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Silvia Bencivelli

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video della sua intervista a Presa Diretta
telegiornaliste.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=...
[Modificato da l'acero 14/10/2011 00:58]

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14/10/2011 15:46
 
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Eccola nello studio di radio3 scienza



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16/10/2011 09:42
 
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Reporter per caso: il 15 ottobre, sotto casa mia
A mente fredda, la cosa peggiore è stata vedere ragazzini di vent’anni, vestiti da ragazzini di vent’anni, ridere passandosi spicchi di limone. Il limone serve per ridurre gli effetti dei gas lacrimogeni: lo so, qualcuno me lo deve aver raccontato in una di quelle cronache epiche sugli anni settanta. Ma non mi verrebbe mai in mente di andare a una manifestazione con un limone in tasca. Loro invece ci avevano pensato: sarà per questo che loro sembravano divertirsi, mentre a me tremavano le gambe e quasi non riuscivo a camminare.

Io, a questa manifestazione, non ci volevo andare. Una piattaforma inconsistente, dicevo ai miei colleghi: anzi, un sacco di piattaforme e nessuna degna di essere definita tale. La maggior parte non era nemmeno firmata. E a parte cose ovvie tipo equità, diritti, giustizia sociale, noi non siamo responsabili del debito pubblico… boh, non c’era niente. Cioè: qualcosa c’era. Quell’idiotissima richiesta di default del paese: andiamo in bancarotta, dicono, poi si ricomincerà. Sì, bravi.

Però c’erano i miei colleghi, i miei amici, anime belle, idealisti e arrabbiati, ma gente in gamba e incapace di fare male a una mosca: anzi, qualcuno è pure un po’ sovrappeso. E poi vabbè: son curiosa. Così fino alle quattro ho fatto altro poi sono risalita da Piazza San Giovanni in bicicletta (ingenua) – dove la manifestazione, a quanto avevo capito, sarebbe arrivata un paio di ore dopo – e ho pensato di poterli raggiungere in via dei Fori Imperiali (ingenua ingenua). Invece i facinorosi avevano scavalcato il corteo, si erano messi in testa, camminando a passo veloce verso la piazza lungo via Emanuele Filiberto. Ed esattamente alle 16.15 mi sono venuti incontro. Mi ci sono improvvisamente trovata in mezzo. In mezzo. Avevo la mia bicicletta per mano e andavo in senso contrario a loro.

(Qui non c’è la foto, perché sono dovuta scappare. Più volte. Con la bici per mano. E i blackbloc, casco in testa e manganello, mi spingevano di lato, mi venivano addosso, correvano da tutte le parti. Poi fumo, botti, urla, scene di panico. Sono corsa via, per quanto ho potuto. Ma non avevo più le gambe. Mi sono addossata a un muro e ho provato a chiamare un paio di amici, ma appena hanno risposto mi sono resa conto di non riuscire nemmeno a parlare. Mi usciva un filo di voce, parole sconnesse, non sapevo, non riuscivo, non capivo. Non ho mai avuto tanta paura come in quei momenti. E ogni venti secondi ricominciavo a correre. Dove non ricordo. Quindi niente foto, ecco).

A mente fredda, la seconda cosa peggiore è stata rientrare a casa senza aver incontrato i colleghi, che intanto stavano in coda al corteo e probabilmente non hanno visto niente di diverso da una pacifica manifestazione. E rientrare con i capelli che puzzavano di fumo e un sapore acido in bocca.
Perché quando sono riuscita a legare la bici in un posto che mi pareva tranquillo (lo è stato per venti minuti, probabilmente, povera bicicletta mia), mi sono avvicinata alla fermata Manzoni, quella dove prendo la metro per andare alla radio. Ero a duecento metri da casa, ma volevo vedere. La situazione sembrava essersi fatta tranquilla: il paesaggio era come lo vedete qui sotto, un paesaggio streetfight di fine estate, fatto di fumo e deficienti con la macchina fotografica.

