiunque ha provato a sfidarlo è finito in mano sua.
Il castello di Atlante
I due avventori non battono ciglio. Sia uno sia l'altro erano venuti lì proprio per quello. - Bene - fa il cavaliere con i capelli lunghi, - se mi trovi una guida vorrei sfidarlo io, questo mago. - Posso insegnartela io, la strada, - dice l'omino nero, di me ti puoi fidare.
Era proprio quel che Bradamante si aspettava. Perchè quel cavaliere altri non era che la più valorosa guerriera del campo di Carlo Magno, sorella di Rinaldo di Montalbano, e l'omino nero era Brunello, un ladro al servizio dell'armata saracena, famoso tra l'altro per aver rubato ad Angelica un anello magico che veniva dal Catai. Sia Bradamante che Brunello erano lì per per cercare di liberare dal castello del mago Atlante uno dei cavalieri che v'erano imprigionati, cioè Ruggiero.
Ma con due obiettivi diversi: l'uno per riportarlo a combattere nelle file saracene, Bradamante no. Il fine che muoveva l'amazzone era ben più importante: lei era innamorata di Ruggiero. C'era di mezzo tutta una questione di profezie; le stelle avevano deciso che Ruggiero dovesse convertirsi al cristianesimo e sposare Bradamante. L'eroina era scesa alla locanda proprio per rubare a Brunello l'anello magico, unico mezzo per resistere agli incantesimi del mago Atlante. Queste cose il mago Atlante le sapeva bene, lui che aveva allevato Ruggiero e nutriva un affetto più sollecito di quello di una mamma.Tanto che, per impedire che corresse dietro a Bradamante e al suo destino, l'aveva chiuso in quel castello incantato, e lo circondava di belle donne e prodi cavalieri perchè si trovasse in buona compagnia. L'indomani all'alba, Bradamante e Brunello partono a cavallo per le gole dei Pirenei. Il castello è là, tutto d'acciaio. Bradamante cala una delle sue mani di ferro sulla collottola della sua guida. Brunello finisce legato al tronco di un abete; l'anello magico passa al dito della guerriera, che dà fiato al corno. E'un segnale di sfida: Atlante esce in sella all'Ippogrifo. Con la sinistra regge uno scudo velato che appena si scopre abbaglia l'avversario.
Nella destra ha un libro di formule magiche, per annientare i suoi avversari. Ma per Bradamante, con l'anello che ha al dito, non c'è magia che tenga. Atlante svolazza sull'Ippogrifo e legge le sue formule, mentre lei si finge svenuta. Il mago plana e scende di sella, s'avvicina con una catena in mano.
Un attimo dopo la morsa delle braccia della fortissima guerriera ha abbrancato il mago, che visto da vicino si rivela un povero vecchio inerme e disperato. Ma Bradamante non era donna da lasciarsi impietosire: per prima cosa lo costringe a spezzare certe pentole fumanti che fanno dileguare il castello nel nulla.

Canto IV 8

Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni insculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite et inculto;
né muro appar né torre in alcun lato
come se mai castel non vi sia stato.

L'ISOLA DI ALCINA

Ruggiero e i loro compagni di prigionia si trovano liberi, all'aperto. Ecco che si sparpagliano per la valle, cercando di catturare il cavallo alato.
L'Ippogrifo apre le ali, svolazza, si posa qui, là, ora è in cima a una roccia, ora giù in un crepaccio, ora su un prato. Bradamante ha appena liberarato dal castello di Atlante il suo amato; egli ora monta sul cavallo alato, il quale lo porterà via in sella. Il destino di Ruggiero è essere ogni volta liberato, oppure essere ogni volta rapito? Ruggiero non è nella situazione migliore per porsi il problema: sta già sorvolando l'Oceano, ed ha oltrepassato le colonne d'Ercole. L'isola dove insieme con l'Ippogrifo atterra, è certamente incantata: piante e animali vi si muovono con tanta grazia che pare d'inoltrarci nel ricamo di un arazzo. Non c'è da meravigliarsi se il primo essere parlante in cui s'imbatte, non ha una forma umana, ma è una pianta. Il mirto al quale Ruggiero ha legato il cavallo alato per la briglia, mormora, stride e alfine con mesta e flebile voce prega il nuovo venuto di attaccare la sua cavalcatura un po' più in là. La cortesia del suo eloquio è
insolita per un appartenebte al regno vegetale. Ruggiero è confuso e stupefatto, ma il mirto s'affretta a toglierlo d'impaccio presentandosi e raccontandogli come si trova lì: è Astolfo, figlio del re d'Inghilterra. Le isole dell'Oceano Indiano sono piene di fate e di incantesimi. Astolfo giunto laggiù dopo molte avventure e traversie,stava andando alla spiaggia con altri cavalieri quando era incappato nelle reti invisibili della fata Alcina sorella di un'altra fata assai potente, la famosa Morgana. Pescatrice senza reti e senz'amo, Alcina faceva affiorare dalle onde ogni sorta di pesci e perfino balene grosse come isolette o bastimenti.Su di una balena-isoletta -bastimento, Astolfo viene facilmente rapito dalla fata.
Sull'isola di Alcina

Canto VI 34-37

Ritornando io da quelle isole estreme
che da Levante il mar Indico lava,
dopo Rinaldo ed alcun'altri insieme
meco fur chiusi in parte oscura e cava,
ed onde liberati le supreme
forze n'avean del cavallier di Brava;
vêr ponente io venìa lungo la sabbia
che del settentrion sente la rabbia.

E come la via nostra e il duro e fello
destin ci trasse, uscimmo una matina
sopra la bella spiaggia, ove un castello
siede sul mar, de la possente Alcina.
Trovammo lei ch'uscita era di quello,
e stava sola in ripa alla marina;
e senza rete e senza amo traea
tutti li pesci al lito, che volea.

Veloci vi correvano i delfini,
vi venìa a bocca aperta il grosso tonno;
i capidogli coi vecchi marini
vengon turbati dal loro pigro sonno;
muli, salpe, salmoni e coracini
nuotano a schiere in più fretta che ponno;
pistrici, fisiteri, orche e balene
escon del mar con mostruose schiene.

