Medieval 2 Total War
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Khanato di Volga-Bulgaria: ricerca storica

Ultimo Aggiornamento: 31/08/2013 16:06
26/09/2011 12:34
 
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Barone
Altri prodotti “bulgari” erano le pietre semipreziose degli Urali o l'ambra. Fra i reperti di gioielli ritrovati in Choresmia c'è infatti l'ambra che giungeva dal Mar Baltico. La portavano nelle borse gli artigiani “russi” che migravano sul Medio Volga per guadagnare di più perché avevano fama di saperla lucidare meglio di chiunque altro. Costoro si muovevano di nascosto per timore che, come abbiamo appena detto, fossero prelevati e mandati chissà dove. Le infiltrazioni “russe” sono interessanti poiché in tutti i casi i maschi si rifacevano una vita con le femmine locali creando genti miste. Doveva essere una tradizione consolidata giacché uno storico russo del XIX sec. D. Ilovaiskii riusciva a vedere nei Bulgari dei discendenti degli Slavi!

Naturalmente un processo molto simile, ma più intenso, accadeva fra Bulgari e Ugro-finni. Anzi! Abbiamo già accennato a Biljar e questa città, detta Città Grande quando andò in auge al posto della desolata Bulgar nel tardo XII sec., sembra fosse il centro dei cosiddetti Bulgari d'Argento nominati nelle Cronache Russe. è un etnonimo molto strano però e c'è chi lo deriva dal fatto che il Vjatka è chiamato in tataro Nokrat Sui in cui Sui significa fiume e Nokrat sarebbe il nome del metallo visto che a volte il Vjatka è detto il Fiume dell'argento. C'è però chi dice che Nokrat Sui significhi niente altro che il fiume che porta a Novgorod e sul quale Biljar manteneva i contatti con la repubblica del nord. In una lettera del 1540 diretta da Ivan il Terribile ai governanti di un villaggio della regione c'è la prova per quest'ultima interpretazione. Nello scritto questa regione è detta Terra di Novgorod e apparentemente conferma che Nokrat sarebbe la lettura corrotta di Novgorod e non avrebbe niente a che vedere con l'argento. A parte l'argento, dagli Urali arrivava di certo il rame...

Insomma della foresta e delle sue ricchezze e dei loro rapporti con le sue genti, i Bulgari ne fecero la propria ragion d'essere, ma sempre mantenendo le loro scorribande avvolte nel mistero e così contribuendo quasi sicuramente al silenzio dei documenti!

Se volgiamo adesso l'attenzione alle importazioni, va fatta prima di altre una riflessione particolare sull'ambiente che, come abbiamo ripetuto in queste pagine, condiziona pesantemente la vita e i comportamenti di chi abita già un po' più a monte dell'ansa di Bulgar. Questa parte della Pianura è estesissima e coperta di alberi, laghi e fiumi fino al Mare dell'Oscurità e, quel che più conta, è soggetta ad un clima continentale molto rigido. Più che di agricoltura, qui si dovrebbe parlare meglio di orticoltura giacché la buona stagione è troppo breve per coltivazioni intensive sul suolo sabbioso e le temperature medie troppo basse richiedono, come abbiamo detto poco prima, cereali a crescita rapida e con rese abbondanti per poter essere usati con soddisfazione nell'economia contadina. Siccome le tecniche adottate nel Medioevo e le piante allora coltivate non erano le più adatte per questa gelida parte d'Europa, la gente l'abbiamo già vista in giro per la foresta a raccogliere quanto di commestibile c'è per poter integrare la dieta durante la stagione fredda, oltre che andare a pesca e a caccia con ogni tempo! Agli uomini e alle donne però procurarsi il cibo non basta e servono tantissime altre cose che a queste latitudini non sono reperibili e si possono soltanto sognare. Si sa dai rarissimi viaggiatori che passano di qui, che nel sud del continente c'è in abbondanza quanto serve a vivere bene perché le genti di quei paesi hanno un livello tecnico alto e un clima più mite. Miti da Kalevala o da Kalipoeg, ma anche di oggi...

