Una che non sia vostra

Sui giorni della gogna, nessuno ce lo insegna, ha scritto la cicogna, legna è chi s’ingegna
a trovare la via d’uscita, eppure non è fallita la ditta che ha venduto cibi freschi
del secolo scorso ai tedeschi nei boschi delle streghe. La crisi è quella cosa che rende
più ricchi i ricchi, con picchi dentro gli occhi di lacrime di gioia, che noia questa gente,
arrogante e prepotente che non sente il silenzio che avanza e che ci taglia l’erba sotto i piedi.
Tutto quello che possiedi è in quel cartone, compresa la canzone che hai scritto,
guitto e sconfitto, il paletto conficcato nel cuore come i vampiri nell’ora della morte,
la sorte che ci è riservata è filtrata dal mistero, nero che sbiadisce sino al grigio,
fregio del pensiero a una dimensione, lasciateci un’idea, solo una che non sia vostra,
che non l’abbiate già prodotta e venduta nelle vostre fabbriche di sorrisi.
Menzogne e verità, in rapporto di quattro a uno, ogni pappagallo che le ripete
è un prete della chiesa dei turisti della lingua morta. Sono in tanti, pure quel mio amico
che s’è fumato il cervello e che vuole le donne arrosto come castagne e il nipote
scemo che gli dà ragione, coglioni del mondo unitevi, nella catena di Sant’Antonio
dei grulli con i mantelli dei bulli. Se alzo lo sguardo, è sul deserto che mi localizzo,
lo ha detto Google, un’amica o due a farmi compagnia, a fissare le stelle
e a sognare il trasloco nel secolo della ragione. Solo ragazze col cappello rosa,
la mamma riposa, non la svegliate, una volta stava sulle barricate, ora sbatte
le uova per tutti, schiava pure delle figlie ribelli. Schiavi siamo tutti
se non alziamo la voce, la croce sulla spalla, la folla che balla nella notte,
è l’ultima notte al buio, quando tornerà la luce, il cielo sarà spento.