Veggiamo una balena, la maggiore
che mai per tutto il mar veduta fosse:
undeci passi e più dimostra fuore
de l'onde salse le spallacce grosse.
Caschiamo tutti insieme in uno errore,
perch'era ferma e che mai non si scosse:
ch'ella sia una isoletta ci credemo,
così distante a l'un da l'altro estremo.

Ruggiero sull'isola incontra Alcina e se ne innamora. Bradamante si dispera, incontra di nuovo Melissa, la quale le rivela che anche il suo amato è caduto nei lacci di Alcina: dimenticando la sua dignità e immemore del suo amore è in balìa dei sensi e dei capricci della perversa maga. L'anello incantato deve ritornare nelle mani di Ruggiero; Bradamante scongiura Melissa di raggiungere l'isola e tentare la liberazione del suo innamorato.

Canto VIII 14-15-16

Non lascia alcuno a guardia del palagio:
il che a Melissa che stava alla posta
per liberar di quel regno malvagio
la gente ch'in miseria v'era posta,
diede commodità, diede grande agio
di gir cercando ogni cosa a sua posta,
imagini abbruciar, suggelli torre,
e nodi e rombi e turbini disciorre.

Indi pei campi accelerando i passi,
gli antiqui amanti, ch'erano in gran torma
conversi in fonti, in fere, in legni, in sassi,
fe' ritornar ne la lor prima forma.
E quei, poi ch'allargati furo i passi,
tutti del buon Ruggier seguiron l'orma:
a Logistilla si salvaro; ed indi
tornaro a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.

Li rimandò Melissa in lor paesi,
con obligo di mai non esser sciolto.
Fu inanzi agli altri il duca degl'Inglesi
ad esser ritornato in uman volto;
che 'l parentado in questo e li cortesi
prieghi del buon Ruggier gli giovar molto:
oltre i prieghi, Ruggier le diè l'annello,
acciò meglio potesse aiutar quello.

Dopo aver sciolto i lacci della matassa, l'incantesimo svanisce. Con l'anello al dito Ruggiero vede la fata non più maliarda e affascinante, ma vecchia e decrepita. Quindi decide di scappare, sfugge all'inseguimento di altri oscuri personaggi simbolici e per fortuna ritrova Astolfo, liberato con altri sventurati dalle grinfie di Alcina e restituito alla forma umana. Insieme studiano il modo di ritornare ai campi di battaglia, sonanti d'armi e di cavalli.

LE INCATENATE DELL' ISOLA DEL PIANTO

L'Orlando Furioso è un'immensa partita di scacchi sulla carta geografica del mondo, una partita smisurata, che si dirama in tante partite simultanee. La carta del mondo è ben più varia d'una scacchiera, ma su di essa le mosse d'ogni personaggio si susseguono secondo regole fisse come nel gioco degli scacchi.
Ognuno di questi pezzi manterrà dall'inizio alla fine della partita un determinato movimento; se una determinata figura entra in scena perseguitata da malvagità e sventure, la sua parte continuerà ad essere tale fino all'epilogo. Ad esempio: ciò che accomuna Angelica e Bradamante, pur nelle loro differenze di ruolo, sarà dall'inizio alla fine questo anello magico, che a turno passa dalle loro mani come un testimone in una gara a staffetta.Passando ora dall'altra parte del globo, dall'Oceano Indiano ( dove a quest'ora è notte fonda o molto nuvoloso ) al largo dell'Irlanda, in riva all'isola di Ebuda, emergeva dal mare ogni mattino un mostro e divorava una fanciulla. Per risparmiare le proprie figlie, gli isolani s'erano fatti corsari e razziavano ragazze sulle coste intorno. Ogni mattina ne legavano una ad uno scoglio perchè l'orca marina si saziasse e li lasciasse in pace. La bella Angelica per caso era capitata in mano loro e adesso è là ignuda e incatenata. La sua sorte pare ormai segnata, quando vede volare per il cielo un guerriero su un cavallo con le ali. E'Ruggiero sull'Ippogrifo.
Angelica incatenata
Con l'Ippogrifo, è rimasto in mano di Ruggiero lo scudo che era appartenuto al mago Atlante e che basta scoprire per abbagliare l'avversario. Il possesso di questo oggetto magico lo mette in situazione di vantaggio indiscutibile nella sua battaglia contro l'orca. Tuttavia la poesia di Ariosto non ha l'aria di ricorrere a poteri magici neppure quando parla di magie: il suo segreto sta nel ritrovare, in mezzo al gigantesco e al meraviglioso, le proporzioni di un'aia, d'un sentiero, d'una pozza in un torrente dell'Appennino. Il muso del mostro marino viene mostrato come quello d'una cinghialessa o porca selvatica; l'Ippogrifo gli si avvicina schivandone il morso come l'aquila che vuol beccare una biscia, o come la mosca col mastino; l'orca tramortita e abbagliata ricorda le trote che si pescano intorbidando l'acqua con la calce. Salvata da Ruggiero, ora Angelica vola via con lui in groppa all'Ippogrifo. Con la bella principessa tra le braccia e ignuda, lui non tarderà a dimenticare la sua Bradamante. Angelica, la preda più ambita e inafferrabile pure per Orlando, stavolta è in mano di qualcuno deciso a non lasciarsela scappare... Ruggiero fa atterrare l'Ippogrifo in un bosco di Bretagna, s'affretta a togliersi la corazza, poi si volta, ma sorpresa delle sorprese, Angelica non c'è più ! Troppo tardi ricorda che mentre lottava col mostro marino le aveva messo al dito l'anello magico, perchè non dovesse soffrire e restare a sua volta abbagliata dallo scudo. Adesso è bastato ad Angelica mettersi l'anello in bocca per rendersi invisibile e fuggire.

Canto XI 1-2-3-4-5-6

Quantunque debil freno a mezzo il corso
animoso destrier spesso raccolga,
raro è però che di ragione il morso
libidinosa furia a dietro volga,
quando il piacere ha in pronto; a guisa d'orso
che dal mel non sì tosto si distolga,
poi che gli n'è venuto odore al naso,
o qualche stilla ne gustò sul vaso.

Qual ragion fia che 'l buon Ruggier raffrene,
sì che non voglia ora pigliar diletto
d'Angelica gentil che nuda tiene
nel solitario e commodo boschetto?
Di Bradamante più non gli soviene,
che tanto aver solea fissa nel petto:
e se gli ne sovien pur come prima,
pazzo è se questa ancor non prezza e stima;

Con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui più continente.
Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,
e si traea l'altre arme impaziente;
quando abbassando pel bel corpo ignudo
la donna gli occhi vergognosamente,
si vide in dito il prezioso annello
che già le tolse ad Albracca Brunello.