Come fare ad aver dei contatti col sud? Una soluzione potrebbe essere emigrare in massa in quella direzione, ma si rischia in tal modo di capitare in territori già abitati dove o ci si scontra o ci si sottomette ai signori locali, complicandosi ancor più la vita. L'archeologia ci dice che anche queste esperienze furono fatte...

Un'altra soluzione più semplice però c'è ed è ricorrere al mercante. Costui, se lo si riesce ad attirare da queste parti, porta con sé tantissima roba come arnesi di tutti i tipi e di buona qualità e durevolezza. Non solo! Costui facilmente “si mimetizza” e, se entra in confidenza con i locali, insegna le tecniche di lavoro nuove e ben sperimentate del sud per lavorare i campi o conservare gli alimenti di riserva. Offre i medicamenti più portentosi e le leccornie mai gustate prima oltre a mettere in mostra bellissimi ornamenti per le ragazze (le monetine da appendere intorno alla fronte!) e ad offrire lavoro all'estero ai giovani...

Non lo si crederebbe, ma questi oggetti e queste proposte potevano veramente salvare un villaggio che per un freddo troppo forte e improvviso o una stagione andata male si trovasse in estrema indigenza, come sappiamo dal folclore locale. Purtroppo il mercante, se suscita grandi aspettative, non è però un missionario e nelle compravendite cerca solo un guadagno ed è disposto a scambiare merce per merce solo se riesce a conciliare la domanda di articoli che i suoi clienti gli hanno passato con la roba che il fornitore del nord è in grado di proporre. Se ciò è fattibile, allora l'affare è fatto.

Questi contatti, questi incontri al mercato, non erano numerosi e al massimo potevano essere un paio all'anno e quindi la tempistica delle decisioni da prendere incideva moltissimo sul comportamento reciproco durante le trattative ed era fondamentale che sia la merce offerta sia quella richiesta non variassero nella qualità per evitare discussioni o addirittura finire con un Ci-risentiamo-un'altra-volta! I problemi erano minori invece, se si trattava di variare le quantità giacché il mercante sapeva come costringere il fornitore nordico a raccogliere più e meglio... se non voleva esser lasciato a morir di fame! Erano i termini ricattatori in uso allora, ma non tanto dissimili da quelli che sono correnti ancora oggi...

Come abbiamo visto, i clienti più esigenti sono le élites compratrici che fortunatamente dal punto di vista della moda risultano abbastanza conservatrici nel periodo fra il IX e il XII sec. per gli articoli e per le materie prime provenienti dal nord. L'archeologia, scavando fra le tombe delle classi abbienti d'Europa e del Vicino Oriente, ci fornisce un quadro dell'arredo funerario che rimane immutato per un lungo periodo quanto all'oggettistica fatta da articoli “nordici”, fra l'altro denunciando un aspetto interessante del traffico nord-sud cioè che il modo di vita delle élites meridionali era di gran lunga superiore da ogni punto di vista a quello del nord! è un aspetto da tenere a mente, questo, perché condizionò a lungo le relazioni fra Bulgar e i Rus...

Non essendoci inoltre una produzione di massa con un'industria organizzata in modo capitalistico, il mercante deve mediare in continuazione fra la domanda compratrice, con alto potenziale d'acquisto e da accontentare sempre e comunque, e l'offerta di una società povera e sottosviluppata come quella della foresta che invece può essere trattata con più arroganza. E così, se è possibile migliorare la qualità della roba acquisita per aumentarne il prezzo o nascondere qualche difetto al cliente finale, il mercante ricorre, dove può, all'artigianato locale. è uno stadio intermedio della filiera del traffico sul Volga-Don che troverà riscontro nella Pianura soltanto in due centri manifatturieri del Medioevo Russo: Novgorod e Bulgar.