Cretini di vario ordine e grado, cassonetti in fiamme, fotografi, fotografi, fotografi. E ogni tanto un capannello di sessantenni da circolo Arci che litigava sulla manifestazione: bisognava andarci, non bisognava andarci, i partiti servono, i partiti non servono, il servizio d’ordine dov’è, la polizia dov’è, ma la vogliamo o non la vogliamo, ma quanto sono cretini questi, hanno rovinato tutto… Una di loro mi ha detto, orgogliosa, di aver tolto il bavaglio a un blackbloc ragazzetto e di avergli gridato che cavolo stai facendo?! Levati questo coso e smettila di fare casino! Avrei voluto vederla.

Lì ho incontrato un vecchio amico. Maglioncino beige, stava cercando il cugino. E, facendoci coraggio a vicenda, abbiamo percorso cinquanta metri di via Labicana. Eccone l’imbocco.

Anzi: eccola.

Non sono mai stata un cuor di leone. Non ho niente da dimostrare e se una cosa mi fa paura lo dico serenamente. Lì, con l’amico mio in maglioncino accanto, avevo paura. Per cui all’incrocio di via Labicana con via Merulana mi sono bloccata. L’impressione era che la polizia avesse in qualche modo disperso i manifestanti, invece di canalizzarli: il percorso della manifestazione era stato deviato (le strade raffigurate nelle foto qui sopra erano inagibili, grazie: posso testimoniarlo anch’io) e in ogni strada c’erano frammenti smarriti di corteo e disordini di vario ordine e grado. A quell’incrocio si vedeva un tizio con un’enorme bandiera rossa, un po’ di ragazzotti con casco e maschera antigas che tiravano sassi, manifestanti anarchici (uno grossissimo e pelato mi ha fermato: mi scusi, signora, saprebbe mica indicarmi come si arriva a Piazza San Giovanni? tenero… aveva perso i suoi amici anche lui…). Poi venti metri di strada libera. E una fila di poliziotti schierati a bloccare quella che in quel momento era la testa della manifestazione. Davanti a loro, un palazzo che sembrava interamente in fiamme (forse questa foto andrebbe ingrandita, per vedere i poliziotti là in fondo).

All’ennesima fuga caotica di ragazzotti vestiti di nero, all’ennesimo sasso che ho visto volare, all’ennesimo vetro calpestato, all’ennesimo respiro amaro, e al primo spicchio di limone in mano a un ragazzino sorridente, ho deciso che era l’ora di tornare a casa. Da lì al mio portone, cinquecento metri di cronisti sapientemente in posa,

macchine in fiamme, cassonetti in fiamme e cassonetti da cui sbucavano oggetti contundenti nuovi di zecca

e poi poliziotti e ambulanze, poliziotti e ambulanze, poliziotti e ambulanze.

A mente fredda, la cosa peggiore è stata la sensazione che questo paese davvero non uscirà facilmente dalla situazione in cui è. Mi sono sentita ancora più sola di sempre: dopo la giornata della fiducia al Governo, una manifestazione in cui i più sensati se la prendono con Mario Draghi, i ragazzini incendiano la città e la polizia fa quello che fa la polizia a ogni manifestazione a rischio.
Adesso sono a casa: tutto è tranquillo. Mi sono fatta un doppio shampoo per togliere il puzzo di fumo. E ho controllato: un limone, in frigorifero, in effetti ce lo avevo.




E se volete vedere anche le foto
silviabencivelli.it/2011/reporter-per-caso-io-alla-manifestazione-non-ci-volevo...

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21/10/2011 19:59
 
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Al Festival della scienza di Genova



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06/11/2011 22:53
 
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Domani è un altro giorno, si vedrà. Ecco il mio nuovo lavoro
Dal suo blog
silviabencivelli.it/2011/domani-e-un-altro-giorno-si-vedra-ecco-il-mio-nuovo...