Questo è l'annel ch'ella portò già in Francia
la prima volta che fe' quel camino
col fratel suo, che v'arrecò la lancia,
la qual fu poi d'Astolfo paladino.
Con questo fe' gl'incanti uscire in ciancia
di Malagigi al petron di Merlino;
con questo Orlando ed altri una matina
tolse di servitù di Dragontina;

Con questo uscì invisibil de la torre
dove l'avea richiusa un vecchio rio.
A che voglio io tutte sue prove accorre,
se le sapete voi così come io?
Brunel sin nel giron lel venne a torre;
ch'Agramante d'averlo ebbe disio.
Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno
ebbe costei, fin che le tolse il regno.

Or che sel vede, come ho detto, in mano,
sì di stupore e d'allegrezza è piena,
che quasi dubbia di sognarsi invano,
agli occhi, alla man sua dà fede a pena.
Del dito se lo leva, e a mano a mano
sel chiude in bocca: e in men che non balena,
così dagli occhi di Ruggier si cela,
come fa il sol quando la nube il vela.

Così, mentre Bradamante cavalca vestita della sua armatura e sconfigge cavalieri e maghi, Angelica pensa, riflette, calcola il modo migliore per raggiungere il suo scopo. Non è un caso che l’anello magico che entrambe in diversi momenti portano, sia utilizzato in maniera così diversa : Bradamante lo porta al dito per essere più forte, mentre Angelica dal dito se lo fa scivolare in bocca per scomparire. Due donne complementari l'una all'altra, le quali possono usare a turno forza o dolcezza per raggiungere i loro scopi.

RODOMONTE ALLA CONQUISTA DI PARIGI

Da lungo tempo il re d'Africa Agramante stringeva d'assedio Parigi, ultimo baluardo dell'esercito di Francia. Sparsi per il mondo dietro ad amori ed avventure i suoi più valorosi paladini, Carlo Magno attende impaziente il ritorno di Rinaldo, con i rinforzi dall'Inghilterra. La notizia che l'esercito inglese ha passato la manica, raggiunge per primo Agramante e lo mette in allarme: bisogna che entro l'indomani Parigi sia espugnata, altrimenti sarà tardi. Dagli spalti,i Cristiani vedono al piede delle mura approntare scale e travi e canestre cariche di frecce. I mori certo attaccheranno domattina.
Parigi è cinta da un alto muro sopra il quale i difensori sono in attesa con pietroni e secchi di pece bollente e di calcina. Suonano le trombe: i Saraceni vengono su formicolando sulle loro scale a pioli, e i Cristiani appollaiati sulle bertesche innaffiano di olio bollente e di macigni.
L'assedio dei mori
Ma laggiù nel campo degli assalitori si sta muovendo qualcosa di grosso. E' un guerriero gigantesco che prende la rincorsa, attraversa il fosso al piede delle mura sollevando un turbine d'acqua e di fango, sembra si vada a spaccare, no: va così forte che continua a correre su per il muro in verticale, ed arriva fino in cima, tra i merli. Eccolo che mulina la spada in mezzo alle squadre francesi per resistergli, e ogni fendente innalza al cielo un vortice di teste e braccia mozze, e orecchie, e piedi e altri pezzi di cristiano. E' Rodomonte, re d'Algeri e Sarza. Indossa un'armatura di scaglie di drago ch era appartenuta al suo antenato Nembrotte, quello della torre di Babele, feroce bestemmiatore al par di lui. Dietro a Rodomonte i Saraceni assaltano il muro come le mosche d'estate le tavole imbandite, o d'autunno gli uccelli le vigne. Ma il muronon è che la linea di difesa più esterna della città e nemmeno la più forte. All'interno del muro c'è un fossato, che cinge un secondo argine. I mori dilagano nel fossato interno, e lì scatta la trappola: i Cristiani ritirandosi danno fuoco alle esche di salnitro e zolfoche comunicano con certe cataste di fascine unte di pece. Il fosso si trasforma in un girone di fuoco. E Rodomonte ? Dalla cima del muro spicca un salto, e con tutto il peso che ha addosso d'armi e armatura supera d'un balzo i trenta piedi o giù di lì che separano il muro dall'argine, cioè a dire nove metri, atterrando leggero come sul tappeto d'una palestra, e lasciandosi alle spalle fiamme e scoppi.

Canto XIV 126-127-129-129-130

La turba dietro a Rodomonte presta
le scale appoggia, e monta in più d'un loco.
Quivi non fanno i Parigin più testa;
che la prima difesa lor val poco.
San ben ch'agli nemici assai più resta
dentro da fare, e non l'avran da gioco;
perché tra il muro e l'argine secondo
discende il fosso orribile e profondo.

Oltra che i nostri facciano difesa
dal basso all'alto, e mostrino valore;
nuova gente succede alla contesa
sopra l'erta pendice interiore,
che fa con lance e con saette offesa
alla gran moltitudine di fuore,
che credo ben, che saria stata meno,
se non v'era il figliuol del re Ulieno.

Egli questi conforta, e quei riprende,
e lor mal grado inanzi se gli caccia:
ad altri il petto, ad altri il capo fende,
che per fuggir veggia voltar la faccia.
Molti ne spinge ed urta; alcuni prende
pei capelli, pel collo e per le braccia:
e sozzopra là giù tanti ne getta,
che quella fossa a capir tutti è stretta.

Mentre lo stuol de' barbari si cala,
anzi trabocca al periglioso fondo,
ed indi cerca per diversa scala
di salir sopra l'argine secondo;
il re di Sarza (come avesse un'ala
per ciascun de' suoi membri) levò il pondo
di sì gran corpo e con tant'arme indosso,
e netto si lanciò di là dal fosso.

Poco era men di trenta piedi, o tanto,
ed egli il passò destro come un veltro,
e fece nel cader strepito, quanto
avesse avuto sotto i piedi il feltro:
ed a questo ed a quello affrappa il manto,
come sien l'arme di tenero peltro,
e non di ferro, anzi pur sien di scorza:
tal la sua spada, e tanta è la sua forza!