Assimilati questi aspetti contrastanti, possiamo discutere dell'import ossia dell'operazione fondamentale sulla quale è fondata l'intera vita dello stato bulgaro sul Volga.

In primo luogo sicuramente legheremo le importazioni definitive, per oggetti e derrate e altro destinato al consumo cittadino, o temporanee, per riesportazione o rilavorazione e successiva riesportazione, alla Via della Seta di cui Bulgar era il punto di smistamento chiave per i prodotti (materiali e immateriali) che partiti dalla Choresmia erano diretti al nordovest europeo.

In secondo luogo l'import si trova in stretta relazione con le situazioni politiche ed economiche prodottesi verso la metà del IX sec. in Europa Occidentale (l'Impero degli Ottoni soprattutto) dove nasceva il feudalesimo e nel Vicino Oriente in cui l'Impero Abbaside dopo lo splendore si stava frammentando.

Seta, pellicce pregiate, gioielli e pelli conciate al succo di betulla ci trasportano nel campo dell'industria medievale islamica del X sec. che era la società produttiva veramente avanzata e fervente di ricerca tecnica e il cui riverbero è ben visibile negli scavi intorno a Bolgar e nelle scelte politiche di questa stessa città, ma anche nelle realtà ad essa vicine (slave e ugrofinniche) non ancora politicamente consolidate.

Guardando il quadro generale ci intriga il fatto che nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente dopo tre secoli di confronto e di lotta fra Islam e Cristianesimo per cercare di prevalere, è specialmente l'Islam che rafforza la propria ideologia nei nuovi convertiti con enormi risorse.

Incuneatosi nel cuore dell'Impero Persiano e dell'Oriente Romeo aveva promesso di sopprimere gran parte del clero parassitario e in verità lo aveva fatto con un certo successo per quasi un secolo. Poi però aveva generato un corpo burocratico-religioso tutto suo che reclamava il suo ruolo autonomo nella realtà del nuovo stato islamico (e degli stati islamizzati), ma anche il diritto a rivestire un ruolo maggiore nella gestione del potere. Scoppiano a non finire in questi anni complicate discussioni filosofiche e dibattiti religiosi accesissimi a cui seguono persino secessioni e movimenti riformisti che, ciascuno a suo modo, si indirizzano più che mai ad accentuare il tentativo combinare il sacro divino col potere pratico terrestre.

Che significa? In modo semplice che il potere (arabo sultan) discende da un'entità indefinibile, ma potentissima, chiamata Dio (ar. Allah) a cui appartiene l'ordine dell'universo che essa stessa ha stabilito e vuole mantenere. L'uomo (o la donna) eletto (ar. mustàfa) a cui la divinità ha concesso una parte di potere è dichiarata persona sacra con la funzione di disciplinare la società e proteggerla dai cambiamenti. Sacro è una parola che significa intoccabile, inviolabile, inesorabile come per l'appunto è tale il rappresentante della divinità (ar. amin e poi khalìfa)!

La sacralità personale di quest'ultimo (e dei membri della sua clientela che costituiscono il blocco del potere) deve essere costantemente riaffermata e confermata, sebbene il suddito sia stato educato a non invidiare e a non osare di emulare il potente, ma ad averne riverenza e timore e a dipendere dal suo favore. A questo scopo la struttura sociale intorno al sovrano usa non solo l'insegnamento impartito ai giovanissimi per far riconoscere come giusto l'arbitrio al di sopra di qualsiasi comportamento tradizionale diverso, ma mette in atto un vero e proprio spettacolo del potere con periodiche e ripetitive liturgie nelle feste, nelle celebrazioni, nei riti religiosi sia civili sia militari affinché il consenso sia il più allargato e solido possibile. In questo scenario appare come protagonista passivo il “re” con gli oggetti esclusivi e gli abbigliamenti più speciali o i “regalia”.