“Ah sbé, di che ti lagni?”. “Non mi sto lagnando, anzi. Sono contenta. Solo che sono anche un po’ guardinga, un po’ cauta, un po’ smarrita”. “E perché?”. “Beh, per esempio per il fatto che domani devo prendere un treno e andare a Genova, per trovarmi in una diretta di Presa Diretta, per la prima volta, con colleghi che non ho mai visto prima a fare cose che non ho mai fatto. Spero di non fare casino e di essere all’altezza di quello che mi si chiede, ecco”.
“E che cosa ti si chiede di tanto strano?”. “Ah, hai ragione. In fondo, niente. Niente di diverso da quel che ho sempre fatto: studiare e chiacchierare. Che poi sono le due cose che so fare meglio, credo”. “Studiare e chiacchierare?”. “Sì, mi sarebbe piaciuto essere più una giornalista del tipo scrivere e viaggiare, invece sono nata del tipo studiare e chiacchierare, presente? Stupisciti pure, ma ogni tanto facciamo comodo anche noi”. “Come no. Per questo che sei lì con quel librone, oggi?”.
“Senti, facciamola breve: se tutto va liscio, domani sera mi buttano in acqua e vediamo se nuoto. Per me, è praticamente il terzo giorno di lavoro. Ma non è la diretta che mi mette ansia: alla radio ho fatto quasi solo dirette e il pubblico dal vivo lo incontro almeno venti volte all’anno. Anche le telecamere: già viste e riviste. Solo che mi domando come mi dovrò comportare, a chi debba chiedere dove andare e a che ora, chi mi dirà dove sedermi se dovrò sedermi, quanto dovrò parlare se capiterà di doverlo fare e così via. Non conosco nessuno, i pochi nomi che ho imparato li confondo tra loro: nelle situazioni nuove tendo a distrarmi e a sorridere molto, che in genere è un’ottima strategia di adattamento ma nel corso di una diretta dall’alluvione si rischia di fare la parte della beota. Non so nemmeno come e quando si tornerà a Roma. E poi boh. Sai. Così.
Ma insomma, sono anche curiosa e ho voglia di vedere come va. E alla fine lo so che nuoterò, da bravo pesciolino da combattimento. Il pomeriggio di oggi è dedicato proprio a mettere in moto le pinne e a sgranchire le branchie. A mio modo. Perciò ora accendo la musica, faccio un respirone e torno sotto. Aggrappandomi ben bene al mio librone”.


Cioè, dopo che ha chiuso il suo contratto con Radio3scienza sarà in questa trasmissione

In diretta da Genova. Lunedì alle 21.05 su Raitre PRESADIRETTA LIVE sull'alluvione

[SM=x44619]

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28/12/2011 22:16
 
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Las raíces científicas del placer por la música
www.elmundo.es/elmundo/2011/12/23/ciencia/1324661401.html


'¿Por qué nos gusta la música?'. Esta es la pregunta la escritora italiana Silvia Bencivelle, periodista científica de profesión, se hizo un día, quizás mientras escuchaba cantar villancicos a un grupo de niños, y a la que ha tratado de dar respuesta en su ultimo libro.

Bencivelle, que trabaja en la televisión pública en su país, no ha encontrado una fácil y única respuesta al hecho evidente de que los seres humanos tenemos un cerebro musical, capaz no sólo de disfrutar de las notas, sino también de generar obras maravillosas y distintas a lo largo de siglos de historia.
Portada del libro.

Portada del libro.

Con un lenguaje claro, y en ocasiones incluso divertido, la autora busca los orígenes de nuestra musicalidad más allá de nuestra especie, pues recuerda el canto armonioso de muchas aves e incluso que los monos son capaces de distinguir las octavas en la escala diatónica, que es la que se usa normalmente en Occidente. Otros experimentos han demostrado que determinadas músicas (como Vivaldi) tranquilizan a los animales, mientras que también las hay (Metallica, por ejemplo) que los alteran totalmente.