E' riuscito a sfondare tutte le linee di difesa ma ha perso i suoi uomini. Ora è solo e si lancia alla conquista di Parigi.
Le case di Parigi, a quel tempo tutte di legno, sono in fiamme. Rodomonte appicca incendi e semina stragi dappertutto dove arriva. Ma i Saraceni che l'avevano seguito nella scalata delle mura, in numero di undicimila e ventotto, sono morti tutti nella fossa tra mura e argine, tanto che non ci sarebbe stato posto per contenere tanti cadaveri se le fiamme non li avessero immediatamente inceneriti. In quel mentre l'Arcangelo Michele ed il silenzio guidano verso Parigi Rinaldo e l'esercito alleato d'Inghilterra. Divisi in tre schiere,Inglesi, Scozzesi, Irlandesi, attaccano gli assedianti dalla campagna e mettono lo scompiglio nelle schiere maomettane.Carlo Magno impegnato a difendere una porta contro Agramante, non ha ancora appreso queste belle notizie, ma è raggiunto da un messaggero che gliene porta di cattive. Rodomonte da solo sta distruggendo la città e i suoi abitanti armati o inermi.
Rodomonte alla battaglia di Parigi
Carlo accorre. E' il palazzo reale che ora sta assaltando, tra le cui robuste mura quei poveracci di Parigini avevano cercato riparo, e da quei tetti ora stavano buttando addosso al gigante tegole e travi e pietre. L'assalto contemporaneo di otto paladini e di tutti quelli che li seguono non scalfisce neppure la squamosa scorza di Rodomonte. Ma la presenza dell'imperatore rincuora la turba dei fuggiaschi che tornano ad assieparsi contro il re di Sarza. Ormai la calca è tanto fitta che anche se lui le taglia come se si trattasse di rape o di torsi di cavolo, essa continua a premerlo d'ogni parte, mentre dai tetti e dalle finestre gli piovono addosso valanghe di roba. Finora Rodomonte si è serbato incolume; forse gli conviene mettersi in salvo prima che riescano a ferirlo.
Sbaragliata una schiera d' Inglesi, raggiunge gli spalti sulla Senna e con tutte le sue armi addosso si tuffa e fugge a nuoto.
Emerso sulla riva opposta si volta verso la città in fiamme, come pentito d'esserne fuori,e già pieno di voglia di ritornare.

MORTE DI ZERBINO E ISABELLA

Una fondamentale disuguaglianza divide questi eroi . Ci sono quelli costruiti di pasta fatata, che più gli fioccano addosso i colpi di lancia e di spada più si temprano, come se tanto ferro giovasse alla loro salute; e ci sono quelli non meno nobili e non meno valorosi, che essendo costruiti di pasta umana, ricevono ferite che sono ferite vere, e ne possono morire. Questa genìa di eroi umani si dimostra particolarmente vulnerabile non solo all'offesa delle armi, ma anche a quella delle sventure;brevi sono i momenti di felicità e di pace che toccano a loro e alle loro trepidanti innamorate. Zerbino è uno di loro. S'è appena ricongiunto con la sua Isabella, dopo che tanti ostacoli e traversie li avevano separati, e ora seguendo le tracce di Orlando, al quale entrambi devono la libertà e la vita. Da sparsi segni e testimonianze, apprendono che Orlando è impazzito, e ne raccolgono le armi seminate alla rinfusa sui prati. Ma Mandricardo, acerrimo nemico di Orlando, non crede alla sua pazzia e si dichiara legittimo possessore della spada Durindana. Zerbino sguaina la spada a difesa di quella dell'amico. Viene ferito, e Isabella interrompendo il duello corre in suo soccorso. La ferita di Zerbino è di quelle che avrebbero fatto sorridere Orlando o Ruggiero o Rodomonte, ma Zerbino è fatto di carne e ossa e vene umane, e la guerra per lui è rischio di morte, non un gioco. Egli ora giace presso una fontana, e porge il suo doloroso commiato a Isabella.
In mezzo a tante storie truculente e grottesche, con la loro vita e loro morte i due aprono uno spazio poetico di dimensioni e sensibilità diverse.Isabella segue la salma di Zerbino verso la Provenza , dove conta di dare sepoltura all'amato e di chiudersi in convento, ma ecco che sulla sua strada incontra un
prepotente che le sbarra la strada e le fa oltraggio.
E' Rodomonte: il re d'Algeri, dopo la fuga da Parigi, s'è ritirato alle foci del Rodano vicino a una chiesetta abbandonata. Deciso a dissaudere Isabella di farsi monaca, si getta sulla giovane. La storia grottesca sembra stia per trionfare sulla storia lacrimosa, invece è Isabella a vincere. Vince facendosi uccidere, obbligando con uno stratagemma il guerriero sciocco e brutale a una soluzione tragica lontana dalle sue intenzioni. Isabella dice a Rodomonte di conoscere il segreto di una pozione d'erbe che rende invulnerabili, e provando la soluzione su se stessa, invita Rodomonte a decapitarla con un colpo di spada. E lui la uccide. Rodomonte è un colosso dall'anima sensibile. Non ha paura di nessuno al mondo, la sua forza e tracotanza lo rendono invincibile, ma le donne si fan gioco di lui, e la sua mortificazione non ha limiti. Già la sua amata lo aveva lasciato per un altro uomo, e ora che Isabella lo inganna per farsi uccidere, sconvolge talmente la sua scala dei valori, che la sua vita ora sarà votata a un compito assurdo e sublime: onorare la tomba della giovane che lui ha scioccamente trucidato. In riva a un fiume profondo costruisce un mausoleo, al di là di uno stretto ponte. Egli si batterà contro ogni cavaliere che vorrà passare il ponte, lo vincerà e appenderà le armi come trofeo sulla tomba d'Isabella. Un giorno sul ponte si presenta, non un guerriero a cavallo, ma un uomo nudo e scarmigliato e ossesso. E' Orlando. Quel campione di ogni virtù, ora sconvolto dalla più fosca pazzia, si trova faccia a faccia col campione di ogni arroganza, ora invasato dall'ansia del sublime. Una qualità è rimasta intatta ad entrambi, ed è la forza. S'azzuffano sul ponte e finiscono in acqua tutte e due: Rodomonte gravato dall'armatura, fatica a tenersi a galla; Orlando nudo, nuota a riva e riprende il suo cammino come se non si fosse accorto di niente.