Se procurarsi il cibo o costruirsi un riparo o vestirsi sono attività che la maggioranza della gente nel Medioevo sapeva svolgere senza interventi tecnici esterni, per l'élite, custode divina dell'universo così com'è, il vestirsi e l'agghindarsi non serve tanto a proteggersi dalle intemperie quanto invece a mostrare nella società Chi è che governa e a distinguersi dal governato. Il vestito, la divisa, la livrea a chi t'incontra dicono “chi sei” e “quanto potere hai” in una società senza contropoteri bilancianti (chi oserebbe contraddire le parole e gli ordini di Dio?) e sommersa in continui conflitti.

è questa società cittadina islamica abbozzata qui sopra che si stava diffondendo come modello nel Sudest asiatico, nell'Africa e nell'India oltre che nell'Asia Centrale e lungo il Volga e che nei secoli IX-XI d.C. vive i momenti del suo maggior sviluppo e del suo splendore teorizzata nel famoso Libro del Potere di Ibn-Qutaiba (fine del X sec.). In altre parole, sebbene in molti suoi passi il Corano predichi la moderatezza nel vestire e nell'apparire, nel mangiare e nel comportamento, si accetta poi il fatto che le élites debbano mettersi in mostra ed esaltare il proprio ruolo “superiore” e che sia legittimo spendere grandissima parte delle entrate per alimentare l'ostentazione del potere. Addirittura il potere si abbina a certe materie prime pregiate costituendo il primo motore del traffico mercantile internazionale dal X fino al XVI sec. e di ogni attività con esso connessa.

La Via della Seta diventa pertanto una strada di traffici importantissimi per la presenza “politica” di quei prodotti destinati a quell'uso tanto che le guerre e gli scontri nel Centro Asia furono quasi sempre il seguito di problemi inerenti alla seta e al suo traffico...

Viaggiano stoffe e profumi, spezie e portentose medicine, oggetti e animali magici e strani! I cerimoniali, le sagre, le feste diventano la parte maggiore del tempo che si trascorre nel bazar, parola persiana che indica il mercato, tanto che quel luogo di ritrovo diventa più variopinto e il passaggio dei potenti per le sue viuzze obbligano l'astante non solo a sostare e a ossequiare, ma anche e soprattutto ad ammirare l'appariscente parata di baldacchini, portantine ricamate, tappeti stesi per terra, donne velate, cappelli variegati e strascichi lunghissimi, flabellari con gli scacciamosche e parasoli e soldati con armi scintillanti. è un vero e proprio circo che si muove con danze e canti fra la gente più semplice e ammirata...

Non sfugge a questa logica neppure il pellegrinaggio alla Mecca che anzi offre più occasioni per mettere in mostra la posizione sociale del pellegrino nei vestiti e negli ornamenti mentre sosta e man mano si avvicina alla Santa Mecca. Anche questi sono momenti teatrali, pur sempre sacralizzati, e si racconta che il figlio dell'Emiro (ma quale?) di Bulgar nel suo Hag'g' fece lo spettacolare gesto di donare al Califfo, abbaside visto che il nero era il colore della dinastia, un numero spropositato di pregiate pellicce di volpi nere.

In ossequio al Corano, gli abiti non dovrebbero essere stravaganti quanto invece sottolineare il materiale di cui sono fatti (orli dei mantelli rivoltati all'esterno per mostrare il pelo di zibellino) che è un dono di Dio riservato ai suoi eletti. E in questo caso fra le materie prime il prodotto principe che nell'indossarlo permetteva il maggiore sfarzo era appunto la seta col suo fruscìo e i suoi smaglianti colori! Con la seta si fa il broccato con fili d'oro e d'argento per gli abiti esterni o per le sciarpe, i legacci, le mantelline, i veli e le velette! Naturalmente sono stoffe preziose anche quelle fatte col carissimo lino per la biancheria intima (coltivato e filato nella vicina Suzdalia) che appare fra i polsi o fra le pieghe delle sciarpe fino ad arrivare alla canapa e al cotone di minor prezzo.