En este recorrido por la atracción por la música, Bencivelli recuerda que ya Darwin pensaba que nuestros antepasados utilizaban la música para el cortejo, algo que aún no se sabe con certeza. También hay investigadores que atribuyen su atracción, al arrullo que las madres hacen a sus bebés para tranquilizarles, que podría existir desde los inicios de la especie humana.
Una flauta del Paleolítico

Hasta ahora, la prueba más antigua de un objeto musical es la flauta hecha con un hueso de animal en los montes de Suabia, datada hace unos 37.000 años, un momento en el que los neandertales convivían con los 'Homo sapiens' en Europa.

Sin embargo, para hacer ritmos y música, como bien apunta Bencivelli, no se precisan instrumentos. Basta la voz y las palmas, basta golpear el suelo con los pies o entrechocar dos piedras, o dos palos, para que al final pueda repetirse un ritmo que se va metiendo en ese cerebro musical. En otras palabras, su origen podría ser mucho más antiguo.

El hecho de que esee ritmo atraiga tanto puede deberse, como indican algunos estudios, a que éste fue el paso previo a la aparición de un lenguaje hablado; o porque, como defendía Darwin, facilitaba la selección sexual; o quizás porque favorecía la cohesión social de los grupos.

La ciencia también se ha demostrado que las notas musicales son el vehículo en el que viajan las emociones, algo que se repite en todas las culturas y en las formas más diversas.

Con todo, Bencivelli reconoce que la razón última de por qué nos da tanto placer inmediato, aún es un misterio pendiente de descubrir, si bien el acercamiento de su ensayo, en el que tienen cabida infinidad de enfoques científicos, ofrece unas interesantes pistas que ayudan a conocernos un poco mejor.

Contacte con el autor del artículo vía Twitter. @Rosa M. Tristan

'Por qué nos gusta la música' / Silvia Bencivelli / Roca Editorial / Año 2011 / 219 páginas / 18 euros



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INTERVISTA
Per la rubrica settimanale Format abbiamo intervistato Silvia Bencivelli.
Il link permanente all'intervista è www.telegiornaliste.com/interviste/intervista-silvia_benciv...

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Carina e parecchio interessante come tgista! [SM=x44619]

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20/07/2012 07:18
 
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tanti auguri!!! [SM=x44638]
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silviabencivelli.it/2012/il-lavoro-ti-fa-bella-abbiamo-vinto-il-primo-premio-per-short-on-work-parlando-della-vita-del-freelance/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-lavoro-ti-fa-bella-abbiamo-vinto-il-primo-premio-per-short-on-work-parlando-della-vita-del-f...


By silvia, on September 16th, 2012

Voce fuori campo: Valeria Valeri, novant’anni portati benissimo… Risatina… Quali sono i suoi segreti? L’attrice sorride, muove le mani con eleganza. E io, che sono abbozzolata nella mia felpa nera con cappuccio, semisdraiata su un lettino cigolante dell’albergo più deprimente che abbia mai visto negli ultimi venticinque anni, fòrmica maròn e carta da parati su odore di polvere decennale, sento una voce femminile allegra rispondere: Il lavoro… la passione per il lavoro, ah… il lavoro... il lavoro e il lavoro.
(Seguono banalità: mangiare sano, amicizie interessanti, vanità…).
Fermi tutti: camperò cent’anni. Camperò cent’anni e sono cacchi vostri.
Sarò ripagata di questa domenica sera a Novara, cena con gelato e serata in compagnia di un televisore gracchiante. Anzi: ho appena scoperto che questo albergo beige scassato è praticamente la mia beauty farm.
Sono qui perché sto facendo riprese per Presa Diretta. In genere, quando sono in giro per lavoro, ho sempre un amico del luogo con cui uscire a cena (le amicizie interessanti, con cui mangiare sano e scambiarsi chiacchiere e vanità) anche perché a volte capita di stare fuori giorni e giorni, tra riprese, eventi, moderazioni, incontri e cose varie, e, mi conosco, dopo le prime trentasei ore così finisco per sfiorare il delirio solipsistico. In genere riesco a farmi consigliare un posto carino in cui passare le mie notti (carino, o almeno privo degli aromi suicidari di questa stanzetta), o a farmi prenotare l’albergo, fatto che in genere garantisce scelte migliori delle mie. Unisco l’utile, il dilettevole, l’utile diletto e il dilettoso utile. E mi sento un po’ meno cretina ad aver scelto una vita così.