BRADAMANTE CONTRO RODOMONTE

I pettegolezzi fanno male a chiunque, figuriamoci per una donna innamorata come Bradamante. Da quando si vocifera che il suo Ruggiero la tradirebbe con un'altra donna e per di più guerriera come lei, ha il cuore straziato di rabbia e gelosia. Dalla rabbia Bradamante passa alla disperazione e arriva al punto di rivolgere contro se stessa la spada, ma l'angelo custode le ferma la mano e la esorta a sfogare il suo risentimento combattendo, sfidando il fedifrago Ruggiero e la rivale Marfisa. Bradamante si mette in strada verso il campo dei saraceni, dove a Parigi hanno subito una gran rotta.
Ora sono accampati ad Arles in Provenza, nelle vicinanze
della nuova dimora del loro campione ed eroe, Rodomonte. Durante il suo viaggio Bradamante come al solito, ha occasione di compiere prodi e magnanime imprese, ma le compie con malinconia e distacco, con la mente altrove. Una di queste imprese è nientemeno che il rituale duello imposto da Rodomonte a tutti i cavalieri dal ponte da lui custodito.
E' la trepidante Fiordiligi che l'ha chiamata, perchè liberi il suo sposo Brandimarte, che nel duello con il gigante è stato sconfitto e fatto prigioniero. Rodomonte non ha mai avuto fortuna con le donne, e anche con Bradamante deve pagar dazio. In duello sul ponte, i suoi misfatti bestiali sono puniti dall'eroina. In groppa al fedele Rabicano, incrociando le lance lo disarciona da cavallo: il colosso s'arrabbia talmente tanto, che si strappa l'armatura e la calpesta e va a nascondersi in una grotta.
Canto XXXV 40-41-42-43-44-45-46-47-48-49-50-51-52

Con un sospir quest'ultime parole
finì, con un sospir ch'uscì dal core;
poi disse: - Andiamo; - e nel seguente sole
giunsero al fiume, al passo pien d'orrore.
Scoperte da la guardia che vi suole
farne segno col corno al suo signore,
il pagan s'arma; e quale è 'l suo costume,
sul ponte s'apparecchia in ripa al fiume:

E come vi compar quella guerriera,
di porla a morte subito minaccia,
quando de l'arme e del destrier su ch'era,
al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante che sa l'istoria vera,
come per lui morta Issabella giaccia,
che Fiordiligi detto le l'avea,
al Saracin superbo rispondea:

Perché vuoi tu, bestial, che gli innocenti
facciano penitenza del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti:
tu l'uccidesti, e tutto 'l mondo sallo.
Sì che di tutte l'arme e guernimenti
di tanti che gittati hai da cavallo,
oblazione e vittima più accetta
avrà, ch'io te l'uccida in sua vendetta.

E di mia man le fia più grato il dono,
quando, come ella fu, son donna anch'io:
né qui venuta ad altro effetto sono,
ch'a vendicarla; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto è buono,
che 'l tuo valor si compari col mio.
S'abbattuta sarò, di me farai
quel che degli altri tuoi prigion fatt'hai:

Ma s'io t'abbatto, come io credo e spero,
guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi,
e quelle offerir sole al cimitero,
e tutte l'altre distaccar da' marmi;
e voglio che tu lasci ogni guerriero. -
Rispose Rodomonte: - Giusto parmi
che sia come tu di'; ma i prigion darti
già non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.

Io gli ho al mio regno in Africa mandati:
ma ti prometto, e ti do ben la fede,
che se m'avvien per casi inopinati
che tu stia in sella e ch'io rimanga a piede,
farò che saran tutti liberati
in tanto tempo quanto si richiede
di dare a un messo ch'in fretta si mandi
e far quel che, s'io perdo, mi commandi.

Ma s'a te tocca star di sotto, come
piu si conviene, e certo so che fia,
non vo' che lasci l'arme, né il tuo nome,
come di vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,
che spiran tutti amore e leggiadria,
voglio donar la mia vittoria; e basti
che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.

Io son di tal valor, son di tal nerbo,
ch'aver non déi d'andar di sotto a sdegno. -
Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo
che fece d'ira, più che d'altro, segno,
la donna, né rispose a quel superbo;
ma tornò in capo al ponticel di legno,
spronò il cavallo, e con la lancia d'oro
venne a trovar quell'orgoglioso Moro.

Rodomonte alla giostra s'apparecchia:
viene a gran corso; ed è sì grande il suono
che rende il ponte, ch'intronar l'orecchia
può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d'oro fe' l'usanza vecchia;
che quel pagan, sì dianzi in giostra buono,
levò di sella, e in aria lo sospese,
indi sul ponte a capo in giù lo stese.

Nel trapassar ritrovò a pena loco
ove entrar col destrier quella guerriera;
e fu a gran risco, e ben vi mancò poco,
ch'ella non traboccò ne la riviera:
ma Rabicano, il quale il vento e 'l fuoco
concetto avean, sì destro ed agil era,
che nel margine estremo trovò strada;
e sarebbe ito anco su 'n fil di spada.

Ella si volta, e contra l'abbattuto
pagan ritorna; e con leggiadro motto:
- Or puoi (disse) veder chi abbia perduto,
e a chi di noi tocchi di star di sotto. -
Di maraviglia il pagan resta muto,
ch'una donna a cader l'abbia condotto;
e far risposta non poté o non volle,
e fu come uom pien di stupore e folle.

Di terra si levò tacito e mesto;
e poi ch'andato fu quattro o sei passi,
lo scudo e l'elmo, e de l'altre arme il resto
tutto si trasse, e gittò contra i sassi;
e solo e a piè fu a dileguarsi presto:
non che commission prima non lassi
a un suo scudier, che vada a far l'effetto
dei prigion suoi, secondo che fu detto.

Partissi; e nulla poi più se n'intese,
se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
di costui l'arme all'alta sepoltura,
e fattone levar tutto l'arnese,
il qual dei cavallieri, alla scrittura,
conobbe de la corte esser di Carlo;
non levò il resto, e non lasciò levarlo.