Le classi soggette godranno anche loro di questo boom della moda, se si nota il vestito dei servitori e dei cortigiani o come le loro donne si abbigliano. Invece della seta, per loro andrà benissimo il cotone peloso o “velluto” appunto, che non deve sfavillare come la seta dei padroni, ma che è molto meglio certamente della rozza canapa o della lana! Per le scarpe? Va bene la pelle di capra conciata o il marocchino (safjan). Questi particolari nell'abbigliamento, ci informano le Cronache Russe, servono a distinguere senza esitazione nella congerie multietnica del Volga i Bulgari (gli eleganti) dai vicini slavo-russi (i selvaggi)!

Il sarto a questo punto non è il normale artigiano, ma un servitore fidatissimo perché a contatto intimo col corpo del padrone. Sceglie le pellicce, le stoffe, l'argento per borchie e per fibule etc. e a lui e ai suoi gusti è affidata l'apparenza giusta in pubblico del potente e per questo riceve persino… una cospicua parte dell'eredità, nel caso che il padrone muoia prima! Almysc' ne aveva uno tutto per sé che gli preparò gli abiti per l'incontro con Ibn Fadhlan...

La seta, come sappiamo, proveniva dagli operatori delle oasi della Choresmia, di Samarcanda, di Bukharà, di Murgab e di Bactria. è un'industria che aveva radici antiche sulle coste del Mar Caspio, benché i bozzoli non fossero bianchi, ma gialli e quindi di qualità certamente buona, non inferiore a quella cinese. L'Armenia, il Curdistan e certamente la Persia insieme con le dette oasi esportavano sete in tessuti e persino gregge e al-Istakhri non teme d'esagerare dicendo che i prodotti serici del Centro Asia erano i migliori del mondo! E non era un'industria da poco o che produceva piccole quantità, se teniamo presente che in un solo colpo nel 917 un'ambasciata romea ricevé a Baghdad in dono per l'Imperatore Costantino VII Porfirogenito 38000 tendaggi, 12500 vestiti di gala, 25000 arazzi, 8000 tappezzerie e 22000 tappeti... tutti fatti di seta!

Proseguendo invece per il Nord Europa, via Bulgar e poi via Novgorod, le sete avevano lo svantaggio di richiedere consegne lunghissime: oggi per noi inaccettabili, ma che a quei tempi non costituivano un vero elemento negativo per rinunciare o per ridurre le quantità d'acquisto, malgrado la concorrenza di Costantinopoli che pure ne produceva e meno lontana, ma non della stessa qualità.

Detto questo per l'abbigliamento, è logico che il tutto doveva essere gestito dal mercante per soddisfare appieno la domanda, ma occorreva stare attenti agli articoli di cui era proibita la vendita come certe pelli o certe stoffe fatte di certi materiali che restavano un'esclusiva dell'élite! Per averne un'idea si leggano le difficoltà incontrate nel X sec. a Costantinopoli da Liutprando da Cremona per acquistare delle stoffe e della seta da portare in Italia.

Sappiamo molti altri particolari sul mercato della seta dall'attività dei genovesi che operavano specialmente dalle loro basi del Mar Nero da tempo ben organizzati.

L'esperienza aveva loro suggerito di compilare accurate istruzioni sulle origini di certe merci da preferire, in che quantità e con che qualità. Nel XIV sec. alla fine per evitare malintesi e sequestri sull'export non permesso fu redatto un manuale di conversazione latino-cumano ad uso dei principianti. Il “cumano” era l'idioma dei turchi Polovzi (chiamati così dai russi) che altri non erano che i Kipciaki ossia gli stretti parenti dei Bulgari di Kazan!