Poi càpita che, oltre a garantirmi una vita lunga e sana, e a divertirmi e stancarmi nel frattempo, il mio lavoro incuriosisca gli altri. Oh, non è niente di straordinario, in sé: è un lavoro, nessuno si interessa troppo di come si realizzi concretamente ogni giorno. Semmai, a renderlo attraente, c’è che può raccontare qualcosa di interessante su come funzionino oggi le cose per chi lavora (genericamente) nella conoscenza, e si sbatte per sopravvivere con dignità e senza troppi patemi per il proprio futuro. Insomma, più o meno, quello che provo a raccontare, a volte, in questo blog.
Così, con Chiara Chià Tarfàno (e occhio agli accenti) abbiamo giocato a fare un videetto in cui si parla di tre o quattro aspetti della vita di un freelance (per la precisione: della mia, che è l’unica che conosco davvero e su cui abbia il diritto di pontificare, ma che a occhio dice un po’ anche di quella degli altri). Miei i testi, mia la faccia, di Chiara immagini e montaggio. Ed è con questo che abbiamo vinto la prima edizione del premio Short on Work, concorso internazionale di documentari brevi e videoricerca sul lavoro, della Fondazione Marco Biagi di Modena.
Toh.

Siamo state ospiti del Festival Filosofia, abbiamo strafesteggiato, ci siamo ascoltate tre di lezioni in piazza di filosofi importanti, anche per ricordarsi che c’è gente che fa un mestiere ben più bislacco del mio. Ma prima mi sono vista a tutto schermo, nell’auditorium della Fondazione, mentre dico cose che quasi mi annoiano da quanto le conosco (c’è gente nel nostro mondo che accetta di lavorare per due lire, o addirittura gratis, creando di fatto un mercato al ribasso, e intanto il nostro lavoro perde di valore…): sento il pubblico in sala inghiottire e tossicchiare. Mi chiedo se tra loro ci sia gente che lavora, o propone di lavorare gratis: forse sono quelli che adesso si muovono come anguille imbarazzate sulle loro poltroncine. Oh, che facciamo: continuiamo a far finta di niente? Dai. Mi vedo con l’inseparabile zainetto, col trolley, in stazione, per strada, sempre in movimento, perché è l’irrequietudine la cifra della mia vita professionale e noi così l’abbiamo rappresentata. Sento la musichetta scelta di sottofondo, allegra e giocherellosa, contrastare con le parole mia che ci passano sopra. Fa strano, dura un attimo. Cartelli finali. E poi comincia un altro documentario della cinquina finalista.
Mi sarei aspettata documentari che parlassero di precariato, call center, insegnanti a ore, e invece le altre sono storie di lavori distanti dalla mia vita. Belli, interessanti, curiosi, nessun imbarazzo per nessuno: io e Chià ci guardiamo e ci diciamo mi sa che il nostro è un po’ troppo sopra le righe. Invece. Alla fine la premiazione e via: eccoci sul palco con un sorriso a 76438658 denti.
Abbiamo vinto.
Camperò cent’anni e nel frattempo mi sarò anche divertita un casino a raccontare in giro il perché.


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1° classificato: "2033" di Silvia Bencivelli e Chiara Tarfano


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20/11/2012 23:55
 
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Inserito nella sezione Quarto Potere un articolo dal suo blog dal titolo

Che cosa sta succedendo al Cnr? La signora Maria, l’sms di beneficenza, e le bollette da pagare

telegiornaliste.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=1...

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Al Salone del libro di Torino a presentare il suo libro

Cosa intendi per domenica? La mia in(dipendenza) dal lavoro



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Silvia Andretti (La7) (3 messaggi, agg.: 02/12/2019 16:35)

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