LA FINE DI RODOMONTE

Prima di concludere voglio sottolineare che in questa esposizione dell'Orlando Furioso, ho volutamente tralasciato le gesta di Orlando per soffermarmi sulle due protagoniste femminili. Nel poema ariostesco ci troviamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione nell’immagine della donna. Se il Medioevo ci aveva abituati a figure femminili confinate ai margini della vicenda, incapaci di risolvere con le loro forze le situazioni in cui si vengono a trovare, ecco che Ariosto ci mette di fronte a due figure di donne assolutamente emancipate, indipendenti, volitive. Mentre Bradamante cavalca vestita della sua armatura e sconfigge cavalieri e maghi, Angelica pensa, riflette, calcola il modo migliore per raggiungere il suo scopo. Alla fine, tutto è bene quello che finisce bene, e i nodi vengono sciolti: Orlando è rinsavito, Carlo ha vinto la guerra, non restano che celebrare le nozze di Bradamante e Ruggiero. Già, lui ora si è convertito al cristianesimo e Rinaldo gli ha promesso la mano della sorella. Quali altre complicazioni possono ormai succedere ? Ne succedono, invece, e di così vaste da aprire quasi lo spazio per un altro poema nel poema che sta per chiudersi .
Il duca Amone ( padre di Angelica ) ignorando la storia d'amore della figlia con Ruggiero, ne ha promesso la mano a Leone, figlio dell'imperatore di Grecia, Costantino. Può un duca rimangiarsi la parola ? Ruggiero con un espediente riesce solo a far rimandare di un anno la decisione, e parte per i Balcani con l'idea di spodestare Costantino e Leone dal trono d'Oriente. Ma come già sappiamo dei movimenti della scacchiera ariostesca, Ruggiero riesce ancora una volta a farsi catturare, e sarà solo per la generosità di Leone che verrà liberato di nascosto dalle grinfie del padre, guadagnandosi la perpetua riconoscenza. E' il suo destino essere amato dai nemici e di cacciarsi in situazioni in cui non capisce più da che parte deve stare. Rieccolo dunque in un dilemma tragico: il debito di gratitudine gli strazia la coscienza. Bradamante intanto, per sfuggire alla strettoia, convince Carlo Magno a indire un torneo. La guerriera concederà la sua mano solo al cavaliere che riuscirà a resisterle dall'alba al tramonto. Ella è sicura che le sarà facile buttar giù di sella Leone, cosicchè Ruggiero vinca e se la sposi. Dopo innumerevoli colpi di scena alla fin fine sarà Ruggiero ad avere la sua mano; d'altronde le profezie del mago Merlino non lasciavano adito a dubbi: Ruggiero la sposerà perchè dalle loro nozze possa prendere origine la dinastia degli Estensi, duchi di Ferrara. E perchè, conseguenza ancora più importante, un oscuro funzionario di casa d'Este, Ludovico Ariosto possa - a gloria dei suoi signori e suo proprio diletto - scrivere L'Orlando Furioso.
Il poema sta per finire, ma c'è ancora un personaggio che incarna una dignità comica più forte di tutte le dignità tragiche. Alla fine della festa di nozze di Bradamante e Ruggiero, dopo nove giorni di banchetti, saltando fuori dalle spelonche dell'anfrattuoso poema - dopo aver disseppellito le armi e alla fine del lungo castigo che si era autoimposto per la magra figura rimediata con l'invincibile donzella - si presenta un cavaliere enorme tutto bardato di nero per sfidare l'ex compagno, e impedire che il poema si compia. E' lui, Rodomonte, il più spavaldo, il più suscettibile, il più sfortunato, il più patetico di tutti gli eroi di Ariosto.
Ancora una volta le lance volano in una girandola di schegge, nell'ultimo duello che gli sarà fatale: la sua malinconia, la sua inesausta riserva di energie, lo accompagneranno in una lenta spirale verso il buio Acheronte del silenzio.

Canto XLVI 139-140

Pur si torce e dibatte sì, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che 'l pugnal tiene,
che trasse anch'egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s'accorse de l'errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.
E due e tre volte ne l'orribil fronte,
alzando, più ch'alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squalide ripe d'Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.

Alla fine di questo lunghissimo e appassionante viaggio, aiutato a dismisura dal libro ORLANDO FURIOSO raccontato da ITALO CALVINO, non posso trattenere la gioia per la fortuna di aver scoperto questa straordinaria guida, che può offrire a tutti un prezioso aiuto per approfondire le storie ivi raccontate. Un'opera questa, frutto del grande amore di Calvino per l'Ariosto, esattamente come fu per Giuseppe Ungaretti verso Omero, quando lesse e commentò l'indimenticabile Odissea televisiva . Un grazie infine ad Auriga per tutto quello che aveva intuito, per gli stimoli che mi ha procurato e per le emozioni che ho avuto nel leggere e (tra) scrivere tutto questo.

L'APPARENZA

Quindi facendo finta
che non sai parlare
ti metti un dito in bocca, l'anulare
.

Di Angelica sappiamo di certo che era detentrice di un anello magico, il quale aveva il potere di dissolvere gli incanti e di farla sparire. Per compiere questi incantesimi Angelica doveva mettersi l'anello in bocca, e l'anulare è proprio il dito dove si portano gli anelli. Bradamante invece lo portava al dito per combattere e sconfiggere i suoi avversari.
Un anello al servizio di due donne, così diverse tra loro
( forte e invincibile Bradamante, astuta e imprendibile Angelica ) e allo stesso tempo così uguali. Le due facce identiche della stessa medaglia.

Fu a me che lei lo disse O a lei che io l'ho detto Nessuna vita è illesa in bocca al godimento Esiste un solo viso Seppure cambia aspetto

Dirigi una quinta qualsiasi
sposti tre vasi come le tre carte


Le arti circensi, con i suoi giocolieri e fantasisti, uniscono in un unico contesto diverse espressioni artistiche che abbiano come trait d’union la teatralità popolare
ed il forte richiamo alle tradizioni. Nell'Italia meridionale le gesta di Orlando e di questo genere di teatro iniziò con i cantastorie a Napoli, e continua ancor oggi con il Teatro dei Pupi , con le pitture sulle fiancate dei carretti siciliani. Il repertorio del Teatro dei Pupi, attingendo dai poemi cinquecenteschi e a compilazioni ottocentescche, comprendeva storie cicliche che venivano rappresentate a puntate e continuavano per mesi e mesi, fino a un anno e più.
I pupari
Questa tradizione viene portata avanti ancor oggi dai Pupari siciliani,i quali ripercorrono con il loro teatro e animazioni,la leggendaria epopea dei paladini di Francia. Ultima considerazione: la citazione dei vasi potrebbe essere collegata al dissolto castello di Atlante, e sucessivamente al senno di Orlando ritrovato da Astolfo sulla luna: " Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso in che il senno d’Orlando era rinchiuso..."

mi metti a parte di una confidenza
senza vocali e senza consonanti
tiri con gli occhi chiusi sull'atlante


Un singolare gioco di parole.
Panella si diverte un mondo a giocare con rime e assonanze, con vocali e consonanti, con i doppi significati.
E' un vero mago pieno di segreti, come Atlante !