Grazie al meticoloso studio di E. Ashtor possiamo fare altri confronti. Nell'epoca fatimide in Egitto (ma in tutto il mondo mediorientale) una veste di tipo economico costava circa ½ dinar, un turbante 2,5-3 dinar, un abito elegante da donna 3-4 dinar mentre al mese un Mastro Muratore (l'ingegnere edile di oggi) prendeva 3,5 dinar e un Visir (primo ministro) ne prendeva ben 3000 e fino a 7000, sempre al mese! E, tenendo presente che il dinar era d'oro e pesava 4.25 g, il dirhem era d'argento e pesava ca. 3 g e che per fare un dinar occorrevano 14-15 dirhem, con tali sproporzioni nei guadagni personali è chiaro che il Visir non aveva problemi a spendere dai 10 ai 50 dinar per zibellino per farsi un mantello col numero giusto di pellicce che poteva superare la trentina di capi!

E che dire dei gioielli? I materiali che qui dominano sono l'argento, il vetro e l'ambra tradizionale. All'argento inoltre si ricollega l'import di mercurio dal Caucaso che serviva per l'estrazione del metallo dalle leghe nelle monete per farne lino intessuto con fili d'argento. è notevole che il mercurio era conservato e trasportato in speciali vasi d'argilla di forma tronco-conica, davvero unici come imballo e per la soluzione tecnica adottata con un prodotto chimico così particolare! Sembra che giusto per questo a Bulgar fosse proibita la circolazione di pezzi d'argento troppo grossi e chi ne avesse era obbligato a spezzettarli perché potessero essere rifusi e lavorati. D'altro canto le monete servivano esclusivamente per “pagare” le merci nordiche, ma non per “pagare” quanto si vendeva o si comprava nell'Aga Bazar...

Racconta Ibn Fadhlan a proposito dei gioielli delle donne Rus: «(Se un mercante) possiede diecimila dirhem si fa fare un collier per sua moglie. Se ne possiede ventimila se ne fa fare due... e così per ogni diecimila dirhem una moglie riceve un collier...» e più avanti racconta quanto le donne amino le collane di pietre di vetro verde (forse la malachite degli Urali).

Dal quadro d'insieme possiamo immaginare come si costruisse un mondo bulgaro del Volga che riusciva ad attrarre gli stranieri, in particolare chi lo “contemplava dal lato nord” del mondo. Abbiamo parlato delle aspettative che il sud (Bulgar in questo caso) risvegliava e, se non era possibile una migrazione di massa o un'invasione militare, pure qualcuno, slavo o ugro-finno che fosse, riusciva a stabilirsi da queste parti!

Prendiamo un contadino. Costui è in ogni caso un talento produttivo potenziale enorme poiché tutto quello che gli occorre: suppellettili, arnesi, abiti etc. ha imparato a farselo da sé durante il lungo inverno. Si candida come artigiano a pieno ritmo nel momento in cui si sottrae ai lavori dei campi e dedica l'intero suo tempo ad una soltanto delle sue molteplici attività per produrre in serie, soprattutto oggetti d'alto prezzo. A questo punto avendo bisogno delle materie prime in più grosse quantità, di più strumenti e di luoghi di lavoro appositi e difesi gli occorre un capitale di partenza che non ha. Che fare? Si rassegna a dover dipendere da chi questi mezzi glieli mette a disposizione in cambio della sua produzione e gli dà vitto e alloggio nella sua casa.

Gli artigiani già affermati erano invece assoldati/catturati con la forza, come abbiamo anche detto, ma possiamo aggiungere che molti (medici, astronomi, cuochi, sarti etc.) cercavano personalmente sistemazioni meno traumatiche in città, ad esempio optando per l'abitazione presso la “fattoria” del datore di lavoro o per un negozietto indipendente nell'Aga Bazar. E, in quest'ultimo caso, gli scavi indicano che a Bulgar infatti esisteva un quartiere artigianale separato e pieno di stranieri.

Abbiamo anche notato che gli “immigrati” russi formano comunità di piccoli villaggi satelliti in cui, oltre a coltivare la terra per mangiare, lavoravano certe materie prime per poi venire all'Aga Bazar a offrire i loro manufatti in cambio di altri oggetti. Anzi! Chi riusciva, sottoscriveva dei contratti a termine aggregandosi per un certo periodo alla clientela di un grande mercante e talvolta c'era chi riusciva a stipularne con incluso il pagamento del kalym per poter sposare una moglie della cerchia della famiglia del patron.

Nell'Aga Bazar non vedremo in giro l'artigiano dato che è occupato nel suo laboratorio, ma, se lo vediamo, è perché è occorre la sua presenza per controllare la qualità e decidere l'utilizzo delle materie appena arrivate dal padrone portate dall'intermediario. Il mercato infatti è per gli intermediari. Con questo termine intendiamo il mercante itinerante che va avanti e indietro quasi sempre sullo stesso tragitto nell'arco dell'anno. Il traffico più normale si fa passando dal fornitore all'intermediario che a sua volta è fornitore di un altro intermediario e così via fino al cliente finale. Sono rarissimi i casi di mercanti che viaggiano per più mesi o più anni. Il più noto Marco Polo di Venezia o il meno noto Atanasio Nikitin di Tver sono delle vere eccezioni!

Naturalmente c'erano gli alti e i bassi, ma il Corano ha le spiegazioni per certi casi della vita. Così, se gli affari vanno bene, dice III,148: «Dio gli ha offerto un compenso adeguato in questo mondo... perché Dio ama la gente per bene!». Se invece le cose sono andate storte dice XLII, 30: «Una calamità vi ha colpito? Ve la siete guadagnata col lavoro delle vostre mani! Coraggio però, ché Dio è capace di perdonare...». Occorre attendere con pazienza perché Dio dà sempre dei segni per la ripresa a chi sa essergli grato. Il mercante deve perciò saper seguire attentamente e in modo realistico la domanda più raffinata e rassegnarsi persino a sottostare alle voglie dei suoi potenti compratori: re, vescovi, principi e capi militari d'ogni paese...

E che dire della clientela intorno a potenti e ricche figure di mercanti? Era un certo numero di persone, i clienti in arabo mawla, che dipendevano da un patron per ragioni di sussistenza o per condizione debitoria. I mawla si legavano al patron come dei veri e propri ostaggi dovendo esaudire ogni richiesta del patron e quindi ne condividevano il credo politico e religioso.

Se sull'organizzazione di governo di Bulgar non ci sono molte informazioni, l'Elteber appare come qualcosa di simile ad un patron con la sua clientela, ma che restava a sua volta un cliente del Kaghan Cazaro. Quando Almysc' è consacrato Emiro da Ibn Fadhlan cessa di essere Elteber e trasforma in suoi clienti in cittadini soggetti a lui, tutti i ricchi e meno ricchi e le rispettive clientele. Non solo! Diventa portatore di sultan e come tale introduce nel suo dominio una nuova classe religioso-burocratica incaricata di diffondere l'Islam e il suo sistema di governo fondato sul Corano.

Ricordiamo che a questo scopo aveva chiesto al Califfo di mandargli faqih e qadi e ulema o, in altre parole, chi gli organizzasse un sistema impositivo e s'interessasse per la riscossione delle imposte e delle decime. Questi notabili o servi dello stato sarebbero stati gli occhi e le orecchie di Almysc' nell'Aga Bazar dove sarebbero stati presenti in permanenza a trascrivere e a sancire ogni transazione pubblica e privata! Quanto all'abbigliamento distintivo, il burocrate (ma anche un capo-clientela che comunque è un notabile) si riconosce subito da un particolare: la preziosa cintura in vita che costui lascia intravvedere quando spalanca la lunga palandrana e si pone le mani sui fianchi (come è rappresentato solitamente dai ritrattisti tatari!). Ora, mostrare la cintura (c'apan) è una posa ancora in voga fra i notabili delle steppe, ma lo era, guarda caso, pure presso i bojari novgorodesi!