Come all'aperto al chiuso Come al chiuso all'aperto Come il rubato abuso Di un sopruso offerto Come un gesto deciso Per quanto nasca incerto Come se fosse escluso Che con te mi diverto

l'indice come un pulsante
accende una nazione in cui mi sa
che a quest'ora è notte piena o molto nuvoloso


In ogni canto dell'Orlando Furioso la mappa del mondo si dispiega continuamente da un lato all'altro dei continenti.
Per gli eroi di Ariosto a cavallo dell'Ippogrifo è facile sorvolare continenti interi. Una fantasiosa geografia d'Asia e d'Europa scorre davanti ai nostri occhi, il fuso orario viene annullato: chissà se a quest'ora dall'altra parte dell'universo sarà giorno o notte. Ricordo quando da bambino mi perdevo a guardare un mappamondo illuminato e lo facevo girare come una trottola. Puntavo il dito e lo fermavo a caso su una nazione e poi cominciavo a viaggiare con la fantasia.

pieghi la schiena
cali il tuo sipario di capelli
sopra l'armamentario voluttuario


Bradamante, intrepida e leggiadra, viene portata allo spirito di perfezione del cavaliere.
Ecco l'avvenente eroina guerriera dalle lunghe chiome, racchiusa nella sua lucente armatura.
I pupi siciliani, Bradamante

quindi ti sollevi in mulinelli
dall'indaco e il blu di Prussia profondissimi.


L'isola di Alcina era situata nel bel mezzo dell'Oceano Indiano ( o Indico ) blu e immenso, profondissimo, con le sue correnti, il rumoreggiare dei cavalloni , i gorghi, i vorticosi mulinelli. Al meraviglioso della geografia succede il meraviglioso della fiaba, e se chiudiamo gli occhi per un istante non sarà difficile affatto vederla cavalcare le onde in soccorso del suo uomo. E' sorprendente come si possa giocare in tal modo con le parole. Tutto questo mi riporta ad un giochino famoso dell'inimitabile giornalino enigmistico, nel quale partendo da una determinata parola, e concatenando le altre elencate alla rinfusa, si deve al fine arrivare al centro al bersaglio. Ponendo come parola iniziale " dito " si può quivi inanellare una sequenza mozzafiato fino alla conclusiva " marosi ". Come ?
- Dito - Bocca - Invisibile - Anello - Anulare - Indice - Indico - Indaco - Blu - Prussia - Nazione - Atlante - Cavalli - Delfini - Marosi -

Ti rilassi bussando
tristemente assorta sopra una porta
che non c'è per niente la spingi che era aperta


Lo sviluppo della poetica panelliana tocca punte altissime: in questi versi: in ben cinque frangenti, l'esse doppia si ripete a rotazione. E poi a scanso di dubbi si può denotare una chiara allusione al teatro, dove gli scenari sono sempre posticci e finti (come le porte e le finestre )

mi racconti come un capogiro
i fatti i posti pieni di respiro
mi presenti un regalo
ed attraverso ci vedo
le tue mani contenenti
lo scarti prima sciogli
questi fiocchetti inestricabili


La bella Bradamante sembra una donna come tutte le altre, ma solo apparentemente. Sa fare regali speciali al suo amato, gli
ha raccontato tutto, appena Ruggiero lo avrà fra le mani questo piccolo oggetto cambierà il corso del suo destino. Lui non sa ancora che ha il potere di sciogliere i nodi di qualsivoglia incantesimo.

ti imbrogli e fai cadere e credere
in un danno incalcolabile e l'aria vulnerabile raccogli
incolli l'invisibile


Sa pure rendere invisibile le persone questo anello, e quasi le cadeva di mano. Stava per combinare un pateracchio la donzella.
A volte succede di coglierla vulnerabile, ma solo per un attimo: poi ritorna sempre tosta e invincibile.

e d'improvviso scrolli in gocce questa scena
fai la feroce coi baffi che non hai da puma
sulle guance gonfiate fai la precoce.


Poi, scoprendo la lunga chioma, mostrerà agli altri cavalieri come una bella ragazza sia tanto abile con le armi.
La sua figura androgina femmina-guerriera è un puro ibrido di eroicità e purezza, valore e sensualità , visibile anche in altre antiche eroine, come Giovanna d'Arco.
Entrambe incarnano il tipo di donna che agisce con la determinazione della tigre, difendendosi con zanne ed artigli.

Che scarica un gran volume
d'indolenza incendiaria
quindi sei l'avversaria di un arioso colosso pugilatore


Una lotta all'apparenza impari contro il colosso Rodomonte, che sapeva spiccare balzi di più di nove metri e atterrare leggero come una piuma.

poi mormori indecenze
senza parole a un confessore
lo respingi in sequenza d'inseguimento
infili il balcone ti scansi di lato
fai la ricognizione
se ha fatto centro il precipitato.


Alla fine è Bradamante, che imprecando alle malefatte del gigante lo disarciona da cavallo e vince.
Lei si scansa di lato sulla balconata del ponte, quasi cadendo nell'acqua, ma è Rodomonte a precipitare a faccia in giù.

Rientri con cavalli fragorosi e salti di delfini
tra marosi.


L'orchestra con un crescendo finale da epopea, crea un’atmosfera ed un'emozione unica.
La musica è l'arte più vicina alla natura, solo i grandi musicisti hanno il privilegio di captare tutta la poesia del creato e ricostruirla su di uno spartito.
L'epilogo mi trascina assieme alla protagonista in un lungo peregrinare tra i flutti dell'oceano, su scogliere lontane dove s'infrangono le onde in mille spume.
Tra echi di vento e voci di gabbiani, mi pare quasi di udire oltre ai delfini anche i cavallucci marini. E poi, ancora visioni di rotte fantastiche, di velieri e isole sperdute, di orche, di fate, di cavalieri erranti ...



02/02/2007 22:38
 
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Ciao Vate Galante!
complimenti per l'analisi che ancora non ho letto per intero (è lunghissima!) ma so già che è molto interessante...
Luce
03/02/2007 12:50
 
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ricordi scolastici
Quasi come ai tempi della scuola.
La differenza è che allora era un onesto professore che ci spiegava un po'sommariamente i versi dell'Orlando Furioso.
Ora, con Italo Calvino tutto è più facile.
Forse perchè allora pensavo ad altro... [SM=g27777]

ciao e grazie
07/02/2007 13:41
 
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Re: ricordi scolastici

Scritto da: Il vate galante 03/02/2007 12.50
Quasi come ai tempi della scuola.
La differenza è che allora era un onesto professore che ci spiegava un po'sommariamente i versi dell'Orlando Furioso.
Ora, con Italo Calvino tutto è più facile.
Forse perchè allora pensavo ad altro... [SM=g27777]

ciao e grazie



:-) c'è un tempo per ogni cosa...
Ciao, Mina
11/04/2007 12:33
 
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Re:
In effetti questa disamina lascia senza parole ed è assai condivisibile ma proprio per questo merita di essere riordinata dal suo autore e ben studiata da noi lettori.

Solo non capisco tuttavia perché questa geniale interpretazione non possa andare d’accordo con quella che immagina lei in un approccio amoroso, alle prese con un comune atto di amore fisico che la porterà ad avere un amplesso con il suo amante?
Perché la descrizione di questo fatto di intimità domestica, e in fondo più romantico che pornografico, non potrebbe meritare di essere espressa mediante una raffinata allegoria?

Una volta messer Pasquale Panella in una intervista disse questo:
“per me la canzone è la voce dell'intimità, cioè tutto quanto tu diresti nell'intimità, tua nell'intimità più profonda, l'intimità più scabrosa, l'intimità più cocente, l'intimità più amorosa, l'intimità più... l'intimità più languente. Quella per me è canzone.” [Alfonso Amodio, Mauro Ronconi - ARCANA editrice - 1999]

11/04/2007 20:04
 
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L'apparenza inganna
Dipende fino dove si vuole arrivare con l'esegesi panelliana, anche se chiamarla così mi sembra riduttivo nei confronti di Battisti.Forse in questi brani qualcosa di Lucio c'era, basti pensare al fatto che fino all'Apparenza,compariva un certo
" Veronesi " tra i crediti. Mi sembra lapalissiana la cosa:non tutto era farina di Pasqualino dunque.Ecco perchè la mia etica mi impedisce di credere che un uomo di quarantacinque anni, al culmine della sua straordinaria carriera artistica, si mettesse a celebrare un coito orale. Sono volato oltre a questa ipotesi, perchè sono arciconvinto che Battisti con questi brani volesse declamare frasi e versi appartenenti alla cultura. Il fine dicitore non poteva fermarsi dove arrivavano i canzonettari nostrani. Tutto è apparenza, niente è come sembra, ricordiamocelo...
13/04/2007 13:12
 
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Re: L'apparenza inganna
Sarà, ma ancora non ho capito perché è escluso che l’amore fisico possa essere celebrato con versi colti e raffinati. D’altronde anche l’espressione “coito orale” ha già in sé qualcosa di ambiguamente poetico, e poi a dire il vero non ho mai sentito una canzonetta di tipo tradizionale parlare di pompini.

“Tutti quelli che ascoltano canzoni sono puritani, mormoni...” [intervista a P.P. di Gianfranco Salvatore, primavera 2000] “…la canzone è l'intimo, sono le parole dette a un orecchio solo, io l'ho sempre detto, […] e cominciai ad avere dei coiti con l'orecchio della spettatrice. Questo è canzone, è fornicare con l' orecchio della spettatrice, sapendo benissimo che ci hai già fornicato. [sempre ARCANA editrice - 1999]”

Per quanto riguarda la presunta influenza di Battisti sui testi di Panella, non c’è nulla di lapalissiano: non c’è alcun fatto che lo dimostri, anzi al limite ci sono le affermazioni di P.P. che la smentiscono categoricamente:

- L'incontro con Battisti è stato casuale oppure un desiderio dello stesso di seguire un percorso musicale e sonoro predeterminato? Cosa vi siete detti all'inizio della collaborazione?

”Niente, niente, lui non sapeva che cosa gli sarebbe capitato e basta. Non sapeva nulla di quello che gli sarebbe capitato, assolutamente nulla.”

- La tua autonomia artistica in questo progetto?

”Direi pericolosamente più che totale. Guarda, una cosa è avere la libertà di fare quello che ti pare, un'altra cosa la libertà di fare pure quello che pare all'altro o che non pare o che non sa.”

- E' convinzione generale che il vostro era un rapporto abbastanza atipico, ovvero il tuo era uno scrivere quasi su commissione...

”No, assolutamente.”

e poi aggiunge un commento laconico “…Brodo mio”

[…]

- Battisti le ha mai fatto proposte di modifica, sui testi? Voglio dire: non sulle metriche, ma sui contenuti?

”Il problema sarebbe stato capire quali erano, i contenuti.”

[ancora da ARCANA editrice - 1999]

Secondo me B scriveva la musica e P i testi, punto e basta. Tutto al più possiamo considerare che B avesse una posizione privilegiata, rispetto a noi altri, per la comprensione dei testi poiché poteva fare delle domande all’autore. Ci è lecito ipotizzare che qualche volta P abbia scritto pensando B ma è solo una ipotesi, e in certi casi la condivido.

13/04/2007 20:51
 
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E allora chi è questo misterioso Veronesi che collaborava con Battisti e Panella ? La signora Grazia Letizia che aiutava il marito a comporre le musiche ?
Da escludere a priori, poichè Velezia non è mai stata una musicista. Ma una " poetessa " si, mi sembra innegabile.
Panella può dire quello che gli garba ( ne ha dette talmente tante ) ma sui crediti del vituperato cofanetto celebrativo la verità è venuta a palla. O no ?

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