A parte ciò, questi burocrati produssero scritti e registri, ma che fine ha fatto questo materiale scritto? Dove sono finiti i contratti e gli accordi che il Corano prescriveva che fossero stilati e controfirmati o le sentenza giudiziarie?

Quando l'Islam prima di Ibn Fadhlan arrivò sul Volga c'erano già moschee e annesse medrese dove s'insegnava a leggere il Corano in lingua araba e, per quei popoli che ancora non avevano scrittura propria come forse erano i Bulgari del Volga, si applicava l'alfabeto arabo all'idioma parlato localmente. Dunque pochi erano gli analfabeti. Purtroppo ci siamo accorti che la penuria documentale corrisponde di nuovo ad una situazione censoria della vecchia URSS e noi, non potendo soffermarci a lungo sulle questioni politiche del Tatarstan di oggi, rimandiamo il nostro lettore all'articolo di A. Karimullin del 1985 dal titolo Dove si conservano i libri in tataro? la cui conclusione è veramente desolante. Si legge «...il libro è ciò che è più apparente della memoria che un popolo ha di se stesso e senza libri quel popolo non ha un futuro. Come si è potuto vedere da questa panoramica sulla raccolta sistematica e sulla conservazione dei nostri libri nella nostra repubblica, noi, è chiaro!, non abbiamo molto cara questa memoria. è una pena, ma è un fatto».

Secondo Gardizi i Bulgari (probabilmente includeva la gente delle città sotto dominio bulgaro come Biljar, Suwar etc.) erano divisi in tre gruppi: Il più potente era formato dai Barsili, seguiva quello degli Asc'kel/Eskel e infine i Bulgari veri e propri. Se questa sia la vera situazione sociale della città, non possiamo dirlo, ma è possibile che il nostro autore riferisca della presenza di famiglie bulgare che vantavano totem diversi fra le quali i Barsili cioè “i figli del leopardo” (*barsele o del leopardo). Questo totem dal punto di vista sacrale li legittimava a priori alla predominanza sulle altre. Prove certe a riguardo mancano, ma i reperti archeologici suggeriscono che un tale costrutto esistesse davvero per una serie di ragioni. Sono state ritrovate chiavi raffiguranti un uomo a cavallo di un leopardo e noi sappiamo che chiavi e serrature potevano appartenere sempre e soltanto alle case dei ricchi. Non solo! Le chiavi erano lavorate in modo tale da rendere subito riconoscibile il proprietario! Per di più nelle tombe bulgare più fastose, stemmi e stemmetti su molti oggetti riproducono il leopardo e, last but not least, certi nomi di persona conservano la componente bars e lo stesso bulgaro che faceva da interprete a Ibn Fadhlan si chiamava Bars, lo slavo... A proposito! Boris, se derivasse da Bars, è un nome comunissimo fra gli Slavi, seppur di riconosciuta origine bulgara!

Ciò però aggiunge poco a quel che sappiamo di Almysc' e dei suoi successori e se fossero o no membri della famiglia in questione. Soprattutto sarebbe stato interessante sapere come fosse organizzato il passaggio dei poteri alla morte del sovrano, se fosse rimasto quello usuale della steppa del passaggio laterale da fratello morto a fratello rimasto in vita oppure no.

Niente di tutto questo purtroppo ci è giunto, malgrado l'ardore arcinoto nelle corti turche di ricostruire gli alberi genealogici per giustificare ed esaltare la propria posizione di potere! Ad esempio, restò famosissimo lo Sc'eg’rei Türki (lignaggio) messo insieme nel XVII sec. per il sovrano di Khivà, Abul Ghazi Bahadur Khan, per farlo discendere da Tenri, la divinità suprema degli antichi turchi!

E per Almysc' e discendenti?

L'unica tradizione conservatasi è la sua leggendaria discendenza da Alessandro Magno mentre resta storicamente accertata l'autoproclamazione a Emiro dei Bulgari nel 922!
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DELENDA PISA!


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